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I barbari all’assalto dell’impero: Louisa Yousfi e i rapper di banlieue


Un estratto ragionato da Restare barbari di Louisa Yousfi (DeriveApprodi 2023) per comprendere i fuochi di Nanterre.


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J’ai grandi dans le zoo, j’suis niqué pour la vie.

Même si j’meurs sur une plage, j’suis niqué pour la vie.

Parce que ceux que j’aime ont la haine, j’suis niqué pour la vie.

Parce que j’cours après ce biff, j’suis niqué pour la vie.

PNL, Zoulou Tchaing, Deux frères, 2019


«Sul finire del 2015, mentre il morale del paese vacilla sotto i colpi degli attentati terroristici [alla sede del settimanale satirico «Charlie Hebdo» nel mese di gennaio e quelli coordinati in diversi punti di Parigi tra cui lo Stade de France e la sala per concerti Bataclan, nel mese di novembre ndr], tutti gli sguardi si spostano verso le banlieue, un territorio maledetto da cui sono usciti giovani uomini pieni di odio, passati in un colpo solo dalla piccola delinquenza alla barbarie sanguinaria. Possiamo immaginare i muri luridi di una cité di Aubervilliers, in mano a delinquentelli in tuta da ginnastica che si destreggiano tra il crimine e l’Islam, rimuginando sulla loro miseria, contro l’intera società.»

Si apre così uno degli ultimi capitoli di Restare barbari di Louisa Yousfi, giornalista e militante decoloniale, pubblicato in Italia nella primavera appena trascorsa. Come «un pugno nello stomaco», il libro offre —si legge nella quarta di copertina — «uno straordinario viaggio nell’alterità radicale» delle banlieue e ci consegna elementi di analisi irrinunciabili per comprendere i fuochi di Nanterre della notte passata.


Una formula magica

Louisa, per sua stessa definizione «buona allieva della Repubblica, una buona indigena con i capelli lisci e la lingua addomesticata», sceglie di affidare alla musica rap la soluzione dell’enigma che la interroga quale «indigena» della repubblica francese: come fare per restare barbari? Come «mantenere quella specie di barbarie» e darsi «la possibilità di un altro destino», un destino diverso da quello offerto dalla civiltà occidentale, capitalista e razzista. Restare barbari è «una formula magica», dirà a più riprese nel libro: la «formula magica» del poeta algerino Kateb Yacine per resistere all’addomesticamento che «nel linguaggio dell’Impero» si chiama integrazione.

«Come possiamo rovinare la bella copia quando la rispettabilità della famiglia poggia così tanto sulle nostre spalle e la nostra voce costituisce per i nostri una rara opportunità di avere un posto nella conversazione?» Per risolvere il dilemma si lascia ispirare dalla musica rap: «lungi dal voler tradurre la lingua del rap nell’universale dell’intellettualità critica, ho la sensazione che siano i rapper a parlare per me. Non di me ma per me. Il loro linguaggio, con i suoi eccessi, la sua irriverenza nei confronti della grammatica convenzionale, dà alla mia scrittura da integrata la possibilità di respirare un po’ (…) Restando barbari, parlano per me, per noi».

Per questo affida alla prosa dei rapper di banlieue Booba e PNL la sua critica senza sconti alla civiltà occidentali e alle sue violente politiche d’integrazione.


Que la famille

È «un giuramento di odio (…) quello che emerge» dalle banlieue cantate dal rap: «due fratelli di una cité di Corbeil-Essonnes, abitata, per loro stessa ammissione, da un odio abissale. La storia del gruppo rap PNL inizia qui: nel bel mezzo di un disastro.

PNL è la banlieue isolata, la banlieue-zoo vissuta come prolungamento della prigione. Nel suo cuore, nasce un ecosistema, con i suoi codici e il suo linguaggio. I PNL arrivano da lì (…) All’ingresso, questo avviso: Qlf (Que la famille). Da leggere: andate via. Se non fate parte della famiglia, non capirete nulla. Dal punto di vista lirico, fonetico e musicale, sembrerà tutto incomprensibile, forse addirittura ridicolo. Non cercate oltre. Questo mondo non è fatto per voi e nessuno sarà in grado di spiegarvelo, semplicemente perché queste cose non passano per il significato ma per l’appartenenza al gruppo, per l’appartenenza al sangue. Alla faccia del dialogo. La banlieue dei PNL non fa rap “conscious”, non fa appello a nessuna istituzione, non sensibilizza nessuna coscienza. Non si aspetta più nulla dal mondo esterno, non vuole più avere nulla da dirgli. Qualcosa si è rotto ma è troppo tardi per parlarne.

(…) Qlf, il motto del clan, diventa un grido d’allarme più ampio del previsto. Viene lanciato da tutte le “pecore nere” della comunità, che recuperano la loro dignità attribuendosi un ruolo cruciale nell’economia generale del gruppo.

Nella clip di Deux frères [brano dell’omonimo album del 2019, ndr], un bambino viene svegliato nella notte da una rivolta che si svolge sotto la sua finestra. È l’ottobre 2005 e questo bambino lo sa: appartiene alla razza dei selvaggi incappucciati che il Crs [il reparto mobile della polizia francese che interviene per sedare le rivolte urbane, ndr] ha l’ordine di reprimere. Questa scena apripista fa luce sul resto. Dice: è qui che devi crescere. Ma per la generazione dei fratelli PNL la fine dell’infanzia è già arrivata, è l’età in cui il mito repubblicano si sbriciola, in cui si affermeranno i confini reali e simbolici tra “loro” e “noi”. Zyed e Bouna [i due giovanissimi folgorati in una cabina elettrica dove si erano rifugiati per sfuggire alla polizia, in una normale dinamica di banlieue, evento che diede il via alle rivolte del 2005, ndr]: i fratellini sono morti e non c’è più nulla da salvare».


Fottuti a vita

«(…) Deux frères, è scritto come un epilogo infestato dal ricordo della vita che non conducono più. L’ultimo brano, La misère est si belle, è una lunga dedica a tutto ciò che della miseria costituiva la bruttezza: “i miei scarafaggi”, “la mia cantina”, “il mio salone”, “il mio soffitto triste”, la “Rer C”, il “Bat C”, “alla mia vita”… Non cercano di ripristinare il loro mondo precedente considerando “belli”» e valorizzando gli elementi socialmente accettati. Dicono che la bellezza del loro mondo risiede proprio nella sua bruttezza. Hanno sperimentato il paradosso inverso: la bellezza del mondo di sopra è disgustosa vista da vicino. Non ha nulla di moralmente superiore da offrire rispetto alla vita che si sono lasciati alle spalle. È persino squallida, questa bellezza. Se si può dire che “la miseria è così bella”, non è per l’amnesia dei parvenu ma per la riattivazione di emozioni lontane e ricordi dimenticati che costituiscono la dignità dei nullafacenti di questo mondo. Questa ricostruzione a posteriori del passato viene elaborata come successione di immagini di una condizione morale. È un crollo interiore che permette di selezionare dalle proprie rovine ciò che vale la pena salvare: “Ils ont détruit nos tours / Détruiront pas l’empire qu’on a construit dans nos cœurs (Hanno distrutto le nostre torri / Non distruggeranno l’impero che abbiamo costruito nei nostri cuori) [PNL, Sibérie, Deux frères, 2019].

Questo impero interiore deve essere inteso come una nuova declinazione della “specie di barbarie” katebiana. Alla fine della loro corsa senza sosta per raggiungere la vetta, i due fratelli fanno finalmente marcia indietro: sono ormai volontariamente contaminati e inguaribili. Fortunatamente, fottuti a vita»: niqué pour la vie.

«Questa è l’intuizione del libro: se il rap cristallizza in sé qualcosa di simile a un’etica del restare barbari, dobbiamo immaginarlo come il destino letterario del rap che riacquista il suo potere e si arma per descrivere se stesso al di là della santità, dell’esemplarità e persino della bellezza (…) L’etica e soprattutto l’estetica del restare barbari risiedono senza dubbio in questa saggezza: una sospensione del giudizio, una misericordia».

E i giovani banlieuesard che nella notte hanno messo a ferro e fuoco diverse citè dell’ Île-de-France, sanno, come il bambino nella clip di Deux frères, che Restare barbari è «un’indicazione politica»: «che boccata d’aria fresca!»


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Anna Curcio, ricercatrice, saggista e traduttrice militante, ha insegnato e svolto attività di ricerca in Italia, Regno Unito e Stati Uniti. Attualmente insegna discipline giuridico-economiche nelle scuole superiori. Studia le trasformazioni del lavoro produttivo e riproduttivo nel rapporto con la razza e il genere.

Ha curato per DeriveApprodi: Introduzione ai femminismi (2019) e Black Fire (2020).

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