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L'atomica più lenta della Storia

Estratto da L'Iran e la bomba


Disegno di Angelica Ferrara
Disegno di Angelica Ferrara

«La vicenda della bomba atomica iraniana è entrata nelle cronache mediorientali e internazionali tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, e per i successivi vent’anni (un periodo davvero lungo in questa epoca di "accelerazione della storia"), pur rimanendo del tutto ipotetica, da fonti occidentali è sempre stata via via annunciata come ormai imminente. Nello stesso periodo, anno dopo anno, Israele ha frequentemente e regolarmente minacciato un attacco aereo “preventivo” per distruggere i siti nucleari iraniani e annientare il pericolo di armi atomiche, o comunque ritardarlo di molti anni».

Iniziava così il capitolo «L’atomica più lenta della Storia», parte del volume L’Iran e la bomba di Giorgio S. Frankel, pubblicato per la prima volta nel 2010 e ora riproposto da DeriveApprodi in una nuova edizione.

Oggi, quell’attacco preventivo di Israele è divenuto realtà. Con la risposta dell’Iran e il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto, le dinamiche che Frankel analizzava quindici anni fa sono tornate con forza al centro dell’attualità. Come scrive Andrea Fumagalli nella nuova introduzione al libro, quelle pagine «sembrano scritte ieri».

Le giustificazioni avanzate dai paesi occidentali per legittimare l’azione militare contro l’Iran, infatti, non sono cambiate: ripropongono argomentazioni che risalgono a decenni fa, iterate come un copione collaudato. Con una differenza fondamentale: la crisi ormai conclamata dell’egemonia statunitense e il tentativo, sempre più disperato, di riaffermarla attraverso lo strumento bellico.

Il libro, strumento indispensabile per capire la guerra in Medio Oriente, sarà disponibile nei prossimi giorni in libreria e sul sito di DeriveApprodi.


***


La vicenda della bomba atomica iraniana è entrata nelle cronache mediorientali e internazionali tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, e per i successivi vent’anni (un periodo davvero lungo in questa epoca di «accelerazione della storia»), pur rimanendo del tutto ipotetica, da fonti occidentali è sempre stata via via annunciata come ormai imminente. Nello stesso periodo, anno dopo anno, Israele ha frequentemente e regolarmente minacciato un attacco aereo «preventivo» per distruggere i siti nucleari iraniani e annientare il pericolo di armi atomiche, o comunque ritardarlo di molti anni. Ammesso che l’Iran persegua davvero un programma militare segreto, in parallelo a quello civile, la sua è certamente la bomba atomica più lenta ed evanescente della storia: all’inizio del 2010 se ne parlava ancora come di una prospettiva futura e non era chiaro se Teheran avesse effettivamente deciso di dotarsi di armi nucleari [1]. Nel 2007, tra l’altro, il National Intelligence Council, che riunisce le 16 agenzie di intelligence degli Stati Uniti, tra cui la Cia, sosteneva (in un rapporto assai controverso) che l’Iran aveva probabilmente cessato il suo programma per le armi atomiche già nel 2003 [2]. Se quella iraniana è l’atomica più lenta della storia, l’attacco preventivo israeliano merita anch’esso di essere citato come l’azione militare che nell’era contemporanea è stata più a lungo e ripetutamente annunciata, discussa e di volta in volta accantonata. È assai curioso il fatto che, dall’inizio degli anni Novanta in poi, il dibattito sull’ipotetica atomica iraniana e le sue implicazioni non abbia registrato alcuna significativa evoluzione, almeno per quanto riguarda le analisi di dominio pubblico. Il repertorio degli uomini politici, dei militari, degli esperti e analisti, e dei commentatori, negli Stati Uniti, in Europa e in Israele, propone sempre le stesse argomentazioni ormai canoniche, con pochi aggiornamenti, e pochissime innovazioni. Così, all’inizio del 2010, le analisi circa i presunti scopi nucleari dell’Iran, la sua potenziale minaccia e la necessità di un’azione militare preventiva da parte di Israele (che vede nell’Iran atomico una «minaccia esistenziale») o degli Stati Uniti, ripetevano quasi testualmente cose dette nel corso dei precedenti vent’anni. Gli iraniani, da parte loro, hanno continuato a ripetere, anch’essi monotonamente, di non avere in programma l’atomica. L’ayatollah Ali Khamenei, supremo leader spirituale del paese, si è spinto ad affermare che le armi nucleari sono contrarie alla religione islamica. La pubblicistica occidentale, invece, è solita citare un’affermazione dell’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani che dimostrerebbe la volontà dell’Iran di dotarsi di armi atomiche e usarle contro Israele. In realtà, si tratta di una frase molto breve e generica, pronunciata durante un sermone per la preghiera del venerdì, a Teheran, nel dicembre 2001. Rafsanjani disse che se il mondo islamico si fosse dotato delle stesse armi (atomiche) che aveva Israele, la strategia dell’imperialismo si sarebbe trovata in stallo, perché una guerra nucleare avrebbe distrutto Israele provocando solo danni nel mondo islamico. Tuttavia, aggiunse Rafsanjani, l’Iran non voleva che il mondo cadesse vittima della mancanza di sicurezza, né che il clima di antagonismo sfociasse in una Terza guerra mondiale [3]. Questa seconda parte della sua dichiarazione fu quasi totalmente ignorata dai media occidentali. Molti, tra cui l’allora ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres, stabilirono che Rafsnajani aveva minacciato Israele di «annientamento nucleare» [4]. Laddove nella frase di Rafsanjani si poteva vedere l’idea di un possibile equilibrio nucleare in Medio Oriente basato sulla deterrenza. Nei vent’anni di discorsi standardizzati sulla «imminente » bomba iraniana, un significativo capitolo riguarda le frequenti considerazioni, anch’esse ormai cristallizzate, relative alle numerose difficoltà pratiche per cui un attacco aereo ai siti iraniani rischierebbe di non conseguire effetti risolutivi. In Occidente si continua a parlare dell’eventualità (e dell’inevitabilità) di un attacco all’Iran, e al tempo stesso si dice che l’attacco sarebbe problematico e dai risultati incerti.


Israele: analisi sobrie, slogan iperbolici, nessun dibattito

Un fatto interessante è che, quando una periodica spirale di tensione tra Israele e Iran, con relative minacce di attacco israeliano, raggiunge la massima intensità, i media israeliani segnalano, di solito, l’inizio del successivo declino del pericolo riferendo di analisi o autorevoli dichiarazioni secondo cui, in realtà, Israele non avrebbe una propria «opzione militare» autonoma. Nel febbraio 2010, per esempio, l’ex capo dello stato maggiore generale delle forze israeliane, Dan Halutz, disse che Israele, probabilmente, non aveva mezzi militari adeguati per realizzare con successo un attacco aereo contro i siti nucleari iraniani [5]. Una ricorrente formula israeliana di disimpegno afferma che un Iran nucleare è una minaccia non solo per Israele ma per il mondo intero e tocca quindi alla comunità internazionale risolvere il problema. Nel settembre 2008, il premier israeliano Ehud Olmert, in una lunga intervista al quotidiano «Yedioth Ahronot», affermava che qualsiasi idea secondo cui Israele poteva o doveva attaccare da solo l’Iran era pura e semplice «megalomania», e aggiungeva: «siamo un paese che ha ormai perso il senso delle proporzioni riguardo a se stesso» [6]. In altri casi, può succedere che un israeliano con una qualche autorevolezza attenui la tensione dicendo che la bomba iraniana non è così imminente, o persino affermando che, «no, l’Iran non è per Israele una vera minaccia esistenziale». Tra gli altri, lo ha detto anche il ministro della Difesa e leader del partito laburista Ehud Barak, nel febbraio 2010, parlando ai membri della commissione Esteri e Difesa della Knesset (il parlamento unicamerale): «L’Iran non pone in questo momento una minaccia esistenziale a Israele» [7]. Possiamo essere certi che questi non sono interventi estemporanei: nessun personaggio pubblico israeliano parla alla leggera, improvvisando, a titolo personale, o in palese contrasto con la «dottrina» politico-strategica, quando si tratta di questioni attinenti la sicurezza nazionale. L’affermazione, sopra citata, di Barak era certamente in totale contrasto con le tesi espresse dal premier Benjamin Netanyahu, secondo cui l’Iran preparava contro Israele una «nuova Auschwitz» – un’affermazione chiaramente propagandistica e iperbolica. Quel che stupisce è che affermazioni autorevoli ma decisamente clamorose, come quelle citate di Halutz, Olmert e Barak, e di altri ancora, non provocano alcun dibattito in Israele e sembrano lasciare il pubblico del tutto indifferente. Infine, le spirali di tensione verso l’Iran possono essere frenate anche da periodici, aperti dissensi tra Israele e Stati Uniti circa la valutazione del programma nucleare iraniano, e in particolare l’urgenza della minaccia e la necessità di un’azione militare – com’è accaduto nel 2005 o nel 2008 e ancora nel 2009-10, tanto per citare alcuni episodi tra i più importanti.



Iran: irrazionale, fanatico, espansionista o no?

Il profilo comportamentale di un futuro Iran nucleare proposto dai media afferma che l’Iran è irrazionale e fanatico, votato alla distruzione di Israele e alla conquista del mondo, immune da quella fondamentale logica della deterrenza che anche durante la Guerra Fredda

assicurato uno stabile equilibrio nucleare a livello globale, e quindi disposto a subire devastanti contrattacchi nucleari pur di poter lanciare le sue (future) armi atomiche contro i suoi avversari. Ciò è davvero preoccupante. Tuttavia, lo stesso identico profilo fu elaborato a suo tempo a proposito del pericolo di un’Unione Sovietica dotata di armi atomiche, poi della Cina nucleare e infine della possibilità che un qualche paese arabo (si parlò dell’Egitto, o anche della Libia, prima ancora dell’Iraq di Saddam Hussein) si dotasse di armi atomiche [8]. Inoltre, alcune delle caratteristiche che quel profilo attribuisce all’Iran, come per esempio l’irrazionalità, la politica estera dominata dal fanatismo ideologico e l’espansionismo potrebbero essere semplicemente non vere. L’esperienza storica suggerisce, infatti, che il regime iraniano si muova razionalmente, conduca una politica estera cauta e pragmatica e non persegua mire espansionistiche. Per esempio, stando a numerose fonti, nel 2003 l’Iran, tramite l’ambasciatore svizzero a Teheran, Tim Guldimann, propose agli Stati Uniti un ampio negoziato per affrontare tutte le vertenze tra i due paesi, compresa la questione nucleare e il contrasto tra Iran e Israele. Alcuni esponenti dell’amministrazione Bush erano favorevoli al «dialogo», ma un gruppo facente capo al vice-presidente Dick Cheney bloccò tutto facendo fallire l’iniziativa. Gli americani, poi, se la presero col diplomatico svizzero che era andato a Washington con le proposte iraniane [9]. Tuttavia, a Washington vi sono forti ha disaccordi tra diverse fazioni su come si siano effettivamente svolti i fatti.


Dopo l’Iraq (2003): pressioni per un attacco «preventivo»

Nonostante la sua storia ventennale, l’atomica iraniana è diventata una questione di primaria importanza, da titoli in prima pagina, e causa di perenne stato di emergenza a livello globale, solo in epoca più recente, cioè negli anni Duemila, in particolare dopo la guerra americana in Iraq (2003). Si diceva, allora, che con quella guerra gli Stati Uniti avrebbero avviato una radicale «ristrutturazione» del Medio Oriente, e quindi la domanda cruciale era se, dopo l’Iraq, sarebbe stata la volta dell’Iran. In effetti, dopo l’Iraq, le pressioni in Israele e negli Stati Uniti per un attacco «preventivo» all’Iran e la destituzione del suo regime si sono fatte sempre più frequenti e, apparentemente, sempre più forti. Nel 2002 e 2003, per esempio, il premier israeliano Ariel Sharon ha affermato più volte che, dopo l’Iraq, gli Stati Uniti dovevano attaccare l’Iran [10]. Negli anni successivi, la minaccia di un attacco preventivo americano doveva, tra l’altro, convincere l’Iran a rinunciare del tutto alla produzione di uranio arricchito. Tuttavia, numerose sessioni negoziali tra l’Iran e il gruppo «5+1» (cioè formato dai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite – Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti – più la Germania) si sono concluse senza risultati. L’Iran, dopo una breve moratoria unilaterale, ha ripreso l’attività di arricchimento non avendo ottenuto dalle potenze occidentali alcuna contropartita. Un ennesimo, difficile stallo, sempre sulla questione dell’arricchimento, si è verificato alla fine del 2009, provocando negli Stati Uniti un nuovo round di appelli a favore di un attacco all’Iran. L’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea), l’organismo della Nazioni Unite che controlla il rispetto del Trattato di non proliferazione (Tnp) da parte dei paesi firmatari, ha sempre affermato, almeno fino la suo rapporto del febbraio 2010, di non avere prove dell’esistenza in Iran di un programma nucleare militare. Gli Stati Uniti hanno colpito l’Iran con sanzioni economiche che però non hanno avuto veri risultati, anche perché l’Iran ha intensificato i rapporti economici e commerciali con la Russia e soprattutto con la Cina e con altri paesi asiatici contrari alle sanzioni. Negli Stati Uniti si è costituita un’estesa rete di accademici, analisti, scrittori, uomini politici, associazioni, centri studi («think tank»), fondazioni e altro (tra cui organizzazioni ebraiche e/o filo-israeliane), per pubblicizzare e promuovere l’obiettivo di «bombardare l’Iran» e/o rovesciare il suo regime politico [11]. Questa rete anti-Iran è formata in gran parte dalle stesse persone, organizzazioni e correnti politiche che a suo tempo formavano l’estesa lobby che spinse a favore della guerra all’Iraq. Anche il modus operandi è lo stesso. Un aspetto cruciale della questione dell’Iran nucleare, e in particolare del contrasto Israele-Iran, è che Israele è esso stesso una potenza nucleare (non dichiarata) di rango assai significativo a livello mondiale, forse in grado di esercitare una deterrenza atomica molto al di là della sua immediata sfera di sicurezza mediorientale. In più di una occasione, negli ultimi anni, Israele ha fatto obliqui riferimenti alla propria forza nucleare e alla determinazione, in caso di necessità, di colpire l’Iran con armi atomiche.


Ha detto davvero «Cancellare Israele dalla faccia della Terra»?

Intanto, il «discorso» occidentale sull’Iran ha preso accenti sempre più marcatamente ideologici e propagandistici. Una svolta decisiva in tal senso la si è avuta nell’autunno 2005, quando i media occidentali riferirono che il neo-presidente Mahmoud Ahmadinejad, eletto pochi mesi prima, parlando a un convegno «anti-sionista » a Teheran, aveva detto che bisognava «cancellare Israele dalla faccia della Terra» o, secondo altre versioni, «cancellare Israele dalla carta geografica». Sembra che, in realtà, Ahmadinejad, parlando in lingua farsi, abbia solo ripetuto una frase dello scomparso ayatollah Khomeini (leader della rivoluzione islamica che alla fine degli anni Settanta rovesciò la monarchia iraniana e «padre» fondatore del nuovo regime politico-religioso che la sostituì), divenuta negli anni una formula rituale nel discorso politico iraniano, e secondo la quale Israele sarebbe in futuro «svanito dalla pagina della Storia» com’era già successo, aggiunse Ahmadinejad, ad altri regimi, tra cui l’Unione Sovietica e la stessa monarchia iraniana. Questa affermazione è pur sempre ostile a

Israele, ma difficilmente può essere interpretata come il programma di un «genocidio». Secondo alcuni studiosi ed esperti di questioni mediorientali, tra cui Juan Cole, dell’Università del Michigan, all’origine della frase attribuita a Ahmadinejad sulla necessità di «cancellare» Israele vi è la cattiva traduzione (dal farsi all’inglese) del discorso di Ahmadinejad fatta da un’agenzia iraniana, presa per buona dalle agenzie occidentali [12]. Essa fu poi largamente utilizzata da un’improvvisa campagna di propaganda anti-iraniana condotta su scala globale. Ahmadinejad reagì agli attacchi con una frase subito condannata in tutto il mondo, e anche da molti in Iran, perché sembrava voler ridurre la portata dell’Olocausto. Soprattutto, Ahmadinejad affermava che a fare le spese dell’Olocausto erano stati gli arabi palestinesi, costretti a subire la creazione dello Stato di Israele, concessa dalle potenze occidentali dopo la Seconda guerra mondiale a causa dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. Poco tempo dopo, a Teheran si tenne un convegno internazionale sull’Olocausto, cui parteciparono molti «revisionisti » e «negazionisti», ma al quale le stesse autorità iraniane non diedero grande rilievo [13]. Il ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, in una conferenza stampa in inglese tenuta a Buxelles dopo un discorso al Parlamento europeo, smentì che Ahmadinejad avesse parlato di «cancellare Israele dalla carta» e disse che egli si era riferito al «regime» israeliano [14]. Nondimeno, la propaganda occidentale, e in particolare quella israeliana, bollò Ahmadinejad come un leader estremista, fanatico, antisemita, che negava l’Olocausto, predicava la distruzione di Israele e preparava, con le armi atomiche, un nuovo genocidio degli ebrei. Dunque, Ahmadinejad era il «nuovo Hitler». L’accusa di antisemitismo si estendeva a tutto l’Iran. Questa durissima propaganda anti-iraniana, costantemente ribadita da fonti israeliane o da circoli favorevoli agli interessi israeliani, e accettata dai media, può delegittimare il regime iraniano sul piano internazionale e porre ostacoli a iniziative favorevoli a un dialogo politico con Teheran. Ha tuttavia fissato alcuni rudimentali nuovi standard di linguaggio, una sorta di «neolingua» orwelliana che può condizionare il modo in cui si analizzano le questioni iraniane. Ahmadinejad, nel 2005, offrì solo l’occasione per l’avvio di un nuovo, più aspro round di propaganda anti-Iran, un round che avrebbe fissato in modo indelebile alcuni concetti chiave, che però erano stati teorizzati già all’inizio degli anni Novanta. Il leader israeliano Shimon Peres, nel suo libro intitolato Il nuovo Medio Oriente, scritto nel 1993, dopo la «pace di Oslo» coi palestinesi e in vista di un Nobel per la Pace (conferitogli nel 1994), dedicò alcune pagine all’Iran, indicandolo già allora come la nuova minaccia non solo per il Medio Oriente ma per il mondo intero:


L’Iran dei nostri giorni, estremista ai limiti della follia, ha come solo fine la distruzione di Israele e del processo di pace. […] Il khomeinismo costituisce una minaccia alla pace nell’intera regione. […] Il pericolo di armi nucleari nelle mani di fanatici religiosi non tende affatto a essere esagerato. Si tratta, infatti, di una minaccia non solo per i Paesi più vicini e per la Regione, ma per il mondo intero. [In questo contesto] la minaccia più perniciosa rimane quella khomeinista [15].


[...] Aspettando la bomba

In attesa dell’ipotetica atomica iraniana, Israele è, e resterà a lungo, l’unica potenza nucleare del Medio Oriente. Per circa mezzo secolo Israele ha seguito una politica di «opacità» o «ambiguità» nucleare: non dichiarare e neppure smentire di avere l’arma atomica, ma fare anche tutto il possibile affinché il mondo sia convinto che quest’arma esista – ad esempio con occasionali rivelazioni, finte fughe di notizie, finti scoop giornalistici, finte gaffe di ministri e primi ministri. La politica di «opacità» deve anche favorire l’idea che quella israeliana sia solo una «bomba nello scantinato», un’arma di «ultima istanza» per quando la sopravvivenza è in pericolo e che non condiziona le dottrine militari del paese e la condotta quotidiana della sua politica estera e di sicurezza. È invece assai più verosimile che la forza nucleare, e quindi la capacità di deterrenza, sia il cardine fondamentale su cui si regge la politica israeliana in Medio Oriente e a livello globale. Senza la possibilità di esercitare un «ricatto atomico», Israele avrebbe un ridotto margine d’azione rispetto a quello di oggi e non potrebbe continuare a mantenere il controllo di Gaza e della Cisgiordania e opporsi alla creazione di uno Stato palestinese senza temere la reazione dei paesi arabi e dei paesi occidentali amici. Oggi la forza nucleare di Israele sembra essere di gran lunga superiore, per mezzi e capacità di proiezione, a quanto potrebbe bastare ai fini di una deterrenza nei confronti dei potenziali nemici in Medio Oriente. Se e quando avrà la sua bomba, l’Iran sarà pur sempre, nei confronti di Israele, una piccola potenza nucleare, almeno finché non disporrà di un certo numero di testate e di vettori affidabili oltre che di un adeguato sistema di comando. Tuttavia, è pur vero che l’arma atomica è un grande «pareggiatore di potenza», e così l’Iran, per avere una sorta di «parità strategica» con Israele, non ha bisogno di un arsenale paragonabile a quello di Israele. Gli basterà avere una forza anche piccola purché credibile, comprendente anche una «capacità di secondo colpo», cioè la possibilità di colpire l’avversario dopo aver subito un attacco. Ma questo non è esattamente così facile. Un futuro Iran nucleare potrà, forse, godere di maggior prestigio ed essere veramente riconosciuto come una potenza regionale. L’assetto politico-strategico del Medio Oriente cambierà in modo significativo. L’indiscussa supremazia strategica israeliana sarà un po’ meno indiscussa e un po’ meno suprema. E ciò gioverà soprattutto ai paesi arabi. Tuttavia, l’Iran resterebbe comunque una potenza limitata, senza forze convenzionali moderne e una buona capacità di «proiezione». Tra Iran e Israele potrà stabilirsi un accettabile equilibrio strategico basato sulla deterrenza, tanto più che i due paesi non hanno confini in comune o vertenze territoriali che possano provocare attriti, incidenti e guerre col rischio di escalation nucleare.



Note

[1] Nell’estate 2009, il quotidiano israeliano in lingua inglese «Jerusalem Post» citava un non identificato «alto funzionario governativo» israelia-no, secondo il quale il governo iraniano non aveva in realtà ancora preso la decisione di procedere speditamente verso la costruzione di una bom-ba atomica. V. H. Keinon, Iran could build a bomb within a year, «The Jerusalem Post», July 9, 2009.

[2] Iran: Nuclear Intentions and Capabilities, National Intelligence Estimate, National Intelligence Council, Washington, Novembre 2007.

[3] Rafsanjani Says Mideast Nuclear Conflict Possibile, Agence France Press, December 14, 2001.

[4] Peres Protests Iranian Threat To Destroy Israel, «The Jerusalem Post», 26 December 2001; Iran’s Rafsanjani suggests nuclear attack on Israel, «World Tribune», December 18, 2001. Interessante anche l’attacco all’Iran di un super-falco americano: M. Rubin, The Iranian Ticking Bomb, «The Jerusalem Post», 17 February 2002.

[5] «Haaretz», February 14, 2010.

[6] Citato in E. Bronner, Olmert Says Israel Should Pull Out of West Bank, «The New York Times», September 30, 2008.

[7] A. Meranda, Barak: Iran not existential threat on Israel, «ynetnews», on-line, March 3, 2008 (ynetnews è il sito web del quotidiano israeliano «Yedioth Ahronot»).

[8] Nella mitologia politica occidentale, i leader di paesi non occidentali che abbiano nei confronti dell’Occidente atteggiamenti critici o ostili o decisamente conflittuali, sono generalmente visti, insieme alle rispettive popolazioni, come fanatici politici e/o religiosi, crudeli, disposti a sacrifi-care un gran numero di persone in massicci attacchi contro posizioni oc-cidentali, assolutamente infidi e pronti a disattendere gli impegni presi.

[9] Cfr. tra gli altri: G. Porther, Neo-con cabal blocked 2003 nuclear talks «Asia Times», online, March 30, 2006; G. Kessler, 2003 Memo Says Iranian Leaders Backed Talks, «The Washington Post», February 14, 2007; N. D. Kristof, Iran’s Proposal for a «Grand Bargain», «The New York Times», blog, April 28, 2007; N. D. Kristof, Diplomacy at its Worst, «The New York Times», April 29, 2007; A. van Buren, Quelle occasioni sprecate per una pace con Teheran, «La Repubblica», 1 maggio 2007.

[10] S. Farrell, R. Thomson, D. Haas, Attack Iran the day Iraq war ends, demands Israel, «The Times», November 5, 2002; A. Benn, Sharon says U.S. should also disarm Iran, Libya and Syria, «Haaretz», February 18, 2003

[11] Nel 2003, per esempio, il giornale ebraico americano «Forward» scrisse che una nuova coalizione di «falchi» conservatori, organizzazioni ebraiche ed esponenti monarchici iraniani stava premendo sulla Casa Bianca affinché gli Stati Uniti aumentassero gli sforzi per rovesciare il regime iraniano. V. M. Perelman, New Front Sets Sight On Toppling Iran Re-gime, «Forward», May 16, 2003; D. Schorr, Next on «axis of evil» hit list, «The Christian Science Monitor», May 30, 2003.

[12] Le tesi relative alla cattiva traduzione sono elaborate, tra gli altri, da: J. Steele, Lost in translation, «The Guardian», June 14, 2006; A. Norouzi, «Wiped off the map»: The Rumor of the Century, «Antiwar», online, May 26, 2007; A. Norouzi, Caught Red-Handed: Media Backtracks on Iran’s ‘Threat’, «Antiwar», online, July 2007. Per una diversa opinione, si veda, tra gli altri: C. Hitchens, The Cole Report, «Slate», online, May 2, 2006; E. Bronner, Iran’s Leader and Israel: What did he say, and what did he mean?, «International Herald Tribune», June 11, 2006; P. Rippon, Wiped off the map?, «BBC News», online, 6 March 2007; D. Aaronovitch, You don’t have to be paranoid to want to take these lunatics at their word, «The Times», June 13, 2006; R. Nahmias, What’s behind Iran remarks?, «ynetnews», on-line, December 11, 2005.

[13] Al convegno vi era anche una delegazione di rabbini non sionisti che certamente non avvallavano alcuna tesi negazionista, ma volevano sottolineare che i sionisti avevano usato l’Olocausto per legittimare Israele e qualsiasi sua iniziativa politica e militare. I rabbini ebbero anche un cor-diale incontro con Ahmadinejad.

[14] Iranian FM denies wanting to wipe Israel off the map, «Haaretz», February 20, 2006.

[15] S. Peres, A. Naor, Il nuovo Medio Oriente, Morano Editore, Napoli-Milano 1994, pp. 42-66 passim (ed. or. The New Middle East, Henry Holt & Co., New York 1993.)


***


Giorgio S.Frankel è stato analista di questioni internazionali e giornalista professionista indipendente, occupandosi in particolare di Medio Oriente e Golfo Persico. Ha collaborato con «Il Sole 24 Ore», il «Corriere del Ticino», «Il Mulino» e «Affari Esteri». È stato docente al «Master in Intelligence» dell’Università della Calabria e ha insegnato in varie edizioni del «Master in Peacekeeping» dell’Università di Torino.



6 Comments


impliciteydie
6 giorni fa

This detailed analysis of the Iranian atomic bomb story highlights decades of tension and strategic moves that have shaped Middle Eastern geopolitics. For those interested in strategic thinking and patience, the narrative unfolds much like the Sprunki game, where careful planning and timing are crucial. Giorgio S. Frankel’s work sheds light on the ongoing conflict, making it a must-read for understanding the complexities behind modern warfare and diplomacy.


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Interessante come analizza la situazione! Mi fa pensare a un ragdoll hit, sempre la stessa reazione da anni. Speriamo che si trovi una soluzione pacifica prima o poi. Da leggere!

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Alina Lockwood
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6 giorni fa
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Quali interessi geopolitici o economici sottostanti potrebbero spiegare l’insistenza decennale dell’Occidente nel dipingere le ambizioni nucleari dell’Iran come imminenti, Retro Bowl College nonostante i ripetuti rapporti di intelligence e la mancanza di prove conclusive?

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