In una congiuntura storica globale di crisi permanente, dove le destre al potere sono in ascesa ovunque e i diktat neoliberali impongono alle classi più povere indebitamento e tassi d’inflazione sempre più alti, dove le città espellono i residenti a vantaggio di turisti e cittadini ricchi, dove i redditi non sono più sufficienti per evitare la povertà e dove il lavoro (produttivo e riproduttivo) continua a sottrarre sempre più tempo ed energie, sopravvivere è diventato ancora più difficile.
Per usare le parole profonde di Audre Lorde, nel progetto capitalistico-patriarcale «non era previsto che noi sopravvivessimo». Ad essere in atto è un vero e proprio processo di espulsione e cancellazione (politica, economica, sociale e urbana) di interi gruppi sociali, al cui interno donne e persone LGBTQI+ subiscono gli effetti più violenti.
Dall’America Latina arriva l’eco di un fronte sociale ampio e partecipato da costruire, per frenare questo scenario di sfruttamento e oppressione.
Il movimento argentino Ni Una Menos, nei mesi scorsi, ha avviato un processo di ricomposizione sociale delle lotte attraverso una serie di assemblee pubbliche, che hanno visto un’ampia partecipazione da parte di gruppi politici, sindacati, comunità indigene, organizzazioni sociali, comitati di lotta, collettivi territoriali e transfemministi. L’esito di questo percorso è stato un nuovo manifesto politico (che qui presentiamo in traduzione italiana) per il rilancio del movimento e il 3 giugno 2023, si sono tenute in diverse città argentine molteplici manifestazioni in contemporanea. La scelta della data non è stata casuale, cadeva nell’ottavo anniversario della prima manifestazione di Ni Una Menos, il 3 giugno 2015, momento fondativo del movimento.
Il testo, sebbene specifico al contesto argentino, riesce a tenere insieme il piano teorico e le lotte, offrendo un punto di vista fondamentale anche dall’osservatorio italiano. Alla vigilia della prossima assemblea nazionale Non Una di Meno, che si terrà il 7 e 8 ottobre a Firenze, questo manifesto rappresenta uno strumento politico che ci invita a guardare nella società e a ripensare le nostre strategie di lotta. Ci ricorda che non riuscire a pagare le bollette, essere disoccupat3 o fare lavori mal pagati e vivere in periferia c’entra con il genere, la classe, la razza. Ci ricorda che occorre nominare le oppressioni e ciò che non funziona in modo chiaro e accessibile a tutt3, identificando in maniera puntuale leggi, politiche nazionali, istituzioni e tutti quei dispositivi materiali e specifici al nostro contesto italiano, che creano povertà, esclusione e disuguaglianze sociali, e proporre le nostre alternative. Questa è la sfida che ci arriva con l’eco latinoamericana: ritornare ad essere (alta) marea, ricomporre le lotte, tornare nelle cose, fare la differenza in un sistema economico e politico che ci vuole mort3[1].
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Questo 3 di giugno, a 8 anni dalla prima manifestazione di Ni Una Menos, ci mobilitiamo, perché viv3, liber3, senza debiti e nelle strade ci vogliamo!
Ni Una Menos è nata per trasformare la rabbia in organizzazione e per esprimere la nostra furia e il nostro dolore nelle strade. Ni Una Menos oggi continua a dire basta alle violenze machiste che ogni 32 ore si portano via le nostre vite in femminicidi, lesbicidi, travesticidi, transicidi. Gridiamo Ni Una Menos perché essere organizzat3 significa iniziare a vincere! Diciamo basta alla violenza patriarcale, economica, sessuale, istituzionale, politica e razzista. Diciamo basta alle violenze quotidiane, che sono parte delle forme storiche di oppressione e che servono per sfruttare i nostri corpi e territori.
Siamo un movimento politico persistente, tenace, che ha accumulato anni di organizzazione e che rivendica di esser parte delle lotte popolari del nostro continente. In un momento in cui l’ultradestra e il fascismo avanzano nel mondo intero, il movimento femminista ha un compito decisivo nel difendere ciò che abbiamo conquistato, nell’espandere ulteriormente le sue alleanze e l’orizzonte di quelle vite che vogliamo vive, libere da violenza e precarietà. Sappiamo fare della rabbia uno strumento per l’emancipazione. Non consegneremo la nostra rabbia ai progetti creati contro di noi.
Arriviamo a questo 3 di giugno dopo un processo di assemblee aperte in diversi territori. Perché vogliamo includere più compagne e compagn3, perché la crisi e l’inflazione in cui ci troviamo rende ogni volta più difficile organizzarci, i redditi non sono sufficienti e lavoriamo sempre più ore per poter sopravvivere. Vogliamo che la mobilitazione si nutra di tutte le lotte e i saperi che si costruiscono ogni giorno. A partire da questo processo siamo arrivat3 a questa sintesi delle nostre richieste, dei nostri desideri, delle nostre preoccupazioni ed esigenze.
A 40 anni dal ritorno della democrazia, diciamo: Non c’è democrazia con un Potere Giudiziario al servizio del potere economico e che cospira contro l’organizzazione sociale e politica, criminalizzando i suoi portavoce; non c’è democrazia con un debito esterno sotto il controllo del FMI [Fondo Monetario Internazionale n.d.t.]; non c’è democrazia con questi tassi di povertà; non c’è democrazia se si perseguita e stigmatizza la protesta sociale!
Per questo, questo 3 di giugno diciamo:
Basta femminicidi, lesbicidi, travesticidi, transicidi
Chiediamo giustizia per María Isabel Speratti, Micaela Rascovsky, Florencia Galarza. Chiediamo giustizia per Milagros Santos e Araceli Moreno, lavoratrici di comunità. Chiediamo giustizia per Ferni Ayala. Giustizia per la giornalista Griselda Blanco. Giustizia per Sofi Fernández e Lorena Franco. Basta donne trans e travestit3 che «compaiono morte» nei commissariati di polizia. Continuiamo a chiederci dov’è Tehuel de la Torre ed esigiamo che lo Stato lo trovi! Basta abuso sessuale contro bambin3! Giustizia per Luna.
Le persone che attraversano il sistema giudiziario e reclamano giustizia di fronte a queste violenze estreme concordano sul fatto che si tratti di un cammino segnato da maltrattamenti, vittimizzazioni secondarie, con ritardi che non fanno che aggravare l'ingiustizia. Come è successo nei casi di Lucia Pérez e Anahí Benitez, è frequente che i processi si debbano tenere più di una volta poiché si continua a giudicare la vita delle vittime più degli atti commessi dagli imputati, così come si usano i pregiudizi per costruire capri espiatori senza perseguire i veri colpevoli. Questi pregiudizi e stereotipi si esprimono con maggiore crudezza quando le vittime sono lavoratrici sessuali e persone senza fissa dimora. Alla violenza giudiziaria si sommano l’indifferenza sociale e la complicità mediatica.
I procuratori che trascurano le indagini, distorcono i fatti e non si occupano delle vittime, continuano a lavorare senza alcuna assunzione di responsabilità. Occorre inoltre eliminare le difficoltà che attualmente ostacolano il diritto dell3 figl3 delle donne uccise a ricevere i risarcimenti a cui hanno diritto, accelerando la procedura e garantendo che l’abbandono prodotto dalla violenza femminicida non sia seguito anche dall’abbandono dello Stato.
Inoltre, affinché vivere una vita libera da violenze sia una possibilità certa:
- Esigiamo che venga garantito l’accesso ai patrocini giuridici gratuiti.
- Reclamiamo l’attuazione effettiva di ESI[2]. Senza Educazione Sessuale Integrale non c’è Ni Una Menos! La ESI protegge bambin3 e adolescenti dagli abusi sessuali e dalle aggressioni di genere. Deve essere uno spazio trasversale di ascolto e di formazione permanente. Le chiese non possono intervenire nell'ESI o nell'educazione pubblica. No alle leggi provinciali che applicano ESI in modo restrittivo e contrario ai diritti. Che i contenuti includano la legge sull'identità di genere e l'aborto. Per una ESI non binaria. Chiediamo l'accesso ai posti liberi a scuola per tutt3 bambin3 e adolescenti e la promozione dell'istruzione pubblica fin dalla prima infanzia.
- Poiché sappiamo che la maternità è politica, l'assenza di politiche che democratizzino la cura così come la negligenza giudiziaria nei confronti delle nostre richieste affinché vengano pagati gli assegni di mantenimento e di cura condivisa dei figli, punisce la maternità, è compiacente nei confronti degli inadempienti e perpetua la disuguaglianza.
- Esigiamo la persecuzione della tratta con fini di sfruttamento sessuale e lavorativo. Riparazioni per le sopravvissute.
- Reclamiamo che la violenza di genere sia dichiarata emergenza nazionale.
- Ripudiamo gli attacchi alla libertà di espressione e i tentativi di mettere a tacere coloro che parlano della violenza che subiamo. E chiediamo, nel caso di Griselda Blanco, la totale estromissione della polizia di Corrientes da qualsiasi indagine.
- Chiediamo giustizia e memoria per le operaie tessili e loro figl3 mort3 nell'incendio del laboratorio di Luis Viale nel 2006, e diciamo non una di meno, non un'altra morte nei laboratori clandestini.
Basta violenza poliziesca e istituzionale!
- Chiediamo l'abrogazione di tutti i codici di contravvenzione che criminalizzano il lavoro sessuale. La clandestinità uccide. Chiediamo giustizia per Sandra Cabrera.
- Chiediamo che si ponga fine a una politica sulle droghe che criminalizza il consumo e lo spaccio di droga, che permette alla polizia di perseguire donne, travestit3 e trans, favorendo la corruzione e la violenza istituzionale, mentre l'attenzione verso il consumo problematico di droghe continua a rimanere una questione in sospeso.
- Insistiamo sul Risarcimento Storico per le persone travestit3 e trans sopravvissut3 alla violenza istituzionale causata durante la dittatura civile-ecclesiastica-militare e successivamente in democrazia con leggi e sanzioni persecutorie.
Abbiamo ottenuto l’aborto legale, ora. Vogliamo il pieno rispetto della legge!
- Vogliamo che il nostro diritto sia garantito in ogni centro ospedaliero del Paese, nel sistema pubblico e privato, senza ritardi, senza ostacoli, con un trattamento rispettoso e gentile.
- Rifiutiamo i tentativi di criminalizzare l'accompagnamento all’aborto da parte di medic3 e operator3 di pronto soccorso: accompagnare all'aborto è legale e fa parte della cura che ci rivolgiamo!
Non una detenuta in più per le emergenze ostetriche! Stop alla violenza ostetrica e ginecologica!
- Rifiutiamo che chi gestisce un’emergenza ostetrica venga criminalizzatǝ e accusatǝ di omicidio aggravato. Le emergenze ostetriche hanno a che fare con la salute, non con i crimini. Basta criminalizzare la povertà e la vulnerabilità!
- Denunciamo il potere della Lobby dei Medici e lo Stato che non nomina personale sanitario non obiettore. Chiediamo al Senato di approvare con urgenza e senza modifiche la Legge Johanna, per garantire le procedure di assistenza alle donne incinte in caso di morte perinatale.
- Chiediamo al Ministero delle Donne, del Genere e delle Diversità della Nazione e ai Ministeri provinciali di attuare con urgenza procedure chiare per l'accoglienza e l'elaborazione delle denunce di violenza ostetrica e ginecologica; come stabilito dalla Legge 26.485 sulla Protezione Integrale delle Donne e dalla Legge 25.929 sul Rispetto del Parto.
Con questo potere giudiziario non c’è Ni Una Menos
Noi transfemminismi popolari diciamo chiaramente che questa giustizia non è nostra, e se non è per tutt3, non è giustizia. Per questo chiediamo una riforma giudiziaria transfemminista, plurinazionale e interdisciplinare: vogliamo un sistema giudiziario democratico con partecipazione popolare, in cui sia garantito l'ascolto delle vittime, si costruiscano risposte che rendano responsabili i colpevoli e si risarciscano le vittime. Deve incorporare la prospettiva femminista, decoloniale e antirazzista, deve richiedere la parità e l’inclusione del collettivo LGTBIQIA+, accesso sicuro e un linguaggio chiaro.
- Esigiamo il processo politico alla Corte Suprema di Giustizia della Nazione e la rimozione dei suoi attuali membri. La composizione deve essere federale e diversificata per generi. Basta con una Corte che risolve i casi nei corridoi e tramite accordi. Vogliamo una Corte che rispetti le scadenze, che non dorma sui casi da risolvere e che li risolva di fronte al popolo, in udienze in cui sia garantita e ampliata la partecipazione popolare sulle questioni cruciali.
- Noi diciamo: «Sorella, io ti credo». Di fronte a chi ci vuole sottomess3 e silenzios3, siamo unit3 e in collettivo, non avranno mai più la nostra paura o il nostro silenzio. Noi continuiamo a crederti Thelma. Un No non è mai un Sì. Giustizia per Thelma!
Esigiamo il rilascio immediato delle detenute mapuche
Non c'è democrazia se ci sono prigioniere politiche. Da quasi otto mesi Betiana Colhuan, Luciana Jaramillo, Celeste Huenumil e Romina Rosas sono detenute a Río Negro, con loro figl3, da questo governo. Violentate e accusate di usurpazione armando una causa per criminalizzare la loro richiesta di diritti sui territori ancestrali. Chiediamo l'immediato adempimento dell'accordo al tavolo di dialogo di giovedì scorso e la smilitarizzazione del territorio.
Basta illegalità e persecuzione. Indulto a Milagro Sala
Non c'è democrazia se ci sono prigioniere politiche e Milagro Sala è da 7 anni imprigionata, perseguitata e messa fuori legge dal governo di Jujuy. È una leader popolare, ex parlamentare nella Legislatura di Jujuy e del Parlasur, istituzione in cui non è potuta entrare a causa della detenzione arbitraria e illegale operata dal Potere Giudiziario di Jujuy. Questo grido vuole dire basta con la violenza politica e istituzionale.
Denunciamo la violenza giudiziaria, mediatica e politica che prende di mira Cristina Fernandez De Kirkchner, in quanto donna e leader popolare.
Come abbiamo fatto nelle strade di fronte al suo tentato magnifemminicidio, rifiutiamo tutte quelle violenze che hanno portato alla sua proscrizione e chiediamo un'indagine effettiva sui responsabili intellettuali e materiali. Rifiutiamo la chiusura delle indagini sul tentativo di assassinio come un nuovo atto di consacrazione dell'impunità. Il Potere Giudiziario, con rapidità, ha posto un ostacolo dopo l'altro per impedire che si conosca la verità.
- Chiediamo che il 1° settembre sia dichiarato Giornata Nazionale della lotta contro la Violenza Politica.
La fame è violenza: basta con gli aggiustamenti strutturali per pagare i debiti con il FMI!
Le politiche di Austerity stanno ricadendo sul nostro lavoro retribuito e non retribuito. Le nostre triple giornate di lavoro sono sempre di più precarizzate. Non arriviamo alla fine del mese e siamo sempre più indebitat3 per sopravvivere. Lasciamo che il debito lo paghi chi si è preso i soldi ed è scappato, non i nostri corpi, non le nostre vite!
- L'aggiustamento del FMI non può essere il tetto per la concertazione salariale, né per le moratorie o per le pensioni.
- Chiediamo l'approvazione e il finanziamento della legge sul Sistema Integrale di Cura. Secondo i nostri calcoli, se i giudici pagassero l'imposta sul reddito, avremmo politiche di assistenza per milioni di persone.
- Chiediamo l'estensione dei congedi di maternità e parentali per tutti l3 lavorator3, compresi i 9 milioni di lavorator3 informali.
- Chiediamo il riconoscimento e la retribuzione del lavoro di cura, del sostegno quotidiano di coloro che promuovono la salute e il genere e delle cuoche delle mense comunitarie. Prendersi cura è lavorare.
- Rifiutiamo la stigmatizzazione e i tagli ai Planes Potenciar Trabajo [Piani di potenziamento del lavoro]. Il debito è con noi, non siamo la variabile di aggiustamento fiscale dei piani del FMI.
- Chiediamo che il piano Acompañar sia esteso e ampliato, perché sappiamo che i processi di violenza di genere non finiscono in 6 mesi, per questo è urgente: in primo luogo, che i programmi Acompañar e Potenciar non siano tra loro incompatibili; in secondo luogo, che Potenciar sia sostenuto nei casi di violenza di genere e che siano aperti più posti.
- Per un Salario di Base Universale che garantisca un reddito minimo a tutte le persone.
- Per politiche pubbliche di accesso al lavoro, alla casa, all'istruzione e alla salute per le donne disoccupate che si prostituiscono.
- Diciamo che senza «terra, tetto e lavoro» non c'è Ni Una Menos.
- Chiediamo che la casa non sia una fonte di speculazione: chiediamo sviluppi abitativi con una prospettiva di genere e una regolamentazione degli affitti.
- Abbiamo bisogno di politiche che garantiscano un accesso equo alla gestione del ciclo mestruale per le bambine, le adolescenti, le donne e le donne che mestruano.
Depatologizzare i corpi grassi!
La grassezza non è una malattia, fa parte della diversità corporea. La salute e la malattia si presentano in tutte le taglie.
- Attuazione urgente della legge sulle taglie! Vestirsi è un diritto fondamentale.
- Basta con lo stigma, la violenza e la discriminazione nei confronti delle persone grasse.
Per tutto quello che abbiamo ottenuto, per quello che ancora ci manca, per quell3 che sono qui, perché non ci siamo tutt3, e per quell3 che verranno, gridiamo Ni una Menos. Viv3, liber3, senza debiti e nelle strade ci vogliamo!
Grazie a tutt3 per questa giornata di lotta!
Note [1] Nota di traduzione: l’utilizzo di un linguaggio inclusivo rispecchia il testo originale. Traduzione di Eleonora Meo. [2] Il Programa Nacional de Educación Sexual Integral (ESI) è stato istituito dalla Legge 26150 del 2006 per garantire il diritto a ricevere un’educazione sessuale integrale in tutti gli istituti educativi dell’Argentina, sia pubblici che privati, di qualsiasi ordine e grado [n.d.t.].
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Eleonora Meo ha conseguito un Dottorato in Studi Internazionali presso l’Università L’Orientale di Napoli. È ricercatrice indipendente e attivista del movimento transfemminista Non Una di Meno. Vive a Milano e si occupa di studi culturali e postcoloniali, femminismo, razzismo, cittadinanza e cultura visuale. Scrive su riviste indipendenti e ha co-curato il libro Genealogie della modernità. Teoria radicale e critica postcoloniale (Meltemi 2017). È stata co-fondatrice e membro del collettivo di ricerca Deco[K]now – Decolonizing Knowledge.
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