Quello che segue è il testo dell’intervento di Louise Toupin alla libreria Punto-Input di Bologna, lo scorso 9 marzo, in occasione del lancio di Il salario al lavoro domestico. Storia di un movimento femminista internazionale (1972-1977), di recente pubblicato in traduzione italiana per i tipi di ombre corte.
Traduzione dal francese di Caterina Ciarleglio, revisione di Anna Curcio.
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È un grande piacere per me vedere il mio libro pubblicato in Italia, il Paese che è stato «culla» del pensiero e della strategia del Salario al lavoro domestico. Voglio ringraziare per questo la casa editrice ombre corte e Gianfranco Morosato per aver reso accessibile a un pubblico di lingua italiana il libro e ad Anna Curcio per il lavoro di traduzione portato avanti con profonda conoscenza dell’argomento.
Per tutti gli anni Settanta, la prospettiva del Salario al lavoro domestico ha risuonato in diversi Paesi, su entrambe le sponde dell'Atlantico settentrionale, per poi cadere nell'oblio negli anni Ottanta. Nel mio libro, ripercorro alcuni segmenti di questa storia.
Nel 1971 Mariarosa Dalla Costa aveva scritto un saggio, dal titolo Donne e sovversione sociale, da discutere a Padova con le compagne del gruppo Lotta Femminista, appena formatosi su sua iniziativa. Questo testo, che verrà pubblicato nel 1972 in italiano e in inglese, all'interno del libro Potere femminile e sovversione sociale, che comprendeva anche un contributo di Selma James, sarebbe diventato il testo inaugurale del movimento plurinazionale del Salario al lavoro domestico, precursore di quella che oggi viene chiamata Social Reproduction Theory.
Il saggio rivelava che il lavoro domestico gratuito è un vero e proprio lavoro, non un «lavoro d’amore» come veniva definito allora. È un lavoro di produzione e riproduzione della forza-lavoro, e quindi il presupposto della produttività del lavoratore salariato. In tal modo esso è quindi «il fondamento di tutte le altre attività produttive del capitalismo». Il contributo di Mariarosa svelava l'esistenza di un’altra fabbrica, quella «sociale», nascosta dalla fabbrica tradizionale, quella «economica», e rivelava «l’altro polo dell'accumulazione capitalistica, l’altra strada per cui passa». Il lavoro domestico appare così un lavoro produttivo, che produce plusvalore, senza essere retribuito. Il testo costituiva un allontanamento dal marxismo classico, che vedeva questo lavoro come solo produttore di valore d'uso.
Una nuova era di lotta
Donne e sovversione sociale disvelava ciò che sarebbe diventato la pietra miliare della teoria femminista della riproduzione sociale, dando anche un'indicazione per l'azione: con l'aiuto di uno strumento di mobilitazione, incarnato da uno slogan provocatorio, «Salario per/contro il lavoro domestico», si intendeva aprire una nuova era di lotta sulla condizione femminile, non più nel mondo del lavoro tradizionale, in fabbrica o in ufficio, ma a partire dal primo luogo fisico in cui le donne si vedono assegnate un lavoro, cioè la cucina. Un «contropiano dalle cucine», come titolava un importante testo dell'epoca di Nicole Cox e Silvia Federici.
Questa nuova era di lotta, che prendeva le mosse dalla cucina, era la base per l'autonomia della lotta delle donne, un'autonomia che era stata negata dai marxisti tradizionali, secondo i quali per diventare soggetti rivoluzionari le donne dovevano accedere al lavoro salariato. Inoltre, metteva in discussione le strategie adottate dai movimenti femministi, per i quali l'emancipazione delle donne dipendeva dal lavoro fuori casa e dall'accesso al lavoro salariato attraverso il mercato del lavoro.
Il testo di Mariarosa (che è stato ripubblicato da ombre corte nel 2021) è stato oggetto di diverse traduzioni nel corso degli anni Settanta e si può dire che sia stato uno dei contributi più discussi della cosiddetta «seconda ondata del femminismo»
Un testo che dà origine del movimento
Il testo di Mariarosa, una vera e propria prospettiva teorica unita a una strategia politica, avrebbe sancito l’inizio di un movimento più complessivo. È il punto di avvio della campagna internazionale per il salario al lavoro domestico, che vide la formazione di gruppi in Italia, Inghilterra, Germania, Svizzera, Stati Uniti e Canada anglofono. Tutto ciò ha inizio nel 1972, quando a Padova viene fondato il Collettivo internazionale femminista, che è il nome scelto per sé dal movimento per il salario al lavoro domestico.
La riunione di fondazione del Collettivo, tenutasi a Padova nel luglio 1972, riunì una ventina di militanti provenienti dai nascenti movimenti di donne in quattro Paesi (soprattutto Italia, ma anche Inghilterra, Stati Uniti e Francia, tutti orientati a un approccio marxista eterodosso). L'obiettivo era di dare vita a una mobilitazione femminista su scala internazionale e agire insieme, partendo dall'analisi contenuta nel testo di Mariarosa e da un manifesto redatto durante l'incontro di fondazione del Collettivo. Alcuni hanno definito il Collettivo Femminista Internazionale «l’embrione di un'internazionale delle donne». (Per inciso, il manifesto di fondazione del Collettivo internazionale femminista è disponibile nella rivista online «Machina», con una presentazione curata da Anna Curcio).
Il mio libro, pubblicato per la prima volta in francese nel 2014, ha cercato, per la prima volta, di ricostruire la storia del Collettivo internazionale femminista tra il 1972 e il 1977, gli anni in cui è esistito. Questo libro, che intende recuperare una storia a lungo taciuta, non pretende ovviamente di ricostruire l'intera storia del Collettivo internazionale femminista ma ne dà, piuttosto, una visione generale. Si propone, cioè, come punto di riferimento per chi volesse approfondire l’argomento. Questo è un invito rivolto a studentesse e studenti che sono alla ricerca di argomenti per la loro tesi di laurea o di dottorato! Tanto più che a Padova si può accedere al prezioso archivio di Mariarosa Dalla Costa, meticolosamente catalogato e ora depositato presso la biblioteca civica della città.
Il Collettivo internazionale femminista: un quadro storico
Passiamo ora al contenuto del libro, agli argomenti che presenta. Nel primo capitolo, il libro contestualizza l'arrivo sulla scena militante femminista della strategia del Salario al lavoro domestico all'inizio degli anni Settanta (cioè da quale universo teorico e militante arrivava questa prospettiva, cosa ha portato alla scena femminista e marxista dell'epoca). Nel secondo capitolo, discute il sistema di pensiero che sostiene questa prospettiva di salario per/contro il lavoro domestico e come questo pensiero sia stato arricchito da una pluralità di militanti.
È importante sottolineare che diverse teoriche-militanti abbiano arricchito le riflessioni iniziali, facendone una vera e propria scuola di pensiero. Tra la militanti che hanno fornito un importante contributo teorico alla prospettiva del Salario al lavoro domestico possiamo citare - e solo per quanto riguarda il periodo studiato (1972-1977) - oltre a Mariarosa Dalla Costa, Selma James, Silvia Federici, Giovanna Franca Dalla Costa, Maria Pia Turri, Gisela Bock (del gruppo tedesco Salario per il lavoro domestico). Nel 1981 si aggiunse a queste Leopoldina Fortunati autrice del saggio L'arcano della riproduzione.
Tra le autrici che contribuirono a elaborare il pensiero del movimento per il salario al lavoro domestico nel periodo 1972-1977, occorre anche citare: Wilmette Brown delle Black Women for Wages for Housework di Brooklyn, che ha messo a tema il particolare rapporto delle donne afroamericane con il lavoro domestico. Il testo a sua firma, intitolato The Autonomy of Black Lesbian Women, sarà uno dei testi fondativi dei Black Feminist Studies negli Stati Uniti (il testo sarà pubblicato prossimamente in traduzione italiana sulla rivista «Machina»). Ci sono poi le analisi del gruppo Wages Due Lesbians (il nome assunto dalle lesbiche della rete del Collettivo internazionale femminista) sulla sessualità riproduttiva attraverso il prisma del lavoro, che erano, nel 1975 inedite (e scandalose!).
Questi e altri contributi teorici costituiscono il corpus teorico elaborato dal movimento tra il 1972 e il 1977, che il secondo capitolo del libro analizza e rende accessibili.
Eterogeneità teoriche e militanti
La grande eterogeneità tra le teoriche-militanti all’interno del Collettivo internazionale femminista spiega l'aspetto plurinazionale del collettivo, che è l'oggetto del terzo capitolo del libro. Tra il 1972 e il 1977, il Collettivo internazionale femminista riunì, teoriche con prospettive tra loro diverse ma anche militanti con approcci tra loro molto diversi, componendo così una membership, composta da donne provenienti da contesti diversi, tra cui donne razzializzate, donne con svariate occupazioni e situazioni sociali, e donne di vari orientamenti sessuali. Alcune di loro sono state in grado di formare, all'interno della stessa rete, gruppi propri costruiti a partire da basi specifiche, e di sviluppare analisi che oggi definiremmo intersezionali. Tutto questo era raro, all’epoca, che si verificasse in un unico gruppo. Allo stesso tempo, era altrettanto eccezionale l'esistenza di una rete plurinazionale che riuniva gruppi di diversi Paesi che, a partire dalle proprie basi militanti, agivano insieme da una prospettiva politica comune.
Il Collettivo internazionale femminista è stato tutto questo: una rete di gruppi e, allo stesso tempo, un luogo di coordinamento e incontri, di discussione e scambio di informazioni, di produzione di documenti di riflessione; in breve, una scuola di formazione politica in sé. Il Collettivo fu anche un luogo per l’elaborazione di azione condivise o in una parola: «l’embrione di un'Internazionale delle donne», come qualcuno l'ha definito.
Il libro, quindi, nel terzo capitolo, illustra i momenti salienti della vita di questa «internazionale»: come si è formata, sulla base di quali accordi, come funzionava la rete, cosa discuteva. Considera, in particolare, le cinque grandi conferenze internazionali tenutesi a New York, Londra, Montreal, Toronto e Chicago, le discussioni interne e molti aspetti della vita del Collettivo e dei gruppi che lo componevano. Descrive inoltre la diversità dei mezzi e degli strumenti di mobilitazione utilizzati dai gruppi nel corso della campagna. Il terzo capitolo si conclude con la fine del Collettivo internazionale femminista nel 1977.
Teoria e strategia in azione: mobilitazioni in sei Paesi
La seconda parte del libro, i capitoli 4, 5 e 6, sono dedicati alle mobilitazioni vere e proprie, cioè a come questa prospettiva sia stata tradotta in azione in Italia, Inghilterra, Stati Uniti, Canada anglofono, Germania e Svizzera, i Paesi dove erano stati costituiti gruppi del salario al lavoro domestico. Si tratta di mobilitazioni mirate al lavoro delle donne in casa e fuori casa, cioè nel mercato del lavoro.
Queste mobilitazioni hanno riguardato lotte, come ad esempio: il mantenimento o l'aumento dei sussidi familiari e assistenziali, la salute delle donne, le lotte contro i medici e la barbarie del parto, le lotte delle madri lesbiche per non perdere i propri figli, e anche le lotte nel mercato del lavoro, per esempio nelle cliniche, nelle fabbriche, tra le infermiere degli ospedali, tra le cameriere dei ristoranti e nei centri di accoglienza per donne affidate ai servizi sociali, nonché le lotte a sostegno delle sex workers, le «lavoratrici del marciapiede», e altre lotte ancora.
Il libro, che ripercorre queste lotte, è illustrato con foto d'epoca, riproduzioni di manifesti e volantini e richiama altri strumenti di mobilitazione come le canzoni e il teatro.
Il volume si conclude con due corpose interviste a figure di spicco del movimento, Mariarosa Dalla Costa e Silvia Federici. In queste pagine, Mariarosa e Silvia spiegano come la loro prospettiva iniziale si sia evoluta lungo il loro percorso intellettuale e militante dall’esperienza del Collettivo internazionale femminista fino al 2013, anno in cui le interviste sono state realizzate.
Per concludere...
Posso dire che la prospettiva del Salario al lavoro domestico ha aperto un nuovo spazio di lotta. Prendo in prestito una frase di Silvia Federici - cofondatrice, nel 1972, del Collettivo internazionale femminista - che riassume la portata di questa affermazione: ha «permesso di pensare insieme attività tra loro diverse - come il lavoro domestico, l'agricoltura di sussistenza, il lavoro sessuale, il lavoro di cura, l'educazione formale e informale - riconoscendole come momenti della (ri)produzione sociale della forza lavoro» [1].
La prospettiva del Salario al lavoro domestico ha offerto per la prima volta un filo conduttore che, in questo insieme eterogeneo di attività, ci permette di riconoscere gli elementi di continuità, dove a prima vista non sono evidenti. La sua trasversalità è, credo, una delle principali ricchezze. Il mio libro cerca di mostrare questa ricchezza e il serbatoio di strumenti che l’alimentano.
Va inoltre ricordato che la questione del salario è stata oggetto di un ampio dibattito, soprattutto negli anni Settanta. Tuttavia, se ne è prevalentemente discusso, solo dal punto di vista di un ammontare di denaro da ottenere, ad un «primo livello» si potrebbe dire, senza considerare la prospettiva rivoluzionaria complessiva in cui la proposta si inseriva. Al contrario, la proposta veniva formulata essenzialmente come punto di partenza per la politicizzazione del lavoro domestico e della riproduzione sociale, non è mai stata fine a se stessa; non era una piattaforma di rivendicazioni con dati e strategie di lobbing.
Lo slogan era essenzialmente uno strumento di mobilitazione, uno strumento di costruzione del movimento, capace di svelare tutti i luoghi in cui è incorporata, in maniera invisibile, la forza-lavoro delle donne, di portare in evidenza tutti i momenti del lavoro di riproduzione sociale rimasti invisibili perché gratuiti. Grazie alle parole di Mariarosa, si intendeva denunciare «l’idea del capitale come relazione sociale, come relazione di classe da distruggere e non semplicemente come qualcosa da migliorare», che segnava, « la differenza tra il femminismo rivoluzionario e il femminismo riformista».
Il movimento per il salario al lavoro domestico ha cercato di coniugare lotte femministe e lotte anticapitaliste, rinnovando l'approccio marxista da una prospettiva femminista. Il termine «lavoro domestico», utilizzato nello slogan, può essere apparso ad alcune estremamente riduttivo e riformista, e questa è un'ambiguità che il termine poteva nascondere.
Per riproduzione sociale, infatti, il movimento intendeva molto di più dei compiti domestici e materiali. Comprendeva, per esempio, l'educazione e la socializzazione dei bambini e degli adolescenti, le cure mediche e il sostegno emotivo per l'intero nucleo familiare (il care), l'onere mentale di organizzare e garantire il buon funzionamento della vita familiare, e così via. In questo modo si toccava il vasto campo del lavoro materiale e immateriale, quell'amalgama di servizi fisici, emotivi e sessuali.
Lo slogan intendeva rivelare questo lavoro invisibile e gratuito, era «una finestra sulla natura del capitalismo», nelle parole di Silvia Federici [2].
Il mio libro, pubblicato nel 2014, in un periodo che si potrebbe definire di «limbo storico», che ha interessato il movimento per il salario al lavoro domestico negli ultimi quaranta anni, sta avendo oggi un destino del tutto imprevedibile prima dell'inizio del decennio 2010: il libro è stato tradotto in quattro lingue (in inglese, spagnolo, tedesco e ora italiano) e una quinta è prevista per quest'anno (il coreano!). È vero inoltre che la traduzione in diverse lingue dei libri di Silvia Federici, Mariarosa Dalla Costa e Leopoldina Fortunati, così come la creazione di collezioni da parte di case editrici specificamente dedicate alla «riproduzione sociale», contribuiscono a un rinnovato interesse per questo pensiero.
Spero che il mio libro, così come la ripubblicazione del testo fondativo di Mariarosa da parte di Ombre Corte, servano da ispirazione per le vostre attività future.
Note [1] S. Federici - C. Manning - M.A. Gonzalez, Political work with women and as women in the present conditions: Interview with Silvia Federici, 23 ottobre 2011, libcom.org. [2] R. Small, Silvia Federici reflects on Wages for Housework, J. Hoffman (a cura di), Feminism in Motion: Voices for Justice, Liberation, and Transformation, AK Press, 2018.
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Louise Toupin, ricercatrice indipendente e insegnante in pensione, è stata una militante del Front de libération des femmes du Québec e ha contribuito a fondare le Éditions du remue-ménage, a Montreal. Ha co-curato alcune antologie di scritti del pensiero femminista del Quèbec: Québécoises deboutte! (1982), La pensée féministe au Québec (2003) e Luttes XXX (2011).
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