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L'altra Superlega parte all'attacco della Fifa



Superlega
Immagine: Maria Lassnig, Konkurrenz IV, 1998

Nuovo appuntamento settimanale della sezione «Agon», con un articolo su quella che è ormai una vera e propria tendenza, nel mondo del calcio e in altre discipline, alla costruzione di superleghe.

L'autore spiega questa dinamica politica-economica analizzando l'esperimento di internalizzazione portato avanti dalla Liga spagnola e dal suo presidente Tebas che ha provato nel 2019 provò a far giocare una partita del massimo campionato spagnolo, il derby catalano Girona-Barcellona, negli Stati Uniti.

Un articolo che spiega bene le dinamiche che stanno interessando l'industria calcistica, settore che assume sempre più peso nelle economie dei vari paesi, tra spettacolarizzione e finanziarizzazione, scontri all'interno delle istituzioni calcistiche tra diversi soggetti e modelli di sviluppo.


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Prima o poi la voglia di Superlega scatta in ogni disciplina e a qualsiasi latitudine. Ci si lascia ingolosire dalla prospettiva di scremare il meglio del talento agonistico disponibile e portarlo a esibirsi a ripetizione, declassificando tutto quello che resta a spettacolo di rango inferiore. E si insegue il miraggio della massimizzazione dei profitti, da realizzarsi dopo essersi affrancati da una struttura istituzionale dello sport (federazioni internazionali di disciplina, federazioni nazionali, leghe domestiche) ritenuta farraginosa e parassitaria. Fare da sé, rompere legami, distillare qualità. Succede nelle discipline sportive di maggiore cassetta, quelle che attraggono la maggiore attenzione di media e sponsor. E succede con grande clamore nel calcio, dove di Superlega si parla dalla fine degli anni ’90, con drammatica accelerazione dall’aprile del 2021.

La secessione da operetta tentata dai dodici club congiurati (Arsenal, Atlético Madrid, Barcellona, Chelsea, Inter, Juventus, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Milan, Real Madrid e Tottenham Hotspur) in una notte tra domenica e lunedì si è risolta in una figuraccia. Ma ha comunque tracciato un solco che successivamente è stato battuto e ha portato alla sentenza della Corte di giustizia europea, che a dicembre 2023 ha riaperto uno spiraglio per l’attuazione del progetto.

Ma nel calcio esiste non soltanto la Superlega europea, né se ne ha un solo formato. La testimonianza viene dagli Stati Uniti, un paese il cui sistema sportivo presenta peculiarità delle quali abbiamo parlato due settimane fa. È proprio da queste parti che ogni progetto di Superlega trova modelli ispiratori nelle leghe professionistiche chiuse. Sicché non potevano non maturare qui idee e azioni orientate a disarticolare la struttura istituzionale del calcio di club, fondata sul principio di organizzazione piramidale e sulla centralità di federazioni e leghe nazionali. A partire da questa idea ispiratrice è partito un attacco contro la Fifa e le federazioni nazionali che ha raggiunto i massimi livelli giurisdizionali statunitensi, approdando alla Corte Suprema. Ma l’aspetto più significativo è che a questo progetto superleghista ha dato manforte un pezzo del sistema istituzionale del calcio, una quinta colonna che con la sua azione pone le condizioni per disgregare dall’interno l’impianto istituzionale del calcio.

 

 

Il derby catalano da giocare a Miami

Ma a questo punto è bene uscire dall’astrattezza per spiegare la dinamica politico-economica attraverso l’illustrazione del caso concreto. Che risale alla seconda metà del 2018. In quei giorni il mondo del calcio spagnolo è attraversato da una forte polemica che riguarda il progetto di giocare negli Usa una partita del campionato nazionale. La partita in questione è il derby catalano fra Girona e Barcellona. Che nel calendario della Liga spagnola è fissato per il 26 gennaio 2019, ma nelle intenzioni dell’ente organizzatore del massimo campionato di Spagna non dovrebbe essere giocata a Girona, ma dall’altra parte dell’Atlantico. Per l’esattezza a Miami, stadio Hard Rock, in un orario che corrisponde alle 20.45 spagnole.

Si tratta di un’iniziativa ardita, assolutamente eterodossa per gli schemi organizzativi del calcio europeo. Perché certo non è la prima volta che pezzi di calcio dei principali paesi europei si spostano all’estero, o addirittura fuori continente, per avviare progetti di promozione e internazionalizzazione del movimento. Ma disputare all’estero una partita di campionato è uno strappo forte.

Fin lì la prassi di portare fuori dai confini continentali pezzi di calcio ufficiale è stata usata con cautela. Nel 1993 è stato inaugurato dalla Lega di Serie A italiana, con la partita fra Milan e Torino giocata a Washington, l’esperimento di portare la finale di Supercoppa fuori dal continente. Ciò che successivamente è stato imitato da altre leghe europee. E al di là delle competizioni ufficiali c’è la sterminata lista di partite e tornei non ufficiali che vengono organizzati per saziare la fame di gare d’alto livello presente nei continenti fin qui tagliati fuori dal grande calcio. Nel primo decennio del Ventunesimo secolo la Premier League, che quanto a capacità di coniugare calcio e business è l’esempio di massima efficienza, aveva ipotizzato un piano denominato 39th Match, che avrebbe dovuto consistere in una trentanovesima giornata di campionato (cioè, una in più delle 38 canoniche) da disputarsi interamente all’estero e a scopo promozionale, prevalentemente nel continente asiatico. Va da sé che non si sarebbe trattato di una vera giornata di campionato, ma piuttosto di una sua imitazione: tutte le squadre della Premier sarebbero scese in campo come si fosse trattato di un turno della stagione agonistica.

Quest’ultimo aspetto, cioè l’imitazione del campionato ma senza che si tratti del campionato vero, è ciò che marca la differenza rispetto al tentativo della Liga di far giocare a Miami la partita fra Girona e Barcellona. Perché nel caso del derby catalano si tratta di una vera partita di campionato. Da portare fuori dal territorio spagnolo e senza alcun riguardo per la regolarità della competizione.

La Liga crede molto in questo esperimento di internazionalizzazione. E ci crede soprattutto il suo presidente, Javier Tebas Medrano. Costui, tuttora in carica, è un avvocato dello sport con idee politiche di estrema destra. Franchista dichiarato e mai pentito, in gioventù è stato militante di Fuerza Nueva, movimento fondato dall’intellettuale ultraconservatore Blas Piñar, in dissenso col regime di Francisco Franco perché riteneva che avesse preso una svolta troppo moderata. Tebas imprime alla Liga una svolta modernizzatrice che punta tutto sull’internazionalizzazione e vede nella vasta comunità ispanica degli Usa uno degli obiettivi principali. Per lui portare Girona-Barcellona in Florida è una mossa coerente con le ambizioni di sviluppo dell’organizzazione.

Quanto alle due società, sono d’accordo col progetto della Liga sia pure per motivi diversi. Il Barcellona è di per sé un marchio globale, dunque ogni occasione di internazionalizzazione è buona per fare marketing. E quanto al piccolo Girona, si tratta di un’insperata occasione di visibilità e crescita. Ma al di fuori del terzetto formato da Liga, Girona e Barcellona, il dissenso spagnolo intorno all’idea del derby delocalizzato è massiccio.

Il progetto scatena un conflitto politico-calcistico che si accende in Spagna ma presto tracima oltre i confini. I primi a ribellarsi sono i tifosi delle due squadre, che rischiano di vedersi privare di una gara da vedere in presenza. A questa istanza gli organizzatori rispondono con la disponibilità a portare negli Usa due comitive da una cinquantina di tifosi di entrambe le squadre, completamente spesati. Risposta alquanto parziale, che infatti non tacita l’opposizione di gironisti e barcellonisti. Ma il vero dissenso viene dalla federcalcio spagnola (RFEF), che da pochi mesi ha un nuovo presidente. Si chiama Luís Rubiales e in quella fase storica viene percepito come il presidente del rinnovamento. Per assumere il ruolo di capo del calcio spagnolo ha lasciato la presidenza dell’associazione dei calciatori (AFE) e ciò fa sperare nell’arrivo di un cambiamento. Tanto più che il predecessore di Rubiales è un dinosauro travolto dalle accuse di corruzione, Ángel Maria Villar. Nessuno in quel momento immaginerebbe che il nuovo presidente della federazione farà peggio di chi lo ha preceduto.

Rubiales si contrappone duramente allo spostamento negli Usa di una gara della Liga. Sarà lo stesso presidente che deciderà di portare la Supercoppa in Arabia Saudita, che ne modificherà la formula dalla finale secca alla final four, e che infine verrà investito da un’inchiesta giudiziaria legata proprio alle manovre per la delocalizzazione della competizione in terra saudita. Ma questo è un altro discorso. Quanto alla guerra fra RFEF e Liga, essa si trasforma immediatamente in una guerra fra i presidenti (i due si detestavano già quando Rubiales era presidente dell’AFE) e chiama in causa la differenza di ragione sociale delle due istituzioni coinvolte. La federazione nazionale, che ha come missione la promozione di finalità e interessi generali, mira allo sviluppo dell’intera piramide calcistica nazionale, a partire dalla vasta base di praticanti e amatori per giungere al vertice occupato dai club del massimo livello e dalla nazionale maggiore. Invece la lega professionistica si occupa di tutelare e promuovere gli interessi delle società che stanno al vertice della piramide, guardando alla massimizzazione delle loro possibilità sportive e economiche. Su un tema come quello della delocalizzazione all’estero (e fuori continente) di una o più partite di campionato le posizioni delle due istituzioni non possono che essere opposte: per una federazione nazionale si tratta di un colpo all’integrità del sistema, invece per la lega professionistica è un’opportunità di sviluppo del gruppo di interessi che essa rappresenta.

Nel conflitto tra RFEF e Liga, la prima decide presto di coinvolgere i soggetti che per natura istituzionale le sono alleati: la Fifa che, come istituzione al vertice del calcio mondiale, è la federazione delle federazioni e dunque ha giurisdizione sul tema; e la federazione calcistica statunitense (USSF), che nella posizione di federazione del paese in cui il derby catalano dovrebbe essere ospitato può esercitare un peso. Sia la Fifa che la USSF si schierano contro la disputa di Girona-Barcellona a Miami. E questa opposizione istituzionale, unita al vasto dissenso scatenato in Spagna, convince il Barcellona a tirarsi indietro dal progetto. A questo punto anche l’illividito Tebas deve arrendersi. Afferma che il progetto è soltanto rinviato, ma di fatto lo mette in un cassetto e da allora lo lascia lì. La vicenda sembra fermarsi con questo passaggio. E invece prosegue per l’ostinazione di un altro soggetto. Che fin qui è stato tenuto a margine, perché va trattato a sé e perché è il vero motore della vicenda. Questo soggetto si chiama Relevent Sports.

 

 

Quell’idea americana di Superlega

Relevent Sports è uno di quei soggetti che sono prodotti tipici della visione nordamericana sulla natura sociale dello sport: cioè, un mix fra agonismo e spettacolo, una forma ibrida di intrattenimento nella quale atlete e atleti prendono lo status di divi prima di quanto succeda altrove e che assegna alle ragioni economiche e dello spettacolo un ruolo preponderante rispetto alla ragione agonistica. È in questo contesto socioculturale che l’agenzia newyorchese si innesta. Nata come media company e promotrice di eventi sportivi nell’anno 2012, essa individua una nicchia sicura nella quale avviare le sperimentazioni del progetto superleghista: il vasto campo delle competizioni internazionali non ufficiali. L’idea è semplice e vincente: sia la Fifa, che le confederazioni continentali e le federazioni nazionali possono attestarsi in difesa del monopolio sull’organizzazione delle manifestazioni ufficiali, quali sono i tornei nazionali e quelli internazionali (sia a livello di club che di rappresentative nazionali), ma nulla possono rivendicare se si tratta di tornei amichevoli. In quel segmento Relevent Sports si lancia e già dal 2013 organizza un torneo estivo che si svolge in più continenti e raccoglie la partecipazione di squadre provenienti da ogni parte del mondo. Il torneo si chiama International Champions Cup e si svolge tra luglio e agosto, cioè nel periodo che per i campionati nazionali d’Europa coincide con la preparazione della stagione agonistica. Molti fra i club che partecipano sono candidati a partecipare alla Superlega europea per club e ciò costituisce un indizio. Come se si stesse effettuando le prove generali in vista del torneo d’élite. Rispetto a queste prove generali, nulla possono le istituzioni ufficiali del calcio nazionale e internazionale. Nessuno può fare imposizioni ai club riguardo a come decidano di strutturare la loro attività di preparazione né a quali siano i promoter cui decidono di affidarsi per organizzarla al meglio.

L’uomo chiave di Relevent Sports per le questioni calcistiche è un avvocato italo-americano. Si chiama Charlie Stillitano, è presidente esecutivo della società e ha il calcio nelle tradizioni familiari. Suo padre, immigrato negli Usa da Gioia Tauro, è stato il fondatore della Italian-American Soccer League e presidente dell’Associazione Arbitri del New Jersey. Dal canto suo Charlie Stillitano, dopo la laurea in Giurisprudenza, ha preso parte all’organizzazione dei Mondiali USA 1994 e alla fondazione della Major League Soccer (MLS), la lega professionistica del calcio nordamericano.

Stillitano è anche un uomo di relazioni. Ne stringe parecchie con gli esponenti dell’élite dirigenziale del calcio europeo e accumula ruoli da consulente per le leghe del calcio europeo. Fra le più recenti (2022) c’è quella con la Lega di Serie A, in rappresentanza della quale dirige l’ufficio newyorchese. Il manager statunitense costruisce il capitale di relazioni grazie alla gestione dell’International Champions Cup. Che va avanti fino all’estate del 2019, ma poi viene interrotta causa pandemia e non riprenderà dopo la fine dell’emergenza. Poco male, perché nel frattempo il capitale di relazioni di Stillitano si è consolidato. Di questo portafoglio fa parte il rapporto con la Liga spagnola e con Tebas. Il progetto di spostare Girona-Barcellona vede Relevent Sports come organizzatore locale. E qui si chiude il cerchio.

 

La sfida legale

Dopo la battuta d’arresto del mancato derby catalano a Miami, Stillitano non si arrende. Prova a portare in territorio statunitense gare di campionati nazionali sudamericani. Ma ancora una volta si trova davanti il muro eretto da Fifa e USSF. A Relevent Sports non rimane che intraprendere un lungo percorso legale. Che si sviluppa con alterne fortune, fra rigetti e appelli che vengono accolti. L’ultimo fra questi rende ammissibile il ricorso di Relevent alla Corte Suprema Usa. E questa è una tappa che potrebbe spostare molti equilibri. Perché in quell’arena giurisdizionale le cose possono andare in modo imprevedibile, e perché l’atteggiamento della Corte Suprema verso tutto ciò che sa di abuso di posizione dominante e di condotta anti-concorrenziale è molto negativo. Per questo, adesso, la Fifa e la USSF hanno qualche motivo di preoccuparsi. E guardano una volta di più a quella strana alleanza fra Relevent Sports e la Liga spagnola. Col promiscuo ruolo di Tebas a spiccare: nemico della Superlega in Europa ma fautore di un progetto transcontinentale che spaccherebbe la struttura istituzionale del calcio europeo e mondiale. Proprio vero che ciascuno si fa la Superlega a propria misura.


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Pippo Russo (Agrigento, 1965) è ricercatore di Sociologia dell’ambiente e del territorio presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Firenze. Giornalista e saggista, ha dedicato diversi studi all’analisi sociologica dello sport. Ha pubblicato quattro romanzi, fra i quali la duologia dedicata a Nedo Ludi.

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