L’attività di Francisco de Goya y Lucientes è stata molto vasta, e si è evoluta nel tempo e coi tempi: oltre ai dipinti su tela, spesso magistrali e sempre imprevedibili, oltre agli affreschi, il suo instancabile lavoro ha trovato espressione, riflessione e approfondimento in quattro mirabili serie di incisioni su rame che hanno interessato gran parte della sua attività: i Caprichos (1799 ca.), Les Desastres de la Guerra (1810-1815), la Tauromachia (1815-1816), e Los Disparates, o Los Proverbios (1816-1823 ca.).
Questa raffinatissima, ingente e ricca serie di incisioni è caratterizzata non soltanto da una precisa e puntuale - oltre che profonda - attenzione storica e materiale, sublimata in modo squisitamente tecnico-grafico, ma parimenti da una puntigliosa, sagace e spesso spiazzante legenda: non meno delle incisioni, infatti, le iscrizioni appostevi collaborano spesso a smontare e a rivedere - in chi le osserva - le più assodate e consolidate, ma anche didascaliche e banali verità.
Sono stato molto colpito dalla ricchezza di tali iscrizioni, e ho provato a sfruttarne la pregnanza - tanto poetica e immaginale, quanto etica e civile -, utilizzando i 79 titoli dai Capricci (da cui ho espunto l’autoritratto), e gli ottanta da I Disastri della Guerra, per comporre una sorta di omaggio alle straordinarie Pitture nere divise per Stanze, quelle che fondamentalmente Goya riservò a nessun’altro che a se stesso nel suo autoesilio alla Quinta del Sordo, appena fuori Madrid, ormai a carriera artistica conclusa.
Un esperimento, certo, ma non del tutto astratto e aleatorio, giacché mi pare evidente che il lavoro riflessivo e critico svolto da Goya nelle sue incisioni, sia non solo idealmente, ma soprattutto immanentemente ed esistenzialmente confluito in quella domestica, straziante e responsabile sublimazione che nelle «pitture nere» assume compiutamente i suoi toni più schietti e pregnanti.
Quanto queste sentenze possano essere ancor oggi in grado di risuonare, è in qualche modo evocato in questa lungimirante risposta a Isidro, il domestico di Goya, che ammirando le stampe de I Disastri della Guerra che il Maestro gli mostrava, gli chiese inorridito: «Signore, perché dipinge queste barbarie umane?»: e don Francisco: «Le dipingo per il piacere di poter dire eternamente agli uomini di non essere barbari». (R.G.)
* * *
PRIMA STANZA
(Due vecchi o) il vecchio Goya
Silenzio
Ciascuno a suo turno
- Nulla - così dirà
Quella polvere:
Morti raccolti insieme,
Perché nasconderli?
Non c’è chi li aiuti,
E non c’è scampo:
Grande prodezza! Con morti!
Carrettata per il cimitero:
Lo stesso in altre parti,
E questo pure,
Questo e altro ancora,
Io l’ho visto.
Leocadia
Carità,
Compassione crudele!
Non c’è da gridare,
Potranno servire ancora.
Seppellire e tacere,
A ragione e senza ragione,
Non si può guardare.
Ecco che arriva il fantasma,
Il sonno della ragione genera mostri,
Sani e ammalati.
Appena giorno ce ne andremo.
Trova un po’ d’appoggio,
Infelice madre!
Il Sabba
Professione di fede
Penitenza
Strana devozione!
Vostra grazia è la? Come dico, eh! Attenti, altrimenti…
Sì, sono di un altro lignaggio.
Aspetta che ti ungano
Mala notte.
Tristi presentimenti di quanto accadrà:
Stragi della guerra
Contro il bene generale
Ora hanno una sede.
Giuditta
Tu che non puoi,
Non sfuggirai.
Che coraggio!
Bravissimo!
Presenza amara,
Capita sempre:
La corda si rompe,
Fino alla morte
Né più né meno
Per un coltello.
Lo meritava.
Saturno
Siete nati per questo:
L’amore e la morte,
La filiazione
Fino al capostipite,
Non arrivano a tempo.
Non vogliono,
Cadranno tutti.
L’avvoltoio carnivoro,
Che becco d’oro!
L’allievo sarebbe più bravo del maestro?
Chi lo avrebbe creduto!
Barbari!
Pellegrinaggio di Sant’Isidro
Non conoscono la strada,
Salire e scendere,
Difficile il passo!
Guardate come sono gravi!
Nessuno si riconosce,
Non si mettono d’accordo,
Non si può sapere perché:
Questo è peggio,
Questo è il peggio!
È cosa forte
Medicarli e continuare
SECONDA STANZA
Pellegrinaggio alle fonti di Sant’Isidro
Che vocìo è questo?
Pantomima di gatti,
Farandola di ciarlatani,
Plebaglia.
Dove va mamma?
A caccia di denti
Dio la perdoni, era sua madre
Non gridare, stupida
Poverine!
Prega per lei,
Graziosa maestra!
Asmodea
Nemmeno queste
Nemmeno
Perché?
Ecco, la sua casa brucia,
E ben tesa,
Come la impiumano!
E ancora non se ne vanno!
Fuggono tra le fiamme,
Piccoli diavoli.
Letti di morte,
Sarà lo stesso
Rissa a bastonate
Spirò senza rimedio.
Quale dei due è più devoto?
Soffia,
Si difende bene
Il vergognoso.
Di che male morirà?
Fa caldo,
Meglio non farne niente.
Ragazzi all’opera
Eccoli, se ne vanno spennati
Due donne
Pronunciano il sì e offrono la mano al primo che arriva:
Qual sacrificio:
Che cosa può fare un sarto…
Nessuno può slegarci,
Carità di una donna
Per essere stata sensibile:
Anche guardandola così non può riconoscerla,
La scortica.
Chi si piglia si assomiglia
Ben gli sta,
Ed essi l’hanno rapita
Lo stesso
Due vecchi che mangiano la zuppa
Grazie alla cicerchia,
Vecchio coccolone,
C’è molto da succhiare.
A che serve la scodella?
Questa non lo è meno,
Sbrigati che si svegliano.
Tantalo
Ha rotto il vaso,
Non vi fu rimedio:
Che pazzia!
Questo è male
Lettura
I fannulloni
I soffiatori
Si fanno belli:
Omaggio al maestro,
Saggi,
Bei consigli
Al conte palatino.
I risultati
Al cimitero
Volarono…
Questo sì che si chiama leggere
Atropo
Le donne infondono valore,
E son forti
Filano fine:
Restituite al sonno,
Ne approfittano.
Buon viaggio
E’ ora:
Andate, dunque!
Nemmeno
Si resusciterà?
Non c’è più tempo…
Cane
Inghiotti, cane…
Nessuno ci ha visto
Fino al capostipite
La verità è morta
Tutto è sconvolto
Così avvenne.
Il peggio è chiedere.
Lamenti vani,
Che si può fare di più?
Anche questi
Anche questo
Io l’ho visto
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