top of page

Lo spettacolo tra rappresentazione e separazione

Aggiornamento: 20 giu

Estratto da Lo stratega contro. La sconvolgente attualità di Guy Debord


Guy Debord
Immagine di Angelica Ferrara

Esce oggi 20 giugno il nuovo volume di MachinaLibro, dedicato ad una delle figure più originali del Novecento, Guy Debord.

Nel testo viene chiarito come il concetto di «società dello spettacolo» sia oggi fondamentale per leggere le dinamiche del presente. L’originalità del libro di Gabriele Fadini consiste nell’analizzare come Debord utilizzò nella sua produzione cinematografica le immagini per contrastare lo spettacolo.

Ne pubblichiamo oggi un estratto.


***

Per Debord lo spettacolo si costituisce come l’erede e il culmine del progetto filosofico occidentale fondato sul «vedere » e sulla «forma-Stato», ed ha quindi a che fare con l’immagine e in particolare con quella forma particolare dell’immagine che è la rappresentazione. Prima di entrare in medias res, si tratta di intenderci sul significato debordiano di rappresentazione. A nostro avviso esso è ben espresso in queste righe tratte dalla sceneggiatura del film Critica della separazione (1961):


La funzione del cinema è di presentare una falsa coerenza isolata, drammatica o documentaria, come sostituzione di una comunicazione e di un’attività assenti. Per demistificare il cinema documentario, bisogna dissolvere quello che si definisce il suo soggetto.


Rappresentazione è dunque sia l’atto della presentificazione di qualcosa già da sempre assente, sia un atto sostitutivo che ri-presenta qualcosa laddove esso non è più. Così ancora Debord ne La società dello spettacolo:


Nello spettacolo una parte del mondo si rappresenta davanti al mondo e gli è superiore. Lo spettacolo non è che il linguaggio comune di questa separazione.


Lo spettacolo, in altri termini, è un’imitazione insensata e ingegnosa del reale fatta per non dire nulla; un accumulo di immagini che il tempo porta via perché in esso il reale si riflette sul nulla di cui è specchio. Nello spettacolo il mondo esiste come già filmato di contro al fatto che esso va invece trasformato e non meramente contemplato. La rappresentazione è dunque sinonimo di spettacolo proprio perché in essa, come Debord afferma ne In girum, il nemico della società di cui lo spettacolo è immagine è trasportato dalla zona della prassi a quella della scena, dalla zona dell’azione – aggiungiamo noi – a quella della separ-azione:


Ciò che unisce gli spettatori non è che un rapporto irreversibile al centro stesso che mantiene il loro isolamento. Lo spettacolo riunisce il separato, ma lo riunisce in quanto separato.


Come, a nostro avviso, ben sottolinea Wark lo spettacolo tenta di abolire lo spazio qualitativo e il tempo irreversibile della storia offrendo al suo posto mere rappresentazioni del tempo e dello spazio, immagini che hanno un equivalente formale, ognuna delle quali può essere scambiata con un’altra a tal punto che a ogni immagine può seguirne un’altra. Le immagini dello spettacolo, dunque, sono una rappresentazione fedele di un mondo falsificato.

Avremo modo più avanti di tornare su questo tema legato alla rappresentazione come sinonimo dello spettacolo, per il momento ci concentreremo sull’individuazione della prassi opposta allo spettacolo. L’azione pratica è, infatti, per Debord ad esempio anche il carattere più autentico della militanza situazionista, di contro ai cosiddetti pro-situs, ovvero coloro che all’interno del movimento situazionista si limitano a contemplare e non ad agire, laddove contemplazione fa rima con alienazione.

Nell’importantissima Prefazione alla quarta edizione italiana de La società dello spettacolo, datata 1979 e scritta originariamente con l’intento di elogiare, nella sua quarta edizione appunto, la traduzione de La società dello spettacolo fatta da Paolo Salvadori, Debord sin dalle prime pagine, va direttamente verso uno dei punti decisivi del suo discorso: la critica alla società dello spettacolo e all’idea di immagine di cui essa si fa portatrice si radica in quel movimento storico che ha potuto edificare l’ordine dello spettacolo. Ordine che ha radici politico-socio-economiche molto precise e che Debord metterà in luce ne La società dello spettacolo, ma che nella Prefazione egli ci lascia intendere a partire dal movimento antagonista che contro di esso si scatenò. Un movimento che vide nelle fabbriche d’Italia il luogo in cui La società dello spettacolo trovò i suoi migliori lettori. L’Italia per Debord funge da esempio paradigmatico:


L’Italia riassume le contraddizioni sociali del mondo intero, e tenta, nel modo che si sa, di amalgamare in un solo Paese la Santa Alleanza repressiva del potere di classe, borghese e burocratico- totalitario, che già funziona apertamente su tutta la superficie della Terra, nella solidarietà economica e poliziesca di tutti gli Stati […]. Essendo per il momento il Paese più avanzato nello slittamento verso la rivoluzione, l’Italia è anche il laboratorio più moderno della controrivoluzione internazionale.


Il soggetto antagonistico cui Debord si rivolge è il movimento operaista italiano cui fa riferimento per le pratiche dell’assenteismo, degli scioperi selvaggi che nessuna concessione particolare riesce a placare, del lucido rifiuto del lavoro, del disprezzo per la legge e per tutti i partiti statalisti. Movimento che è il solo a poter riconoscere compiutamente la difficoltà e l’immensità dei compiti di una rivoluzione che voglia instaurare una società senza classi e che cominci ovunque dalle assemblee proletarie autonome che non riconoscono al di fuori di esse alcuna autorità o proprietà e che pongono la loro volontà al di sopra di tutte le leggi e di tutte le specializzazioni. Il riferimento all’antagonismo è di fondamentale importanza per una riflessione sull’immagine, poiché come Debord viene sostenendo nell’Avvertenza alla terza edizione francese de La Società la teoria dello spettacolo «non va cambiata, fin tanto che non saranno distrutte le condizioni generali del lungo periodo storico che questa teoria è stata la prima a definire con esattezza». Ma qual è la contraddizione dello spettacolo? Qui la Prefazione si pone come ideale punto di congiuntura tra La società e i Commentari alla Società dello Spettacolo:


La contraddizione essenziale del dominio spettacolare in crisi è che esso ha fallito sul punto in cui era più forte, su certe piatte soddisfazioni materiali, che escludevano ben altre soddisfazioni, ma che si presumevano sufficienti per ottenere l’adesione reiterata delle masse di produttori-consumatori. Ed è precisamente questa soddisfazione materiale che esso ha inquinato e che ha cessato di fornire. La società dello spettacolo era cominciata dovunque nella costrizione, nell’inganno, nel sangue; ma essa prometteva un seguito felice. Credeva di essere amata. Ora, non promette più nulla […]. Confessa francamente di non essere più, per l’essenziale, riformabile; benché il cambiamento sia la sua natura stessa, per tramutare in peggio ogni cosa particolare. Essa ha perduto tutte le illusioni generali su sé stessa.


Avremo modo più avanti di riflettere su questa contraddizione e soprattutto sull’affermazione secondo cui il cambiamento sarebbe la natura stessa dello spettacolo. Per ora ci basti osservare ancora come emerga sia dalla Prefazione che dalla successiva Avvertenza, il chiarissimo punto di vista debordiano: una critica all’immagine spettacolare non può non passare per una critica radicale alle condizioni storiche da cui essa nasce e cui essa contribuisce a rafforzare a propria volta.


La società dello spettacolo

Il titolo della prima sezione del libro – La sperazione compiuta – indica già da subito i due aspetti costitutivi dello spettacolo per cui le condizioni moderne di produzione che rendono tutti gli aspetti della vita un’immensa accumulazione di spettacoli sono segnate dalla rappresentazione18 e dalla separazione. Ivi ci interessa affrontare il tema dal punto di vista che caratterizza l’immagine rappresentativa come espressione della separazione della vita da sé stessa. Lo spettacolo è il movimento autonomo del non-vivente, in cui «il menzognero ha mentito a se stesso» ma non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale mediato dalle immagini. Per Debord, come già accennato in precedenza, la separazione è la via che conduce alla definizione dell’immagine spettacolare come immagine caratterizzata dall’essere una rappresentazione. È noto il debito feuerbachiano che il cineasta francese ha fin dall’inizio della sua opera, tanto che l’esergo alla prima sezione è proprio un passo trattato dalla prefazione a L’essenza del cristianesimo di Feuerbach. La separazione in cui consiste lo spettacolo non è l’alienazione religiosa, ma ne condivide la formalità logica:


Lo spettacolo è la realizzazione tecnica dell’esilio dei poteri umani in un al di là; la scissione compiuta all’interno dell’uomo. E ancora, specificando meglio, lo spettacolo viene definito come il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso.


Poco più avanti, Debord spiega in cosa consista questa scissione compiuta all’interno dell’uomo. Il fatto che la potenza pratica della società moderna si sia staccata da sé stessa e si sia edificata una struttura indipendente nello spettacolo, può spiegarsi solo con il fatto che questa pratica potente era rimasta in contraddizione con sé stessa. L’origine dello spettacolo è la perdita dell’unità del mondo e il suo modo d’essere concreto è l’astrazione: chi più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio. Di qui il fatto che il lavoratore non produce se stesso, ma una potenza indipendente da lui. Il successo di questa produzione, la sua abbondanza ritorna al produttore come abbondanza dell’espropriazione e le forze stesse che gli sfuggono si mostrano in tutta la loro potenza:


Lo spettacolo è l’ideologia per eccellenza, perché espone e manifesta nella sua pienezza l’essenza di ogni sistema ideologico: l’impoverimento, l’asservimento e la negazione della vita reale. Lo spettacolo è materialmente «l’espressione della separazione e dell’estraniarsi dell’uomo dall’uomo». […] È lo stadio supremo di un’espansione che ha ritorto il bisogno contro la vita.


La separazione è, dunque, l’alfa e l’omega dello spettacolo come immagine immobile. Altro aspetto della separazione è la lacerante distanza tra chi contempla e chi vive. L’uomo «separato dal suo prodotto» produce sempre più potentemente egli stesso tutti i dettagli del suo mondo e si trova così sempre più separato da questi. Quanto più la sua vita è ora il suo prodotto, tanto più egli è separato dalla sua vita.


L’esteriorità dello spettacolo rispetto all’uomo agente si manifesta in ciò che i suoi gesti non sono più suoi ma di un altro che glieli rappresenta. È la ragione per cui lo spettatore non si sente a casa propria da nessuna parte, perché lo spettacolo

è dappertutto.


Ed è su questo crinale della separazione che avviene la declinazione dell’immagine spettacolare in immagine rappresentativa:


Ovunque vi è rappresentazione indipendente lo spettacolo si ricostituisce. Lo spettacolo è l’erede di tutta la debolezza del progetto filosofico occidentale […] dominato dalla categoria del vedere; così come si fonda sull’incessante spiegamento della razionalità tecnica precisa che è uscita da questo pensiero […]. È la vita concreta di tutti che si è degradata in universo speculativo.


Come sottolinea anche Jappe, la rappresentazione che Debord critica e che è sinonimo di spettacolo è la rappresentazione che si è resa indipendente:


Tutto quello che manca alla vita si ritrova in quell’insieme di rappresentazioni indipendenti che è lo spettacolo. Si possono citare come esempi i personaggi famosi, attori o uomini politici che siano, che debbono rappresentare quell’insieme di qualità umane e di godimento della vita che è assente dalla vita effettiva di tutti, imprigionati in miseri ruoli.


E ancora:


[…] in Debord l’«immagine» non è un fattore circoscritto separato dalla totalità sociale. «Spettacolo» è ogni sostituzione del vissuto con una sua rappresentazione, ogni occasione in cui la contemplazione passiva di un’idea, di un’immagine – non necessariamente visiva – sostituisce il vivere in prima persona.


Detto questo, non si possono opporre astrattamente lo spettacolo e l’attività sociale effettiva. Lo spettacolo che investe il reale è effettivamente prodotto e, nello stesso tempo, la realtà vissuta è materialmente invasa dalla contemplazione dello spettacolo, e riproduce in sé stessa l’ordine spettacolare portandogli un’adesione positiva. La realtà sorge nello spettacolo e lo spettacolo è reale. Detta in altre parole, nello spettacolo il mondo sensibile è stato sostituito da una selezione di immagini che esiste al di sopra di esso e che nello stesso tempo si è fatta riconoscere come il sensibile per eccellenza. Esso, al pari della società moderna, è nello stesso tempo unito e diviso in modo tale che «la divisione mostrata è unitaria, mentre l’unità mostrata è divisa». Un’altra caratteristica assolutamente fondamentale dello spettacolo, consiste nel fatto che ciò che esso dà come perpetuo è in realtà fondato sul cambiamento, e deve cambiare con la sua base. Lo spettacolo è assolutamente dogmatico e nello stesso tempo non può approdare a nessun solido dogma. Niente si arresta per esso; e lo stato che gli è naturale è tuttavia il più contrario alla sua inclinazione. Come già visto, per comprendere al meglio lo spettacolo è utile guardare a ciò che si pone come radicale alternativa a esso. Il proletariato è la classe che vive l’esperienza storica di essere colei che è totalmente nemica di ogni esteriorizzazione congelata e indipendente. Ciò fa sì che il proletariato non possa riconoscersi veracemente in un torto particolare che avrebbe subito, né dunque nella riparazione di un torto particolare, né nella riparazione di un gran numero di torti, ma solamente nel torto assoluto di essere gettato ai margini della vita. Soltanto laddove il proletariato è insieme prodotto e produttore, la negazione spettacolare della vita è negata a sua volta, e non vi è spazio per la rappresentazione di una classe che può solo riconoscersi come separazione radicale dal mondo della separazione.



***


Gabriele Fadini è dottore di ricerca in filosofia presso l’Università di Padova e in Scienze religiose presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Tra le sue diverse opere, ricordiamo i volumi Pasolini con Lacan (2015), Dio nell’umano, l’umano in Dio (2021), Mosaico Soderbergh (2023).


Acquista qui il volume:


2 Comments


Personalmente credo che sì, il mondo del gambling online rappresenti una forma di spettacolo moderno, dove la promessa di vincita immediata e l’adrenalina del rischio diventano parte di una messa in scena ben costruita. L’utente è coinvolto ma, allo stesso tempo, isolato dietro l’interfaccia algoritmica che regola ogni dinamica.

A proposito, in questa ottica è interessante come in questa https://casinononaams.info/ si menzioni una piattaforma come casino non AAMS, dove la libertà di gioco si accompagna a una vasta scelta di siti affidabili, ma è importante riflettere anche sul lato etico di questa “libertà spettacolarizzata”.

Like

fdonooc
Jun 19

Articolo molto stimolante! L'analisi della spettacolarizzazione e del distacco tra realtà e rappresentazione mi ha fatto pensare a un fenomeno parallelo nel mondo digitale: quello dei casinò online e dei giochi d’azzardo. Anche lì spesso si crea una "rappresentazione spettacolare" della vincita e del rischio, che può nascondere la realtà della perdita e della dipendenza. Secondo voi, possiamo considerare il mondo del gambling come una nuova forma di spettacolo che simula partecipazione ma in realtà isola il giocatore in una finzione algoritmica?

Like
bottom of page