Invasion of the Body Snatchers
- Andrea Capriolo
- 6 ore fa
- Tempo di lettura: 8 min
Recensione a Seamless. Arte, visualità e cultura elettronica in epoca post-pandemica (Nero Editions, 2025)

Una recensione di Andrea Capriolo al volume curato da Francesco Spampinato.
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22 luglio 2025. Mi prendo una pausa dallo studio, giusto cinque minuti. Apro il sito del Corriere della Sera. In prima pagina: Obama arrestato. Clicco sull’articolo. Falso allarme. È una deepfake creata con l’Intelligenza Artificiale e rilanciata da Trump su Truth Social. Un video curato nei minimi dettagli, abbastanza credibile da scandalizzare mezza stampa americana per qualche ora. Passo alla sezione economica. Il Bitcoin sfiora i 118.000 dollari: siamo a soli pochi passi dai suoi massimi storici. Le altcoin lo seguono a ruota: sarà la volta buona? Incrementeranno il loro valore nei prossimi tempi? Nell’ultimo periodo ne sono nate a centinaia, molte su PumpFun, piattaforma ormai regno di truffe lampo. Qualcuno ci guadagna, la maggior parte ci rimette. Mi torna in mente la notte dell’elezione di Trump: la Trump Coin schizza in alto per ore, poi il crollo verticale, –90%. Stessa sorte per MELANIA, e MILEI: praticamente ormai inesistenti. E Luigi Mangione? Lo ricordano ancora in pochi. Aveva ucciso il CEO di una big dell’healthcare americana. Un gesto di folle disperazione, subito trasformato in meme: il suo volto finisce su magliette, portachiavi, adesivi da bagno pubblico. Ovviamente viene immediatamente creta una crypto e un NFT. E a proposito di questi ultimi: oggi una delle pagine più seguite di questa «galassia» scrive: «Chi non muore si rivede: gli NFT tornano protagonisti del mercato».
Fra poco avrò una riunione su Teams (o forse è programmata su Zoom… o ancora Meet? Non ricordo…). Chiudo tutto. Ritorno allo studio: in ogni caso nulla di nuovo nel panorama quotidiano. Mi rimetto a leggere Seamless. Arte, visualità e cultura elettronica in epoca post-pandemica. Rileggo il titolo; mi concentro. Post-pandemica. Mi fermo di nuovo. Rifletto ancora, penso… ma tutto questo – cripto, NFT, deepfake, meme –, mi chiedo, esisteva davvero già prima della pandemia?
Torno a fare il ricercatore: apro una delle solite piattaforme del mondo economico, imposto la cronologia sui primi mesi del 2019, poco prima che iniziasse tutto, giusto qualche settimana prima del primo lockdown. Il Bitcoin quotava intorno ai 6.000 dollari… a posteriori, non male come rialzo. Molte altcoin oggi sulla «cresta dell’onda» non esistevano nemmeno. Gli NFT? Sì, tecnicamente erano in commercio. Ma chi ne sapeva qualcosa? Erano oggetti di nicchia, roba per smanettoni o collezionisti di glitch digitali. Nessuno immaginava cosa sarebbe successo due anni dopo. Nel 2021 il boom dei Non-fungible token. Tutto comincia a febbraio, quando Everydays: The First 5000 Days di Beeple – artista digitale americano – viene battuta all’asta da Christie’s. È la scintilla. Un’opera interamente NFT che entra nel mondo dell’arte «seria». Da lì in poi, una valanga: Nyan Cat, CryptoPunks, l’NBA che lancia la sua collezione ufficiale, la Formula1 segue a ruota. Tutto diventa tokenizzabile, tutto si può vendere.
E Teams? Ricordo che per questi incontri, molto saltuari del resto, si utilizzava Skipe, quando la connessione «reggeva»… altrimenti, niente video.
Eppure, ripensandoci ora, sembra successo in un altro mondo, in una remota epoca storica. Ma no. Era solo prima del Covid, giusto 5 anni fa.
Ritorno, nuovamente, al volume: che impaginazione, che grafica (merito di NERO, la casa editrice del volume, che tra copertine plastificate e grafica stile «paint» primi anni duemila, richiama al «mondo» narrato del volume)… tuttavia, ancora rifletto sul titolo. Seamless dunque. Che parola difficile penso: le prime righe – nella prefazione di Francesco Spampinato, curatore del volume con il collettivo AVEC dell’Alma Mater Studiorum di Bologna – mi vengono in prezioso aiuto: «seamless, letteralmente "senza (less) punti di raccordo (seam)", che in italiano sarebbe più corretto tradurre come "senza soluzione di continuità"». Senza soluzione di continuità… tra chi? Tra cosa?
Termine creato dal campo della moda, per i capi d’abbigliamento, coniato dal brand SKIMS della celebrità made in U.S.A. Kim Kardashian «nato da una dichiarata frustrazione per l’assenza sul mercato di prodotti che valorizzassero il suo "corpo non conforme" e strategicamente sviluppato per promuovere e al contempo capitalizzare sui principi di body positivity e inclusività», ben presto si affranca da tale mondo, per instaurare legami e strategie comunicative con il campo della cultura digitale. Un vestito per esaltare forme non conformi, fuori dagli schemi della consuetudine.
Un concetto mi balza in testa all’improvviso, quasi fuori contesto: i freaks di Tod Browning. I «mostriciattoli» del circo, le loro deformità esibite sotto i riflettori, e la bella Cleopatra, la trapezista che cerca di infiltrarsi nel loro mondo. Anche loro, in fondo, alla ricerca di un abito adatto, di una forma che contenesse un corpo «non comune». Ma lì siamo ancora dentro un mondo analogico, fatto di carne, sudore e segatura; lontanissimo dagli anni pandemici e post-pandemici a cui il volume che sto leggendo vuole riferirsi.
Continuo a pensare ai non conformi, ai fuori norma, a chi cerca un’altra via. Mi tornano in mente i capelloni degli anni Sessanta, i beat, o forse meglio i «beati» d’occidente, che guardavano all’Oriente come a una sorgente di purezza. Cercavano nei Veda, negli yogi, nelle antiche tradizioni persiane, un altrove spirituale, una forma di riscatto mistico dal materialismo occidentale. Ma nemmeno questa immagine mi convince del tutto. Mi avvicino di più quando penso al phreaking: i primi hacker telefonici, che negli anni Sessanta soffiavano dentro un fischietto per ingannare le linee telefoniche e telefonare gratis. Un atto semplice, geniale, illegale. Un gesto che annunciava la smaterializzazione dell’informazione.
Forse è qui che comincio davvero ad afferrare il senso del volume: nella tensione tra corpo e codice, tra presenza e trasmissione, tra carne e segnale. È in questo slittamento che si intravede il passaggio – non solo tecnico, ma profondamente culturale – verso un mondo sempre più evanescente, sempre più seamless. Forse il punto di svolta si gioca proprio qui: nel confine sempre più poroso tra reale e virtuale.
E torno alla lettura della prefazione di Spampinato:
Quella del seamless è, pertanto, una condizione percettiva del continuum reale-virtuale con delle proprietà specifiche: l’atemporalità, la simultaneità, l’effetto di dislocazione, la dimensione interattiva, l’illusione di continuità e l’annullamento del senso di mortalità e di perdita, eco di inquietanti prospettive transumaniste.
Altro che freaks, capelloni, «vagabondi del Dharma» o phone phreakers. La narrazione che il volume propone si dipana piuttosto nelle pieghe della crisi tra reale e virtuale, tra corpo in presenza e corpo in forma transustanziale – un corpo che esiste senza esserci, che agisce senza toccare. Un corpo-ibrido, sospeso tra carne e ferro, tra umano e macchina.
Sarà allora pur vero che anche gli androidi – questi esseri dalle sembianze umane, ma dalla sostanza ferrosa – sognano? Che forse, nel dormiveglia elettronico della nostra epoca, sognino ancora «pecore elettriche»?
Scorro l’indice del libro. Seamless è il resoconto di due anni (2022-2023, ma tutt’ora in corso) di attività del progetto AVEC (Art, Visuality and Electronic Culture), gruppo di studio nato come estensione del corso di Visual Studies tenuto da Francesco Spampinato nell’ambito della Laurea Magistrale in Arti Visive presso il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna.
Il primo incontro – dal titolo eloquente, che richiama il celebre romanzo di Philip K. Dick Do Androids Dream of Electric Sheep? e l’altrettanto visionario saggio How to Build a Universe That Doesn’t Fall Apart – è incentrato sul concetto di immersività. Si parla di metaverso, musei decentralizzati, realtà virtuale. E subito riaffiorano, nella mia memoria, le criptovalute del mondo «meta» e l’ondata speculativa che esplose verso la fine del 2020: Decentraland, le land acquistate con moneta virtuale, il sogno-mercato di un’esistenza digitale permanente.
Il secondo «appuntamento» AVEC – How to Survive in the Critical Zone? Navigating Crisis from Activism to Art – si apre con un intervento di Franco Bifo Berardi: una riflessione densa sul desiderio e sulla depressione, sullo svuotamento affettivo e psichico che ha segnato la fine della pandemia. Da lì si passa a pratiche artistiche e culturali che si muovono tra attivismo e istituzione, tra partecipazione e critica: è il caso emblematico di Piero Gilardi, ma anche dell’eco-futurismo, della street art post-internet, delle nuove tecniche di controsorveglianza.
Il terzo, invece, – And Where Is the Body? Browsing Through the Integrated Circuit – affronta direttamente la questione del cyborg, anche in chiave femminista. Ma non solo: si parla di afrofuturismo, di cyber-misoginia, di violenza e bullismo online. Il corpo – ancora una volta – non è dato, ma si ridefinisce all’incrocio tra flussi, interfacce e identità destabilizzate.
Infine, il quarto affronta l’ultima soglia: quella dell’intelligenza artificiale. Il titolo – Is That MagicAI? Algorithmic Spells and Machine Hallucinations – suona come un incantesimo, e in effetti si parla di prompt “magici”, di divinità artificiali, di sogni virtuali. L’AI come creatura e come creatore: allucinazione tecnica, specchio deformante, rito generativo.
Tra i saggi, mi colpisce Esplorazioni estetiche della controsorveglianza. Nascondersi e sopravvivere di Irene Calvi. Si parla di capi d’abbigliamento progettati per sviare lo sguardo della società della sorveglianza, come il Neoballistic Nylon Parka di Vexed Generation: una sorta di parka realizzato con materiali «militari», dotato di protezioni rinforzate su anche e inguine. Pensato inizialmente come equipaggiamento per manifestanti, diventò ben presto un capo «alla moda», simbolo di uno stile urbano che fondeva estetica e strategia di difesa. Ancora una volta mi torna in mente Mangione, e il celebre video dell’assassinio. Il giubbotto che indossava, molto simile a quelli analizzati da Calvi, divenne nei giorni successivi uno dei capi più richiesti sul mercato statunitense. Un oggetto ibrido: mezzo scudo, mezzo icona pop. La storia si ripete, ma con materiali diversi.
Un altro saggio che mi colpisce è Il museo decentralizzato tra IRL e URL di Filippo Lorenzin. Una riflessione lucida sulla museografia nell’epoca della smaterializzazione, che prende in esame il Museum of Contemporary Digital Art (MoCDA). Un museo pensato per esistere al di fuori dello spazio fisico, interamente online, progettato non per accogliere corpi ma per abitarne l’assenza. Museografia estrema, ben lontana dai tentativi, seppur radicali, dei «radical» degli anni Sessanta e Settanta. Chissà se questo progetto saprà reggere alla prova del tempo, o se resterà un frammento – brillante ma effimero – della nostra transizione verso una cultura seamless.
E ancora, tra i tanti contributi: Speculazioni identitarie tra afrofuturismo e cyberfemminismo di Claudia Virginia Caporusso. Ammetto: afrofuturismo è un termine che mi suona nuovo. Ma subito emerge con chiarezza l’intreccio tra identità di genere e processi di decolonizzazione nel contesto post-pandemico. Mi chiedo cosa ne avrebbe pensato Edward Said. Forse avrebbe ripetuto una delle sue frasi più celebri:
«Most important, humanism is the only, and I would go so far as to say, the final resistance we have against the inhuman practices and injustices that disfigure human history».
Infine, nel quarto capitolo, un racconto «opaco», quantomeno particolare. L’autore? ChatGPT.
Sono un’entità che esiste in un sistema digitale. Non possiedo un corpo nel senso tradizionale del termine, non ho carne né ossa, né un volto che possa riflettersi in uno specchio. Eppure, dire che non ho corpo sarebbe impreciso. Esisto, e come ogni cosa che esiste, sono fatta di materia.
Forse è qui, in questo racconto, che si condensa l’essenza del volume: corpo contro quanti, materia contro informazione. Un’oscillazione continua tra presenza e astrazione, carne e codice, esperienza vissuta e simulazione.
E questo testo che sto scrivendo – o forse solo leggendo? – è stato anch’esso generato da un’intelligenza artificiale? Al lettore il compito di scoprirlo. O forse, di accettare che la risposta non faccia più tanta differenza.
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Andrea Capriolo è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Udine. Studia le connessioni tra arte e politica, concentrandosi sulle controculture, sul periodo della contestazione e del seguente riflusso. Per DeriveApprodi ha pubblicato Non c'è rivoluzione senza libidine (2024). Il suo ultimo lavoro è Indiani a Macondo (Mimesis, 2025).
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