Pubblichiamo un testo che raccoglie tutte le elaborazioni sugli anni Ottanta prodotti dalle sezioni di Machina in questi mesi. Questi articoli, insieme ai materiali prodotti dal Festival 6 di DeriveApprodi, saranno la base di partenza per un libro sugli anni Ottanta che verrà pubblicato prossimamente.
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«Perché dunque partire dai «decenni smarriti»? Perché dopo gli anni Settanta, il diluvio. Spesso, troppo spesso l’attenzione dei nostri ambienti ha tracciato, volontariamente o involontariamente, un confine tra quella straordinaria fase di lotte e ciò che è avvenuto dopo. Come se la storia, la nostra storia, si fosse fermata alle soglie degli anni Ottanta, per lasciare completamente la scena al dominio capitalistico, ipostatizzato nel concetto totalizzante di «pensiero unico»».
Così inizia l’articolo che ha introdotto il progetto di costruzione di una «cartografia dei decenni smarriti», idea discussa in più occasioni dalla redazione di Machina.
Scavare nei «quaranta ingloriosi» – che vanno dagli anni Ottanta agli anni Dieci – non con un mero fine di ricostruzione storiografica ma analizzando quei nodi strategici che ci aiutano a comprendere il presente. Questa la sfida.
Nella prima fase di questo percorso, che culminerà nel sesto Festival di DeriveApprodi «Sentimenti dell’aldiqua. Opportunismo paura cinismo nell’età del disincanto» del 9-10-11 giugno, ci siamo concentrati sugli anni Ottanta. In poco più di sei mesi sono stati pubblicati quasi 50 articoli che hanno indagato il decennio sotto diversi punti di vista.
Gli anni Ottanta, come scrivevamo nell’articolo soprariportato, «sono gli anni della controrivoluzione capitalistica, da intendersi – seguendo Paolo Virno – come una rivoluzione al contrario, una risposta trasformatrice all’insorgenza dei due decenni precedenti. È l’innovazione che si mangia la rivoluzione, è il nuovismo che rimuove la possibilità della rottura».
Come ci ricorda Marco Mazzeo, riprendendo il titolo del libro che dà nome al Festival, sono gli anni in cui opportunismo, paura e cinismo, diventano i sentimenti prevalenti, tre figure cardine in cui convergono tutti i mutamenti (della politica, del lavoro, della cultura) avvenuti.
Ma «decenni scomparsi» non significa decenni perduti; così come disincanto non implica rassegnazione. Questi sentimenti, infatti, vanno analizzati nella loro specifica ambivalenza: se, infatti, da un lato sono il prodotto dell’assenza di conflitti espliciti e della controrivoluzione capitalistica, dall’altro sono la base di partenza per comprendere le possibili forme di rifiuto che da essi possono svilupparsi. Come ci ricorda lo stesso Paolo Virno, ad esempio, l’esodo non va letto come gesto «negativo», ma forma che più «si attaglia a istanze di trasformazione radicale dell’esistente», defezione che modifica le condizioni entro cui il conflitto si svolge. In questo articolo, tratto dal lemma scritto per Lessico postfordista Adelino Zanini ricostruisce la genealogia del concetto e, nell’introduzione allo stesso, si pone la questione: «fu causa già allora di linee di fuga intraprendenti – e molto produttive anche poi, in parecchie situazioni di conflitto, ripensato e differentemente espresso –, perché non dovrebbe accadere anche oggi?».
Altri due voci tratte da Lessico postfordista e pubblicate sono: «Tecnica» e «Tempo ed esperienza».
Sulla stessa linea di Zanini, l’articolo di Federico Battistutta si interroga sulle linee di fuga, le nuove possibilità che si aprono, fatte di pratiche e desideri, muovendosi anche in territori fino ad allora sconosciuti.
Per interrogare le forme di rifiuto possibile è necessario anche le modalità di formazione e aggregazione della soggettività sociale, le forme di espressione, persino «la crisi di identità», del senso e del tempo legati alle tradizionali culture di classe e del lavoro.
Così Diego Giachetti si interroga «Sui giovani degli anni Ottanta. Senza padri né maestri», sulle loro forme d’azione e di aggregazione; Simona La Neve e Sergio Recanati, invece, ricostruiscono i cambiamenti intercorsi negli anni Ottanta dal punto di vista dell’espressione artistica. Anche Carla Pagliero, in due diversi articoli, traccia i cambiamenti intervenuti nel mondo dell’arte, nella sua profonda ambivalenza: da un lato, il protagonismo femminile e dall’altro, la commistione tra arte e pubblicità, in cui la prima viene inglobata nello sviluppo del mercato e della mercificazione capitalistica.
Giorgio Mascitelli, invece, discute la diffusione del postmoderno nella letteratura e nella filosofia. Infine, in articoli di prossima pubblicazione, Ileana Zaza e Giuliana Misserville analizzeranno le trasformazioni della produzione cinematografica; Emiliano Ilardi, invece, si concentrerà sui mutamenti delle sonorità, dei riti e delle mode musicali.
Per comprendere il rapporto tra produzione culturale e rappresentazione della soggettività, è imprescindibile la lettura dell’intervista di Paolo Virno a Massimo Troisi, originariamente comparsa sulla rivista Metropoli. Altrettanto fondamentale, il «ritratto» di Vasco Rossi fatto da Diego Giachetti, in cui si analizza il rapporto esistente fra vita e opera dell’artista con la storia degli anni Settanta e Ottanta, con particolare riferimento alle esperienze vissute e compiute dalle giovani generazioni in quei due decenni.
Gli anni Ottanta investono anche le soggettività politiche, i paradigmi del conflitto, le forme della politica.
È su questo crinale che si muovono le riflessioni di Mario Tronti, soprattutto per quanto riguarda il rapporto del conflitto col terreno urbano, da Massimo Ilardi e della rivista Asfalto. Ma è lo stesso autore a ricordarci che se è innegabile considerare le forme di mutazione antropologica, con il formarsi di nuovi attori sociali e nuove soggettività, permangono degli elementi di continuità rispetto al ciclo del lungo ’68 perché la mutazione è stata possibile proprio perché figlia della «famigerata» e «vituperata» stagione di conflitti.
Gli anni Ottanta, infine, come ci ricorda Gigi Roggero nel suo saggio, investono anche le nuove generazioni militanti. La generazione nata tra i Sessanta e i Settanta, infatti, è «la generazione che si è formata politicamente negli anni Ottanta e Novanta è cresciuta con un complesso di fondo, quello dell’essere arrivati tardi». Ma tra generazioni che si formano nel vivo delle lotte e quelle che si formano quando essere stentano, c’è l’importanza delle forme di organizzazione e della formazione del militante che «agisce dentro e contro la storia; non seguendo lo spirito dei tempi, ma aggredendolo».
Trasformazioni del lavoro e dell’economia
Il testo di presentazione del progetto della sezione «Transuenze» ha fornito una cornice introduttiva per inquadrare le trasformazioni del lavoro, della produzione, delle forme di regolazione e dell’economia nel decennio.
Come ci ricorda Paolo Virno, le trasformazioni «oggettive» vanno messe sempre in relazione alla formazione delle soggettività, che avviene sempre più al di fuori del mondo del lavoro. Così i «sentimenti dell’aldiqua» entrano nella produzione, combinandosi con la flessibilità delle moderne tecnologie.
Anche Sergio Bianchi si concentra sul rapporto tra soggettività – le identità smarrite – e le nuove forme di messa a valore del territorio, con particolare riferimento all’area di Tradate.
Tutti questi elementi sono presenti nelle riflessioni portate avanti da Aldo Bonomi negli anni. Nell’articolo che uscirà a breve, il sociologo riflette sulle categorie utilizzate nei suoi scritti, da «Il trionfo della moltitudine» a «Il distretto del piacere»; il testo fornisce un quadro teorico retrospettivo all’emersione della «terza generazione di lavoratori autonomi».
Nel testo programmatico sopraccitato, si proponeva un approfondimento su alcune importanti categorie.
La prima era quella di «post industriale» già preconizzata (con significati e oggetti di attenzione tra loro differenti) da Alain Touraine e Daniel Bell. Nell’articolo pubblicato Romano Alquati, replica in termini non reattivi, affermando che piuttosto era in corso una trasformazione iper-industriale della società. In continuità con la sua analisi, il testo in cui lo stesso autore, confrontandosi con gli studenti della Pantera, analizza dei nodi nodi politici decisivi legati alla scuola e all’università: dalla formazione al sapere merce, dall’industria della cultura alla soggettività studentesca.
La seconda categoria analizzata è quella di «postfordismo», su cui Transuenze si concentrerà più avanti nell’analisi sui ’90. Su questo tema vale la pena citare l'articolo di Enzo Modugno e la riflessione di Christian Marazzi, che in una puntata del Diario della crisi, riflettendo sull’attualità ci parla del collasso del paradigma postfordista.
Nell’intervista a Enzo Rullani, infine, ci si interroga sull’orizzonte strategico del capitalismo, nel passaggio dal fordismo al postfordismo prima, da quest’ultimo alla digitalizzazione poi.
Per comprendere in pieno le trasformazioni intervenute, è necessario avere «sguardo delle donne sul lavoro»: il problema di rispondere e rigettare la reiterata tendenza del capitale alla presa, regolata e variata (precaria), del soggetto donna diventa tanto più decisivo quanto più la riproduzione sociale o la produzione sociale o ancora il lavoro involontario diventano elementi cruciali della produzione contemporanea, ribaltando antiche dicotomie e gerarchie consolidate.
Per uno sguardo specifico e irrinunciabile sulla produzione teorica e politica femminista nei «decenni scomparsi», sulla sua ricchezza e diversità, l’articolo di Chandra Talpede Mohanty pubblicato su «vortex».
Il contesto mondiale...
In questi decenni, per rispondere e frammentare l’internazionalismo delle lotte dell’intero secolo, il capitale si è fatto mondo. Per questo è importante ricostruire il contesto mondiale.
Nell’articolo di Bruno Cartosio si mette a fuoco l’affermazione di quella fase definita «neoliberista» a partire dal luogo centrale in cui essa si è affermata, ossia gli Stati Uniti.
Restando negli States, l’intervista a Sol Yurick è utile per comprendere le trasformazioni attraverso i decenni, in particolare tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, dell’economia politica delle gang.
Ma l’affermazione del neoliberismo di Reagan e Thatcher ha avuto anche le sue forme di contrapposizione. In questo testo, Mara Surace inquadra la controrivoluzione capitalistica degli anni Ottanta attraverso la lente della lotta antirazzista delle comunità caraibiche e Black British in Gran Bretagna.
Infine, Diana Carminati si interroga su continuità e discontinuità nelle analisi e nelle critiche sulle politiche internazionaliste tra anni ’70 e anni ’80 e ’90, con particolare attenzione alla questione palestinese.
...e quello italiano
Allo stesso tempo, uno sguardo particolare è stato rivolto al contesto italiano, a partire dall’anomalia sovversiva che, tra i Sessanta e i Settanta, l’ha configurato come un laboratorio politico.
Qui Lanfranco Caminiti si interroga sulla fine della lotta armata; con il racconto di Davide Orecchio, invece, entriamo nell’ultimo anno di vita del Partito comunista nel 1990.
Sandro Marucci si concentra sulla parabola politica di Bettino Craxi, figura imprescindibile per capire il contesto istituzionale di quegli anni.
Infine gli articoli che si concentrano sulle trasformazioni nel Nord e nel Sud.
Leggendo il testo di Romolo Gobbi e i documenti inediti pubblicati, di cui abbiamo pubblicato i documenti inediti, si comprendono i processi di destrutturazione della città fabbrica per eccellenza: Torino.
In un articolo di prossima pubblicazione, invece, Claudio Dionesalvi ci parlerà degli anni Ottanta visti da Sud, in particolare da Cosenza.
Sempre con uno sguardo al Mezzogiorno, Francesco Maria Pezzulli, si interroga sullo sviluppo del clientelismo, visto come un vero e proprio sistema di riproduzione sociale volto a coniugare gli interessi dei potere locali con quelli statali e a garantire la coesione sociale, la governabilità del territorio e la stabilità elettorale.
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Elisabetta Palisi, From the Dasein book, 7, 2020
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