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Los Angeles in fiamme: storia ed eredità di una rivolta



Riot Los Angeles '92
Immagine: Los Angeles Riots, Aftermath of the riot, 1992

All'inizio degli anni Novanta, sullo sfondo della ristrutturazione produttiva neoliberale ormai dispiegata, la rivolta di Los Angeles (1992) è la risposta alle politiche reaganiane della war on drugs e alla criminalizzazione dei quartieri che hanno gestito la riorganizzazione delle gerarchie della razza imposta dalle lotte anticoloniali e del proletariato bianco e nero nei decenni precedenti. Il testo ricostruisce il contesto in cui è maturata la rivolta e le dinamiche dall'interno, nel rapporto fra le due gang rivali dei Crips e dei Bloods, e dall'esterno, nel rapporto con le autorità locali e le forze di polizia, che l'hanno animata. Un materiale di approfondimento verso il festival Quando il futuro è finito, a Bologna dal 15 al 19 maggio.

 

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Oramai conosciuto nell’ambiente musicale, Dr. Dre (Andre Romelle Young), ex-rapper del gruppo hip-hop Niggaz Wit Attitudes, nel 1992 pubblicò il suo primo album da solista dal titolo The Chronic in cui ebbe notevole spazio anche Snoop Dog. Al netto dei testi omofobi e misogini criticati fin da subito dopo il lancio, l’album ebbe il merito di diventare una riflessione brutale circa uno degli eventi che ha finito per rappresentare, almeno in  parte, la chiusura del secolo scorso per gli Stati Uniti: la rivolta di Los Angeles iniziata il 29 aprile del 1992 e terminata il 4 maggio successivo. Molti dei pezzi di The Chronic vennero dedicati alla realtà dei ghetti afroamericani, lasciando intendere, grazie allo stile e ai riferimenti alla storia musicale afroamericana degli anni Settanta (come il campionamento di Little Ghetto Boy di Donny Hathaway del 1971 in ‘lil ghetto boy), in che modo la rivolta di Los Angeles si inserisse, per il rapper, in un quadro ben più ampio, di continuità e non discontinuità nella storia delle rivolte urbane del secolo scorso. La scintilla che provocò la rivolta fu l’assoluzione dei quattro poliziotti che nella notte del 3 marzo 1991 pestarono a sangue l’afroamericano Rodney King. Le dinamiche non furono dissimili dalla rivolta di Miami di 12 anni prima, quando anche in quel caso la comunità nera diede vita a una rivolta urbana in seguito all’assoluzione dei poliziotti che avevano ucciso un uomo afroamericano. Il video del pestaggio di King, casualmente ripreso dall’idraulico George Holliday[1], si diffuse rapidamente, tanto da apparire nel film biopic Malcolm X di Spike Lee uscito nelle sale nell’anno del riot di Los Angeles. Termini come «Burn Baby Burn» iniziarono a essere utilizzati dai manifestanti, mentre a fare breccia nella memoria collettiva fu un'altra rivolta razziale dalla portata devastante, quella del quartiere nero di Watts del 1965, esplosa 27 anni prima.  A emergere fu chiaramente il tema della violenza della polizia. In The Day The Nig*az Took Over dell’album di Dre, il rapper Daz Dillinger cantava:


Dem wonder why mi violent, dem no really understand

For di reason why mi take mi law in mi own hand

Mi not out for peace and mi not Rodney King

Dey gun goes click, mi gun goes bang

Dem riot in Compton and dem riot in Long Beach

Dem riot in L.A. 'cause dem no really wanna see

Niggas start to loot and police start to shoot

Lock us down at seven o'clock, barricade us like Beirut

Mi don't show no love 'cause it's us against dem

Dem never ever love mi 'cause it's sport to break dem

And kill, at my own risk, if I may

To lay, to spray with my AK and put 'em to rest.

 


«Just the trigger»

Il verdetto tanto quanto la violenza della polizia erano però la punta dell’iceberg. Rodney King era «just the trigger»[2] come disse uno dei membri dei Bloods, la gang coinvolta dalla fine degli anni Settanta in una guerra all’ultimo sangue con un’altra gang afroamericana, i Crips. La Los Angeles degli anni Novanta, soprattutto South ed East Los Angeles dove viveva la percentuale più alta della comunità nera, aveva vissuto gli effetti a lungo termine delle politiche federali draconiane contro le organizzazioni considerate potenzialmente eversive e che, dagli anni Settanta, erano state rivolte alle gang criminali. A ciò si aggiunsero gli effetti delle politiche reaganiane della war on drugs iniziata nel 1984. Applicata in larga scala, la guerra alla droga finì per colpire principalmente le comunità razzializzate del paese, ponendo, tra l’altro, distinzioni ridicole tra spaccio e consumo di droghe pesanti e droghe leggere[3]. Se a questa aggiungiamo la scelta della città di Los Angeles e del dipartimento di Polizia di avviare delle misure di controllo delle gang criminali anch’esse veicolate da misure repressive, a emergere è un quadro di criminalizzazione che rispondeva con l’incarcerazione e l’uso smodato della violenza da parte delle forze dell’ordine ai problemi socio-economici della città[4]. Come ha scritto Anne G. Fischer, la polizia ha finito per amplificare il mito razzista secondo cui la comunità nera fosse immorale e naturalmente portata al crimine, peggiorando gradualmente il rapporto tra i quartieri segregati neri e il resto della città. A Los Angeles, storicamente, si assistette da una parte a una decriminalizzazione dei reati commessi dai bianchi – dalla prostituzione alle infrazioni più banali come quelle stradali – dall’altra alla criminalizzazione dei neri per gli stessi reati. Inoltre, indicare uno spazio specifico come l’unico della città che viveva di crimini e vizi moralmente condannati dalla collettività, aveva alimentato le illegalità nei ghetti segregati, represse periodicamente e barbaramente dalla polizia: «Tale processo ha finito per creare una tautologia del vizio: la polizia limitava i vizi ai quartieri Neri condividendo le convinzioni razziste prevalenti sul rapporto tra devianza e “Nerezza”; ma poiché il vizio veniva spinto nei quartieri Neri, si [continuò] a ritenere che fossero questi i luoghi principali dove la legge veniva violata»[5].

 


Who’s the man with the master plan?

Come accadde per la rivolta di Watts e quelle successive della «Long Hot Summer» iniziate nel 1967, alla maggiore repressione seguì maggiore violenza. E mentre negli anni Ottanta il numero di giovani afroamericani che entrarono a far parte di gang criminali crebbe, così accadde per il numero di morti, di feriti, ma anche di ragazzi e ragazze razzializzate che entrarono in carcere. Nello scontro tra gang, così come tra le gang e la polizia, si stagliava lo stato di povertà, talvolta estrema, in cui versavano le minoranze razziali. Queste avevano vissuto sulla loro pelle le misure neoliberiste brutali delle politiche reaganiane di taglio agli aiuti federali alle famiglie, e gli effetti delle contrazioni di un mercato del lavoro che, al netto del superamento della crisi economica di inizio anni Ottanta, vedeva comunque le lavoratrici e i lavoratori afroamericani e ispanici alla base della piramide salariale[6]. A ciò si aggiungeva che le grandi aziende iniziarono progressivamente ad abbandonare le grandi città statunitensi, soprattutto nello stato della California, anche a causa della decisione dell’amministrazione Reagan di ridurre drasticamente i contributi federali indirizzati alle amministrazioni locali – mentre crescevano, invece, le spese federali per l’aumento di poliziotti e prigioni. Questo comportò una riduzione dei posti di lavoro, accompagnata anche dal peggioramento dei servizi – dai trasporti a quelli sanitari – e un aumento vertiginoso del tasso di disoccupazione, così come del tasso di abbandono scolastico. Lo spiegò bene Bruno Cartosio, a tre anni di distanza dalla rivolta: una delle motivazioni alla base dell’esplosione di rabbia risiedeva, nei fatti, nello stato dell’economia del paese.

Si trattò, secondo Cartosio, della «Terzomondizzazione di ampie zone, sia metropolitane, sia rurali», che prese forma nell’arco di circa quindici anni e grazie «all’iniziativa deliberata e arrogante di due presidenti e dei loro alleati nel mondo delle imprese, dell’economia e della finanza»[7]. Il divario tra l’economia legale e quella sommersa fece crescere il numero delle gang criminali, che al netto della violenza e della repressione, avevano maggiori possibilità di costruire una propria piramide economica. Come scrisse negli anni Sessanta Robert Allen in Black Awakening in Capitalist America: An Analytic History, per chi non riusciva ad entrare a fare parte del sistema, ad essere incorporato in esso e a vivere dignitosamente, la società offriva una copia illegale della piramide economica, che permetteva di pensare, in modo certamente più realistico, una carriera lavorativa per chi viveva nei ghetti.[8]  Scriveva Allen: «Di conseguenza, molti giovani del ghetto si affidano all'attività illegale – furto di auto, sfruttamento, prostituzione, scasso, gioco d'azzardo, spaccio di droga – per poter guadagnare. Coloro che non si dedicano alla criminalità organizzata ne entrano comunque in contatto, venendo così influenzati dalla mistica della criminalità, ampiamente diffusa nel ghetto.»[9]

A distanza di 23 anni dalle disamine di Allen, questo meccanismo non era cambiato e le interviste ai membri, rivali, dei Bloods e dei Crips, che indicano nella costruzione di gang criminali e nei racket illegali uno dei modi per risolvere il mancato accesso della minoranza nera nella società, sembrarono confermarlo. Se a iniziare la rivolta fu l’assoluzione dei poliziotti che pestarono King, a incendiare la città di Los Angeles furono, precisamente, gli effetti del capitalismo neoliberista dei reaganiani. Alla speranza che arrivasse qualcuno con un Master Plan, un piano definitivo, per risolvere i problemi che attanagliavano la comunità nera, si risposte con l’economia dei racket e le gang criminali che avrebbero fatto da contraltare al piano repressivo del governo. Come cantava Dr. Dre in un altro pezzo di The Chronic e usando come esempio la famosa canzone del gruppo funk Kay Gees, insomma:


Who’s the man with the master plan?

A Nig*a with a motherfucking gun

 


Los Angeles in fiamme

Nonostante, chiaramente, la lettura che vuole la rivolta di Los Angeles come parte di un quadro più ampio sia sicuramente corretta, d’altra parte quella stessa rivolta ebbe delle specificità che finiscono per complicare, e non semplificare, le radici e gli effetti di quelle cinque devastanti giornate. Diversamente da molte altre rivolte razziali, quella di Los Angeles fu una delle prime in cui, oltre a emergere la questione della emarginazione della comunità afroamericana, si pose anche il tema della violenza e della povertà endemica che colpivano la comunità latino-americana[10]. Non era stato un caso che nell’agosto 1991 la polizia di Los Angeles avesse sparato e ucciso due ragazzi ispano-americani. Quando iniziarono i disordini, una gran fetta dei looters, dei saccheggiatori, era composta da ispanici, così come era composta da ispanici un’alta percentuale degli arrestati a seguito della rivolta. La California, del resto, era storicamente una delle mete della migrazione latino-americana, soprattutto Centroamericana a partire dagli anni Ottanta, ovvero negli anni in cui guerre civili, diverse e tra loro eterogenee, attanagliavano l’area, vedendo anche il coinvolgimento militare statunitense.

D’altra parte, a emergere fu anche un altro e ulteriore elemento connotato a partire dalla linea del colore. A rivolta iniziata i manifestanti saccheggiarono e razziarono soprattutto proprietà commerciali di Koreatown, il quartiere coreano della città[11]. Che queste tensioni razziali non fossero il frutto esclusivamente della rivolta del 1992, lo testimonia anche il film di Spike Lee del 1989, Do The Right Thing. In uno dei momenti apicali della tensione razziale narrata dalla pellicola, ed esplosa a seguito dell’omicidio di Radio Raheem, uno dei protagonisti, a diventare bersaglio della folla non è soltanto la pizzeria italo-americana punto di riferimento per l’intero quartiere, ma una delle botteghe di proprietà di una coppia di immigrati coreani (che comunque si salva, per poco, dalla distruzione). L’anno prima della rivolta, nel mese di marzo, le tensioni razziali tra le due comunità avevano coinvolto una ragazzina afroamericana di 15 anni, uccisa dal proprietario coreano di un negozio, per un diverbio relativo all’acquisto di una bottiglia di succo di frutta. Soon Ja Du, l’omicida, dovette pagare 500$ di multa e svolgere lavori socialmente utili nonostante la sentenza per omicidio volontario[12]. Questa realtà esacerbò il rapporto complicato tra le due comunità, anche perché – come venne denunciato – si utilizzavano due pesi e due misure  che vedevano una forte criminalizzazione delle comunità nera e latino-americana. A contribuire ad amplificare le tensioni tra le due comunità, scrisse l’ex Pantera Nera Mumia Abu-Jamal, furono soprattutto i nazionalisti neri, i quali periodicamente descrivevano i supermarket coreani e altre imprese appartenenti alla comunità asio-americana come un limite all’espansione di un possibile mercato imprenditoriale afroamericano[13]. Non fu quindi un caso che l’anno precedente alla rivolta si verificarono una miriade di piccole rivolte a danno della comunità coreana, e che il negozio di Soon Ja Du fu il primo ad essere colpito dai manifestanti nel 1992.

 


Crips e Bloods

Nel corso degli anni Ottanta, la guerra all’ultimo sangue contro le gang divenne la lente attraverso cui la polizia di Los Angeles e di altre metropoli urbane del paese, guardavano al crimine nei quartieri neri. Fu anche per tali motivi che dal 1987 il corpo di polizia speciale Community Resources Against Street Hoodlums (CRASH), nato proprio per limitare la crescita delle gang, diede vita alla operazione Hammer, che vide un ulteriore aumento delle pattuglie nelle strade e arresti indiscriminati di sospettati. Le gang divennero, a più livelli, le protagoniste dello scontro e della rivolta: se 27 anni prima a Watts il riot venne fagocitato da una massa di manifestanti fatta di lavoratori afroamericani, la città di Los Angeles nel 1992 esplose anche e soprattutto perché furono i membri dei Crips e dei Bloods che iniziarono ad attaccare i minimarket e a guidare la rivolta[14]

Del valore politico della rivolta di Los Angeles l’amministrazione Bush, nei fatti, sembrò non accorgersene. Nonostante il presidente repubblicano avesse mostrato sgomento per l’ingiusta sentenza che aveva evitato il carcere ai cinque poliziotti che avevano malmenato King, Bush aveva finito per depoliticizzare la rivolta, descrivendo quest’ultima come una esplosione ingiustificata e incontrollata di rabbia. La risposta alla rivolta fu, in realtà, in linea con le misure repressive che avevano colpito le minorities statunitensi fino ad allora. Se da una parte la polizia di Los Angeles ne approfittò per colpire le gang criminali, dall’altra vennero colpiti i migranti provenienti dall’America Latina. Mentre i primi vennero arrestati in massa, i secondi vennero deportati dall’Immigration and Naturalization Service  e la cosa andò avanti fino al giugno di quell’anno. In generale, l’intervento che venne fatto dall’autorità statale e da quella federale a Los Angeles, dopo la rivolta, fu essenzialmente di repressione. Le gang criminali, invece, cercarono di operare diversamente[15].

A distanza di pochi giorni dalla rivolta, Crips e Bloods giunsero a un qualche tipo di compromesso – grazie anche all’intervento di Louis Farrakhan, leader della Nation of Islam ed esponente di quel nazionalismo nero condannato da Jamal nell’articolo citato. Una iniziale e necessaria considerazione era che le guerre tra bande aveva finito per dividere e non unire la comunità afroamericana e, nello stesso tempo, che le radici di quella rivolta andavano ricercate nell’emarginazione socio-economica della comunità nera. Le due bande, quindi, proposero alle autorità locali una tregua, chiedendo sostanzialmente due cose: la fine della repressione della polizia e la costruzione di nuovi posti di lavoro che sostituissero l’economia sommersa creata dalle gang.

Vennero quindi chiesti finanziamenti per 3,728 miliardi di dollari di investimenti nella comunità nera finalizzati a ricostruire gli edifici distrutti durante la rivolta, migliorare i servizi, costruire nuovi ospedali e migliorare lo stato delle scuole. Nonostante le speranze e i commenti dei gruppi comunisti ancora in vita negli Stati Uniti, la rivolta di Los Angeles non fu una lotta di classe: piuttosto fu una risposta all’emarginazione socio-economica delle minoranze ma che indicava come soluzione – almeno per quanto riguarda il testo pubblicato dalle due gang – l’integrazione della comunità afroamericana nel tessuto produttivo della società e un impegno da parte del governo federale a migliorare, sotto vari aspetti, la vita per la comunità nera. Pur riconoscendo, insomma, le radici materiali profonde di quella ribellione, mancò una critica al sistema capitalista neoliberista statunitense. Piuttosto, la proposta delle due gang fu un mix di tradizioni politico-culturali tra loro spesso in opposizione, che puntava a riformare il sistema.

Si sposarono, ad esempio, alcuni dei posizionamenti politici dei conservatori nazionalisti neri della Nation of Islam che vedevano nella crescita di un capitale afroamericano uno degli obiettivi per il miglioramento delle condizioni di vita degli afroamericani – quindi non attaccare il capitalismo ma creare un Black Capitalism che riuscisse a competere col primo. Venne recuperata l’idea delle Pantere Nere di formare dei cittadini afroamericani per pattugliare le strade sia per controllare che non si verificassero crimini, sia per denunciare e fermare l’uso immotivato della forza da parte della polizia. Infine, come sostenuto da figure politiche liberali, si vide nell’incremento dei programmi governativi una risoluzione ai mali che avevano attanagliato la comunità nera. Come scrisse Cornel West:  «Quello che è successo a Los Angeles nell’aprile del 1992 non è stata né una rivolta razziale, né una ribellione di classe. Invece, questa colossale sollevazione è stata un dispiegamento multirazziale, interclassista e in prevalenza maschile di una giustificata rabbia sociale. […] Ciò di cui siamo stati testimoni a Los Angeles è la conseguenza di un intreccio letale tra declino economico, decadenza culturale e letargo politico nella vita americana»[16].

A fare da collante tra queste posizioni, secondo West, l’idea ampiamente condivisa dai manifestanti che per rispondere all’intersezione tra classe e razza nella costruzione di gerarchie socio-economiche negli Stati Uniti, la solidarietà razziale fosse la risposta. A ciò non seguì, secondo West, il tentativo di formare un fronte politico più ampio, che travalicasse la linea del colore e fosse capace di focalizzarsi, soprattutto, sui divari economici e sociali che attanagliavano un intero paese segnato dalla crisi della politica di base e rappresentativa[17]. Ad ogni modo, le proposte avanzata dalle due gang rimasero lettera morta, anche perché sia i dipartimenti di polizia, sia le autorità locali videro nella repressione - al pari di Bush - il mezzo per evitare future rivolte. Il trattato di pace tra i due gruppi portò a una lenta pacificazione grazie alla quale si assistette a una riduzione drastica degli omicidi, mentre le autorità locali non furono capaci di valorizzare l’impegno delle gang nell’organizzare eventi e attività finalizzate a mobilitare la comunità nera. Dei diversi miliardi che sarebbero dovuti servire a ricostruire i quartieri e a migliorare le condizioni di vita degli abitanti, vennero stanziati soltanto 400 milioni di dollari, e alla fine degli anni Novanta la situazione della città tornò a essere quella precedente alla rivolta, con la disoccupazione crescente, il divario economico, la repressione della polizia e gli scontri tra gang.

 


L’eredità della rivolta

L’eredità della rivolta di Los Angeles è quella, quindi, di una occasione mancata sotto diversi aspetti. E ciò, sia per il disinteresse delle amministrazioni locali e di quella governativa, di creare un piano a lungo termine per la città, sia per non avere accolto i tentativi dei gruppi criminali di mettere fine agli scontri e di impegnarsi per il sociale. L’arrivo del nuovo millennio, d’altra parte, non ha portato a una risoluzione sostanziale dei problemi evidenziati dalla rivolta del 1992 a cui si chiedeva di rispondere con programmi strutturali. Negli anni che vanno dalla presidenza Clinton a quella di Bush Jr. il divario economico dettato dalla linea del colore crebbe. Nel 2001, poi, a Cincinnati in Ohio, si verificò una rivolta abbastanza simile a quella di Los Angeles: anch’essa provocata dalla violenza della polizia ma che comunque dava voce ai problemi socio-economici che attanagliavano le comunità razzializzate. 

Come sottolineato dalla storica Elizabeth Hinton, dagli anni Duemila le rivolte urbane sono state spesso lette solo ed esclusivamente come la risposta alla violenza della polizia. Vennero infatti prese alcune misure, come utilizzo di tecnologie quali le bodycam. Ma tali risposte non spostarono di un millimetro le condizioni di povertà endemica che saranno denunciate dai manifestanti anche anni dopo, nel 2014 a Ferguson (Missouri), quando anche in quel caso un ragazzo, Michael Brown, venne ucciso dalla polizia. Grazie alla nascita del movimento Black Lives Matter, il tema della violenza della polizia è diventato tema di dibattito al livello internazionale[18]. Tuttavia, come nel caso delle rivolte del 1992, anche quando a esplodere è stata Minneapolis nel maggio 2020 – e di seguito anche tante altre città, compresa, nuovamente Los Angeles – a incidere positivamente è stata sicuramente una riflessione che ha evidenziato come sia impossibile scindere la violenza della polizia dalla realtà socio-economica in cui le minoranze – non solo quella afroamericana – vivono ancora oggi. Dai giorni dell’ultimo riot di Minneapolis - dopo l’uccisione dell’afroamericano George Floyd - che hanno, in qualche modo, lasciato emergere gli spettri della rivolta di Los Angeles evocati dalla risposta violenta dei manifestanti, il movimento Defund the Police ha contribuito a sottolineare come criticare la polizia non significasse solo ed esclusivamente criticarne le violenze, ma mettere in discussione le priorità delle spese governative. Anziché indirizzarle a un potenziamento, in chiave militare, della polizia – nell’onda lunga delle politiche statunitensi dalla seconda metà del secolo scorso – quegli stessi fondi, aveva sottolineato il movimento, avrebbero dovuti essere indirizzati al miglioramento delle condizioni delle città.  Secondo le analisi recenti del giornalista Ernesto Londoño[19], tuttavia, quello stesso movimento ha finito per scontrarsi con l’incapacità di creare un ampio movimento per supportare il definanziamento alla polizia, posizione quest’ultima gradualmente abbandonato anche dal Partito Democratico che inizialmente aveva mostrato una certa apertura.

Quel che è certo è che, seppur in maniera diversa, emersero in quella circostanza alcune delle proposte avanzate nel 1992 dalle gang di Los Angeles, mostrando come l’eredità di quella rivolta fosse rimasta impressa nella memoria collettiva. D’altra parte, seppur inquadrabile in un contesto di lungo periodo, le rivolte razziali statunitensi non sono mai uguali a se stesse e le rivolte risultano diversificate da città a città, pesantemente influenzate dal contesto storico e politico in cui esse si collocano. È una storia, quella della rivolta di Los Angeles, di un paese che cambia, di opportunità sprecate e non raccolte, così come della mancanza di una risposta politica di lunga durata alle condizioni che l’hanno provocata. Di quella eredità è rimasta la critica dei problemi strutturali di un paese diviso dalla linea del colore, in cui l’emarginazione socio-economica è ancora lì e la violenza della polizia continua a riempire i notiziari[20].



Note

[1] C. Risen, George Holliday, Who Taped Police Beating of Rodney King, Dies at 61, «The New York Times», 22 settembre 2021 <https://www.nytimes.com/2021/09/22/us/george-holliday-dead.html>.

[2] E. Hinton, America On Fire: The Untold History of Police Violence and Black Rebellion Since the 1960s, Londra, William Collins, 2021, p. 234.

[3] D. Farber, Crack: Rock, Cocaine, Street Capitalism, and the Decade of Greed, Cambridge University Press, Cambridge 2019, p. 38.

[4] D. Murch, Crack in Los Angeles: Crisis, Militarization, and Black Response to the Late Twentieth-Century War on Drugs, «The Journal of American History», CII, 1 giugno 2015, pp. 162-173.

[5] A. G. Fisher, The Streets Belongs to Us: Sex, Race, and Police Power from Segregation to Gentrification, Brooks Hall, The University of North Carolina Press, 2021, pp. 96-97.

[6] T. Bates, Rising Skill Levels and Declining Labor Force Status Among African American Males, «The Journal of Negro Education», vol. 64, no. 3, 1995, pp. 373–83. 

[7] B. Cartosio, Los Angeles e il dopo Reagan, in Id (a cura di), Senza illusioni. I neri negli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, Shake Edizioni, Cesena 1995, p. 195.

[8] R. Allen, Black Awakening in Capitalist America: An Analytic History, Doubleday, New York, 1969, pp. 268-269.

[9] Ibid.

[10] G. Arellano, Column: He was murdered during the L.A. riots. We can’t forget Latinos like him, «Los Angeles Times», 27 aprile 2022 < https://www.latimes.com/california/story/2022-04-27/latinos-la-riots-forgotten>.

[11] E. T. Chang, Confronting Sa-i-gu: Twenty Years after the Los Angeles Riots, «Amerikastudien/American Studies», Vol. 35, n. 2, 2012, pp. 1-27.

[12] Hinton, America On Fire, cit. p. 234.

[13] M. Abu-Jamal, A Rage in The District, in «Black History and the Class Struggle», Spartacist Publishing, n. 9, Agosto 1992, p. 44.

[14] Hinton, America On Fire, cit., p. 233.

[15] Ivi, pp. 243-256.

[16] C. West, Imparare a parlare di razza, in B. Cartosio, a cura di, Senza Illusioni, cit. pp. 239-240.

[17] Ivi, p. 244.

[18] Hinton, America On Fire, cit. 283.

[20] Si veda: Mapping Police Violence Interactive Database. Mapping Police Violence, 2024,  https://mappingpoliceviolence.us


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Bruno Walter Renato Toscano ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia presso l’Università di Pisa ed è assegnista di ricerca presso la Ca’Foscari Università di Venezia. Le sue ricerche si concentrano sulla storia dei movimenti politici afroamericani e femministi tra gli anni Sessanta e Ottanta. È autore del libro Pantere nere, America bianca. Storia e politica del Black Panther Party, Ombre Corte 2023.

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