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Perché il Brasile spiega la nuova economia del calcio

Pippo Russo

Pippo Russo calcio
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Un nuovo articolo di Pippo Russo per «agon», la sezione di Machina che analizza le trasformazioni del mondo dello sport e, come diretta conseguenza, quelle della società.

Oggi un viaggio andata e ritorno in Brasile, dove il calcio è interessato ad importanti processi di aziendalizzazione e finanziarizzazione.

Siamo sicuramente al centro di un mutamento geoeconomico scrive l’autore. Non soltanto nel calcio.

 

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La sessione estiva 2024 del calciomercato è stata una fra le più anomale che si ricordi. Diversi elementi hanno contribuito a renderla peculiare. Fra questi, il principale è dovuto alla creazione di una lista degli svincolati di lusso. Calciatori provenienti da club del massimo livello in Europa, nonché di ottima quotazione personale e nel pieno della carriera. Dunque, soggetti in possesso di una lista di voci curriculari che li ha fatti sentire in una speciale posizione di forza. Al punto da indurli a credere che potessero permettersi di giungere a fine contratto col club di appartenenza per poter sfruttare la condizione da free agent (con prospettiva di maggiore monetizzazione personale per sé e per i propri agenti). Avidità legittima, va da sé. Ma, ahi loro, mal riposta. Perché hanno scelto il momento storico sbagliato per essere avidi. E hanno ottenuto il solo effetto di andare a ingrossare l’esercito dei calciatori svincolati, per quanto se ne stessero a formare una cellula di lusso (i top precari) fra tanti, onesti mestieranti del pallone.

Alla fine, quasi tutti questi top precari hanno trovato sistemazione. E da qui bisogna partire, dato che quanto illustrato fin adesso fa soltanto da premessa per inquadrare un trasferimento che suscita particolare curiosità: quello dell’olandese Memphis Depay, che dopo avere concluso il vincolo contrattuale con l’Atlético Madrid e avere trascorso lunghe settimane nella vana attesa che un club europeo del massimo livello gli proponesse un contratto, ha accettato l’offerta che gli è stata presentata da un club brasiliano. Il club in questione è il Corinthians, società di San Paolo che è anche la seconda in Brasile per numero di tifosi (il primato in questa graduatoria appartiene al Flamengo, club di cui si parlerà più avanti). Dunque, all’età di 30 anni, e con uno scorcio di carriera ancora rilevante da percorrere, l’attaccante olandese migra in Sud America. Una rotta anomala, così come anomale sono molte altre cose che si stanno verificando nella geopolitica e nella geoeconomia del calcio globale. Ma forse, anomale, lo rimarranno ancora per poco. Perché il prossimo new normal geoeconomico del calcio globale si sta già strutturando. E fa intravedere un rimescolamento di assetti gerarchici, tutto a svantaggio della vecchia Europa e della sua posizione dominante in termini economico-finanziari. In questo senso, il Brasile è l’altra faccia del processo in corso, l’elemento di simmetria rispetto alla perdita di terreno da parte del calcio europeo.

 

L’ingresso del capitale privato

In un precedente articolo della sezione Agon ci siamo occupati di quello strano artefatto giuridico che risponde all’acronimo di SAD[1]. Si tratta di una forma societaria inventata nella penisola iberica, e che a seconda di quale sia la parte del confine oltre la quale ci si trovi sta per Sociedad Anónima Deportiva (Spagna) o Sociedade Anónima Desportiva (Portogallo). Al di là delle sfumature nominalistiche, la SAD è una specifica forma di società per azioni disegnata per il mondo dello sport. L’obiettivo per il quale è stata varata è quello di consentire l’ingresso del capitale privato nelle società sportive. Come specificato nel precedente articolo, fra i tanti effetti di questo mutamento di regime societario vi è quello mettere in secondo piano la dimensione associativa della società sportiva e la sua natura democratica, poiché la gestione economico-finanziaria passa sotto il controllo di chi inietta i capitali nella neo-costituita società per azioni e ne acquisisce la maggioranza. Tutto ciò ha creato delle situazioni di aspra dialettica, che talvolta sono sfociate in conflitto aperto fra l’anima associativa e l’anima capitalista della società sportiva.

Quanto fin qui riepilogato del precedente articolo ha omesso un dettaglio importante: che, quando si parla di SAD, ci si riferisce formalmente e genericamente alle società sportive, ma, di fatto, l’oggetto sono le società di calcio. Tale dettaglio è stato ben chiaro ai legislatori brasiliani, che a fine 2021 hanno emanato una legge (la 14.193) istitutiva della SAF, cioè la Sociedade Anônima de Futebol. Dunque, si è andati un passo oltre per approntare una forma societaria specifica del calcio, senza stare a far finta che si parlasse di società sportive in generale. E il parlamento brasiliano non si è limitato a questo. La legge ha infatti messo nero su bianco una previsione molto generosa per gli investitori, dato che a costoro viene assegnato il diritto di acquisire fino al 90 per cento della neo-costituita SAF. Le leggi portoghesi e spagnola sulla SAD non si sono spinte così avanti, nello spalancare le porte al capitale privato.

Tanta generosità da parte dei legislatori brasiliani ha riscosso immediatamente il favore degli investitori. L’edizione del massimo campionato nazionale (Brasileirão) attualmente in corso allinea 7 SAF su 20 partecipanti: Atlético Mineiro, Bahia, Botafogo, Cruzeiro, Cuiabá, Fortaleza e Vasco da Gama. Altre seguiranno e riguardo ai loro nomi si sommano i pronostici sulle pagine cartacee e web delle testate specializzate. Per tutte quante, questo mutamento di forma giuridica è l’extrema ratio cui ricorrere per affrancarsi da pesanti situazioni debitorie. Le soluzioni precedenti, comprese le devastanti formule di Third Party Ownership (TPO), che hanno portato ad alienare il controllo dei diritti economici sui calciatori, si sono risolte in una sequenza di cessioni della propria sovranità. Con la trasformazione dell’associazione sportiva in SAF il percorso di auto-spoliazione si compie e segna il punto di non ritorno: all’entità associativa rimane l’esercizio di un simulacro di democrazia, intanto che le decisioni vere e la gestione economica passano altrove.

Dunque, per i club calcistici brasiliani si tratta di una drammatica svendita dell’anima e dell’identità. Ma non è ancora tutto. Va, infatti, sottolineato che i numeri appena menzionati (7 ex associazioni trasformate in società di capitali) riguardano soltanto i club del torneo maggiore. Ciò non significa che le SAF già formate in Brasile si esauriscano lì. Un numero difficile da tracciare è quello dei club che sono stati trasformati in SAF nelle categorie inferiori. Molto inferiori, in alcuni casi. Talmente remote da rendere obbligatorio l’interrogativo: cosa se ne fa, una compagine di investitori, di un club lillipuziano radicato in un angolo sperduto di Brasile? L’unica risposta certa riguarda ciò che quella compagine di investitori non se ne fa: cercare il successo sportivo e provare a spingere la piccola società calcistica verso i livelli superiori della piramide calcistica nazionale. Per chi trasforma in SAF un club sconosciuto oltre i confini municipali, investendo cifre che in euro non raggiungono il centinaio di migliaia, il risultato sportivo conta nulla. E, tantomeno, contano risorse immateriali come prestigio e visibilità. Tutt’altro, perché, anzi, la poca visibilità è uno strumento di lavoro. Può trattarsi di compagini opache, che usano prestanomi locali e mirano a fini di esclusivo sfruttamento finanziario. Ciò apre la strada anche all’ingresso delle economie illegali, un’eventualità rispetto alla quale il testo della legge che regolamenta le SAF non prevede argini.

Ma anche senza che si giunga all’estremo dell’infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, rimane solida la prospettiva (perfettamente legale) che i piccoli club trasformati in società di capitali assolvano ad una missione ben precisa: andare a caccia di giovani talenti battendo quello che rimane in più grande vivaio a cielo aperto di talento calcistico che esista al mondo. Il Brasile, appunto. Il club sportivo è lo strumento da utilizzare per occuparsi degli aspetti dello scouting, del tesseramento, della formazione e dello sviluppo del talento grezzo. E, in posizione gerarchicamente sovraordinata, la SAF provvede a commercializzare i diritti economici dei calciatori formati e valorizzati, incamerando il valore finanziario per redistribuirlo agli investitori, anziché reinvestirlo nelle strutture del club e nella promozione dell’attività agonistica del club (leggi: puntare a vincere qualcosa). Per loro il club è soltanto un ente che permette di mettere sotto controllo una filiera di squadre (dalle categorie giovanili a quella degli adulti) e di sgrezzare talento da piazzare sul mercato.

 

Chi si rivede: il bridge club

Ancora una volta, l’utilizzo che gli investitori fanno del piccolo club calcistico non si esaurisce a quanto descritto nel segmento finale del precedente paragrafo. Infatti, una SAF può non limitarsi a fare formazione, ma darsi anche al reclutamento. Ciò significa che può acquisire (a costi relativamente bassi) il talento già formato con lo scopo di rivenderlo a prezzo nettamente maggiorato. Posta la questione in questi termini, si capisce perché sia credibile l’ipotesi che le SAF possano essere sfruttate dagli investitori secondo una modalità che molto ricorda quella dei bridge club. Che non sono, come ci capitò di leggere nelle pagine di un documento giudiziario che riportava una grottesca traduzione dall’inglese, dei «club del Bridge», ma dei «club ponte». Questa formula indica le società di calcio che vengono usate come se fossero un punto di transito (un ponte, appunto) per i diritti economici dei calciatori e per il denaro ricavato dalla loro cessione. Formalmente i diritti dei calciatori sono (in quota o in toto) proprietà del bridge club; che però non vede mai passare quei calciatori dalla propria sede sociale, figurarsi schierarli in campo. Tanto più che si tratta di calciatori che hanno un mercato di proiezione internazionale, mentre i club in questione giocano nella serie B svizzera o in quella uruguayana, davanti a una media di nemmeno 300 spettatori sugli spalti.

Ufficialmente la formula del club ponte sarebbe stata messa fuori gioco dalla riforma del regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori che dal 1° maggio 2014 ha detto stop alle TPO. Ma nessuno ha mai davvero creduto che questo esito sia stato raggiunto.

I piccoli club brasiliani trasformati in SAF avranno anche questa utilità: parcheggiare lì i diritti di calciatori quotati, venderli al prezzo più alto possibile e incassare il denaro da distribuire a totale piacimento degli azionisti. Con l’aggiunta del pagamento di commissioni per intermediazione fatto a agenti che, a loro volta, possono essere azionisti occulti della SAF o soggetti di fiducia degli azionisti stessi, che dunque pagherebbero l’intermediazione a sé medesimi.

 

Lo schema delle multiproprietà

Quanto è stato detto fin qui dovrebbe aver chiarito i motivi per cui gli investitori, provenienti da qualsiasi parte del mondo, possono essere interessati a acquisire un club brasiliano trasformato in SAF. Ma al mosaico manca ancora un pezzo importante: la costruzione di uno schema multiproprietario. La linea è quella di strutturare una holding composta da club con sede in paesi diversi, sia europei che sudamericani. E far circolare i calciatori attraverso una filiera in house, che parte dal Sud America e approda verso i campionati europei che vengono scelti tenendo conto del grado di difficoltà alla portata del singolo calciatore. Se c’è trasferimento di denaro, questo approda in Sud America (magari in paesi che, se non sono proprio paradisi fiscali, poco ci manca: l’Uruguay, per esempio), che, così, diventa il vero centro di rotazione della catena di produzione del valore controllata interamente all’interno della holding. È un dato di fatto che intorno a due SAF del Brasileirão siano stati costruiti sistemi multiproprietari. Uno di questi è stato organizzato da 777 Partners, gli ex proprietari del Genoa che nel frattempo hanno fatto una fine ingloriosa. Dopo avere tentato di annettersi il Siviglia (e essere uscito con le ossa rotte dal confronto con una cultura della partecipazione alla vita del club che non ammette la svendita alla ragione finanziaria), il fondo statunitense ha acquisito il Vasco da Gama, oltre allo Standard Liegi, al Paris FC, al Melbourne Victory, e ha tentato di acquisire l’Hertha Berlino e l’Everton. L’altro sistema multiproprietario con radicamento in Brasile è quello dello statunitense John Textor, che tramite Eagle Football Holdings ha acquisito il Botafogo, aggiunto alla quota del 40% del Crystal Palace e alle proprietà intere del Lione e del Molenbeek. Textor ha anche provato, senza successo, a acquisire l’Everton (che invece è finito nelle mani della famiglia Friedkin, i proprietari della Roma). Riguardo al caso di Textor, è notevole ciò che si legge a proposito della campagna trasferimenti 2023-24, consultabile attraverso il sito specializzato di Transfermarkt: due calciatori del Botafogo, Adryelson e Lucas Perri, sono stati trasferiti al Lione per una somma complessiva di quasi 7 milioni di euro.

 

Chi resiste (ma parte alla conquista dell’Europa)

Fra tanta voglia di SAF, ci sono anche club brasiliani che resistono. Sono proprio i due principali del Brasileirão: il Corinthians e il Flamengo. Il Corinthians, fresco dell’ingaggio di Depay, ha una massa associativa che rigetta alla prospettiva della trasformazione in SAF. Dal canto suo, la massa associativa del Flamengo va oltre e prova a rafforzare, nello statuto del club, le barriere contro l’ingresso del capitale privato. Ma non si pensi che si tratti di manovre a tutela della tradizione e dell’anima popolare del calcio. Perché entrambi i club sono pienamente inseriti dentro circuiti della finanza parallela. Circuiti forti abbastanza da non tollerare l’ingresso di nuovi investitori tramite SAF. Qui c’è riserva di caccia. Anche questi due club partono all’assalto dell’Europa, in un impeto da rovesciamento della geoeconomia che è un avviso inviato al calcio globale. Il Corinthians porta a casa lo svincolato di lusso del calcio europeo. Il Flamengo va oltre e si annette un club del Vecchio Continente per farne un proprio satellite. L’obiettivo è puntato sul Portogallo, terra europea di frontiera in ogni senso. Il club brasiliano ha dapprima provato ad annettersi il Tondela, ma poi l’affare è sfumato. Va invece liscio quello che porta al controllo del Leixões, club della Segunda portoghese. Si verifica dunque ciò che fino a pochi anni fa era impensabile: un club brasiliano che acquisisce un club europeo per farne un satellite. E l’obiettivo rimane quello: mandare calciatori brasiliani in Europa mantenendo sotto stretto controllo la catena di produzione del valore, in vista di una cessione lucrativa. Siamo nel pieno di un mutamento geoeconomico, nel calcio ma non soltanto nel calcio. E in fondo, un po’ ce la siamo meritata, questa provincializzazione.


Note


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Pippo Russo (Agrigento, 1965) è ricercatore di Sociologia dell’ambiente e del territorio presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Firenze. Giornalista e saggista, ha dedicato diversi studi all’analisi sociologica dello sport. Ha pubblicato quattro romanzi, fra i quali la duologia dedicata a Nedo Ludi.

1 comentario


Серафим
Серафим
15 oct 2024

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