top of page

Viaggio a Lisbona. La Triennale di Architettura 2022





Dal 29 settembre al 5 dicembre 2022 a Lisbona una call to action per riscoprire il senso di comunità e rispondere collettivamente ai problemi del mondo contemporaneo, una direzione diversa e molto più feconda dello stantio mondo culturale mainstream che non riesce ad uscire dalle sue stesse trappole.


* * *


Il viaggio inizia con lo sciopero dei controllori francesi che provocano circa un’ora di ritardo sulla partenza per Lisbona. Il problema maggiore non è questo, ma la corsa che mi aspetterà per arrivare in orario all’appuntamento con la stampa internazionale. Alle 14 portoghesi (le 15 italiane) finalmente atterro. Il tempo di lasciare la valigia in hotel e il bus è già fuori ad aspettare, pronto per il tour: due giorni e mezzo di visite a mostre e incontri con i curatori della Triennale di Architettura di Lisbona 2022.

La prima tappa è sulla riva destra del fiume Tago, alla Casa das Galeotas. Qui José Mateus, presidente della Triennale, tiene la conferenza stampa insieme ai vari curatori coinvolti. 4 mostre, 3 giorni di talk, 15 progetti indipendenti, 4 awards. Il tema dell’evento è Terra, non solo intesa come pianeta, o come materiale, ma come insieme di sistemi, infrastrutture, risorse, visioni, di comunità. La domanda che questi tre anni di ricerca si pongono è «In che modo l'esaurimento delle risorse, le disuguaglianze socioeconomiche e le azioni di alterazione del clima si intrecciano su scale diverse?». La risposta è una Triennale che si pone come una vera e propria call-to-action per tutti, per poter immagine insieme un futuro sostenibile.

Diversamente da altre mostre e progetti con intenti simili, la selezione creata dai curatori e la scelta dei progettisti soddisfa le aspettative. Non solo perché non si tratta di pura architettura e ricerca, ma perché molte iniziative presentate partono da Ong e associazioni che non hanno niente a che fare con il mondo del progetto. Lavori che fanno pensare e stimolano un pensiero, un’analisi. Vediamo come...

Ci spostiamo a fianco del suggestivo Maat – Museo di arte architettura e tecnologia di Lisbona progettato da Amanda Levete Architects – nell’altrettanto sensazionale Central Tejo, centrale termoelettrica dismessa, di cui son state preservate alcune delle strutture originali al suo interno. Qui ritroviamo la mostra Retroactive, curata da Loreta Castro Reguera e José Pablo Ambrosi, Taller Capital, che vuole esplorare le soluzioni architettoniche che aiutano le comunità a ritrovare un senso di appartenenza e dignità spaziale. I progetti esposti intervengono su quelle aree del mondo caratterizzate dal sovraffollamento, dalla mancanza di risorse e di infrastrutture base. Quattro capitoli: Broken cities, che si focalizza sulle città dell’emisfero sud che presentano insediamenti in via di sviluppo nelle periferie. Dieci diverse iniziative di Ong compongono la sezione Public Initiatives, a cui si aggiungono dieci progetti e cinque proposte universitarie. Interventi e soluzioni locali, come il riutilizzo dell’aeroporto dismesso Tempelhof a Berlino o la creazione di infrastrutture sospese per gli slum, che possono aiutare a trovare nuove risposte.

Dalla Central il tour continua fino alla Fundação Centro Cultural de Belém, sempre nella freguesia (area cittadina, più piccola di un quartiere) di Belém, costruita da Gregotti insieme all'architetto portoghese Manuel Salgado, tra l’88 e il ’93. Qui, allo spazio Garagem Sul, è possibile visitare Cycles, la mostra curata da Pamela Prado, curatrice dell’arte cilena e Pedro Ignacio Alonso, architetto, anche lui originario del Cile. In questo caso il punto di partenza è un testo, The man who never threw anything away di Ilya Kabakov, 1977. Un caso di «disturbo da accumulo» che ha qualcosa da insegnare: il protagonista non si limita ad accumulare, ma cataloga ogni singola vite, chiodo, cartaccia, così facendo ridefinisce lo scarto. Raccolta, ridefinizione, riutilizzo. La mostra prova a ripensare gli scarti dell’industria edilizia in una nuova chiave, attraverso esempi, installazioni e casi studio. Terra, sughero, marmi, ceramiche, ma anche nuovi materiali creati dagli scarti delle demolizioni, lo smantellamento intelligente di edifici per riutilizzare facciate e parti strutturali. Un percorso, nello spazio Garagem Sul, in cui modelli e progetti si intervallano fino ad arrivare ad un’installazione: una sala circolare tappezzata dalla stampa del testo The man who never threw anything away, il punto finale dell’esperienza da cui, guardandosi indietro, si può ripercorrere tutta la mostra.

Con questi progetti in testa mi dirigo verso l’albergo. Da Belém al centro, la riva destra del fiume Tago offre un panorama suggestivo: monumenti e torri lasciano spazio a locali, strutture industriali dismesse e magazzini in legno della movida, per poi aprirsi in piazze monumentali, edifici storici, e infine il centro. Da qui partono stradine strette che salgono e portano ai quartieri più colorati, ricchi di facciate di azulejos. Una città particolare.

Il secondo giorno, il tour ci porta al Culturgest, nella Fundação Caixa Geral de Depósitos, dove la designer e ricercatrice russa Anastassia Smirnova insieme allo studio di architettura Svesmi presentano Visionaries. L’allestimento presenta una grande tenda dietro cui si nascondono le stanze che contengono i progetti. Dai pensatori Aristide Antonas e Bruno Munari fino ai visionari Roger Anger e Mvrdv; un percorso in cui si possono trovare dalla città universale Auroville fino ai bagni pubblici di Tokio, per citarne un paio. Le visioni dei singoli si mischiano con il Cathedral Thinking, termine coniato dalla curatrice per raccontare tutti quei progetti che sono stati iniziati da progettisti, sapendo che non sarebbero mai stati portati a termine da loro. Da citare anche gli allestimenti delle singole sale, molto immaginifici, in grado di farci voltare pagina così da farci immergere nel caso studio seguente. Molto apprezzata anche la presenza di filmati e video a documentare i progetti esposti.

Dopo il Culturgest, la meta è la Galeria Millennium bcp, Museu Nacional de Arte Contemporânea, curata da Tau Tavengwa dallo Zimbabwe, cofondatore della rivista Cityscapes e dall’antropologa indiana Vyjayanthi Rao. Qui c’è Multiplicity, che pone l’attenzione su tutti quei progetti e quelle iniziative in cui gli architetti non ci sono, ovvero, una selezione di interventi che partono dal basso, senza l’aiuto di architettura o design. Processi collettivi o informali del Sud del mondo che adattano e sovvertono il consueto modo di intervenire. Gli esempi sono interessanti: dai Community Fridges a Brookyln, gestiti da centinaia di volontari che si danno i turni per rifornire, pulire e controllare i frigoriferi comunitari, fino al Bookworm Pavilion, un progetto di qualche anno fa che crea un’installazione-spazio per leggere libri e passare il tempo. Anche in questa location, casi studio interessanti che mostrano soluzioni su scala locale che possono ispirare risposte per problematiche globali.

Il tour continua, veniamo portati vicino al Museu Nacional, in un’associazione cattolica per giovani donne. Al secondo piano dell’edificio che la ospita ci aspetta un locale che ci serve baccalà e insalata, per la gioia di tutti. Dal balcone si accede a una graziosa terrazza che apre la vista sul fiume Tago: attici privati con piscine si alternano a palazzi storici e in lontananza il ponte rosso 25 de Abril – che ricorda in tutto e per tutto il ponte di Brooklyn. Una pausa piacevole che crea ancora più curiosità nei confronti della capitale portoghese.

Il pomeriggio il bus porta tutti al quartiere generale della Triennale di Architettura di Lisbona, Palácio Sinel de Cordes, un’architettura storica in ristrutturazione – il progetto sarà finito nel 2025 – ma non per questo meno bella. Qui ci sono alcuni dei 15 progetti indipendenti, purtroppo non tutti ancora attivi. Uno molto interessante da citare è la ricerca After Plastic portata avanti da Kala Studio che, con l’aiuto di un team multidisciplinare, cerca di capire l’influenza delle microplastiche nella crescita e coltivazione di materie prime come mais, grano, frumento, con un focus nelle aree create dallo scioglimento di ghiacciai, nuovi ecosistemi che risentono dei rifiuti portati dalla montagna.

Dopo questi pochi casi studio c’è qualche ora di pausa e da qui si riparte per la location del mattino, dove inaugura la mostra Visionaries e così finisce anche il secondo giorno di tour.

La terza e ultima mattina partecipo ad una presentazione per la stampa, esterna alla Triennale di Architettura di Lisbona, l’anteprima della mostra Exist/Resist – Works by Didier Fiúza Faustino: 1995-2022, al Maat, che raccoglie per la prima volta i lavori dell’artista architetto di origini portoghesi. Faustino è un architetto, che lavora sul rapporto tra corpo e spazio. Al crocevia tra arte e architettura, la sua pratica è varia, spazia dall'installazione alla sperimentazione, dalla creazione di opere di arte visiva sovversiva agli spazi multisensoriali. I suoi progetti si caratterizzano per la prospettiva critica e la capacità di offrire nuovi spunti, nuove riflessioni.

Dal Maat, in un piccolo gruppo, proseguiamo per terminare l’ultimo giorno di tour con un premio: una colazione tipica in una delle pasticcerie più buone di Belém. Percorrendo la Rua de Belém è possibile trovare una delle pasticcerie della zona in cui gustare i tipici pasteis de nata.


* * *


Teo Sandigliano si definisce «Militante. Ogni giorno combatto contro bruttezza, ignoranza ed indifferenza attraverso arte, illustrazione, musica, video e progetti». Designer, giornalista, cura la piattaforma WeVux.


bottom of page