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Il mago rosso

Un ritratto di Gianfranco Manfredi al di là del fumetto



 Un ritratto di Gianfranco Manfredi che ripercorre «la sua capacità di padroneggiare diversi linguaggi, i generi più disparati, gli stili alti e bassi come se la penna fosse uno strumento musicale da usare nei concerti più vari, dal quintetto d’archi all’esibizione di un gruppo punk».


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Difficile dire qualcosa su Gianfranco Manfredi che lui stesso non abbia detto o scrivere qualcosa che non abbia scritto. Lo racconta bene Marco di Salvo, che nel 2022 ha pubblicato, per i tipi di Edizioni Efesto, una bella biografia dell’autore dal titolo emblematico Cane sciolto. E cane sciolto Manfredi lo era davvero, a parte e al tempo stesso al centro di tutti i mondi che ha attraversato: letteratura, cinema, fumetto, musica e quant’altro. «Ho passato la vita solo a scrivere», ha dichiarato con falsa modestia, e in quel «solo» si cela non tanto l’eclettismo dell’autore, quanto la sua capacità di padroneggiare diversi linguaggi, i generi più disparati, gli stili alti e bassi come se la penna fosse uno strumento musicale da usare nei concerti più vari, dal quintetto d’archi all’esibizione di un gruppo punk.

Punk – più per l’attitudine al contempo avanguardista e disillusa che per un’effettiva adesione a un rock dai torni graffianti e distorti – è forse la parola che più sembra confarsi alla produzione cantautorale di Manfredi, legato agli esordi alla cosiddetta ala creativa del Movimento studentesco.

I suoi testi, cantati su composizioni orecchiabili, si distinguono fin dal primo album del 1972, La crisi, per uno sguardo irriverente ma quasi sempre bonario nei confronti di tutto e tutti, ma interessato in particolar modo a raccontare le tante subculture che affollano gli ambienti della sinistra radicale di quegli anni: studiosi più innamorati della teoria che della prassi (Giuseppe leggeva Lenin), femministe gioiose o arrabbiate (Sei impazzita per Marcuse), extraparlamentari e riformisti, stalinisti e anarchici vengono ritratti nell’Italia della contestazione con affetto nelle loro idiosincrasie, fino a comporre un mondo a cui l’autore guarderà sempre con nostalgia, come è ancora evidente in Cani sciolti, l’ultimo fumetto creato per l’editore Bonelli e pubblicato tra il 2018 e il 2023.

Vista quest’attenzione alla narrazione del Movimento dall’interno, non sembra strano trovare piccoli riferimenti al riflusso incombente già nell’album in Ma non è una malattia del 1976 (la cui canzone omonima è stata scritta insieme a Ricky Gianco), in cui l’euforia del Sessantotto viene rappresentata come un vecchio ricordo da cercare in uno scatolone (Agenda ‘68) e il comunismo sembra allontanarsi dalla prassi rivoluzionaria per tornare a una dimensione spettrale: «Dimagrito, sembri quasi uno zombie/ sarà colpa delle notti/ che ho passato ad aspettare/ cose che forse dovevano arrivare» (Ma non è una malattia).

Anche se temi e motivi simili connoteranno ancora dischi successivi (Zombie di tutto il mondo unitevi, 1977) già nel corso della sua carriera musicale, Manfredi inizia a dimostrare il suo eclettismo, partecipando come ospite a misteriosi dischi prog come Gran disordine sotto il cielo dei Gramigna nel 1977, scrivendo i testi di Passpartù della PFM nel 1978 – dove torna ai giochi linguistici sperimentati in brani come Avanguardo o L’imagination au boudoir – collaborando alle produzioni dell’amico Ricky Gianco per l’etichetta «Ultima spiaggia» o, più recentemente, duettando nel 2019 con un cantautore di nicchia come Auroro Borealo nella jannacciana Stay Hungry, Stay Foolish, Stay Home.

Alcuni dei nostri primi incontri intellettuali con Manfredi dicono molto del suo eclettismo, tanto da credere con difficoltà che si tratti effettivamente dello stesso autore, ed è questo un elemento riscontrabile in molte persone che si sono imbattute nella sua opera: la maggior parte dei lettori e delle lettrici lo ha conosciuto come autore di fumetti, da Gordon Link degli anni Novanta fino alle produzioni degli anni Dieci del Duemila. Sue sono infatti le serie Bonelli Volto nascosto (2007-2008, forse la prima serie italiana contemporanea ambientata in ambito coloniale) e Shangai Devil (2011-2013), fra le rare produzioni popolari italiane sulla rivolta dei Boxer. Lo stesso autore, però, aveva pubblicato come suo primo romanzo Magia rossa, uscito per Feltrinelli nel 1983. Talmente diverso da quello che scriverà in seguito, Magia rossa, che si ha davvero il sospetto che si tratti di una semplice omonimia. Una strana storia gotica (il sottotitolo recita infatti: La rivolta degli spettri), legata agli anni Settanta e alla fine dell’Ottocento, in cui molte delle ossessioni manfrediane vedono la luce: l’attenzione alla storia politica (dagli anni di piombo alle prepotenze del generale Bava Beccaris), il contesto fantastorico e fanta-archeologico, i riferimenti agli Scapigliati, i poteri psichici e le forze occulte. Nell’edizione originale il romanzo veniva definito un horror, oggi forse verrebbe piuttosto considerato weird, resta il fatto che sembra semplicemente un oggetto letterario indefinibile, nuovo e antico al tempo stesso, al di fuori delle mode e dei movimenti eppure capace di rimanere a galla nel marasma della letteratura contemporanea (e la ristampa del 2006 con la postfazione d’autore di Antonio Franchini ne è un esempio lampante).

Il gotico in ogni caso rimarrà costante nella sua produzione letteraria: lo testimoniamo romanzi come Cromantica del 1985, collegato alla figura di Cristina Weishaupt, discendente del fondatore degli Illuminati, in cui, come rivendicato dall’autore nella postfazione alla riedizione del 2008 per l’editore Tropea, attraverso una narrazione che ibrida l’horror del Dario Argento degli anni Ottanta al «campus novel», si anticipano per certi versi alcuni espedienti che determineranno il successo dei thriller di ambientazione museale à la Dan Brown.

L’attenzione nelle descrizioni dei sei quadri al centro di uno scontro secolare tra due diverse sette esoteriche è infatti uno dei maggiori punti di forza del romanzo, ulteriormente arricchito dall’inserimento di falsi documenti storici e lunghe dissertazioni sulle belle arti.

La commistione tra scrittura saggistica e narrativa torna poi in Ultimi vampiri, raccolta di racconti a cui l’autore ha più volte rimesso mano nel corso degli anni e in cui le coordinate storico-leggendarie sui non morti tratte dalle diverse tradizioni europee vengono recuperate per creare un immaginario transnazionale che va dal protestantesimo di Carlostadio alla Hollywood di Bela Lugosi, passando per l’inquisizione spagnola, per la Francia del Re Sole e per quella rivoluzionaria

Se la passione per gialli dalle tinte forti, legati alla storia dell’arte e al contesto universitario, torneranno ancora nella sceneggiatura di La morte rossa, uno dei numeri di Dylan Dog più celebrati, è forse il Manfredi saggista – sicuramente meno noto dello sceneggiatore dei fumetti – a dirci qualcosa di più sulle sue passioni culturali e politiche. Manfredi ha scritto saggi e postfazioni per le pubblicazioni di canzoni e spartiti dei maggiori protagonisti della musica leggera italiana (Battisti, Jannacci, Celentano, Mina, Milva, Ornella Vanoni); nel 1979 ha affrontato un filosofo complesso come Jean-Jacques Rousseau analizzando la sua teoria della sessualità, in un saggio scientifico con la prefazione di Mario Dal Pra. L’idea è di vedere nel pensatore francese un antesignano di alcuni aspetti del pensiero femminista, in particolare grazie all’analisi del teatro e soprattutto di Ouvrage sur les femmes, all’epoca ancora poco studiato. Se il saggio non è esente da qualche incongruenza – in particolare sulla datazione di alcune opere – rimane un’opera alquanto unica nella produzione manfrediana, che mostra la sua capacità di scrivere davvero di tutto (nel senso positivo del termine) e di padroneggiare facilmente anche il linguaggio accademico, elemento niente affatto scontato per un autore a torto considerato quasi esclusivamente «di genere».

Sono però i saggi più eminentemente politici a dare la misura (e la grandezza) dello scrittore. Nel 2017 Agenzia X ha pubblicato Ma chi ha detto che non c’è, un saggio molto sentito ed estremamente ricco e dettagliato sul movimento del 1977. Anche in questo caso, è la musica a fare da leit-motiv del racconto, che rimane molto vivo perché svolto tutto in prima persona. Ma chi ha detto che non c’è infatti è una delle canzoni, scritta dall’autore stesso, simbolo di quel periodo e Manfredi riesce a raccontarlo «allungandolo», dandoci uno spaccato delle produzioni artistiche, creative, politiche e intellettuali che vanno dal post- 1968 agli anni immediatamente precedenti al riflusso del decennio degli Ottanta. Chi volesse immergersi nella narrazione, come detto altamente piacevole anche come qualità della scrittura, si troverebbe di fronte a collettivi, occupazioni, ma anche poesie, film, amori e romanzi. Marc Tibaldi giustamente considera il saggio come compendio necessario al ben più noto L’orda d’oro, 1968-1977 di Nanni Balestrini e Primo Moroni. Forse più strettamente politico questo, mentre Manfredi prende il via dall’immaginazione che al potere alla fine non ci arriva, ma (forse proprio per questo) di società alternative ne immagina a decine, tutte diverse e tutte ugualmente suggestive.

L’attenzione agli anni Settanta – elemento biografico, esistenziale, ma anche fonte inesauribile di ispirazione artistica, almeno per la produzione letteraria – non si esaurisce con il saggio del 2017. Fra il 2021 e il 2023 DeriveApprodi pubblica tre saggi di Manfredi  (rispettivamente C’era una volta il popolo: storia della cultura popolare, del 2021; A qualcuno piace scorretto: storia delle provocazioni letterarie (1851-1969), del 2022; Il collasso della coscienza borghese: dall’uomo della folla all’uomo senza qualità, del 2023) che, se non sono del tutto ed esclusivamente legati agli anni Settanta, prendono spunto da quel decennio per affrontare tematiche assolutamente contemporanee quali i nuovi autoritarismi, la questione della libertà di critica e di parola e il concetto delle produzioni letterarie working class

È stato molti autori in uno, Gianfranco Manfredi, attraversando generi e linguaggi. Un profilo inusuale per il contesto culturale italiano, visto che ha saputo ibridare cultura «alta» e «bassa», saggi filosofici, musica leggera e fumetti, senza perdere mai la grande verve creativa e non trascurando mai un livello qualitativo alto per tutte le sue produzioni. È stato soprattutto, Manfredi, un intellettuale, ma lo è stato a modo suo: lontano, molto lontano dall’intellettualismo, eppure capace, nella più alta tradizione del termine, di capire e far capire il mondo e la società in cui viveva. Un «cane sciolto» appunto, come si scriveva all’inizio, difficilmente ammaestrabile e proprio per questo prezioso: si fa torto a definirlo «fumettista», «cantautore» o «scrittore», perché, se è stato sicuramente tutto questo, è riuscito ad essere anche molto di più.


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Daniele Comberiati è professore associato di letteratura italiana presso l’Université Paul-Valéry Montpellier 3. Ha pubblicato i romanzi Vie di fuga (2015, Besa, premio «Regione Calabria e Basilicata») e Colpo di stato nella San Marino rossa (2018, Besa), oltre alle raccolte di racconti Di eredi non vedo traccia. Storie di tani, mericani e tripolini (Nerosubianco 2012), Il diario delle mie sparizioni (Besa, 2024) e al brano semi-autobiografico La caduta dei gravi. Roma, gli anni Novanta, la fuga (Nerosubianco, 2014). Si occupa di letteratura della migrazione, fantascienza, postcolonialismo italiano e romanzo grafico. Nel 2010 ha pubblicato per Peter Lang il saggio Scrivere nella lingua dell’altro. La letteratura degli immigrati in Italia (1989-2007). Insieme a Simone Brioni ha scritto Italian Science Fiction: The Other in Literature and Film (Palgrave Macmillan, 2019) e Ideologia e rappresentazione. Percorsi attraverso la fantascienza italiana (Mimesis, 2020). Per Quodlibet nel 2019 ha pubblicato il saggio Un autre monde est-il possible? Science fiction et bande dessinée en Italie, de l’enlèvement d’Aldo Moro jusqu’à aujourd’hui (1978-2018). Nel 2022 è uscito un suo saggio su distopia e utopia nella letteratura, dal titolo Il mondo che verrà. Cinque ipotesi di ricostruzione dell’umanità nelle narrazioni distopiche: London, Barjavel, De Pedrolo, Montero, Ammaniti (Mimesis, 2021). Nel dicembre 2022 ha co-curato, insieme a Chiara Mengozzi, il volume Storie condivise nell’Italia contemporanea. Narrazioni e performance transculturali (Carocci).


Loris Magro (Agrigento, 1990) si è formato tra Catania, Pisa, Madrid e Modena prima di trasferirsi a Torino, dove insegna lingua e cultura inglese.


Per approfondire:







1 Comment


Parker Keith
Parker Keith
4 giorni fa

Che tributo meravigliosamente scritto e perspicace al genio eclettico di Gianfranco Manfredi. Sprunki Game

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