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Una comunità di corpi assuefatti

 Estratto da Reietti e fuorilegge


Frank e Max, «fatti», nel loro accampamento sotto l’autostrada
Frank e Max, «fatti», nel loro accampamento sotto l’autostrada

Reietti e fuorilegge è una straordinaria documentazione etnografica sulla vita di un gruppo di eroinomani homeless di San Francisco. È il frutto di una ricerca durata oltre dieci anni, durante i quali gli autori hanno seguito i protagonisti del racconto nelle loro attività quotidiane e documentato le loro strategie di sopravvivenza – dai furti all’elemosina, dal lavoro a giornata alla raccolta dei rifiuti. Pubblichiamo oggi un estratto, con le foto corrispondenti.


***


Hai presente quando cammini e guardi dall’altro lato della strada e vedi qualcuno che ti sembra di conoscere? E allora ti avvicini, e viene fuori che è un vecchio amico, qualcuno con cui giocavi da bambino. E vi andate incontro, e vi chiedete come va. E parlate per un po’. E poi te ne vai, pensando, «Wow! È stato davvero un piacere vederlo». Questa è l’eroina per me. Hank

Felix si svegliò di soprassalto all’una di notte con «l’emicrania e i sudori». Si preannunciava una lunga nottata: l’astinenza stava salendo, e Sal, lo spacciatore, non avrebbe iniziato prima delle sette. Felix cercò di urinare nella bottiglia di plastica che teneva accanto alla coperta, ma tremava troppo forte. Si alzò in piedi, ma i muscoli delle gambe ebbero uno spasmo e cadde lungo il terrapieno dell’autostrada. Dovette trascinarsi mani e piedi per risalire sul materasso, fermandosi due volte a causa dei conati di vomito. Quando andammo a trovarlo la mattina successiva, lo trovammo in un angolo della pensilina dell’autobus, dove aveva cercato riparo dalla pioggia. Ci descrisse quello che aveva passato in quella fredda notte d’inverno (mentre noi dormivamo nelle nostre case ben riscaldate):


Prima ho freddo; poi, puf! Vampate di calore, e mi strappo le lenzuola di dosso. Ma fuori fa freddo, così inizio a congelarmi, perché sono fradicio di sudore. Cerco di sputare, e viene fuori tutta questa roba verde. Poi mi schizzano fuori le viscere. Sembra che il cuore stia per fermarsi. Non posso muovere le ossa. Mi fanno male le ginocchia; le gambe sono bloccate; non riesco a respirare; non riesco nemmeno a pensare; sento ogni singolo nervo sulla punta delle dita, uno per uno. Non posso stare fermo. Non posso stare sdraiato.

Un semplice gesto può risolvere istantaneamente i problemi di Felix. Iniettarsi eroina nelle vene può trasformare per alcune ore il dolore fisico e la sofferenza psichica in un benessere rilassato – persino uno stato di beatitudine. L’assuefazione all’eroina non è semplicemente una dipendenza piscologica o un desiderio emotivo. È fisiologica, profondamente integrata a livello cellulare. Estasi e agonia si susseguono continuamente nell’uso cronico di alte dosi di oppiacei. Ogni cinque-otto ore, gli organi del corpo vanno fuori controllo; il naso gocciola, la pancia scoppia, gli occhi bruciano, la pelle prude e le ossa fanno male. Le membrane cellulari invocano disperatamente le proteine attivate dagli oppiacei di cui hanno bisogno per funzionare normalmente e la mente è sopraffatta dall’angoscia.



Hank, in astinenza, vicino al muro di contenimento dell’autostrada
Hank, in astinenza, vicino al muro di contenimento dell’autostrada

Ogni giorno, appena svegli, tutti gli homeless di Edgewater sanno esattamente cosa fare. Bisogni e priorità sono inequivocabili: devono risolvere il più urgente problema fisiologico prima di potersi occupare di qualunque altra cosa. Trovare lavoro, procacciarsi del cibo, procurarsi un tetto, presentarsi in tribunale, fare domanda per l’assistenza pubblica o curare un ascesso diventano tutte cose secondarie. Il rifiuto da parte della società e la visibilità del proprio fallimento personale sono gli ultimi dei loro problemi. Analogamente, le ferite psicologiche dell’abuso o dell’abbandono subiti durante l’infanzia sono da tempo passate in secondo piano rispetto alle necessità immediate del consumo quotidiano di eroina. Il dolore causato dall’astinenza era una delle poche esperienze comuni in grado di trascendere le inimicizie personali e le divisioni etniche su Edgewater Boulevard. Per esempio, Frank, il cartellonista, che di solito riduceva al minimo le proprie interazioni con gli afroamericani, manifestò un’intesa immediata con Carter quando sentì quest’ultimo descriverci i sintomi dell’astinenza da eroina.


Carter: Vomiti, scorreggi e cachi allo stesso tempo. È come se non avessi nessun controllo sui muscoli del retto, per niente.
Frank: Ma io posso sopportare quella parte. La parte peggiore è la strizza…
Carter: [battendogli sulla schiena] Sì! Quella fotte anche me. La parte dell’ansia mi fa venire voglia di urlare… Frank: Mi fa proprio uscire di testa [piegandosi in due e tremando di disgusto].
Carter: Oh, man! Frank, hai proprio ragione! Un milione di formiche che ti strisciano sotto la pelle e vorresti solo strappartela via. E non ha senso essere, capito – Frank: [parlando l’uno sull’altro] – e non puoi spiegarlo. Ci devi passare per capire di cosa stiamo parlando.
Carter: Oh, man! Sì –
Frank: È come se qualcuno ti grattasse le ossa… Tipo per un’intera settimana, ventiquattr’ore al giorno… Carter: Fa paura anche solo a pensarci…
Frank: Sono come ragnatele…. Toglitele, quelle. Sono come dei ragni che ti camminano da tutte le parti dentro le ossa. Carter: Oh, man! Hai proprio ragione!
Frank: È come entrare e uscire dalla morte. Vivere e morire… Carter: E il peggio è quando sei in galera. Perché non gliene frega un cazzo se muori. Stai lì, rannicchiato in un angolo, no –
Frank: Già! Già!
Carter: E ci sono dei giovani lì in cella con te, a dire [con tono di biasimo], «Ehi, tossico». Così cerchi solo di startene seduto, ti stringi nelle ginocchia e ti dondoli.
Frank: Esatto! Esatto! Avanti e indietro, avanti e indietro…
Carter: Da un lato all’altro. Non puoi fare altro per tipo tre giorni…
Frank: Sì! Sono tutti tossici di crack, quindi loro non ci passano.
Carter: Sì! Smettere il crack non è per niente come stare a rota [scambiando un cinque con Frank].
Frank: Sì, be’, forse loro hanno una cosa mentale – e il crack è una cosa mentale molto forte – ma non sei fisicamente –
Carter: Eh! Questa è la differenza.

L’economia morale

La tutela dai sintomi pieni dell’astinenza è ciò che anima l’economia morale di condivisione dell’eroina. È considerato immorale lasciare a se stesso chi è in astinenza, a meno che non si sia in aperto conflitto con quella persona. La migliore salvaguardia dai sintomi dell’astinenza consiste nel mantenere una reputazione di generosità, perché tutti sono ben felici di aiutare qualcuno che ricambierà in futuro. L’eroina nera messicana era l’unico tipo di eroina reperibile sulle strade di San Francisco durante gli anni del nostro lavoro sul campo (Ciccarone e Bourgois, 2003). L’eroina nera messicana è friabile quando è fredda e appiccicosa quando è calda, il che rende difficile tagliarla accuratamente con un coltello o una lama di rasoio. L’unico modo per dividere con precisione un pezzo di eroina nera è dissolverla in una determinata quantità d’acqua e aspirarla con una siringa graduata. Quando due o più persone mettono insieme il denaro per comprare una busta di eroina, preparano con cura la soluzione in modo che ciascun partecipante riceva una quantità proporzionale al denaro versato. Se qualcuno ottiene più di quanto gli spetta, è intesa comune che il favore dovrà essere ricambiato in futuro. Il procedimento di preparazione dell’eroina, di conseguenza, diventa un contesto ritualizzato e carico di tensione al cui interno si manifestano conflitti interpersonali ed esibizioni di generosità. Esso scatena ostentazioni plateali di aggressività volte a prevenire la vittimizzazione e a rivendicare l’obbligo di restituzioni future.


Note di Philippe

Sta tramontando il sole e Max è in ansia. È riuscito a elemosinare solo otto dollari nelle ultime quattro ore e i ragazzi dell’isola, Scotty e Petey, smettono di vendere quando fa buio. Non può contare sull’aiuto di Hogan, il suo compagno di strada, perché ancora una volta Hogan ha bevuto troppo Cisco durante la mattinata e non ha mai lasciato l’accampamento. Max si avvicina ai ragazzi dell’isola carico di tensione. Le loro buste costano venti dollari. Con gran sollievo di Max, accettano di «farsene una» con lui. Ancora meglio: visto che lui ha offerto di pagare otto dollari, quasi due dollari in più di un terzo del costo, i due accettano di concedergli il cotone. Li seguo mentre tornano all’accampamento, affrettandomi per tenere il passo. La loro andatura spedita e impaziente rivela chiaramente che si tratta di tossici che vanno a farsi. Appena entriamo nell’accampamento, Hank accorre con un bicchiere di polistirolo pieno d’acqua. Hogan, che sta buttato sul suo materasso bagnato, si tira su, attento a osservare la reazione degli altri quando Hank cerca di ingraziarseli per ottenere il cotone. Scotty mette Hank a tacere senza guardarlo negli occhi: «Ce li hai i soldi? Il cotone spetta a Max e non posso prestarti niente». Hank getta a terra l’acqua, urlando in modo che tutti lo sentano, «E pensare che ieri ho portato tutti i loro cazzo di vestiti alla lavanderia! Ho pagato per il sapone e tutto!». Hogan si butta nuovamente indietro sul materasso, lamentandosi dolcemente affinché Max sappia che anche lui ha bisogno d’aiuto. Hank afferra un piede di porco e spacca un pagliericcio che aveva portato all’accampamento per il fuoco, mandandone all’aria i frammenti. Scotty sussurra a Petey, con una smorfia, «Gli sta bene a quella testa di cazzo». Scotty prova antipatia per Hank, poiché sospetta che questi stia cercando di intrufolarsi nella sua alleanza con Petey offrendo favori speciali (come il bucato del giorno prima). Scotty prepara l’eroina, ma mentre riempie le tre siringhe, una per ciascuno, Max si lancia in una tirata polemica. Insiste perché Scotty tenga le siringhe in controluce per controllare che ciascuna contenga esattamente la stessa quantità di soluzione di eroina. Max deve essere vigile perché, in quanto compagni di strada, Scotty e Petey potrebbero mettersi d’accordo per fregarlo nella divisione. Infatti, la siringa di Scotty è leggermente più piena delle altre, e Max lo costringe a ributtare un po’ della sua eroina nel tappo di bottiglia che funge da fornelletto comune. Mentre si inietta, Max dice a Hogan, che continua a mugolare, che può «prendere il cotone». Improvvisamente agile, Hogan salta in piedi, afferra il tappo con il cotone sul fondo e aspetta con trepidazione che Max finisca di iniettarsi per prendere in prestito la sua siringa.


All’inizio pensavamo che quando si iniettavano eroina, gli homeless mettessero insieme il denaro e condividessero gli strumenti per ragioni di necessità economica. Di solito non riuscivano a tirar su abbastanza denaro per comprarsi da soli una busta di eroina prima che i sintomi dell’astinenza si facessero sentire. Quando durante il nostro secondo anno di lavoro sul campo il prezzo delle buste scese di due terzi – da venti a sette dollari –, la condivisione non diminuì comunque. Ci rendemmo conto che cooperare per comprare le buste di eroina non risponde solo a una necessità pragmatica, economica o logistica; è la base della socialità, e definisce i confini di reti che offrono compagnia e facilitano la sopravvivenza materiale. Il senso di comunità e di obbligazione reciproca tra i membri della rete offre garanzie contro l’astinenza. Quando i membri della scena di Edgewater Boulevard cominciavano a iniettarsi troppo spesso da soli e declinavano le offerte di mettere insieme il denaro per comprare l’eroina, erano accusati di essere «egoisti» e rischiavano l’isolamento sociale. L’economia morale genera frequenti espressioni di solidarietà, ma nella logica della zona grigia la generosità è sempre subordinata ad avidità, inganno e opportunismo. Ogni giorno è uno «stato di emergenza» (Benjamin, 1940, p. 79) e l’aiuto agli altri deve essere dispensato selettivamente all’interno di un calcolo a somma zero. In condizioni di scarsità, l’aiuto dato a una persona è inevitabilmente a spese di un’altra che pure si trova in uno stato di bisogno disperato. Inoltre, nessuna richiesta di aiuto può essere presa sul serio, perché cercare di procurarsi eroina con ogni mezzo necessario è l’attributo fondamentale di ogni tossico che si rispetti. Carter, per esempio, era rinomato per le sue simulazioni di stati di astinenza e spesso approfittava della generosità di Vernon. Vernon aveva diritto a un assegno mensile di invalidità in base a una diagnosi clinica di «vittima di violenza», la conseguenza di un’aggressione subita vent’anni prima. Inoltre, integrava il proprio reddito con lavoretti part-time in nero come imbianchino e sua moglie era un’infermiera professionale che gli elargiva occasionalmente qualche spicciolo. Una volta, Vernon entrò nell’accampamento di Carter per iniettarsi e Carter sussurrò a Philippe, «Stai a guardare. Ora mi faccio dare qualcosa! ». Si strinse la pancia, lamentandosi, e si piegò su se stesso. Vernon preparò frettolosamente la propria eroina, ma lasciò nel fondo del fornello un «assaggio » per Carter. Strizzando l’occhio a Philippe, Carter si lamentò rabbiosamente con Vernon perché il cotone che gli aveva lasciato non era «abbastanza bagnato». Il suo stratagemma tuttavia gli si rivoltò contro, e Vernon urlò rabbiosamente:


Non ti do più roba. Ti ho appena dato dieci cc. [voltandosi verso Philippe] Mi deve già dei soldi. Si comporta sempre come una piccola testa di cazzo e si arrabbia. La scorsa notte ho comprato quaranta fottuti dollari di roba e cocaina. E gliene ho data un po’. E non ho chiesto a quel bastardo un fottuto centesimo.

Tuttavia, la possibilità che i sintomi di astinenza siano reali è sempre presente, e abbandonare qualcuno che è legittimamente «a rota» – specialmente un compagno di strada – può distruggere un’amicizia. Le recriminazioni sono spesso espresse in presenza di testimoni, come strategia per danneggiare la reputazione di qualcuno, ma possono talvolta scatenare in risposta accuse devastanti. Felix, per esempio, non vedeva l’ora di redimersi agli occhi di Frank in seguito alla rottura del loro rapporto di compagni di strada durante l’episodio dell’uscita dei bianchi dall’accampamento (descritto nel primo capitolo). Alla fine si trasferì nell’accampamento di Frank e si dedicò a mettere in cattiva luce Max, che lo aveva sostituito in qualità di compagno di Frank.


Felix [urlando perché tutti lo sentano]: Vaffanculo, Max! Stavo a rota come un cane stamattina, ti ho chiesto un cazzo di cotone e tu non mi hai dato niente. Eri esaurito. Non mi parlavi neanche.
Max: Non ce l’avevo un cotone. L’avevo dato a lui [indicando Frank].
Felix: Io vivo qua cazzo, e quando stai a rota la mattina, ti rimetto in piedi. Tu non hai fatto un cazzo per me. Max: È una bugia. [rivolgendosi a Philippe] L’altro giorno, ho riportato Feix qui e me ne sono preso cura e l’ho sistemato per bene.
Felix: Cazzate! Era il mio compleanno. Quello è ovvio. Ed era una cazzo di settimana e mezzo fa. Non ti devo niente, bastardo. Me ne vado, cazzo.
Max: Cazzate! Pensi solo a te stesso. Solo Felix! Solo Felix! Solo Felix! Ti ho dato più terzi di busta di quanti me ne hai mai dati tu.
Felix: Non provare neanche a chiedere ancora il mio aiuto. Muovi il culo da qui. [rivolgendosi a Frank] Quello che si semina si raccoglie. [annunciando a tutti i presenti] Aspetta solo che quel bastardo stia a rota. Non lo aiuto per un cazzo. È proprio come i negri. Non ripaga nessuno. Vedrà, pioverà prima di quanto pensa. La prossima volta che sta a rota non avrà un cazzo da me. Tutti gli altri avranno qualcosa. Non saranno mai a rota davanti a me, ma Max! Può restare a rota. Non mi interessa.


Il consumo di droga come habitus razzializzato

I consumatori di eroina si vantano spesso della gravità della propria dipendenza, esagerando su quanti «grammi di roba» si iniettano al giorno. Come molte delle relazioni di identità e micropotere su Edgewater Boulevard, la gara su chi abbia la peggiore dipendenza dall’eroina diventa spesso razzializzata:


Felix: Man, nessuno di questi negri è un vero tossico. Sono strafatti di crack. Questi qua non possono farsi di roba come faccio io. Io non ho il loro tipo di dipendenza. Sono proprio un’altra cosa. Dagli mezzo grammo… e muoiono. Carter morirebbe di sicuro.

Sonny, Carter e Tina fumano crack all’accampamento dentro la fabbrica
Sonny, Carter e Tina fumano crack all’accampamento dentro la fabbrica

Anche la preferenza per una droga o l’altra seguiva linee etniche. I bianchi, per esempio, si riferivano al crack come a una «droga da negri», benché anche la maggior parte di loro lo fumasse. Ma, con la significativa eccezione di Al, si vergognavano ad ammetterlo. Anche i bianchi che fumavano ingenti quantità di crack erano soliti fingere spudoratamente, nell’accendere le loro pipe, di fumare solo per opportunismo: «Non lo compro mai. Ma se qualcuno ce l’ha – certo che mi faccio un tiro». Alcuni bianchi, come Nickie e Max, non fumavano mai crack, neanche se offerto, sostenendo che gli rovinava i trip da eroina. Tutti su Edgewater Boulevard, bianchi e neri, concordavano sul fatto che «il crack ti fa sentire a rota prima». Dopo aver soddisfatto il bisogno fisico quotidiano di eroina, praticamente tutti gli afroamericani si dedicavano con impegno alla ricerca di denaro per comprare crack. Quando ci riuscivano, spesso restavano svegli tutta la notte a fare baldoria. Generalmente i bianchi tiravano su meno soldi degli afroamericani e, quando si ritrovavano improvvise quantità di denaro, compravano vino fortificato o dosi extra di eroina piuttosto che crack. Di conseguenza, molti bianchi avevano una dipendenza maggiore dall’eroina e tendevano ad andare a dormire al tramonto, a meno che non fossero in astinenza o malamente ubriachi. In occasioni speciali, gli afroamericani si iniettavano speedballs e si lanciavano in una montagna russa di sensazioni, mischiando l’effetto sedativo dell’eroina con l’effetto esilarante ed eccitante della cocaina. A volte festeggiavano le loro sessioni a base di speedballs, «spingendo e tirando» [booting-and-jacking] – ovvero, tirando più volte il sangue dentro e fuori la siringa per avere molteplici ondate di piacere. Una volta, mentre stavamo filmando una sessione di speedballs, Sonny ridacchiò, «La signora in rosso fa una bella pompa al paparino», mentre un fiotto rosso di sangue schizzava nella camera della siringa, indicando che l’ago era correttamente infilato in una vena. Quindi spinse lo stantuffo fino a metà, aggiunse «Come back, Little Sheba» e lo tirò di nuovo indietro riempiendo la siringa di sangue. Alla fine, iniettando tutto, cantò «Hit the road Jack, and don’t come back» [1]. I bianchi rigettavano questa pratica come «una cosa da negri». In tutti gli anni che abbiamo trascorso su Edgewater Boulevard, Al è stato l’unico bianco che abbiamo visto iniettarsi deliberatamente uno speedball. L’intero contesto dell’uso di crack – lo sperpero immediato del denaro, gli eccessi furoreggianti, e l’effetto fisiologico stimolante – si intrecciava con l’immagine razzializzata, dominante alla fine del XX secolo, dell’intraprendente «fuorilegge » nero, che su Edgewater Boulevard era in aperto contrasto con l’immagine del «barbone» bianco senza un centesimo. La maggior parte degli homeless della


Le due affermazioni in corsivo sono i titoli, rispettivamente, di un film del 1952 e di una canzone degli anni Sessanta [N.d.T.]. 117 Anche la preferenza per una droga o l’altra seguiva linee etniche. I bianchi, per esempio, si riferivano al crack come a una «droga da negri», benché anche la maggior parte di loro lo fumasse. Ma, con la significativa eccezione di Al, si vergognavano ad ammetterlo. Anche i bianchi che fumavano ingenti quantità di crack erano soliti fingere spudoratamente, nell’accendere le loro pipe, di fumare solo per opportunismo: «Non lo compro mai. Ma se qualcuno ce l’ha – certo che mi faccio un tiro». Alcuni bianchi, come Nickie e Max, non fumavano mai crack, neanche se offerto, sostenendo che gli rovinava i trip da eroina. Tutti su Edgewater Boulevard, bianchi e neri, concordavano sul fatto che «il crack ti fa sentire a rota prima». Dopo aver soddisfatto il bisogno fisico quotidiano di eroina, praticamente tutti gli afroamericani si dedicavano con impegno alla ricerca di denaro per comprare crack. Quando ci riuscivano, spesso restavano svegli tutta la notte a fare baldoria. Generalmente i bianchi tiravano su meno soldi degli afroamericani e, quando si ritrovavano improvvise quantità di denaro, compravano vino fortificato o dosi extra di eroina piuttosto che crack. Di conseguenza, molti bianchi avevano una dipendenza maggiore dall’eroina e tendevano ad andare a dormire al tramonto, a meno che non fossero in astinenza o malamente ubriachi. In occasioni speciali, gli afroamericani si iniettavano speedballs e si lanciavano in una montagna russa di sensazioni, mischiando l’effetto sedativo dell’eroina con l’effetto esilarante ed eccitante della cocaina. A volte festeggiavano le loro sessioni a base di speedballs, «spingendo e tirando» [booting-and-jacking] – ovvero, tirando più volte il sangue dentro e fuori la siringa per avere molteplici ondate di piacere. Una volta, mentre stavamo filmando una sessione di speedballs, Sonny ridacchiò, «La signora in rosso fa una bella pompa al paparino», mentre un fiotto rosso di sangue schizzava nella camera della siringa, indicando che l’ago era correttamente infilato in una vena. Quindi spinse lo stantuffo fino a metà, aggiunse «Come back, Little Sheba» e lo tirò di nuovo indietro riempiendo la siringa di sangue. Alla fine, iniettando tutto, cantò «Hit the road Jack, and don’t come back». I bianchi rigettavano questa pratica come «una cosa da negri». In tutti gli anni che abbiamo trascorso su Edgewater Boulevard, Al è stato l’unico bianco che abbiamo visto iniettarsi deliberatamente uno speedball.

L’intero contesto dell’uso di crack – lo sperpero immediato del denaro, gli eccessi furoreggianti, e l’effetto fisiologico stimolante – si intrecciava con l’immagine razzializzata, dominante alla fine del XX secolo, dell’intraprendente «fuorilegge» nero, che su Edgewater Boulevard era in aperto contrasto con l’immagine del «barbone» bianco senza un centesimo.


Hank riceve in regalo un tiro di crack nella sua tenda
Hank riceve in regalo un tiro di crack nella sua tenda
Hank e Petey si fanno un’iniezione intramuscolare nell’atrio del loro rifugio
Hank e Petey si fanno un’iniezione intramuscolare nell’atrio del loro rifugio

La maggior parte degli homeless della scena si posizionavano ovviamente in qualche punto del continuum tra questi modi stereotipati di stare al mondo, ma gli afroamericani della nostra rete sociale si sforzavano di sembrare capaci di un maggiore controllo sulla propria vita e intenti solo a divertirsi. Per preservare un senso di autostima, facevano propria una dedizione estatica allo sballo. La maggior parte dei bianchi, al contrario, si considerava depressa, comportandosi e agendo in modo di fatto demoralizzato la maggior parte del tempo. Inoltre, sebbene abbiamo spesso visto Frank, Hank, Hogan, Max, Petey e Scotty collassare dopo le iniezioni, solitamente sostenevano con aria stoica e annoiata di non provare più piacere nel farsi e di farlo solo per tenere lontani i sintomi dell’astinenza: «Mi sento meglio. Non collasso più». Tutti nel nostro giro avevano le vene delle braccia gravemente sfregiate da una lunga sequela di iniezioni. Era difficile per loro «depositare» l’eroina dentro una vena. Verso la metà del nostro lavoro sul campo, la maggior parte dei bianchi aveva rinunciato a cercare una vena buona e si bucava sotto la cute. Infilavano gli aghi con noncuranza, spesso attraverso i vestiti, nel tessuto adiposo. Al contrario, anche negli ultimi anni della nostra ricerca, gli afroamericani ricorrevano raramente a iniezioni sottocutanee. Spesso, arrivavano a impiegare fino a quarantacinque minuti per cercare una vena buona. Il che poteva diventare un processo sanguinolento, dato che si facevano una mezza dozzina di punture o anche di più, ogni volta tirando indietro lo stantuffo per testare la presenza di una vena. Un’iniezione intravenosa, benché difficile, produce un’immediata ondata di piacere. Rifiutando l’aura di fallimento e depressione associata ai bianchi, anche gli afroamericani più anziani continuavano a cercare questo tipo di sballo esilarante. Inoltre esprimevano apertamente il proprio piacere con manifestazioni plateali di profondo collasso immediatamente dopo l’iniezione. Alcuni, come Carter, Sonny e Vernon, interpretavano il proprio stato con drammaticità, abbandonandosi a un intenso rilassamento corporeo e mugolando di piacere o saltando freneticamente in piedi. Gli eroinomani bianchi, invece, di solito cercavano di collassare in modo discreto, sprofondando lentamente il mento nel petto come se stessero solo schiacchiando un pisolino. Se euforici, potevano al massimo parlare con entusiasmo, grattarsi compulsivamente il naso, o pulire l’accampamento. Questi diversi modi di somministrare, sperimentare ed esprimere lo sballo da eroina si iscrivono fisicamente sul corpo. I bianchi, per esempio, soffrivano maggiormente di ascessi, perché l’iniezione sottocutanea intrappola le impurità nel tessuto molle sotto la pelle (raccogliendole da dita sporche, fornelli, acqua, garze o qualunque cosa aderisca alla punta di un ago infilato attraverso vestiti sporchi e pelle non lavata) (Bourgois et al., 2006; Ciccarone et al., 2001). Nelle iniezioni intravenose, queste stesse impurità vengono solitamente filtrate e scartate dal sistema vascolare. Lo svantaggio di un’iniezione intravenosa, tuttavia, è che essa aumenta il rischio di un’overdose fatale e anche di epatite C e Aids, a causa della maggiore probabilità di scambio di sangue quando le siringhe sono condivise (Rich et al., 1998). È interessante notare che il Center for Disease Control and Prevention ha riportato che nel 2005 il tasso di diffusione dell’Aids negli Stati Uniti era dieci volte maggiore tra gli afroamericani rispetto ai bianchi (Center for Disease and Control Prevention, 2007b). L’obiettivo di prevenzione dell’Aids che giustificava parte del finanziamento che abbiamo ricevuto dal National Institute of Health ci ha spinto a documentare centinaia di casi di iniezione nei nostri appunti. Le differenze etniche divennero evidenti quando cominciammo a codificare queste descrizioni dettagliate (e spesso ripetitive) dell’atto banale di preparare, iniettare e assaporare l’eroina. Il brano che segue, tratto dagli appunti di Jeff, è solo una tra le centinaia di descrizioni che rivelano queste differenze di tipo etnico.


Note di Jeff

Quando busso, Felix apre la porta del furgone di Frank. Si stanno facendo. Felix si abbassa i pantaloni e, con un educato «Scusate il culo», spinge l’ago della siringa per tre quarti della lunghezza nella natica destra. La radio è sintonizzata come al solito su un talk show mattutino. Il conduttore, politicamente di destra, sta criticando il presidente Bill Clinton a proposito della guerra in Kosovo. Discutendo i pro e i contro dell’invio di truppe americane nei Balcani, Felix spinge con forza sullo stantuffo. Ma questo si muove a malapena, perché ha urtato una cicatrice. Felix lascia la siringa appesa sul sedere per qualche minuto per permettere all’eroina liquida di penetrare nel fragile tessuto. Quando preme di nuovo sullo stantuffo, questo si muove di qualche millimetro ma comincia a piegarsi sotto la pressione, per cui Felix lascia penzolare la siringa per qualche altro minuto per permettere al liquido di diffondersi. Ripete questa sequenza di spingi-e-molla altre cinque o sei volte finché la siringa è finalmente vuota, discutendo per tutto il tempo con Frank della guerra nei Balcani. Nel frattempo Frank ha infilato l’ago direttamente attraverso la sua t-shirt lercia nella carne del bicipite, giusto sotto la spalla destra. Inietta la soluzione di eroina con una mossa rapida. Gli porgo un batuffolo imbevuto d’alcol, ma rifiuta gentilmente. In pochi minuti comincia a collassare. Di tanto in tanto, cerca di sollevare la testa e aprire gli occhi per fingere di ascoltare attentamente i commenti di Felix, ma il mento gli cade di nuovo giù, mentre le palpebre tremano in un evidente stato di rilassamento. Cammino verso il posto dove «sta» Sonny al momento, nel capannone dei rifiuti del Discount Grocery. È con Carter e anche loro stanno per farsi. Carter batte con la punta delle dita sul lato sinistro del collo di Sonny per aumentare l’afflusso di sangue, mentre Sonny succhia il pollice per far gonfiare la giugulare. Con le sue smorfie tese, Sonny sembra insolitamente passivo e vulnerabile, un neonato troppo cresciuto che si succhia il dito. Carter porta a termine l’iniezione nella giugulare di Sonny senza difficoltà e gli dà una pacca sulle spalle.

«Ti sentirai meglio subitissimo». Sonny sorride, «Lui è il mio dottore». Carter comincia a spiegarmi che l’eroina ci mette più tempo a fare effetto quando si è in astinenza e «non trova niente su cui appoggiarsi». La dose di Sonny, tuttavia, fa effetto immediatamente. Gli occhi gli si schiariscono; la voce scende di un’ottava e diventa rauca. Stringe affettuosamente un braccio intorno alle spalle di Carter per trattenersi dal crollare a terra. Carter volta le spalle a Sonny e prova a infilarsi l’ago nel bicipite, trattenendo il respiro mentre si concentra per trovare una vena. Non riuscendo a trovare il sangue, dopo un certo numero di tentativi si strappa la siringa dal braccio, imprecando. Infila l’ago più a fondo nel bicipite molte altre volte, arrivando quasi sotto l’ascella, cambiando ogni volta l’angolazione e muovendo la punta. Tira la pelle in tutte le direzioni mentre continua a tirare indietro lo stantuffo, aspettando di veder comparire il sangue. All’improvviso comincia a colpirsi violentemente, come se cercasse di infilzare un minuscolo pesce che nuota nel flusso sanguigno. Non avendo successo, tira di nuovo fuori la siringa. Si mette seduto e tiene la siringa in controluce con l’ago puntato in alto. Bolle d’aria danno alla miscela di sangue rosso ed eroina nera sfumature marmoree. Borbotta un’altra bestemmia e, con vari scatti repentini del polso, dirige le bolle d’aria verso la parte alta della siringa. Quindi spinge lentamente in alto lo stantuffo finché le bolle compaiono una a una sulla punta dell’ago. La lecca per non sprecare neanche una goccia. Prova di nuovo a iniettarsi nello stesso muscolo del braccio. Dopo altri quindici minuti di punture, ricerche e tiri di stantuffo, riesce finalmente a trovare una vena e inietta velocemente l’eroina direttamente nel sangue. Lascia cadere l’ago usato a terra, e posso chiaramente vedere tracce di sangue nella siringa vuota. Gli suggerisco di sciacquarla, ma lui sta già collassando e mugolando di piacere. Carter cerca di dare a Sonny una sigaretta, ma nell’atto di passargliela sprofonda improvvisamente il capo e mormora, «Ti voglio bene fratello… mmmh… ho fatto la mia buona azione quotidiana… mmmh». Mentre sta per prendere la preziosa sigaretta, Sonny, che sta a sua volta collassando, la lascia cadere per terra. La conversazione si interrompe bruscamente; sono entrambi sprofondati in un pesante collasso. Apro la porta del capannone per uscire, e il rumore risveglia entrambi dal loro stato di goduria post-iniezione. Si alzano immediatamente in piedi per seguirmi – energici e pronti a partire, come se il momento di profondo imbambolamento di poco fa fosse accaduto ore prima. Carter si infila in bocca il cotone rimasto sul fondo del fornello e usciamo.

 

Crazy Carl, con Sonny collassato nel vicolo dietro il drugstore
Crazy Carl, con Sonny collassato nel vicolo dietro il drugstore

 


Note

[1] Le due affermazioni in corsivo sono i titoli, rispettivamente, di un film del 1952 e di una canzone degli anni Sessanta [N.d.T.]


 

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Philippe Bourgois insegna presso il dipartimento di Antropologia, Storia e Medicina sociale dell’Università della California. Ha condotto importanti ricerche etnografiche sulla guerriglia a El Salvador, sul lavoro nelle grandi piantagioni dell’America Centrale e sulla marginalità sociale nelle metropoli statunitensi. Con questo libro, edito per la prima volta dalla Cambridge University Press nel 1996 e tradotto in francese per le Editions du Seuil nella collana diretta da Pierre Bourdieu, ha vinto numerosi premi.


Jeff Schonberg è fotografo e dottorando in antropologia medica presso l’Università della California (San Francisco e Berkeley).




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