Appunti sulle elezioni europee
«Tutte e tutti a fasciarsi la testa, adesso. Però siamo ancora vivi.
Perché il primo punto è: per quanto saremo ancora vivi? La catastrofe nucleare ormai alle porte si allontanerà o si avvicinerà? Una volta tolti di mezzo o fortemente indeboliti Macron e quegli orribili socialdemocratici e Verdi tedeschi, la guerra totale a Putin sarà più vicina o più lontana? Avremo un altro dottor Stranamore come Stoltenberg alla guida della Nato? Ferma restando, ovviamente, l’incognita Usa».
Pubblichiamo un acuto commento di Sergio Bologna sui risultati delle elezioni europee.
Il testo è stato originariamente pubblicato su Erbacce (che ringraziamo).
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Tutte e tutti a fasciarsi la testa, adesso. Però siamo ancora vivi.
Perché il primo punto è: per quanto saremo ancora vivi? La catastrofe nucleare ormai alle porte si allontanerà o si avvicinerà? Una volta tolti di mezzo o fortemente indeboliti Macron e quegli orribili socialdemocratici e Verdi tedeschi, la guerra totale a Putin sarà più vicina o più lontana? Avremo un altro dottor Stranamore come Stoltenberg alla guida della Nato? Ferma restando, ovviamente, l’incognita Usa.
Nel campo dell’estrema destra si troveranno di fronte a qualche problemino, le tre donne: Giorgia Meloni, Marie Le Pen e Alice Weidel (AfD-Alternative für Deutschland). Innanzitutto il rapporto tra estrema destra francese e estrema destra tedesca. Le Pen ha detto (certo, se lo può rimangiare): noi mai con l’AfD. Non credo sia stata solo una battuta elettoralistica. Che cosa ricorda ai francesi l’AfD? L’umiliazione subita nel 1940, l’armistizio con la Germania firmato da Philippe Pétain. Il partito RN-Rassemblement National di Marie Le Pen è in realtà impregnato di orgoglio francese, molto più vicino allo sciovinismo gollista che al servilismo petainiano.
Emmanuel Macron ha superato se stesso, sciogliendo le camere ha fatto il gesto tipico della sua razza maschile: «Après moi le déluge!». Avete votato Le Pen? E allora votatela fino in fondo, portatevela al governo! Non è la mia fine, è la fine della Francia, io sono la Francia!
Oppure Macron pensa di recuperare ai ballottaggi? Capace. Che squallido personaggio!
La Germania. Qui il discorso è più complesso, perché quella cultura, quella mentalità tedesca che andava dalla Linke (Sinistra) alla SPD (Partito socialdemocratico) passando per i Grünen (Verdi) si è suicidata due volte: una prima volta con la transizione energetica, programmata in maniera del tutto ideologica e «talebana», mettendo in crisi la parte fondamentale dell’industria tedesca, l’automotive. La follia di cancellare il Diesel e di volerlo sostituire con l’elettrico di punto in bianco ha colpito una specializzazione produttiva che aveva il suo centro nei territori dell’Est (dove i salari sono il 60% di quelli dell’Ovest). Ha trascinato nella crisi tutto il settore manifatturiero, industriale.
Una seconda volta si è suicidata con il suo bellicismo. La Germania, più che diventare «nera» si ritrova catapultata all’indietro all’era Adenauer ma senza la «economia sociale di mercato» di Erhard, allora ministro dell’economia. Si ritrova nelle mani di Friedrich Merz, un funzionario del fondo d’investimento BlackRock, oggi il politico più importante nel paese, leader CDU-CSU (Unione di centrodestra) alla mercé degli Usa sia che vinca Biden, sia che vinca Trump.
Ma se c’è una tragedia in queste elezioni, nella mia percezione (forse per riflesso asburgico), è l’Austria. Ricordiamoci che «il caporale», quello con i baffetti, era austriaco.
Ursula von der Leyen. Tutti dicono che è salda in sella. Forse nel Parlamento europeo ma non nel Consiglio, dove arriverà un pezzo da novanta, ormai, come Giorgia Meloni, che si troverà a giocare un ruolo chiave nella mediazione tra Le Pen e destre estreme varie da una parte, e von der Leyen dall’altra. Questo giochetto può destabilizzare la coalizione PPE (Partito popolare europeo), ma può anche creare attriti fra Meloni e Le Pen.
Una delle loro partite più importanti sarà proprio: la vogliamo fermare questa minaccia nucleare sì o no? Vogliamo tutti una forte industria degli armamenti, ok, ma per usarli come?
Quindi dove andrà l’Europa non è per niente chiaro. Non credo che Meloni si farà logorare da politiche di mediazione, cercherà invece di portare a casa qualcosa di concreto sull’immigrazione e per il resto farà tutto quello che può rafforzare la sua leadership interna, visto che rovesciare la maggioranza in Europa non le è riuscito.
Guarderà all’Italia, dove la cosa più divertente è il pantano in cui rischiano di trovarsi Salvini e la Lega.
Vannacci pensava di ottenere 1 milione di voti, ne ha presi la metà. Adesso è diventato un problema per la Lega, non una risorsa, e scommetto che l’idillio finirà presto e lui fonderà il suo partitino personale modello Renzi o Calenda.
Ma questo è il meno. Nelle regioni governate dalla «buona» Lega, nel Veneto di Zaia per esempio, Fratelli d’Italia ha beccato il 37%, non il 29%. Cioè sta scavando il terreno sotto i piedi ai leghisti «buoni» (vero è che alle elezioni comunali le cose sono andate diversamente). Da come si mettono le cose, è probabile che Vannacci andrà per conto suo, Salvini a fatica si terrà sul 10% e Fratelli d’Italia rischia di scavare la fossa sia a Zaia che a Fedriga (nel Friuli Venezia Giulia, FdI ha ottenuto il 34%). A quel punto entra in ballo la stabilità del governo, e non sono bazzecole.
Se Renzi e Calenda sparissero dalla scena politica non sarebbe un gran male, anzi. Qualche loro voto potrebbe recuperarlo Schlein (PD), che comunque sembra destinata ad accorciare le distanze da FdI.
Un piccolo inciso su Sinistra Italiana. Sono contento per Ilaria Salis e per lo schiaffo a Orbán, ma la logica con cui Alleanza Verdi Sinistra (AVS) l’ha candidata è la stessa con cui Salvini ha candidato Vannacci (e con cui AVS aveva candidato Aboubakar Soumahoro nel 2022). È la politica decisa sugli ascolti Tv, non sui contenuti. Per non dire poi che, nel momento in cui un partito prende il nome di Sinistra «Italiana», si esclude da solo da un’idea di sinistra, che è indissolubilmente legata a una visione internazionalista. Sinistra Italiana perché? Per entrare nel club di quelli che hanno messo il nome Italia dappertutto, come Berlusconi, grande antesignano, imitato poi da Meloni, Renzi e altri ancora?
Detto questo ci ritroviamo con il grande enigma del primo partito europeo, quello che ha vinto le elezioni in maniera schiacciante: l’astensionismo. Il convitato di pietra è lui, è l’astensionismo che decide la vittoria degli uni o degli altri. E dentro questo magma ci nuota anche il «nostro» partito, quello che si esprime solo nei movimenti, nel conflitto, il partito di quelli e quelle che nel 2023 erano felici vedendo le piazze francesi capaci di passare dal tema delle pensioni al vero tema: «Cosa vogliamo? Tutto e niente, in ogni caso nulla di quello che ci fate ingoiare da 40 anni a questa parte con il neoliberalismo, la globalizzazione, l’intelligenza artificiale, le 60 guerre regionali». Di quelli e quelle che erano felici nel vedere le città tedesche scoppiare di manifestanti contro l’estrema destra di AfD e che davano per scontato il suo declino.
Adesso, dentro il magma dell’astensionismo cresceranno ancora i movimenti di piazza? Inutile sperare che trovino una rappresentanza, abbandoniamo questa pia illusione. E soprattutto non confondiamo la strumentazione tecnica di un conflitto con rappresentanza. Un comitato di lotta, un blog, una rivista, non sono rappresentanze politiche.
L’importante è che dal magma possa ancora uscire conflitto, l’unica bombola di ossigeno cui siamo attaccati. Chi lo ha capito in anticipo ormai ci respira bene, non gli servono le bombole. Chi si ostina a non capirlo e spera che da quel magma un giorno esca un bel partito per cui votare… vada a sdraiarsi sul lettino.
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Sergio Fontegher Bologna (Trieste, 1937) ha insegnato in varie Università, in Italia e in Germania. Si è occupato di storia del movimento operaio, ha partecipato alla fondazione di riviste quali «Classe operaia» e «Primo Maggio». Espulso dall’Università, ha scelto di fare il consulente e in questa veste è stato coordinatore del settore merci del Piano Generale dei Trasporti e della Logistica (1998-2000), membro del Comitato scientifico per il Piano Nazionale della Logistica (2010-2012) ed esperto del CNEL sui problemi marittimo-portuali. Per DeriveApprodi ha pubblicato: Ceti medi senza futuro (2007), Maggio ’68 in Francia scritto con Giario Daghini (2008), Banche e crisi (2013), Tempesta perfetta sui mari (2017).
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