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Il Mezzogiorno del PNRR



Il testo offre spunti per riflettere sul Pnrr per il Mezzogiorno. Riprende dalla letteratura grigia i discorsi e le «mentalità» di analisti e pianificatori e mostra, oltre «Ripresa» e «Resilienza», le nuove logiche di dipendenza fra i territori «centrali» e i territori «periferici», ovvero la solita e nota «logica dello sviluppo capitalistico».



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Gloria del disteso mezzogiorno quand'ombra non rendono gli alberi, e più e più si mostrano d'attorno per troppa luce, le parvenze, falbe.

il sole, in alto, - e un secco greto.


1. I versi di Eugenio Montale, tratti dall’opera Ossi di Seppia, descrivono il tempo del mezzogiorno: ci potremmo trovare ovunque ma troveremmo in alto il sole e intorno un «secco greto», e ancora e soprattutto «parvenze falbe» a causa della troppa luce. Quell’aggettivo, «falbo», indica il giallo scuro e si è soliti riferirlo al manto degli animali, dei cavalli in particolare.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per il Mezzogiorno può in effetti apparire come un sole, ma potrebbe proprio essere il sole accecante del poeta, una luce che si risolve in parvenze, in arsura.

E cominciamo allora dalle parvenze, che sembrerebbero al centro dell’immaginario del PNRR che si ramifica nelle mente di alcuni analisti. Facciamo un esercizio utile a mostrare qual è lo stato d’animo – la mentalità comune emergente – che sembra prevalere a riguardo: digitiamo in uno dei motori di ricerca più utilizzati sul web le parole «PNRR», «Mezzogiorno», «Sud». Nello scorrere i risultati della ricerca, anche limitandosi ai titoli dei documenti, c’è una significativa ricorrenza delle parole «occasione», «opportunità», «svolta», in una convivenza fra il timore della inadeguatezza e l’eccitazione per l’ammontare delle risorse che giungeranno.

Il sole di mezzogiorno illumina un obiettivo che viene descritto nelle carte ministeriali con parole pesanti, ma, forse, non pensate sino in fondo: «ridurre il divario di cittadinanza». Cosa può significare ridurre il divario di cittadinanza? Forse che i cittadini meridionali sono cittadini la cui cittadinanza presenta valori insufficienti? E in cosa consiste la cittadinanza?

Di questo non si parla, ma si può dedurre dalle quattro linee progettuali che possono essere sintetizzate nel modo seguente:




2. L’ultimo Rapporto SVIMEZ, presenta una sezione intitolata «La sfida dell’assorbimento delle risorse e della realizzazione del PNRR». In cosa si sostanzia questa sfida, questa opportunità da non sprecare? Nel fatto che – si legge nel Rapporto – le amministrazioni meridionali sarebbero esposte a un «elevato rischio di mancato assorbimento delle risorse con il paradosso che le realtà a maggior fabbisogno potrebbero beneficiare di risorse insufficienti».

In base alle stime dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, riferite all’utilizzo delle risorse erogate dal Piano (191,5 miliardi di euro), a livello nazionale gli Enti territoriali dovranno gestire come soggetti attuatori tra i 66 e i 71 miliardi (circa il 35% e il 37% delle risorse totali). La SVIMEZ valuta che le Amministrazioni decentrate del Mezzogiorno dovrebbero gestire in sei anni circa 20,5 miliardi di euro aggiuntivi, concentrati per circa il 50% nel biennio 2024-25. Il Rapporto SVIMEZ dedica particolare attenzione al tema della sotto-dotazione di personale qualificato. Si tratta di una situazione che pesava sull’efficacia dell’azione pubblica, soprattutto negli Enti locali meridionali, ben prima che la pandemia portasse alla luce le debolezze delle pubbliche amministrazioni. C’è una espressione che torna anche nel Rapporto SVIMEZ su cui vale la pena riflettere: «rigenerazione del settore pubblico».

Sulla parola «rigenerazione» si può costruire un ragionamento seguendo l’approccio dei ricercatori SVIMEZ concentrandosi solo sul tema occupazionale, animati – per così dire – da una prospettiva keynesiana.

In media le regioni meridionali hanno un numero di addetti per 1.000 abitanti negli Enti locali pari a 6,1 contro un valore medio di 7,3 nel Centro-Nord, ciò significa che per realizzare gli obiettivi del Piano occorrerebbe innanzitutto costruire una nuova relazione stabile tra occupazione pubblica e produzione: senza le opportune risorse umane non si possono realizzare gli effetti moltiplicativi che la spesa pubblica può determinare nel sistema economico.

«La marcata riduzione dell’occupazione nella P.A. intervenuta tra il 2010 e il 2019 (- 15%), ha interessato soprattutto gli Enti locali del Sud (-27% nelle regioni a statuto ordinario rispetto al -18,6% del Nord). […] Tanto la sfida dell’assorbimento delle risorse distribuite su base selettiva quanto la successiva fase realizzativa, non può prescindere dall’inserimento nei quadri amministrativi, soprattutto dei Comuni, di profili tecnici in grado di seguire la progettazione e l’attuazione degli interventi. Ma la soluzione non può esaurirsi nelle nuove immissioni di personale. Va rafforzato il supporto alla progettualità degli Enti territoriali “dal centro” con attività di accompagnamento e rafforzamento delle capacità progettuali locali utilizzando i centri di competenza nazionale che operano a supporto della P.A. (come, ad esempio, CONSIP, INVITALIA, SOGEI). In questo quadro la SVIMEZ propone anche la costituzione di “centri di competenza territoriale” formati da specialisti nella progettazione e attuazione delle politiche, in raccordo con le Università presenti nel territorio in grado di supportare le Amministrazioni locali, in particolare i Comuni»[1].

Tuttavia, parlare di «rigenerazione del settore pubblico» – anche alla luce dei vincoli che il governo italiano si è auto-imposto per l’accesso alle risorse europee – può rappresentare un’indicazione significativa verso nuove riforme della pubblica amministrazione che ne piegano il funzionamento secondo i precetti del new public management – come ha sottolineato in vari interventi Andrea Fumagalli[2]. E in effetti – nel massimo rispetto della buona fede dei ricercatori SVIMEZ – mi pare che l’intero assetto del PNRR sia più animato da una logica neoliberista che keynesiana.


3. Tra i pochissimi che hanno colto la rilevanza della rivoluzione istituzionale che è parte del PNRR italiano c’è Antonio Calafati, le cui riflessioni vale la pena riportare per intero:

«Il PNRR dell’Italia ha due dimensioni – le ha come progetto, intenzionalmente. È un piano di spesa su un arco di alcuni anni, di cui si è enfatizzata la portata, ritenuta ingente (non da tutti, però); è un piano di riforma dei fondamenti giuridici del capitalismo italiano, un piano di “riforme strutturali”. Sono due dimensioni presentate nella narrazione corrente come interconnesse: l’efficacia del piano di spesa dipende dall’attuazione delle riforme strutturali. Un piano “perfetto” e “trasparente” come un orologio meccanico, progettato e costruito insieme alla Commissione Europea.

Ora che è stato approvato, il PNRR dovrà essere attuato e sono necessari due dispositivi amministrativi: il primo realizza il processo di allocazione delle risorse, la loro distribuzione tra i diversi usi che il PNRR prevede o permette; il secondo progetta e attua i cambiamenti dell’ordinamento istituzionale nelle sfere che il PNRR ha stabilito. […]. Come piano di spesa, il PNRR si articola in una matrice di categorie di spesa e attuarlo significherà scegliere quali specifici progetti di investimento o incentivazione finanziare; come piano di riforma dell’ordinamento istituzionale, definisce gli ambiti normativi da modificare e come modificarli, e attuarlo significherà scrivere e approvare nuove leggi e nuovi regolamenti.

Il PNRR è stato approvato dal Parlamento italiano accettando all’unanimità la sua struttura – e anche le “condizionalità generali”, ovvero il modello di ordinamento istituzionale che contiene. Nella struttura si esprime la dimensione politica del PNRR, il suo chiaro ed esibito orientamento neoliberale. Una struttura che non potrà essere cambiata nella sincopata fase di attuazione, segnata dall’urgenza di usare le risorse finanziarie e dalla necessità di fare le riforme strutturali per disporre di quelle risorse»[3].


4. Nonostante il Next Generation EU (NGEU) – il documento promosso dalla Commissione Europea da cui nasce lo stesso PNRR – sembrerebbe dettare le condizioni per un grande progetto di transizione ecologica e digitale potenzialmente in grado di definire una nuova dinamica economia strutturale che interessi tutti i paesi membri, all’interno dell’UE esistono da sempre diversi interessi che possono ricondursi in prima approssimazione a due grandi gruppi: da una parte vi sono gli interessi delle aree europee più integrate nei processi produttivi che al centro hanno il sistema economico nazionale tedesco e, in altri comparti quello francese; dall’altro vi sono gli interessi delle «periferie». La maggior parte del sistema economico nazionale italiano fa parte delle «periferie». Tutti i paesi europei sono impegnati in un processo di cambiamento strutturale che dovrebbe condurre a realizzare gli obiettivi del NGEU. Tuttavia, i paesi centro stanno declinando i propri piani di ripresa pensandosi come produttori delle nuove tecnologie necessarie alla transizione green e alla digitalizzazione, mentre i paesi periferici appaiono più distanti da una visione strategica della politica industriale e delle innovazioni e corrono il rischio di essere solo acquirenti delle nuove tecnologie prodotte da altri. Resta da comprendere se questa assenza di visione strategica sia in realtà il risultato di una scelta deliberata e se dunque le riforme strutturali in cui si sostanziano i vincoli assunti dal governo italiano siano funzionali a realizzare soprattutto un nuovo modello istituzionale per il paese, forse un ordinamento più adatto a rafforzare l’Unione Europea che si andrà definendo nel futuro. Ma c’è soprattutto da chiedersi: è proprio inevitabile che il rafforzamento dell’Unione Europea, e in particolare la realizzazione di una politica fiscale comune debba realizzarsi decretando al contempo la definitiva dipendenza economica delle «periferie» europee e del nostro Mezzogiorno in particolare? E preferisco tacere al momento dei processi di riarmo avviatisi dopo le recenti tensioni belliche fra Russia ed Ucraina. Nella logica dello sviluppo capitalistico, la differenziazione fra paesi sviluppati e paesi sotto-sviluppati è sempre il frutto di una scelta politica.


5. In questa prospettiva anche il vincolo di destinazione introdotto su proposta del Ministro per il Sud e la Coesione Territoriale potrebbe apparire in una luce diversa. Lo si legga con attenzione:

«è necessario che le amministrazioni titolari di interventi previsti dal PNRR, le cui risorse siano allocabili territorialmente, stabiliscano in tutti i bandi, avvisi o altre modalità per la presentazione, valutazione e selezione delle proposte progettuali degli interventi da finanziare, coerentemente con il settore di investimento, criteri di selezione ed ammissibilità al finanziamento che assicurino il rispetto del principio di riequilibrio territoriale, riservando almeno il 40 % delle risorse in favore dei territori delle regioni del Mezzogiorno. Nell’ambito di tali procedure, occorre che le amministrazioni adottino criteri di selezione e valutazione e prevedano nei bandi meccanismi di scorrimento delle graduatorie dei progetti validamente presentati, utili ad assicurare che almeno il 40 % delle risorse sia destinato alle regioni del Mezzogiorno. Nei casi in cui siano attivate procedure con allocazione finanziaria suddivisa per aree territoriali, dovrà comunque essere garantito che alle aree delle regioni del Mezzogiorno venga riservato almeno il 40 % delle risorse».

L’applicazione di questo vincolo rischia semplicemente di riorganizzare un sistema economico nazionale rilanciando in forme nuove le logiche di dipendenza fra i territori «centrali» e i territori «periferici». Per evitare questo rischio occorrerebbe innanzitutto comprendere in che modo l’imprenditoria meridionale verrà coinvolta nelle diverse linee progettuali, e come funzioneranno nello specifico i criteri di selezione dei partner che le pubbliche amministrazioni individueranno. Che tipo di imprenditorialità verrà coinvolta? Che tipo di partenariati verranno realizzati? Certo, si potrebbe reagire alla logica del new public management, cercando un riconoscimento istituzionale nelle progettualità che gli Enti Locali dovranno necessariamente mobilitare per spendere le risorse che avranno a disposizione. E magari rilanciando una logica di gestione dei territori facendo tesoro di diverse esperienze che, per esempio, hanno fatto del concetto di «uso-civico» un grimaldello capace di costruire valore sociale fuori dalla logica di mercato.

Scriveva Ferrari Bravo: «Il sottosviluppo non è soltanto il “non-ancora” sviluppo, così come voleva l’”ottimismo” dei classici dell’economia politica che si prolunga ben addentro ai nostri giorni; ma non è neppure il prodotto dello sviluppo, secondo un modo statico, strutturalista, di leggere la fisionomia, a torto ritenuta l’ultima parola del marxismo teorico sul tema. Esso è una funzione dello sviluppo capitalistico: una sua funzione materiale e politica. Sviluppo è infatti quello del potere capitalistico sulla società nel suo insieme, del suo “governo” della società – del suo Stato»[4].

L’uscita dal sottosviluppo dipenderebbe dunque dal sottrarsi dalla logica dello sviluppo capitalistico stesso. La poesia di Montale non si esaurisce nei versi che abbiamo ricordato, ha una fine che ci può aiutare a prendere strade nuove. Le strade di una gioia più compita, fatta di buona pioggia.


La buona pioggia è di là dallo squallore, ma in attendere è gioia più compita.



Note [1] L. Bianchi, Linee introduttive del Rapporto e nuove previsioni Nord-Sud 2021-2024, SVIMEZ, Novembre, 2021. [2] Si veda A. Fumagalli, Alcune note critiche sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, «Il Ponte», LXXVIII, 1, gennaio-febbraio, 2022. [3] A. Calafati, La sinistra italiana e il PNRR. Tra ‘vizio keyensiano’ e credo liberista, www.casadellacultura.it, Luglio, 2021 [4]L. Ferrari Bravo, Forma dello Stato e sottosviluppo nel Mezzogiorno italiano, in L. Ferrari Bravo - A. Serafini (1972), Stato e sottosviluppo. Il caso del Mezzogiorno italiano, ombre corte, Verona 2007, p. 29. Disponibile anche online: «Machina», Derive Approdi, 19 novembre 2021.



Immagine: Hajnóczy Péter

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Stefano Lucarelli, economista, insegna all’Università di Bergamo. Si occupa, tra altro, di politica economica locale. Collabora al progetto «Sudcomune».

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