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Il tempo del consumatore ed altre droghe



La trasformazione da uomini in consumatori è un processo irreversibile? Un tempo si usava la parola «cristiano» per indicare un uomo, era un sinonimo, e questa considerazione rivela bene il cambio di divinità, nel caso dei «cristiani» era Cristo, in quello dei «consumatori» il Denaro, il luogo di culto il centro commerciale, il rito lo shopping.


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A rifletterci – pronunciandolo lentamente e ascoltandone il suono – consumatore è nome che non soddisfa pienamente. È come se non riuscisse a restituire ciò che vorrebbe.

Parola che peraltro non piace agli antropologi, agli intellettuali in genere, non piace ai pubblicitari e probabilmente nemmeno al cittadino comune. Troppo imprecisa nel definire la condizione della nostra contemporaneità e al tempo stesso troppo «tranchant», netta, persino falsa in questa presunta nettezza, eppure sembrerebbe non esserci un termine migliore per quello che di fatto siamo diventati...

Verrebbe da dire «Partecipino lor signori partecipino…» se dare un nome è ancora avvicinarsi a qualche verità.

Perché è da Genesi 2,19 – «…in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome...» – che dare i nomi ci avvicina a qualche verità o almeno ad una qualche comprensione anche quando questa non è del mondo naturale e l’Eden da sempre è inaccessibile e sconosciuto.


Il 16 dicembre 2020 è un giorno qualunque nel pieno della pandemia che ha investito il paese e l’Europa intera. Da mesi la realtà quotidiana e i media sono invasi dalla presenza del Covid19; quotidianamente giornali e televisioni riflettono, amplificando il virus e la sua percezione.

Da una settimana, in ambito nazionale il numero dei nuovi contagi è fisso intorno alle 18000 persone su base giornaliera con circa 700 /800 deceduti. A Genova, città decaduta industrialmente ma ancora di media grandezza e importanza si apre un nuovo supermercato, un nuovo, grande, banale supermercato, Esselunga per l’esattezza.

Quel giorno, tutti i presenti probabilmente ignorano di far parte di una lunga catena della nostra recente storia, ignorano che i fondatori di Esselunga, Bernardo e Guido Caprotti – insieme a Marco Brunelli (in seguito fondatore e proprietario dell’importante catena di ipermercati «Iper») erano tra i soci italiani che insieme a Nelson Rockefeller aprirono il primo supermercato in Italia, a Milano nel 1957. Sì, Nelson Rockefeller, era lui il magnate americano che quel 1957 esportava in Italia il modello a «stelle e a strisce».


Sono passati 64 anni e i supermercati da almeno cinque decenni sono diventati panorama comune di ogni città, piccola o grande che sia, necessità e routine pressoché quotidiana per milioni di consumatori.

Eppure il 16 dicembre del 2020 all’inaugurazione di quel supermercato, in via Piave a due passi dal mare e da quel gioiello di borgo marinaro che è Boccadasse, a due passi da Palazzo Ducale, a quattro dai caruggi e dal centro storico più grande d’Europa, intorno e davanti all’ingresso dell’Esselunga store c’era la coda di gente in attesa, disagi al traffico intorno. Poco dopo, la stessa folla si sarebbe dispersa tra le corsie illuminate dalle merci.

Difficile capire i motivi di una tale attrazione, se non forse la frustrazione e la noia conseguenti a mesi di una vita sospesa dentro un più o meno esteso lockdown. Eppure la stessa giustificazione potrebbe essere adottata per rovesciarne gli effetti. Come dimenticare infatti il rischio sanitario che è dentro ogni occasione di assembramento?

Forse siamo solo consumatori che brancolano nel buio...

E viene in mente Zygmunt Bauman e il suo sciame inquieto riferito ai consumatori e al loro apparente e reale ondivagare, al loro disordine erratico e mutevole...


Un servizio Rai di 64 anni fa: il giornalista che intrattiene diversi clienti in un giorno qualunque di quel supermercato diventato presto attrazione della città.

Rivedere a distanza di tanti anni quelle immagini, può avere un effetto rivelatore attraverso la scia delle origini, attraverso la catena delle cause ed effetti arrivate fino a noi. Può forse fare intuire qualcosa del nostro «essere consumatori».

Quel qualcosa sta nella risposta di un cliente intervistato che risponde come abitualmente «passa dal supermercato dopo il lavoro non per acquistare qualcosa ma solo perché tutta quella merce lo distrae e lo fa star bene». L’innocenza di quella risposta di 64 anni fa ci lascia una prima rivelazione: non è tanto la comodità di comprare in un unico posto tutto quello che occorre, quanto il vedere lì e in quel momento un enorme quantità di beni materiali provenienti da molti luoghi diversi. Allora era un effetto cinema, un effetto moltiplicatore della realtà, dei desideri, di un benessere possibile.

Ma dentro quella prima esperienza di «realtà aumentata», oggi come allora, sembra esserci ancora altro, sembra esserci la pania e al tempo stesso la droga del consumatore: nell’insieme una droga nuova, non riconosciuta e mai provata prima, droga che poteva lenire le ansie e le ferite della giornata... qualcosa con cui intrattenersi con meraviglia, persino stupore.

Ma ancora, dentro quella pania e quella droga – le stesse dei nostri giorni? – si può avvertire qualcosa di più profondo del comprare beni materiali, qualcosa di diverso del loro effetto nella vita come nei desideri. Si può intuire una conseguenza non voluta ma presente in tutti i consumi, quando reiterati, o semplicemente desiderati. È una fuga dal tempo, quello inesorabilmente biologico che confondiamo con e insieme ai consumi, agli acquisti e al loro infettivo piacere.

«È quel tempo che acquisisce una caratteristica «frammentaria» secondo la lezione di Bauman, vale a dire il tempo che scandisce la vita del consumatore nei suoi acquisti e desideri, continuamente rinnovati e non necessariamente coerenti tra di loro. È il «tempo puntinista», secondo l’espressione di Michel Maffesoli, quello che caratterizza la nostra contemporaneità, diverso da quello circolare della società contadina e ancora diverso da quello lineare della modernità che si fa strada soprattutto a partire dall’illuminismo e dall’avanzare delle scienze. Quest’ultimi ambedue sono peraltro tempi sociali, che comprendono e abbracciano diversi destini, significati della storia e del diluirsi in essi del «self» di ognuno, ma oltre la dimensione storica e sociale, il tempo del consumatore, qualunque sia la denominazione si voglia attribuire a quest’ultimo, è soprattutto un tempo individuale: è questo ciò con cui abbiamo a che fare quando siamo «consumatori». Questa è la novità e la «rivoluzione»: in questa veste, sempre ognuno di noi è una monade solitaria che vive un tempo solitario.

Così, nella nostra realtà e in quella del consumatore – nella sua droga – può esserci anche una fuga dal tempo nella sua dimensione più personale, quella biologica, e insieme una sua momentanea rimozione, sorta di limbo apparentemente innocuo dove può affogare l’ansia come la verità, dove la malinconia può essere neutralizzata dall’euforia.

Perché la felicità accuratamente nascosta e impacchettata nel consumo e nel consumatore può essere anche quella di riuscire a nascondere, ad abolire il tempo...


Quando comprare non è solo riempire di cose un presente che diventa piacere, ma è anche desiderarle trattenendo per un dopo la sensazione dell’acquisto e di quel benessere; è spostare avanti quel presente e quel piacere. Così, negli anni del «boom economico» e dei primi supermercati, l’essere diventati improvvisamente consumatori riuscì, forse per la prima volta nella vita di tante persone, ad attenuare, a far percepire come attenuata la linea del tempo biologico. Molti, almeno per chi aveva conosciuto un tempo pregresso di misura o di stenti, dentro luci sfavillanti e nuove forme sinuose, con stupore, avvertirono che potevano nascondere le rughe e le pene o almeno questa è stata ed è ancora l’illusione.

Così, il 16 dicembre 2020 quella pania e quella droga – l’effetto di dimenticare il proprio tempo come il Covid – silenziose, erano celate dentro ogni persona in coda davanti al nuovo supermercato.

Anche in questo ignoravamo di far parte di una lunga catena della nostra recente storia, di farvi parte attraverso la scia delle origini, attraverso la sequenza delle cause ed effetti arrivate fino a noi…

Eppure, laggiù, negli anni in cui tutto cominciò, quando i consumatori si affacciavano all’orizzonte della nostra società, oltre le cose e i consumi che davano piacere, per i più giovani, chi era nato e cresciuto in quel nuovo mondo, il tempo,all’ombra di luci sfavillanti e forme sinuose, restava in agguato, spina insidiosa e dolente.

Almeno per i più sensibili sarebbe bastato il tempo necessario a far svanire l’effetto di tutte quelle luci, il tempo per riconoscerne l’illusione e avvertirne le ferite.


...Cause I try and I try and I try and I try

I can't get no, I can't get no...


Altre droghe erano già all’orizzonte.


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