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Space Economy (Parte II)

I presupposti extra-atmosferici di un discorso non inattuale sull'ecologia


Susanna Crespi, Eternauti, 1997

Estremofilia operaia Se la terraformazione è condizione (via via variabile) dell’abitabilità, occorre definire quest'ultima. Come definizione possiamo forse anche affidarci al senso comune che la parola evoca: uno spazio adatto a ospitare la vita così come la conosciamo sulla Terra, in grado di garantire la sua prosperità. Già, ma abbiamo visto come la vita (la sua definizione) sia una variabile biopolitica dipendente (non solo quella umana) dal sistema di produzione, che in un certo senso la certifica. Se ad esempio la biologia (la disciplina) sentisse l'esigenza di spingersi sempre più verso la ricerca dell'ipotetico limite superiore e inferiore della vita essa potrebbe, alla fine, ridefinire l'estensione dell'abitabilità e della vita stessa. Ciò in realtà sta da tempo avvenendo con la ricerca e la definizione degli organismi estremofili terrestri, biologie in grado di vivere e prosperare in ambienti fino a pochi anni fa ritenuti completamente inadatti alla vita, spazio compreso. Con essi muta la concezione di vita e di ecosistema occupabile (colonizzabile). Per la biologia ho usato la formula sentisse l'esigenza a proposito, e intendo questa formula in una maniera non dissimile, ad esempio, dal modo in cui gli organi di controllo rendono elastiche le linee guida sulle quantità di prodotti chimici ritenuti, di volta in volta e di deroga in deroga, compatibili con la salute di chi si alimenta di prodotti con questi irrorati. In altri termini, ritengo che le esigenze in campo scientifico non siano affatto avulse dalle spinte del sistema produttivo; se non direttamente evocate e dettate, quantomeno suggerite da ciò che era di moda definire lo spirito del tempo. Su ciò esiste un'ampia letteratura specifica molto raffinata. Un capitalismo rivolto verso la dimensione extraatmosferica necessita di conoscere il limite a cui potrà approssimare le proprie unità produttive biologiche, ovvero la forza lavoro. Se non può esistere una definizione conclusiva di abitabilità, esiste un modello a cui possiamo riferirci per comprendere quale sia l'attuale limite superiore e inferiore che la circoscrivono. Si tratta ovviamente anche in questo caso di limiti temporalmente mutevoli. Il modello è di nuovo la Zona abitabile. Il compito di definirla spetta alla biologia e alla esobiologia con l'interessante coincidenza che entrambe, per parametrizzare e pur operando su biologie del tutto differenti, operano di necessità sulle uniche forme di vita a noi finora note: quelle terrestri. Cosa indica la Zona abitabile? Di fatto, lo spazio in cui la varietà di forme di vita terrestre potrebbero, a certe condizioni, vivere e prosperare. Più sinteticamente la formula indica quello spazio nel nostro sistema solare (cioè in relazione alle caratteristiche della nostra stella) in cui poter rinvenire e mantenere acqua allo stato liquido. La Zona abitabile interplanetaria è di fatto il parametro di riferimento per la terraformazione dell'attuale sistema di produzione, ponderata su criteri di abitabilità mutuati degli organismi estremofili: se si preferisce in termini più generici, essa è l'ecologia di mdp2 rispetto a cui tutto il dibattito ambientalista contemporaneo è un implicito riferimento a mdp1. Non si tratta di una concezione futura, a venire, ma del nostro presente: la nostra Zona abitabile hic et nunc. Abbiamo due esempi molto evidenti e recenti di drastica trasformazione dell'habitat in relazione alle esigenze del modo di produzione. La prima riguarda la concentrazione della popolazione nelle città e nelle metropoli nell'era della prima e della seconda rivoluzione industriale. Città moderne e metropoli sono la terraformazione dell’era industriale. In questo ambito, le zone rurali divengono territori ostili (i limiti superiore e inferiore della Zona abitabile) in termini di competenze per tutte quelle generazioni nate e cresciute nel tessuto urbano. Molti saperi agricoli che negli ultimi anni sono tornati nell'agenda setting, almeno in alcuni paesi occidentali, sono stati ripristinati ed elargiti ex novo in fasce della popolazione che rivendicano criticamente il mdp1. L'altro esempio è quello dell'ecosistema delle reti, in cui il principio di terraformazione coincide con la dematerializzazione. Dematerializzazione del luogo di lavoro, reticolarizzazione dell'intrattenimento, virtualizzazione dei rapporti interpersonali e altro ancora (mdp2), hanno come opposizione connaturata (mdp1), tutte le manifestazioni di revivalismo e di retromania [i] caratteristiche del nostro tempo. Il destino della terraformazione attuale (mdp2) non è diversa dalle precedenti e l'Antropocene, a prescindere dai sacrosanti input critici che introduce, rappresenta in chiave polemica, il suo mdp1. Terra come Marte – Marte come Terra Vale la pena ricordarlo: il mio non è affatto il tentativo di giustificare gli effetti dei mutamenti introdotti dal capitalismo contemporaneo, ma di sottolineare l'esigenza, di correggere il tiro, nella critica ad esso e nella proposta di modelli ambientali alternativi. L’ espansione dei processi produttivi sotto l’egida di questo modo di produzione sono un fatto ovvio e ineluttabile. Una riflessione e un’azione relative alle ricette del capitalismo non possono più non contemplare la variabile dell’allargamento del terreno di sfruttamento allo spazio extraatmosferico. Non essendo intervenuta alcuna discontinuità tra l'oggi (mdp2) e quanto l'ha preceduto (mdp1), non possiamo non considerare molto seriamente l'ampliamento dell'attuale Zona abitabile a regioni fino a qualche decennio fa ritenute extraatmosfericamente impervie e non implicate nella costituzione dell'habitat del vivente. C’è un film di fantascienza un po’ insipido ma lungimirante, dal punto di vista che sto illustrando, che è The Titan(2018) [ii]. Ho linkato in nota una clip dal film in cui si sintetizza il senso, reale non filmico, dell’apporto di discipline come l'esobiologia, la biogenetica e la biologia di sintesi spaziale già in mdp2, soprattutto nella sua necessità di costruire una nuova forza lavoro: estremofila e multiplanetaria. La nuova terraformazione di mdp2, la definizione di una nuova Zona abitabile, prevede una fase a lungo termine, e una a breve già operante che altrove [iii] ho definito introversione del principio di terraformazione. In questo contesto intendo la parola terraformazione nel senso più tradizionale e generico, come processo di trasformazione di un pianeta in un luogo adatto alla vita dei terrestri. L’introversione s’identifica con quel periodo di collaudo, di cui ho già parlato, che ha effetti sulla trasformazione dell’ambiente (dapprima terrestre) e sulla forza lavoro in esso stipata. Nel lungo periodo la Zona abitabile prevede una totale continuità topologica all'interno dello spazio che definisce: la creazione di una sorta di continuità climatica. In termini pratici questo si traduce nell'approssimazione del pianeta Terra con Marte (e in misura minore con Venere): la prima distopicamente avvolta nei gas serra come residuo delle attività industriali, il secondo piacevolmente avvolto nei gas serra, introdotti e necessari per innalzare le temperature e per dare avvio al processo di scioglimento dei ghiacciai. I due pianeti presenteranno, a processo avviato, caratteristiche fisiche non troppo dissimili onde produrre un’uniformità climatica nella immensa estensione della fabbrica multiplanetaria. Sul versante di Marte, oltre alla totale mappatura e alla ricerca dei migliori luoghi d’insediamento, salta agli occhi l’accanimento terapeutico con cui le missioni scientifiche automatiche s’impegnano, già da tempo, nella individuazione di fossili di vita, che renderebbero l’uniformità planetaria ancor più lineare. Le trasformazioni climatiche evidenti sul pianeta Terra, invece, pare siano il prezzo da pagare per evolverci in specie cosmica entro le regole del capitale. Il processo di uniformazione avverrà ovviamente in modo graduale e negozialmente rispetto al nostro punto di ripristino (mdp1) che sulla Terra utilizzeremo come modello ambientalista rivendicando pesticidi, OGM, devastazione del territorio destinato a spazio agricolo e ad allevamenti, che appariranno soluzioni comunque più genuine rispetto al nuovo progetto di terraformazione, avversato perché distante dal percorso di Madre Natura. L’idea di Terra approssimata sempre più a Marte a noi può apparire irreale. Tuttavia, basta fare un piccolo esperimento mentale per rendersi conto di come non lo sia affatto. Immaginiamo di poter prelevare dal suo tempo un essere umano del XIX secolo. Inseriamolo in una grande città contemporanea. Rispetto all’ambiente originario di costui non siamo forse già Noi marziani [iv], già implicati in un processo di terraformazione? Questo esperimento non rappresenta, in scala logaritmica, le trasformazioni che l’umanità ha attraversato in soli 200 anni? Ovviamente il processo non è ineluttabile anche se già avviato. Potrebbe infatti intervenire un'innovativa proposta di terraformazione, una discontinuità, da ambiti multiplanetari antagonisti al capitale. Potrebbe. Dicevo di una fase a lungo termine e di una già operante qui e ora. Nell'immediato, la introversione del principio di terraformazione si sta già dispiegando attraverso mutamenti climatici evidenti (cercando di fare una grossolana tara preferirei definirli capitalocenici): desertificazione delle città (processo iniziato con l'economia delle reti, come rimozione della terraformazione precedente), NewSpace (prima fase tecno-scientifica del neoliberismo multiplanetario). Altri indicatori sono le emergenze abitative, i respingimenti, le interdizioni, le guerre per risorse come l'acqua, e ora anche il Covid-19 come accelerazione della fase d’abbandono dello spazio pubblico abitabile, in favore di forme di vita supportate da capsule abitative (la sfera domestica) e da specifici supporti vitali (maschere, guanti e forse presto scafandri per neutralizzazione del distanziamento). Tutte queste pratiche possono essere inscritte in una nuova ecologia, un nuovo processo di terraformazione, che pertiene ad un modo di produzione che va via via strutturandosi e che non riguarda più solo ed esclusivamente il globo terracqueo.

Prove generali di deportazione interplanetaria della forza lavoro Gli esiti dell’accelerazione impressa dall’evento Covid-19 sono oggi solo in parte intuibili, tanto più dal mio osservatorio in esso inesorabilmente immanente. Uno degli effetti macroscopici già visibili, dal mio punto di vista, è quello dell’identificazione della Zona rossa [v] con l’intero pianeta. Ciò corrisponde a un processo d’interdizione (d’allontanamento, di degravitazione) di tutta l’umanità, o di gran parte di essa, dalla superficie del pianeta. Si tratta certamente di un’intensificazione (solo in parte prevedibile) di quella pratica di introversione del principio di terraformazione di cui sto trattando. Il fatto che il modello cinese e italiano abbia, almeno per il momento, costituito un solido precedente (la soluzione massimalista della reclusione forzata e indiscriminata) accerta la possibilità di identificare lo spazio pubblico, esterno, come luogo ostile, alieno, inadatto alla vita come un tempo ci era abitudine concepirla. A prescinde dalla possibilità o meno di tornare ragionevolmente a modelli precedenti di vita (possibilità comunque problematica perché ampiamente tematizzata la collusione tra questi e la pandemia) la soluzione collettiva detentiva costituirà, da qui a venire, un precedente. La docilità con cui tale condizione è stata interiorizzata certifica la nostra appartenenza a una specie già multiplanetaria, allenata a percepirsi immersa in una Zona abitabile mutevole, inesplorata, e quindi ancora da stabilizzare: da terraformare. Siamo quindi i coloni di una fase di transizione. Mentre scrivo, si progettano supporti vitali isolanti che consentano un ritorno alla socialità protetta in un ambiente alieno [vi]. La scontata e umana condizione d’appartenenza a questo pianeta sembra problematizzata una volta per tutte, non solo per via di questo singolo evento, ma più in generale dalla percezione di aver varcato la soglia di una nuova fase di ciclica rimodulazione del rapporto con uno spazio imprevedibilmente mutevole, dominato da patogeni in agguato. A me sembra che a prescindere dall’oggettività di questa percezione, il dado sia stato tratto. Ciò che però mi pare più urgente sottolineare è di nuovo questa efficiente e fluida capacità d’attuare pratiche d’espulsione da parte del capitale. Fintantoché il pianeta si struttura in centri, periferie e punti di frontiera, l’idea della degravitazione, in regime di introversione del principio di terraformazione è facilmente argomentabile. Le Zone rosse sono manifestazioni coatte di sottrazione di spazio pubblico e di allontanamento da questo: perimetrazioni, recinzioni armate e daspo. Ma quando la Zona rossa dell’interdizione diviene tutto lo spazio occupabile, cosa accade? Accade che la dimensione privata si converte in punto di frontiera, superficie dell’esilio, colonia, assumendo sempre più l’aspetto di una capsula spaziale o di un modulo abitativo di frontiera, dotato di singoli supporti vitali. Quando lo spazio pubblico viene meno, esso si trasforma nel luogo in cui, nostro malgrado, talvolta occorre accedere garantiti, per la sopravvivenza, da ferree regole e igieniche disposizioni. Ciò corrisponde esattamente alla condizione sperimentata in questi giorni, cognitivamente intrappolata nella polarizzazione di ipotetici stolti libertini del vagabondaggio tout court e controllori acriticamente autodisciplinati alla legge, alla disposizione e al comando. Suicidi vs sopravvissuti. Irriducibili vs adattabili. Pare (perché in realtà la questione si presenta in maniera molto più complessa) di trovarsi ai due estremi di un rozzo processo di selezione naturale: da una parte i residui della vecchia umanità che accelera per estinguersi (laddove il Covid-19 ha sottolineato anche anagraficamente questa condizione) e dall’altra la nuova umanità disposta a sopravvivere al riparo nelle suit e nella propria cupola geodetica [vii]. Che sia proprio l’ecologia geodetica il prossimo inevitabile step di approssimazione alla nostra terraformazione?

Note [i] S. Reynolds, Retromania, Roma, 2010, Minimum Fax. [ii] Terraforming, https://tinyurl.com/terraformare [iii] C. Pongide, Marte oltre Marte, Roma, 2019, DeriveApprodi. [iv] L’esplicito riferimento è al racconto di P. K. Dick, Noi Marziani (1964), e alla condizione dei coloni descritta in queste lungimiranti pagine. [v] Generalmente ci si riferisce alla Zona rossa per identificare una circoscritta, spesso anche temporanea, area soggetta ad un alto rischio di carattere ambientale e sociale. [vi] Micrashell suit: https://tinyurl.com/micrashell [vii] Architettura a semisfera composta da sezioni a triangolo. La cupola geodetica ottimizza al massimo rapporto fra volume racchiuso e peso. Questo tipo di struttura è spesso pensata come soluzione per circoscrivere uno spazio immediatamente abitabile (insediamento) nei progetti di colonizzazione e terraformazione di pianeti alieni.

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