top of page

Gli anni Novanta nel Regno Unito


Immagine: Uno striscione che sancisce l'unità tra il movimento Reclaim The Streets e la lotta dei portuali di Liverpool per riottenere il loro posto di lavoro dopo il licenziamento per aver intrapreso un'azione di solidarietà. Credits: Activist Media Project a MayDay Rooms

In questo articolo, Matthew Lee e Dante Philp introducono al pubblico italiano gli anni Novanta, all’interno della cornice di indagine e discussione dei decenni smarriti. L’obiettivo dell’articolo è discutere il decennio come un momento di ricomposizione delle forze politiche e sociali, sfidando e aggredendo – con successo – il mantra acritico della fine della storia. Gli autori mappano la genesi e la storia di molteplici lotte discutendone gli orizzonti, la composizione di classe e, soprattutto, domandandosi quali aspetti di queste esperienze possano essere utili per le lotte e le forme di organizzazione di oggi. Nella prima parte, oltre ad illustrare il contesto generale in cui la decade maledetta fece il suo ingresso nella storia, gli autori discutono le lotte e le vertenze nei luoghi di lavoro: sindacali, auto-organizzate, spontanee e a gatto selvaggio. Nella seconda parte, invece, offrono una discussione relativa alle lotte contro lo stato e ai movimenti che attraversarono le strade degli anni Novanta britannici. Gli articoli costituiscono un utile strumento per orientarsi nelle trasformazioni politiche, sociali, legali e culturali del Regno Unito durante gli anni Novanta. Lungi dal fornire una mera cronaca, il lettore viene guidato nel labirinto della storia sovversiva del decennio, trovandosi, così, di fronte alla non falsificabile verità che le cose sono andate in quel modo, ma sarebbero potute andare diversamente.




***


Introduzione

La richiesta di scrivere un articolo sugli anni Novanta del Regno Unito è una provocazione. Dal punto di vista politico, guardiamo a questo decennio con disprezzo, perplessità e paura. Ma in fondo, in verità, non ci soffermiamo mai a riflettere veramente su questi anni. Poco del decennio ci salta agli occhi. Ci sono, semplicemente, troppe rovine su cui posare lo sguardo. Esaminare le ceneri degli anni Novanta è, forse, meno allettante e urgente che indagare le intense lotte e le catastrofiche sconfitte che si sono verificate nei decenni precedenti, oppure indagare le condizioni più immediate che hanno dato origine al mondo in cui viviamo oggi. Tutti conosciamo la linea sulla questione: il «neoliberismo» ha trionfato e il «socialismo doveva essere annientato per sempre», mentre gli eredi di Thatcher si preparavano a insediarsi[1]. Il tedio di scrivere e pensare agli anni ’90 è il tedio di scrivere sulla fase attuale, guardando un periodo che sappiamo essere collassato in quello in cui viviamo.

Questo, come speriamo di dimostrare, non rende giustizia agli anni Novanta. La lotta è continuata come, d’altronde, continua sempre. Il successo si è intrecciato con il fallimento, e sono fiorite nuove forme di organizzazione e di resistenza. Come recita l'ultimo numero degli autori dell’omonimo incendiario, proletario e populista giornale del 1997: «Class War is dead-long live the Class War!». Il decennio è segnato dalla seria militanza ecologica e antirazzista e l'agitazione di classe è continuata, come sempre, anche se questi movimenti antagonisti devono ancora raggiungere lo stesso grado di canonizzazione storica che, invece, ha interessato le loro sconfitte. Sebbene lo scioglimento del Partito Comunista della Gran Bretagna in un think tank, nel 1991, abbia prefigurato le forme che la sinistra avrebbe assunto nel XXI secolo, gli anni Novanta sono stati anche il decennio in cui le sette trotzkiste come il Socialist Workers Party[2] e Militant hanno esperito i picchi dei loro numeri di iscritti, rivalizzati da una scena anarchica vivace, così come da una serie di gruppuscoli dell’ultra-sinistra, relativamente influenti. In eventi troppo contestati e politicamente complessi per poter rendergli giustizia in questo scritto, gli anni Novanta sono stati anche il decennio che ha visto una serie di cessate il fuoco nella lunga storia insurrezionale del Provisional IRA contro lo stato britannico, per l'occupazione dell’Irlanda del Nord. Ciò ha portato all'Accordo del Venerdì Santo, così come a una serie di gruppi dissidenti che giurarono di continuare la campagna militare per la causa repubblicana. Con un'espansione della lotta sulla riproduzione della vita quotidiana, una crescita dei conflitti nella sfera della circolazione e uno Stato che cambia volto, i movimenti degli anni Novanta discussi in questa sede dovevano confrontarsi con una composizione e, dunque, una relazione con la politica istituzionale che era radicalmente mutata. È stato negli anni ’90 che la ricomposizione della classe lavoratrice, iniziata trent’anni prima, ha raggiunto l’apice. Anche se forse scoraggiante nel suo esito, è importante riconoscere che questa ricomposizione non è stata affatto priva di contestazioni.

Gli autori di questo pezzo sono nati entrambi alla fine di questo decennio, quindi non hanno mai vissuto in prima persona le congiunture del periodo qui discusso. Questo testo è scritto, dunque, da una prospettiva plasmata da ciò che ci hanno raccontato i compagni  e le compagne più grandi – o meglio, da ciò che non ci hanno raccontato – così come da un'analisi dei testi e dei materiali di quel periodo, prodotti principalmente in situ, spesso nei margini[3]. Anche se tentiamo, in parte, un bilancio di ciò che sembra essere accaduto, non miriamo certamente a coprire tutti gli sviluppi sociali e politici del periodo, e allo stesso modo, una serie di importanti cambiamenti legali, costituzionali e socio-culturali – progressisti o meno – non vengono affrontati. Similmente, riconosciamo che qualsiasi genealogia della crescita e delle trasformazioni dei gruppi della sinistra è preliminare, dunque, una ricostruzione più attenta alle differenze locali richiederà ulteriori lavori. Soprattutto, intendiamo evitare di fissare un rigido telos al decennio, che sia, da un lato, nel naturalizzare Blair e i suoi simili e, dall’altro, nel rifiutare i tentativi falliti come irrimediabilmente utopici. Le alternative erano possibili e, in effetti, le cose potrebbero essere state ancora... peggiori.



La decade ha inizio

Il sacrificio di Thatcher e la sua ampiamente disprezzata Poll Tax marcano a fuoco l'inizio del decennio[4]. Il modo popolare di riferirsi a questa legge ne richiama una simile del 1379: un vero e proprio tentativo di flat-tax, Community Charge, avrebbe triplicato le bollette di molte persone, facendo pagare i poverissimi quanto i ricchissimi[5]. Alla fine, 17 milioni di persone scelsero di rifiutare la tassa, e con un gruppo dedicato, spesso riottoso, di attivisti che ne guidavano la difesa, lo Stato non fu in grado di imporsi sulla popolazione[6]. Lo spirito di resistenza, che è cresciuto dalla mobilitazione delle comunità e degli alloggi scozzesi contro la Poll Tax[7] (la legge era stata, infatti, crudelmente sperimentata a nord del confine nel 1989, un anno prima rispetto a Inghilterra e Galles) ha stabilito il precedente per costruire una rete organizzativa volta ad organizzare il rifiuto di pagare. Anche se sarebbe stato quasi impossibile compiere il lavoro amministrativo necessario ad attuare effettivamente la tassa in modo uniforme, o a multare e imprigionare tutti i non paganti, la tassa doveva essere risolutamente respinta dalla popolazione stessa. Una campagna di non pagamento includeva il rifiuto, da parte dei lavoratori comunali o giudiziari, di imporre i pagamenti della tassa nei quartieri, così come la contestazione strategica ai tribunali che tentavano di punire coloro che rifiutavano la tassa e, infine, i famosi disordini e manifestazioni che portavano la campagna a confrontarsi direttamente con la polizia e con lo Stato[8].

Come le dispute su quale gruppo d’avanguardia potesse rivendicare il Maggio del Sessantotto, la lotta attorno alla Poll Tax è stata ampiamente mitizzata da diverse tendenze di sinistra del Regno Unito, che tentarono di presentare il loro coinvolgimento come decisivo. Esistevano tensioni reali nel movimento, con la direzione della campagna, a livello nazionale, in contestazione permanente tra diverse fazioni politiche. Una breve lettera del numero di settembre 1990 di «Autognome», un foglio proveniente dal contesto anarchico e squat, contro il coinvolgimento di Militant[9], ricostruisce bene l'umore:

«La presa di Militant Tendency sul movimento del poll tax sta lentamente venendo minata, con i legami indipendenti che crescono tra gruppi non dominati dal Mili. Fin dall'inizio, questi trotzkisti irrilevanti hanno sabotato l'azione indipendente e hanno cercato di dirigere la resistenza verso i loro fini. Ora le persone stanno iniziando a riconoscerli per quello che sono - crumiri e spie. Ogni volta che glielo fai notare si lamentano che vengono 'presi di mira' e invocano la 'caccia alle streghe' da parte degli anarchici. La ducking stool  [panche medievali utilizzate per le esecuzioni di presunte streghe, NdT] sarebbe troppo buona per loro. Non riescono a tenere a bada il NOSTRO movimento».[10]

In ultima analisi, risulta chiaro come le campagne volontarie, profondamente radicate nei quartieri, siano state in grado di generare conoscenza e fiducia sufficienti a contestare al meglio la tassa e forse, cosa più importante, le ripercussioni dovute al non-pagamento. Il Labour Party[11] e i sindacati rifiutavano, spesso apertamente, di sostenere i movimenti anti-pagamento; quindi, sono stati perseguiti metodi di lotta alternativi – e con successo. L’abolizione della legge è stata annunciata nel 1991, con John Major che ha sostituito Thatcher (a causa della sua crescente impopolarità nei cinque mesi precedenti), ma sarebbero passati solo due anni prima che una nuova tassa la sostituisse. Alcuni gruppi anti-Poll Tax hanno continuato a sostenere e difendere i non paganti, mentre altri sono stati lasciati a se stessi. Tuttavia, il danno era stato fatto e la tassa era stata revocata.

Ciò non implica suggerire che gli anni Novanta fossero un momento di aurora. Quasi immediatamente, il fallimento delle mobilitazioni contro la Guerra del Golfo ha raffreddato l'entusiasmo verso qualunque tipo di resuscitata azione di classe. La disfunzionalità del movimento anti-war, incapace di ostacolare la macchina da guerra e significativamente indebolito rispetto ai suoi apici dei decenni precedenti, avrebbe perseguitato la sinistra del Regno Unito per il decennio successivo: con l'intervento della NATO in Kosovo e le invasioni dell'Iraq e dell'Afghanistan. Il New Labour, «legato alle ruote da carro della politica militare degli Stati Uniti»[12], non offriva, in tal senso, alcuna rottura rispetto alla politica conservatrice, ma, piuttosto, finiva col favorire l'intensificazione del fervore militare atlantista.

Cominciamo con la Poll Tax quindi, non, semplicemente, per cronologia, ma perché chiarisce una dinamica presente nelle lotte del decennio: formazioni sfuse di migliaia di persone costrette a mobilitarsi per le strade e attraverso azioni dirette, ma non necessariamente legate da convinzioni ideologiche profondamente radicate. Spinte ai margini delle organizzazioni significative (frammentate e opposte e con diversi stili della militanza), persisteva anche, nonostante alcuni momenti di controtendenza, una capacità limitata di piegare efficacemente la lotta sul posto di lavoro in movimenti politici più ampi. Con un Partito Laburista e un movimento sindacale disinteressati e repressivi nei confronti della politica combattiva, gli anni Novanta sono segnati da una sottrazione  di massa dalla politica elettorale. La partecipazione al voto è drasticamente diminuita[13], così come quella  nelle istituzioni «tradizionali» della sfera borghese e di quella proletaria.

Con la sua ascesa nel 1997, il New Labour ha governato attraverso una «egemonia senza peso»[14] del dominio parlamentare, sostenuto dai media e da un'opposizione polverizzata sia a sinistra che a destra. Il New Labour ha proseguito nello smantellamento del welfare keynesiano, facilitando la formazione di un mercato del lavoro flessibile, attorno all’economia «creativa» e della «conoscenza», costruita sull'interpenetrazione tra economia di mercato e i servizi pubblici[15]. Il paese ha subito una profonda trasformazione socio-economica, gettandosi a capofitto verso l’isterismo del mercato e la frenesia imprenditoriale, grazie alle basi poste dal Thatcherismo un decennio prima.

Prendiamo le nostre città. La classe dei proprietari terrieri è emersa, quale gruppo di interesse dominante degli affari nazionali, per la prima volta in questo periodo. L'edilizia popolare è massicciamente passata in mano privata, attraverso i trasferimenti azionari del patrimonio abitativo, gli sgomberi delle case comunali e il diritto all'acquisto delle case popolari che rendeva possibile venderle o mutualizzarle. I sistemi di rendita, che ancora oggi plasmano e impoveriscono la vita della classe lavoratrice, sono esplosi: l’affitto della terra viene registrato come il settore che più contribuisce alla «crescita economica» del Regno Unito tra il 1992 e il 2004[16]. Con Blair, il Regno Unito è stato «modernizzato» con la sperimentazione di un «rinascimento urbano» che ha aperto la strada a processi di displacement e pulizia sociale[17]. Città e province sono state ricostruite attraverso «iniziative di finanziamento privato» che hanno facilitato un legame più stretto tra stato e mercato e le aziende private hanno cominciato a finanziare, costruire e gestire strutture pubbliche, come ospedali e scuole[18].

Non esiste, evidentemente, un semplice racconto di declino assoluto degli anni Novanta. Il decennio è «perduto» in un senso complicato, oscurato dall’oblio, ma, anche, da una mitologia sfavillante. Vediamo un incessante ritorno ai concetti della «fine della storia», della «morte del futuro» e dei «lunghi anni Novanta». Queste espressioni mostrano come siamo tuttora vincolati ad una ripetizione perpetua della cultura e della politica di quel periodo, nei suoi orizzonti perduti e nella sua interminabile malinconia. Questo quadro, infatti, è sintomatico di tale condizione. Un modo per superarla è operare una rivalutazione degli antagonismi del decennio stesso, apprezzando gli sforzi e i fallimenti dei suoi movimenti, più o meno rivoluzionari. Non dobbiamo semplicemente lamentarci che qualche alternativa a Blair non abbia preso le redini del Partito Laburista – un'istituzione che già da anni si era profondamente orientata a destra – o che una o un'altra corrente non sia diventata egemonica nel guidare la resistenza all'autoritarismo di quel periodo. Piuttosto, prima di qualsiasi giudizio, dobbiamo concentrarci su come i cambiamenti nella composizione di classe abbiano aperto e chiuso certi percorsi di possibile azione politica.



Le lotte nel lavoro

Questo approccio è particolarmente urgente se si considera il destino della lotta dei lavoratori e delle lavoratrici nel corso del decennio. Subito dopo alcuni dei decenni più agitati e conflittuali del movimento sindacale britannico, i livelli di sciopero negli anni Novanta erano ai minimi storici. Negli anni Ottanta, nessun anno ha registrato meno di 1,92 milioni di giornate di sciopero (e la maggioranza degli anni aveva cifre molto più alte) nel decennio successivo, nessun anno sarebbe riuscito a raggiungere nemmeno questo numero[19]. A seguito delle debilitanti sconfitte di lotte emblematiche (e duramente combattute) come lo sciopero dei minatori del 1984-5 e la vertenza di Wapping del 1986-7, le posizioni dei sindacati si erano indebolite, poiché il principio guida dello Stato e dei padroni si era spostato dal corporativismo combattivo ma collaborativo, ad un rifiuto assoluto di compromessi. Le trasformazioni legali dei decenni precedenti avevano lentamente indebolito i lavoratori e le lavoratrici, rendendo illegali le azioni di solidarietà, gli scioperi selvaggi e i picchetti volanti[20]. Tuttavia, la sola legislazione non può essere considerata responsabile della diminuzione dell’intensità militante delle tattiche utilizzate dal movimento della classe lavoratrice. Tattiche come quella dei picchetti volanti sono state un punto fermo di molti lavoratori e lavoratrici organizzati per diversi anni, anche dopo la loro criminalizzazione. Infatti, è stato solo dopo una serie di battaglie strategiche da parte dello Stato contro diversi settori industriali (iniziando con le sezioni più debolmente organizzate della classe operaia industriale, come i lavoratori siderurgici, per poi passare, gradualmente, ai minatori) che un movimento di una classe lavoratrice demoralizzata  ha iniziato ad essere imbrigliato da queste leggi. I leader sindacali, preoccupati di perdere la loro rilevanza, hanno iniziato ad ingraziarsi ulteriormente lo Stato. Le dure repressioni sui sindacati, che sono stati giudicati colpevoli di aver violato la legge nel decennio precedente, come previsto nel Piano Ridley del 1977 (attuato nel decennio successivo) hanno senza dubbio incoraggiato anche i leader dissidenti a seguire la strada dell’accettazione.

Tuttavia, più rilevante di queste pressioni all’alto sulle organizzazioni sindacali è stato il cambiamento della composizione della classe lavoratrice, dal basso. Il crollo di settori come l'estrazione mineraria e il continuo declino del settore manifatturiero hanno modificato la composizione tecnica del lavoro. Ciò era dovuto al semplice fatto che, in generale, i lavoratori e le lavoratrici svolgevano sempre sempre più mansioni rispetto a quanto era avvenuto in precedenza[21]. Tuttavia – oltre all'estrazione mineraria, la cui forza-lavoro si è drasticamente ridotta tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta – il lavoro industriale stava diminuendo nello stesso modo in cui era iniziato a diminuire dalla metà degli anni Sessanta. Questa drastica trasformazione nella composizione tecnica del lavoro, che è avvenuta prima e durante gli anni Novanta, non può essere spiegata attraverso la sola diminuzione della forza lavoro industriale. Invece, si possono individuare tendenze più ampie che hanno mutato la composizione tecnica del lavoro, anche all’interno dei lavori industriali: privatizzazione e precarizzazione.

Le industrie nazionali sono state lentamente privatizzate nel corso di diversi anni[22]. Gli enti di regolamentazione nazionali sono stati in gran parte aboliti prima, durante o dopo questo passaggio di testimone dallo Stato al capitale privato. La dittatura spietata della domanda e dell'offerta, sostenuta dalle opportunità offerte al capitale dalla disorganizzazione della classe lavoratrice, ha condotto verso processi di flessibilizzazione della forza-lavoro in tutta l’economia. I lavoratori e le lavoratrici dovevano poter essere chiamati al lavoro in qualsiasi momento, poter essere assunti o licenziati quando necessario e, con la crescita della contrattazione precaria, dovevano fare di più ed essere pagati di meno. L'esperienza di questi cambiamenti sul posto di lavoro potrebbe essere descritta con poche parole: lavoratori e lavoratrici erano completamente fottuti.

Allo stesso modo, questi cambiamenti hanno mutato  la composizione sociale della classe lavoratrice. Le industrie centrali, attorno alle quali intere comunità erano un tempo relativamente coese e politicamente responsabili, sono cambiate e così è cambiato il legame sociale. Il lavoro si è disperso, mutando dai grandi agglomerati industriali ad una moltitudine di piccoli luoghi – o, semplicemente, ha cessato di esistere, costringendo i lavoratori a spostarsi altrove per trovare impiego. Anche le politiche statali hanno cambiato la composizione sociale del lavoro. La politica principale di Thatcher, il programma right-to-buy, in cui gli inquilini degli alloggi popolari potevano acquistare le case in affitto a prezzi scontati, ha danneggiato la disponibilità totale di edilizia ed inquilini delle case popolari nel paese. Anche se inizialmente tutte le tipologie di contratto di affitto sarebbero diminuite di anno in anno dopo l'introduzione del right-to-buy nel 1980, questa tendenza si è invertita per l'affitto privato dopo il 1988, mentre i contratti di locazione sociale hanno continuato a diminuire. Il risultato è stato un aumento del piccolo proprietario di casa, non controllato dagli equilibri del social housing e dalla forza collettiva che i grandi proprietari terrieri finivano con il conferire alla classe lavoratrice. Tutto ciò ha reso l’esperienza di affittare una casa è ancor più frammentata ed eterogenea. L'accesso ai benefici statali è diventato ancor più difficile per i lavoratori e le lavoratrici in sciopero, ma anche per la classe lavoratrice più in generale. I cambiamenti nella composizione tecnica della classe lavoratrice sono stati quindi abbinati a questa scomposizione sociale, e, successivamente, hanno contribuito ad informare la composizione politica della classe lavoratrice degli anni Novanta e del periodo immediatamente precedente.

Lo sciopero di Burnsall, rappresentato efficacemente nel documentario del 1993 di Channel 4 The Women of Downing Street[23], è stato forse un segno di ciò che sarebbe accaduto nei decenni successivi ai movimenti della classe lavoratrice. Lo sciopero nella piccola fabbrica di finitura del metallo nelle Midlands Occidentali, che produceva in subappalto per grandi multinazionali automobilistiche, è durato cinquantaquattro settimane tra il 1992 e il 1993, coinvolgendo in larga misura lavoratrici e lavoratori neri. Dedicate e fiere, queste lavoratrici hanno rappresentato, come è spesso accaduto, una forza lavoro migrante e femminile che agiva come avanguardia del movimento in un momento di stasi. Tuttavia, quest’esperienza era isolata sia dall’effettiva atomizzazione all'interno del processo produttivo, che dai funzionari sindacali, che volevano scongiurare qualunque escalation che potesse minacciare lo status legale del sindacato. Inoltre, la loro composizione razializzata e femminilizzata li portava ad essere ulteriormente isolati. Le azioni di solidarietà erano, allora, poche e lontane. Un rappresentante sindacale solitario della Jaguar riuscì a convincere la sua azienda a cancellare i contratti con la fabbrica di Burnsall, ma questa azione non fu replicata altrove nell'industria automobilistica. Né le consegne dentro e fuori dalla fabbrica si fermarono e i camion della logistica che erano disposti ad oltrepassare i picchetti per trasportare le merci.

Prefigurando le lotte intorno all'assegno di disoccupazione della fine del decennio, i lavoratori nel centro per l'impiego continuavano ad obbedire agli ordini, minacciando i disoccupati di tagliare i loro sussidi o, come alternativa, fare i crumiri. Tuttavia, a compensare questa mancanza di solidarietà da parte del movimento operaio c'erano gruppi di supporto in diverse città, come Londra, Birmingham e Manchester. L'attività di questi gruppi era focalizzata sulla raccolta fondi e sulla pubblicità, oltre ad attività quotidiane come il lavoro di traduzione. Tuttavia, tutto ciò spingeva il GMB[24] ad essere più audace e a lavorare con gli scioperanti per violare le leggi anti-sindacali. Il GMB ha risposto incolpando altri sindacati per non aver organizzato azioni secondarie, questi ultimi hanno ribattuto che sarebbero stati felici di organizzare tali azioni se il GMB avesse ufficialmente chiesto il loro sostegno[25]. In ciò che poteva apparire come una situazione bizzarra, quasi tutte le parti coinvolte (lavoratori e lavoratrici, funzionari sindacali di tutte le sfumature e i gruppi di supporto) hanno riconosciuto la necessità di violare la legge per vincere la vertenza: eppure nessuno di loro sembrava capace e/o disposto a farlo[26]. Al contrario, nel caso dei sindacati sono state attivamente prese misure per garantire che la legge fosse rispettata, minacciando i lavoratori militanti e colludendo con le autorità per sorvegliare gli scioperanti. Quando uno picchetto di massa è stato, infine, organizzato dai lavoratori assieme ai loro gruppi di supporto, i funzionari autocratici del GMB decisero unilateralmente di porre fine allo sciopero un giorno prima del momento stabilito. Ufficialmente, lo fecero per impedire che il controllo della vertenza fosse strappato dai loro gruppi di supporto. Lo sciopero finì e tutti i lavoratori e le lavoratrici furono licenziati. La vertenza era caratterizzata dai problemi che la classe lavoratrice riscontrerà anche in futuro: l'antagonismo e l'odio di classe continuarono, i lavoratori volevano lottare, ma l’ampia disorganizzazione proletaria impediva che questo diventasse una realtà materiale.

Tuttavia, la generale scomposizione di classe nelle lotte sul lavoro degli anni Novanta non deve essere intesa come la fine della lotta dei lavoratori stessi. Infatti, non significava nemmeno la fine di forme di lotta militanti e autorganizzate sul posto di lavoro. Durante gli anni ’90, continuiamo a vedere esempi di questi tipi di azioni. Gli scioperi selvaggi di massa da parte dei lavoratori postali e degli insegnanti hanno dimostrato che i lavoratori potevano ancora lottare anche senza il sostegno delle burocrazie sindacali[27]. Gli scioperi e le occupazioni da parte dei lavoratori della sanità, all'Hillingdon Hospital e all'University College Hospital, non lottavano solo per i posti di lavoro, ma anche per un senso più ampio di responsabilità sociale nel mantenere i servizi per i pazienti. Gli scioperi dei lavoratori Jobseeker Allowance, un beneficio statale introdotto nel 1996 che prevedeva rigide condizioni tra cui cercare attivamente lavoro, hanno fornito una serie di opportunità politiche che dovevano essere dibattute dai movimenti sociali sorti attorno all'autonomia del sussidio di disoccupazione. Il picchettaggio di massa e gli scontri con la polizia dei lavoratori Timex, a cui era impedito lavorare fino all’accettazione di certe condizioni, dimostrarono che il picchetto poteva ancora essere un luogo di contesa e non una patetica esibizione teatrale. Pertanto, sebbene ci fosse stato un riallineamento più ampio nella lotta dei lavoratori, continuando e rompendo con la tendenza degli anni Ottanta, queste lotte offrono una visione alternativa dell’eredità del decennio. Non priva di limiti e costruendo su una storia della classe operaia tutta sua, forse, l’esempio centrale è quello dei portuali di Liverpool.

Lo sciopero dei portuali di Liverpool durò quasi tre anni, dal 1995 al 1998, ed ebbe luogo nel contesto di una ristrutturazione del settore da parte di Stato e capitale, che portò a una diminuzione della militanza in un settore che era stato storicamente all'avanguardia della lotta di classe. Nel 1981 era stata approvata una legge dal governo Thatcher che aveva portato alla privatizzazione (nel 1983) di una porzione dei moli britannici. Tuttavia, per diversi anni il National Dock Labour Board (NDLB) continuò a determinare una minoranza significativa delle condizioni di lavoro dei portuali del paese, garantendo, tra le altre cose, un posto di lavoro a vita per i lavoratori iscritti. Tuttavia, queste condizioni finirono con l'abolizione del NDLB nel 1989. Al di fuori dei moli tradizionalmente organizzati dal NDLB, l'organizzazione dei lavoratori era inferiore, sebbene non del tutto inesistente[28]. Anche se l'ascesa della containerizzazione era stata contrastata dall'azione di sciopero, assieme ai tentativi di organizzare i lavoratori fuori dai porti (ma associati a questo processo produttivo), aveva, comunque, portato a mutamenti radicali del lavoro portuale. Ciò ha consentito ai proprietari dei moli di poter impiegare un numero inferiore di lavoratori per gestire una quantità di merci di gran lunga maggiore. Le condizioni di lavoro peggiorate hanno permesso ai datori di lavoro, assieme all'esistenza di regimi di liquidazione volontaria relativamente generosi, di ridurre massicciamente il numero di lavoratori portuali, poiché quest’ultimi sceglievano tra la pensione o la buona uscita. Al loro posto sono stati assunti, per mezzo dei subappalti, un numero ridotto di lavoratori precarizzati, che gestivano quantità di merci di gran lunga maggiore a quella dei colleghi, ricevendo stipendi più bassi.

La forza-lavoro dei porti di Liverpool era storicamente militante. E’ stato il punto di partenza delle vertenze nazionali del 1972 e del 1980, e questi lavoratori furono i primi a iniziare e gli ultimi a smettere di scioperare nel 1989, contro l'abolizione del NDLB[29]. Dall'abolizione del NDLB, i proprietari del porto, Mersey Docks, avevano attaccato le condizioni di lavoro, costringendo i lavoratori a nuovi contratti, che richiedevano di essere reperibili in qualsiasi momento. Nonostante avessero inizialmente concordato l’opposto col sindacato, avevano cominciato ad assumere lavoratori con contratti precari e in subappalto. Per i nuovi portuali, l'impiego diretto era un sogno irrealizzabile, nella nuova normalità del lavoro in subappalto. Questa situazione non ha più tenuto nel 1995, quando cinque portuali con contratto in subappalto, che avevano aperto una vertenza sulle ore di lavoro con il loro subappaltatore, furono licenziati[30]. Formarono un picchetto, che circa ottanta dei loro colleghi in subappalto hanno rifiutato di oltrepassare, prima di essere successivamente licenziati anche loro. A questo picchetto si sono unite anche alcune centinaia di portuali con contratto regolare, la maggioranza presente del porto. Tre giorni dopo, anche questi lavoratori sono stati licenziati da Mersey Docks, citando la natura non ufficiale e illegale della loro azione. Al loro posto sono stati assunti lavoratori con contratti precari e sottopagati, che hanno continuato a scioperare. Nonostante garantissero un certo supporto al fondo per i lavoratori licenziati (anche se al tempo stesso bloccavano le donazioni dagli altri sindacati), il sindacato dei portuali, TGWU, rifiutò di offrire supporto ufficiale, così come di organizzare azioni di solidarietà da parte di altri sindacati, chiamando in causa il rischio delle nuove leggi in vigore. I lavoratori di Liverpool avrebbero dovuto continuare a fare affidamento solo su sé stessi.

Pur non ottenendo mai la riassunzione, i portuali si sono auto-organizzati in modo notevolmente efficace. Con il blocco delle assunzioni durante la vertenza, le azioni di solidarietà sarebbero state fondamentali per vincerla. Il black-out mediatico di quanto stava accadendo è stato aggirato attraverso l'uso del neonato Internet, utilizzato per ottenere sostegno. Sono stati istituiti gruppi di supporto, simili a quelli dello sciopero di Burnsall, compreso un gruppo di donne chiamato Women of the Waterfront la cui attività includeva picchetti regolari davanti alle case dei managers dei moli[31]. Sarebbero poi stati i membri del London Group Support ad organizzare un primo incontro tra i portuali di Liverpool e il gruppo di azione diretta Reclaim The Streets (RTS). Nonostante le riserve iniziali di entrambi rispetto a questa collaborazione[32], si è instaurata una relazione proficua, che ha dato origine a forme di solidarietà tra portuali e RTS – tra cui un'occupazione che ha chiuso il Porto di Liverpool per diverse giornate del 1996. Forse più significative sono state le azioni di sciopero non ufficiali intraprese dai portuali di tutto il mondo in sostegno agli scioperi Liverpool. Mentre le forze del neoliberismo, spesso viste come egemoni durante gli anni Novanta, cercavano di atomizzare la forza-lavoro, i portuali di Liverpool le hanno rovesciate, mettendo in evidenza gli antagonismi del loro tempo. Gli effetti negativi della globalizzazione e della containerizzazione sulle condizioni di lavoro non erano uniche a Liverpool, né nel Regno Unito – erano esperienze globali che attraversavano i porti di tutti il mondo. Quindi, quando tre lavoratori di Liverpool hanno fatto un picchetto in un porto di New York, nessuno  lo ha oltrepassato. Le barche dai moli di Liverpool sono state non ufficialmente «boicottate» dai lavoratori di porti in tutto il mondo. Nel 1997, l'ultimo anno della vertenza, si verificarono innumerevoli azioni internazionali in supporto dei portuali, con la partecipazione di lavoratori che, da centinaia di porti e in dozzine di nazione dal nord America all’Asia fino all’Africa, scioperarono anche in modo non ufficiale. Non si trattò di azioni puramente simboliche, ma atti di solidarietà materiali: lo sciopero internazionale dell’8 settembre 1997, portò al blocco di tutto il traffico navale nella costa est e nord degli Stati Uniti. Tutto ebbe inizio con cinque portuali e un picchetto e finì con una vertenza partecipata da dieci – se non cento – mila operai di tutto il mondo.

Anche se i lavoratori licenziati non hanno riottenuto il posto, i portuali di Liverpool fecero qualcosa di impensabile: organizzarono uno sciopero ad oltranza, auto-organizzato e davvero internazionale, basato su una vertenza di solidarietà materiale. Tutto ciò avvenne in un momento in cui questo tipo di cose non doveva accadere. Anche se inibito dal rifiuto della forza-lavoro precaria di partecipare agli scioperi, piuttosto che consentire ai padroni di consumarli, i portuali di Liverpool trovarono nuovi modi di innescare processi di ricomposizione di classe, e facendo ciò, organizzarono una lotta molto potente. Mentre la fattibilità della richiesta – il contratto a tempo indeterminato tipico del dopoguerra – era discussa nelle pagine dei giornali di sinistra, è innegabile che queste lotte contro la precarizzazione incontrarono scopi politici più ampi, aprendo prospettive ben oltre Liverpool.



Le lotte contro lo Stato

Se all'inizio del decennio il neoliberismo era a buon punto del suo tentativo di conquistare il mercato e il lavoro, all'inizio degli anni Novanta la sua guerra iniziò ad estendersi anche verso la società. La classe operaia britannica doveva essere disciplinata in molteplici modi e il dominio di classe cercava di rinvigorirsi attraverso una raffica di nuove leggi e di politiche da infliggere alle popolazioni ritenute incompatibili con la logica sociale del capitalismo britannico.

La produzione e la persecuzione, da parte dello Stato, di segmenti di popolazione da criminalizzare è un tratto caratteristico di questo periodo. In particolare, la popolazione incarcerata ha raggiunto livelli notevoli, presentando una crescita di oltre il 30% nel corso del decennio[33]. L'aspetto più noto è il Criminal Justice Act del 1994 (CJA), che ha cristallizzato l'ostilità dello Stato non solo nei confronti degli ‘stili di vita alternativi’ – come i nomadi[34], gli squatter, gli hunt-saboteur [chi organizza azioni dirette contro la caccia], i sound system, i raver e gli appassionati di free party – ma ha anche messo in luce la sua volontà di perseguitare chiunque fosse coinvolto in proteste non violente. Questa legge non solo aumentò i poteri della polizia di sfollare i grandi raduni, ma criminalizzò ulteriormente la violazione del territorio. In questo modo, la polizia aveva il potere di infliggere maggiore violenza (spesso razziale e di genere) attraverso l’ampliamento della facoltà di «fermare e perquisire» assieme alla trasformazione del «diritto al silenzio» per gli arrestati. In questo periodo sono state gettate anche le basi per la creazione di un database nazionale del DNA ad uso della polizia. Questa legislazione non è apparsa ex nihilo, ma faceva parte di una serie sempre più ampia di norme che, dall'era Thatcher in poi, assicuravano il mantenimento dell'ordine pubblico, la santificazione della proprietà privata e la repressione degli spazi di (possibile) dissenso.

Il movimento contro la legge, una volta consolidatosi, fu molto vivace. Dai raduni pacifici party&riots, ai centri sociali occupati e alle farse mediatiche spettacolari, la campagna ha rappresentato un punto culminante del tentativo di collaborazione tra i gruppi minacciati dalla legge. Ciononostante, fu limitata dalla frammentazione della strategia (o dalla sua mancanza più in generale) rispetto a come affrontare un atto legislativo così onnicomprensivo, visto lo stato dell'identità politica dei gruppi contrapposti, così divergente. Ad esempio, alcuni elementi della sinistra trotskista hanno tentato di far rientrare nelle proteste una vertenza in corso tra i ferrovieri e il governo, ma il sindacato dei lavoratori, l'RMT, aveva scarso interesse a produrre atti di solidarietà materiale. Le stesse sette di sinistra, tuttavia, criticavano e sminuivano i gruppi più militanti che organizzavano tattiche più conflittuali volte ad andare oltre al semplice tentativo di ricevere attenzione dei media. Londra avrebbe visto raduni di massa di 100.000 persone, senza che mai si esprimesse una forza politica collettiva unificata. Lo specifico «carattere di classe» ladella legislazione non è mai stato inteso in senso uniforme e non è mai stata promossa una forte relazione tra il luogo di lavoro e i movimenti di protesta. A differenza di quanto avvenuto nel caso della Poll Tax, dove l'atto relativamente semplice, se non rischioso, del mancato pagamento poteva infliggere instabilità allo Stato, contro la legge non si è riusciti a produrre una minaccia sufficiente.

La legge fu, alla fine, approvata e, sebbene spesso applicata con difficoltà dalla polizia e sovvertita da gruppi che si ritiravano sempre più nella clandestinità, un numero crescente di manifestazioni cominciò a essere sfollato, insieme ad un rapido aumento degli arresti (in particolare nei confronti degli hunt-saboteurs)[35]. Alcuni fogli di movimento come SchNews si sforzassero di essere ottimisti nel periodo immediatamente successivo all’approvazione delle legge, esprimendo con gioia che, a un anno dalla legge, essa aveva scatenato «il più grande movimento di azione diretta auto-organizzata in un decennio»[36]. Ciononostante, possiamo notare come il movimento si stesse confrontando con il fatto che, senza la traduzione, volente o nolente, da parte del partito laburista o dei sindacati, l'attività radicale e le richieste incentrate sulla legislazione o sulla politica richiedevano un grado molto più elevato di resistenza e tenacia per ottenere un relativo grado di successo[37].

Quand’anche non venissero direttamente criminalizzate attraverso questi mezzi, le classi lavoratrici, salariate e non, dovevano essere messe in riga attraverso la ristrutturazione statale dei mezzi di sussistenza e di riproduzione. Con l'aumento dei tassi di disoccupazione all'inizio degli anni Novanta, imposti dallo Stato e dal capitale durante le lotte politiche dei decenni precedenti contro la composizione tecnica dell'economia, i disoccupati sono diventati un bersaglio del disprezzo del governo. La loro esistenza era un anatema per una nuova etica in cui il lavoro era un orizzonte ineludibile. L'introduzione del Job Seekers' Allowance (JSA), in vigore dalla fine del 1996, è stato il perno centrale di questo processo, poiché, molti dei disoccupati e delle disoccupate che richiedevano il sussidio, erano ora costretti a lavorare o, per lo meno, a mostrare che stessero cercando di farlo: qualora avessero smesso di farlo, avrebbero perso il reddito[38]. Dal portare i capelli lunghi per migliorare le possibilità di colloquio, fino a non fare domanda per un numero sufficiente di posti di lavoro, gli individui dovevano essere severamente penalizzati per non aver mostrato entusiasmo verso questo nuovo programma di workfare. Per molti militanti e attivisti, questo programma ha cancellato i mezzi di esistenza e di attivismo, distruggendo la loro capacità di esistere e di organizzarsi politicamente a debita distanza dal mercato del lavoro[39]. Per gli altri, ha significato un'ulteriore invasione della sorveglianza e della coercizione da parte dello Stato e l'essere costretti a svolgere lavori spesso per loro impossibili.

Mentre i richiedenti dei sussidi si erano organizzati nei sindacati fin dalla fine degli anni Sessanta, sulla scia di una tradizione che affondava le sue radici nelle grandi marce dei disoccupati degli anni Venti e Trenta, al tempo della legislazione sul JSA i disoccupati erano privi di una forte organizzazione politica. Gli attivisti si sono riuniti in movimenti detti Groundswell, inizialmente guidati da reti anarchiche, per contestare l'introduzione del JSA, adottando il consueto repertorio di marce, dimostrazioni e occupazioni[40]. Tuttavia, come per la resistenza al CJA, il movimento rimase diviso e non riuscì a impedire l'introduzione del JSA. La TUC[41] e il movimento sindacale dovevano allinearsi allo spirito Tory di far entrare le persone nel mondo del lavoro, nonostante contestassero superficialmente le dure politiche per conseguirlo. Al contrario, l'estrema sinistra doveva mantenere vivo lo spirito della politica anti-lavorista. Ciò li rese più rigidi verso le politiche di integrazione, ma non sempre riuscì a ispirare energie simili nel resto della classe operaia. Al governo, il New Labour non si fece certo battere dai Tories, che, come è noto, iniziarono il nuovo regime con i tagli immediati ai sussidi per i genitori single. Il New Labour al potere non aveva interesse ad abrogare il nuovo sistema, scegliendo, invece, di espanderlo nel suo programma di New Deal, volti ad «incentivare» il maggior numero possibile di persone a tornare al lavoro.

La politica di azione diretta dei «tre scioperi» del  gruppo Claimants di Edimburgo, sebbene non sia mai stata organizzata su larga scala, ha generato un attrito caratteristico delle divisioni all'interno del movimento anti-JSA. L'idea era quella di «diffondere la consapevolezza [che] non abbiamo bisogno di preoccuparci da soli, di essere umiliati, di accettare di essere trattati di merda». Questa strategia mirava a invertire la logica atomizzante delle sanzioni per i sussidi, in base alla quale i lavoratori e le lavoratrici dei sussidi – i dipendenti comunali che giudicavano se i richiedenti avrebbero ricevuto o meno i loro sussidi – ritenuti eccessivamente punitivi avrebbero ricevuto due avvertimenti, per poi essere attaccati attraverso l’affissione di manifesti con le loro fotografie[42]. Questo approccio conflittuale, tuttavia, non avrebbe facilitato la costruzione di solidarietà, giusta o sbagliata che fosse, con gli stessi lavoratori del sussidio che cercavano di sovvertire il JSA, molti dei quali avevano scioperato contro le nuove condizioni di «retribuzione legata alle prestazioni» (come a Brighton, dove i lavoratori scioperarono ad oltranza nel corso di quell'anno). Questo approccio conflittuale, tuttavia, non avrebbe facilitato la costruzione di solidarietà, giusta o sbagliata che fosse, con gli stessi lavoratori del sussidio che cercavano di sovvertire il JSA, molti dei quali avevano scioperato contro le nuove condizioni di «retribuzione legata alle prestazioni» (come a Brighton, dove i lavoratori scioperarono ad oltranza nel corso di quell'anno)[43].

Il CJA e il JSA erano manifestazioni della logica da capro espiatorio e della diffamazione che caratterizzava profondamente gli anni Novanta e l'era del New Labour nel Regno Unito. Ogni progresso sociale ottenuto dai gruppi emarginati di questo periodo non è stato il risultato del sostegno elettorale dei partiti, ma delle mobilitazioni critiche degli attivisti. Le campagne mediatiche e di azione diretta degli attivisti LGBTQIA+, ad esempio, si sono sviluppate a partire dagli anni Ottanta, proprio quando sono emerse nuove infrastrutture di solidarietà, di mutuo soccorso e di beneficenza, per trasformare la visibilità e il potere di queste comunità. Ad esempio, le manifestazioni e i die-ins [si giace supini o proni in un luogo pubblico per impedirne il normale funzionamento, NdT] dei gruppi di attivisti per l'AIDS costituivano una mobilitazione di massa che contestava senza sosta la legislazione discriminatoria, l'ostilità istituzionale, legale, medica e culturale[44].

La realtà del crescente autoritarismo dello Stato era, come continua ad essere, più evidente nei cicli di violenza della polizia e della resistenza ad essa. Un virulento sentimento razzista, anti-migrazione e anti-musulmano doveva proliferare, mentre una politica razziale basata sul profiling e sul sospetto spesso fatale veniva ulteriormente incorporata nell'apparato repressivo dello Stato. Gli anni Ottanta sono stati, come ha sostenuto Adam Eliott-Cooper, un decennio decisivo per la lotta nera e antirazzista nel Regno Unito, segnato da grandi rivolte contro la violenza e le molestie della polizia – in particolare nel 1980, 1981 e 1985 – proprio mentre lo Stato adottava nuove strategie per governare le «relazioni razziali». Le tattiche della forza paramilitare sono state integrate sotto copertura nelle normali pratiche di polizia, mentre nuove misure soft di collegamento con la comunità e di cooptazione dei movimenti hanno cercato di indebolire e depoliticizzare le culture della resistenza[45]. Questi cambiamenti, tuttavia, non avrebbero chiaramente portato ad una soppressione definitiva del dissenso nel decennio successivo. I disordini del 1995 nel Nord dell'Inghilterra furono un rimprovero ai pestaggi e alle vessazioni ancora regolari nei confronti della popolazione nera e asiatica. A Bradford, ad esempio, in seguito al violento attacco e all'arresto di un gruppo di giovani asiatici, centinaia di persone della comunità locale manifestarono e lanciarono molotov contro la polizia. Come ha osservato la rivista «Campaign Against Racism & Fascism» nel 1995, questo è stato un periodo di «riotology», in cui lo Stato e la polizia si sono affrettati a capire come queste insurrezioni continuassero a esplodere – ignorando volontariamente che, negli anni in cui la polizia riceveva il più alto numero di lamentele di sempre, la sua stessa attività poteva essere il fattore principale[46]. Queste rivolte di razza e di classe non erano, tuttavia, l'unico mezzo di contestazione, poiché anche le campagne sostenute contro la polizia assunsero un ruolo particolarmente importante negli anni Novanta. L'omicidio razziale di Stephen Lawrence nel 1993 fu accolto con profonda negligenza e palese ostilità, e accompagnato dalla profonda sorveglianza di una comunità in cerca di giustizia. In risposta, la madre e la famiglia di Lawrence si organizzarono contro la polizia metropolitana per smascherare il grado di profondità della sua corruzione.

Il razzismo sostenuto dallo Stato non era l'unica predilezione del morente regime conservatore, ma un principio condiviso della governance statale. Come hanno sostenuto di recente Michael & Charnley, il New Labour doveva «modernizzare la dottrina Powellista»[47] del razzismo legittimato, in cui lo Stato doveva intervenire per reprimere le rivolte delle comunità razziali che costituivano una minaccia alla sicurezza dei cittadini britannici rispettabili. Nell'anno in cui il partito fascista British National Party avrebbe schierato il suo record di numero di candidati al parlamento, la piattaforma elettorale vincente di Blair, il cui slogan riportava «durezza contro il crimine, durezza contro le cause del crimine», sarebbe diventata una nuova facciata per decenni di razzismo strutturale diretto da parte dello Stato[48].



Le lotte nelle strade

Le manifestazioni indisciplinate, esuberanti e disomogenee della politica collettiva che si svolgeva nelle strade e nei quartieri degli anni Novanta non iniziarono ad emergere completamente formate. Le culture della contestazione e le esplosioni di rabbia caotica, che speravano di compensare il generalizzato sadismo culturale del periodo, si affidavano ad infrastrutture di info-shop, fiere del libro, reti comunitarie e pubblicazioni di massa. Con le istituzioni tradizionali della sinistra in ritirata, anche molte pubblicazioni della vecchia guardia erano scomparse. Pubblicazioni come «Marxism Today», «Race Today», «Spare Rib» e «Solidarity» hanno chiuso i battenti nei primi anni Novanta. Al loro posto, nuove riviste e nuove reti che animavano progetti in ascesa, cominciarono a circolare e ad essere riconosciute. La fioritura della cultura «Do it Yourself» (DiY) contribuì alla crescita delle forme di organizzazione anarchiche e verdi (sfumature incluse): produzioni a basso costo e sperimentali aprivano la strada ad una «cultura dell'immediatezza»[49]. Va notato come questa scena non fosse principalmente animata da militanti politici, armati di anni di esperienza (e del bagaglio che ne deriva), ma piuttosto si articolava su una massa di frequentatori di feste e di lavoratori che si trovarono costretti  a fare politica a causa del clima ostile[50].

In questo spirito, un ethos dell'azione diretta – una combinazione piuttosto ambigua di pratiche violente e non violente – doveva unire (e dividere) l'intero periodo, proprio mentre si andava perdendo l'accesso al potere statale mediato o la leva del posto di lavoro. La «Disabled People’s Direct Action Network» [rete per l'azione diretta delle persone disabili] assunse un ruolo di primo piano in questo senso, utilizzando tattiche come le occupazioni mirate delle strade e l'ammanettamento di massa (degli attivisti) ai mezzi di trasporto pubblico per lottare per una maggiore accessibilità, in un periodo in cui molti gruppi stavano ampliando il loro repertorio per agire contro le istituzioni ostili[51]. Il grande movimento «verde» – una corrente di attivisti per i diritti degli animali, le organizzazioni contro la caccia, i trasgressori e i difensori della terra – ha costantemente alimentato questa energia canalizzata verso la politica dell'azione diretta delle lotte contro il CJA e il JSA, come descritto sopra.

Questa scena ecologica era, a metà degli anni Novanta, come ha suggerito un redattore di «Do Or Die», «davvero l'unico gioco in città». In una scena politica moribonda, era l'unica cosa che si muoveva con un po' di vita o vitalità[52]. Il movimento anti-roads ne era il fulcro: un'ondata di attività, che si sviluppava tra centri urbani come Glasgow fino ai villaggi rurali inglesi, cercava di distruggere il programma nazionale di costruzione di strade che era stato messo in atto da Thatcher e che puntava ad essere «il più grande programma di costruzione di strade dai tempi dei Romani»[53]. L'odio per la cultura dell'automobile si è saldato con la volontà ecologica di contestare le inarrestabili richieste di spazio avanzate dal capitale, nella sua logica di espansione. Avendo constatato le vie legali come fallimentari, si è sviluppato un programma di azioni dirette tra i gruppi di viaggiatori, la rete britannica «Earth First!» e le variegate formazioni subculturali per distruggere i macchinari, barricare le strade e, in generale, per rendere la costruzione di strade finanziariamente e praticamente insostenibile[54]. Questo movimento, che esisteva anche se in modo più disperso nel decennio precedente, ha raggiunto le prime pagine dei giornali nazionali quando gli accampamenti di protesta hanno intrapreso azioni dirette contro la costruzione di una strada a Twyford Down nel 1992, e, soprattutto, attraverso una serie di lotte contro l'M11, un'importante arteria nell'est di Londra, così come l'accampamento «Pollock Free State» contro la M77 a Glasgow. Una guida alla campagna contro l’M11 annunciava che «questo è un luogo che porta alternative fiorenti, quelle tra la morte lenta a causa dell’inquinamento  e l'isolamento sociale indotto dalle automobili», proprio mentre iniziava la resistenza finale allo sgombero totale della base operativa del movimento, nelle iconiche case occupate di Claremont Road[55].

Sebbene la lotta anti-roads abbia fallito nei suoi obiettivi immediati - con l'edificazione dell’M11 così come di altri importanti siti di proteste stradali come quello di Newbury – ha contribuito all'espansione di un progetto che considerava le strade e le vie sempre un luogo di rivolta, ma in modo del tutto diverso. «Reclaim the Streets» rientrava nell’onda di queste proteste, essendosi inizialmente formato qualche anno prima con azioni, quali la verniciatura delle piste ciclabili sulle strade principali, mentre i loro tentativi di recupero anticapitalista dello spazio urbano si sono sviluppati fino a ospitare feste, rave e blocchi stradali in tutto il Paese[56]. Proprio mentre a Lancaster venivano occupate gli uffici degli avvocati e a Manchester[57] venivano bloccate le linee della metropolitana, Londra vide l’organizzazione delle giornate anticapitaliste globali del 18 giugno (J18). Questi eventi portarono RTS ai suoi massimi livelli, quando gli attivisti di «Earth First!» e gli sciami autonomi dei festaioli si sono uniti nel ‘Carnevale contro il capitale’ all'interno del principale distretto finanziario britannico, la City di Londra[58], proclamando: «perché non mirare al cuore della bestia, al nucleo pulsante dell'economia globale?»[59]. Riprendendo le manifestazioni «Stop The City» del 1983-4[60], migliaia di persone hanno indossato maschere e si sono riversate nelle banche e negli uffici della City, assediando le sue istituzioni in un modo del tutto inaspettato per le impreparate forze di polizia metropolitane. La polizia ha poi riferito che si è trattato di una attività scioccante causata dall'esplosione di una stella[61].

Nel fare una valutazione di questo arco di movimenti, dal movimento verde e anti-roads fino a RTS e oltre, dovremmo riconoscere che l'eterogeneità delle motivazioni di coloro che vi partecipavano – che spaziavano dall'eco-spiritualismo e l'indignazione moralistica, fino ad aspirazioni politiche più ‘serie’, contro lo stato e il capitale – era spesso chiara a chi vi partecipava. Tra alcuni partecipanti si è sviluppata una critica immanente verso il modo in cui si concretizzano ideologia e tattica: il maschilismo e la misoginia presenti nella scena ecologista, ad esempio, sono stati accuratamente rimproverati in «Do or Die #8». Le correnti femministe si svilupparono per andare contro e oltre le forme di potere patriarcale, spesso profondamente radicate nella sinistra radicale coeva. Inoltre, i movimenti femministi riflettevano su come tali culture limitassero profondamente i metodi e le strategie dell'azione diretta dell'epoca, oltre a non riuscire a cogliere la rilevanza della lotta contro la violenza di genere che si stava sviluppando globalmente[62]. La nostra valutazione non dovrebbe tanto riguardare la mancanza di coerenza ideologica o di sofisticazione teorica, quanto piuttosto il modo in cui questi movimenti sono realmente avvenuti, al di là dei titoli indignati o del clamore dei loro stessi (contro-)spettacoli.

Come altrove, le azioni del 1998-9 possedevano una relazione con il movimento anti-globalizzazione. Tale legame era articolato, allo stesso tempo, dalle vertenze locali per la terra e la vita ed era rinfocolato dal fenomeno globale «anticapitalista», socializzato con i mezzi più disparati: dai comunicati zapatisti alle truppe itineranti di militanti. I successi di quest'epoca richiederebbero un resoconto condotto in altra sede. A ogni modo, possiamo certamente notare che, mentre un nucleo di militanti continuava a portare avanti questo stile di intervento, in formazioni come gli WOMBLES, ispirati dalle Tute Bianche degli anni Duemila, o «People's Global Action» (PGA), il numero di persone effettivamente coinvolte sarebbe diminuito negli anni successivi. Forse, la reiterazione delle tattiche incontrava un calo di efficacia: una stanchezza situata al perenne confine tra la contestazione dei summit e la protesta cittadina che diventa un’opposizione[63] gestita e sottomessa dalla polizia – o attraverso gli effetti frantumatori che hanno investito la sinistra dopo l’11 settembre.

Qui ebbe inizio la lunga e amara marcia dei movimenti attraverso la «rivoluzione tecno-sociale» di Internet[64]. Come narra la rivista britannica Mute:

«improvvisamente, grazie alle reti informatiche, le persone potevano essere convocate efficacemente da ovunque e nessuna parte per protestare contro le ugualmente diffuse élite che stavano dettando i termini della globalizzazione». 

Non si trattava, a dire il vero, di un'affermazione acritica. L'espansione massiccia della libertà della rete ha intensificato le forme di (dis)organizzazione presenti in RTS e nella J18[65], ma si è anche scontrata con la morsa delle «industrie creative» del capitalismo aziendale, che si muovevano lungo quelle stesse linee del decentramento. Il fanatismo verso la collaborazione democratica e l’open source per i «beni comuni digitali» si è confrontato con l'incombente commercializzazione e con le tendenze iper-securitarie degli spazi web. Le contraddizioni delle «tendenze liberatorie e repressive della dematerializzazione» erano evidenti a tutti, ad eccezione dei più «tecno-utopisti», nei primi anni del millennio[66].



A chi interessa degli anni Novanta?

Che fare, quindi, di questo scontro con gli anni Novanta? Dovremmo tentare una ricostruzione come altri hanno recentemente avanzato per gli anni Settanta, riabilitando l’equivalente degli «anni Settanta sovversivi» o cercando parallelismi con un ’77 globale[67]? O cercare di resuscitare le strategie abbandonate e cancellate che, a volte, sembrano più avanzate delle nostre, soprattutto nel tentativo di raggiungere le masse oltre i nuclei politici? È possibile trarre alcune lezioni generalizzate: rifiutare qualsiasi ostacolo derivante da un rapporto prudente con la politica elettorale e sindacale; cogliere come la ricomposizione della classe lavoratrice trasformi le possibilità organizzative; e non sottovalutare mai le possibilità di infiltrazione della polizia[68]. La crisi dello status della «mentalità attivista» e delle dinamiche della vita politica può essere d’interesse per le nostre attuali riflessioni su cosa sia la militanza in un periodo privo di organizzazioni di massa[69]. Ma queste lezioni non sono necessariamente uniche per gli anni Novanta.

Non esiste un nocciolo nascosto o una logica tran-storica delle proteste di strada da contemplare e portare alla luce in questo decennio, anche se siamo invidiosi della loro frequenza. Così come molti affermano la mancanza di direzione dei nostri movimenti di strada contemporanei[70], possiamo osservare la stessa tendenza verso rivendicazioni scarsamente articolate anno dopo anno, a partire dagli anni Novanta. Una ripetizione congiunturale è evidente anche negli orizzonti oscuri e violenti di un prossimo governo laburista, che sopprime (letteralmente) qualsiasi prospettiva vagamente speranzosa, così come l'emergere di movimenti (eroici e di principio) contro la guerra e per l'ecologia che, nonostante i loro successi nel produrre azioni, rimangono comunque in disparte.

Un'analisi complessiva  di un terreno multiforme come quello negli anni Novanta è evidentemente utile per chiunque cerchi di dare un senso a dove siamo arrivati, o dove ci siamo bloccati, all’interno della nostra strategia. Ma, come abbiamo constatato noi stessi nella stesura di questo pezzo, solo attraverso un processo collettivo di interrogazione e discussione dei testi e dei documenti e delle loro modalità di circolazione, possiamo guadagnare una conoscenza atta ad offrire un punto di vista sulle nostre attuali difficoltà[71].



Note

[1] Come ha famosamente profetizzato da Stuart Hall in Gramsci and Us: «Don't worry about Mrs Thatcher herself; she will retire to Dulwich. But there are lots more third, fourth and fifth generation Thatcherites, dry as dust, sound to a man, waiting to take her place. They are convinced that socialism is about to be obliterated forever».

[2] Mark Steel in Reasons to be Cheerful offre un’umoristica ricostruzione su cosa significasse essere attivi nel SWP degli anni Novanta, la più grande setta trotzkista del Regno Unito.

[3] Per fare qualche nome, ci riferiamo ad aver curiosato in pubblicazioni come «Aufheben», «SchNews», «Merseyside Anarchist Bulletin», «Collective Action Notes», «LabourNet UK», «Wildcat», «Mute», «Autognome», «Do or Die», «Subversion», «Common Sense», «Tottenham Picket», «Here and Now», «Refuse & Resist», «NottFIN», «Squal e altre.

[4] Come fece il riot nella prigione di Strangeways del 1990, una delle numerose rivolte del periodo, che si propagò in simili proteste e tumulti nelle prigioni di tutto il Regno Unito.

[5] Il testo di Danny Burn, Poll Tax Rebellion, offre una narrazione critica del movimento. L’autore non era coinvolto nel Labour Party (né in una delle sue propaggini), che spesso non supportava le azioni radicali volte a combattere la tassa.

[6] Thatcher necessitava di avere rapporti di forza favorevoli per fare approvare la legge. Mossa dalla paura che fosse contestata dall’House of Lords - la camera che racchiude membri non eletti, a quel tempo ereditieri, e revisiona le leggi - Thatcher dovette chiamare il supporto dei suoi pari per essere sicura venisse approvata. Come Tom Nairm esplica perfettamente: «Bentleys and ambulances laden with Thatcher-worshippers converged upon St Stephen’s Palace from every decayed estate in the kingdom, so that the undead might vote through the century’s most unspeakably stupid legislation».

[7] «Everyone involved in the struggle against the Poll Tax knows that it will only be defeated by mass non-payment across the country». Si veda il quarto numero (1990) del giornale di Glasgow Refuse & Resist per ottenere un quadro della politica di quel movimento.

[8] Se la manifestazione di 200.000 persone a Londra (Trafalgar Square) è solitamente ricordata come decisiva, una lunga serie di mini-riot e scontri avvenirono prima e dopo, tra Glasgow, Bristol, Hackney e Brixton.

[9] Militant era un'organizzazione trotzkista, legata al Labour Party, che organizzò prematuramente un certo numero di gruppi anti-Poll Tax.

[11] I comuni guidati dal Labour Party, che includono anche quelli dell’ufficiale Labour Left, che avrebbero implementato la tassa e imprigionato i non-pagatori.

[12] Ali, Tariq (Marzo/aprile 1999), Springtime for NATO, «New Left Review», Vol. 1. 1: 234.

[13] Il testo di Peter Mair Ruling the Void è un riferimento imprerdibile per comprendere quest’ondata di depoliticizzazione che riguardò la terza via del blairismo e dei suoi alter-ego europei, dove la tecnocrazia sostituì la contestazione politica.

[14] Per un punto di vista delle politiche e dello stile del New Labour, si veda Watkins, Susan (gennaio/febbraio 2004) Weightless Hegemony, New Left Review, Vol. 25.

[15] Come argomenta Bob Jessop, il compito del New Labour era quello di costruire un «Schumpeterian workfare postnational regime», sullo scheletro dello stato-nazione keynesiano.

[16] Si veda il meticoloso lavoro di Brett Christopher contenuto nel capitolo sette del suo Rentier Capitalism. Si veda anche: Gray, Neil (2018) Rent and its Discontents: A Century of Housing Struggle. Lanham: Rowman & Littlefield International.

[17] Come Day e McBean propongono nella tredicesima tesi del loro Abolition Revolution, questo cambiamento nelle politiche abitative era strettamente legato con le politiche razziste del partito conservatore e di quello laburista, che erano ossessionati dalla supposta dominazione dei complessi abitativi popolari da parte delle gang e del disordine sociale.

[18] Per uno studio sul processo delle rovine urbane si veda: Owen (2010) A Guide to the New Ruins of Great Britain. London: Verso.

[19] Il numero di azioni di sciopero ebbe il picco nel 1980 con 27 milioni di giornate di lavoro perse, grazie, soprattutto, agli scioperi dei minatori. Già nel 1986 furono 1.92 milioni. Al contrario, gli anni Novanta videro il numero più alto nel corso del primo anno della decade, con 1.90 milioni di giornate di sciopero nel 1990, fino al punto più basso del 1998 con 235.000 giornate. Da Office for National Statistic.

[20] L’azione secondaria, o sciopero di solidarietà, si riferisce ai lavoratori che intraprendono azioni di sciopero in sostegno di altri scioperi o dei lavoratori appartenenti a un datore di lavoro separato - come il rifiuto dei lavoratori postali di gestire la posta proveniente dal laboratorio di sviluppo dei film Grunwick durante il noto sciopero degli anni 1976-78, condotto da lavoratori dell’Asia del sud e da donne. L'azione sec ondaria è stata inizialmente limitata dal governo di Thatcher attraverso l’«Employment Act» del 1980, prima che venisse completamente proibito dall’«Employment Act»del 1990.

Scioperi selvaggi - conosciuti come scioperi «non ufficiali» - naturalmente, per definizione, non sono mai stati legali. Tuttavia, in passato era molto più comune che le leadership sindacali dessero un supporto implicito o esplicito a tali azioni, anche se lo Stato cercava di aumentare le ripercussioni per queste condotte, portando, negli anni Ottanta, Richard Hyman, nel suo famoso libro Strikes, a descrivere tali azioni come «quasi legali». Nello stesso testo, Hyman afferma che il 95% di tutte le azioni di sciopero del Regno Unito di ogni anno - durante gli anni '80 - erano azioni selvagge. Anche se questa cifra potrebbe potenzialmente essere esagerata, è sicuro affermare che uno dei cambiamenti fondamentali negli scioperi dagli anni '80 è stato il declino delle azioni selvagge. Non si può unicamente biasimare la legislazione per questo declino, ma vale la pena menzionarla. Il «Trade Union Act» del 1984, approvato nel bel mezzo dello sciopero dei minatori, ha chiesto ai sindacati di tenere votazioni segrete prima dello sciopero, limitando la possibilità di accedere ai benefici statali per i lavoratori i cui scioperi violavano questa regola. Successivamente, il «Trade Union Reform and Employment Rights Act» del 1993 richiedeva ai sindacati di informare il datore di lavoro almeno una settimana prima che si svolgesse una votazione per lo sciopero, e appena ragionevolmente possibile, dopo una votazione riuscita, su quando si sarebbe tenuto lo sciopero.

I picchetti volanti o secondari avvengono quando i lavoratori in sciopero di un'industria picchettano un altro luogo di lavoro indirettamente correlato alla loro vertenza, più famosi per il loro utilizzo durante gli scioperi nazionali dei minatori del 1972 e del 1984-5. Questo tipi di azioni sono state vietate dal governo di Thatcher attraverso l’«Employment Act» del 1980. Il Partito Laburista ha sostenuto formalmente l'abrogazione di questa legge prima di abbandonarla durante le elezioni del 1997, in cui Tony Blair ha ottenuto una vittoria schiacciante.

[21] Qui impieghiamo la griglia di lettura operaista della composizione di classe, così come l’ha aggiornata «Notes from Below».

●       La «composizione tecnica» si riferisce all’organizzazione del lavoro: la tecnologia, il tipo di management e il lavoro concretamente svolto.

●       La «composizione sociale» si riferisce a come i lavoratori e le lavoratrici sono organizzati al di fuori del lavoro, dove vivono, a quali infrastrutture comunitarie accedono e la loro relazione con i benefici statali.

●       Infine, la composizione politica si riferisce alle forme e ai metodi attraverso cui lavoratori e lavoratrici si esprimono politicamente - i. e. la lotta di classe. La composizione politica influenza ed è influenzata dalla composizione tecnica e sociale del lavoro.

Per ulteriori approfondimenti si veda: «Notes from Below» (29 January 2018) The Workers’ Inquiry and Social Composition.

[22] I portuali sono stati i primi a vedere accadere tutto ciò nello loro industrie, con British Transport Docks Board che è stato privatizzato nel 1981. British Steel lo fu nel 1988, seguito dalle ferrovie nel 1993 e accompagnato, infine, dall’industria del carbone non molto dopo il 1994.

[23] Il documentario impiegò alcune riprese dei funzionari sindacali dannose fino al punto che, dopo che fu pubblicato, GMB minacciò di fare causa a Channel 4 se fosse nuovamente mandato in onda.

[24] Il GMB è il sindacato che aveva rappresentato i lavoratori e le lavoratrici di Burnsall. Storicamente, si tratta di uno dei sindacati più grandi di tutto il Regno Unito. Oggi per grandezza è il terzo sindacato del paese.

[25]  Wrench, John and Virdee, Satnam (June 1995) Organising the unorganised: «race", poor work and trade unions, «Research Paper in Ethnic Relations», No.21, pg. 18.

[26] Eventi simili si sarebbero verificati nel corso del decennio: ad esempio, durante l’impedimento al lavoro di (fino all’accettazione di determinate condizioni) di 270 lavoratori del catering di Heathrow tra il 1998 e il 2000, il sindacato dei lavoratori TGWU si rifiutò di indire una votazione degli altri 30.000 lavoratori ben sindacalizzati dell'aeroporto, nonostante l'ovvia forza che avrebbe avuto, per paura di infrangere le leggi anti-sindacali. Probabilmente, sia nel caso di questi scioperanti che in quello di Burnsall, la dimensione razziale e di genere della forza-lavoro li ha svantaggiati nel sollecitare tale azione, rispetto, ad esempio, ai lavoratori portuali, bianchi e maschi.

[27] 15.000 lavoratori postali hanno scioperato a Londra nel 1994.L'anno successivo ci furono altri 75 scioperi selvaggi dei lavoratori postali in tutto il Regno Unito. Il sindacato dei lavoratori postali, l'UCW, inizialmente non denunciò gli scioperi selvaggi. Tuttavia, dopo essere stato multato dal governo per 7.500 sterline e per 100.000 sterline di spese legali, ha inviato comunicazioni per incoraggiare gli iscritti ad agire «in modo costituzionale sulle questioni relative alle relazioni industriali». Questa comunicazione sembrò avere un effetto minimo: gli scioperi di massa dei lavoratori postali continuarono fino agli anni 2000 e gli scioperi locali non sono ancora oggi un evento raro nei depositi postali.

[28] Ad esempio, durante lo sciopero dei portuali danesi del 1982/83, i portuali del NDLB si rifiutarono di movimentare le merci danesi in solidarietà con lo sciopero. Tuttavia, i lavoratori del porto di Felixstowe, un porto controllato dal sindacato, che era stato ampliato in modo massiccio per aggirare la forza-lavoro più organizzate del settore, accettarono di movimentare queste merci, il che significa che tutte le merci provenienti dalla Danimarca potevano essere dirottate e scaricate a Felixstowe. Allo stesso tempo, durante lo sciopero nazionale del 1984, i portuali di Felixstowe si unirono allo sciopero, dimostrando che, anche se in ritardo, erano disposti a unirsi ai colleghi del NDLB nella lotta contro il deterioramento delle condizioni di quell’industria.

[29] Forse la minaccia della precarizzazione e di essere costretti al sussidio era più sentita in questa città con una rilevante storia di disoccupazione e, quindi, incoraggiava un maggior grado di militanza operaia.

[30] Se da un lato è significativo che questo sciopero non ufficiale sia stato promosso dai lavoratori precarietà, dall'altro è importante notare che alcuni dei lavoratori in subappalto coinvolti erano figli di portuali assunti direttamente, che hanno dovuto cercare un impiego attraverso i subappaltatori per poter entrare nella professione dei loro genitori. Questa situazione mette comunque in evidenza il potenziale politico in gioco quando i lavoratori organizzati si sforzano di estendere le loro tradizioni di organizzazione e solidarietà ai lavoratori precari, piuttosto che arrabbiarsi e incolparli di aver peggiorato le loro condizioni di lavoro.

[31] Alcuni dei gruppi di supporto allo sciopero sorti negli anni '90, come l'«Haringey Solidarity Group», sono nati da gruppi locali che, in precedenza, si erano formati come gruppi anti-Poll Tax.

[32] Weber ha evidenziato che, in superficie, si trattava di un'alleanza tra una forza-lavoro la cui lotta ruotava attorno alla difesa della possibilità di lavorare, mentre i movimenti politici intorno a Reclaim The Streets lottavano per difendere la possibilità di non lavorare. Tuttavia, le loro lotte portano più analogie di quanto non sia immediatamente visibile. Nella lotta dei portuali di Liverpool per un impiego sicuro, possiamo vedere il rifiuto dell’espansione del lavoro sulle loro vite attraverso la precarizzazione. Si veda: Weber, E. (26 September 2023) The Liverpool Dockers and Reclaim the Streets: Creating Spaces of Solidarity, in Green Letters: Studies in Ecocriticism.

[34] Come riportato nella primavera del 1995 da Squall, una rivista squat e nomade raccolta attorno alla resistenza verso la CJA, la legislazione ha inasprito il sarcasmo e il razzismo nei confronti delle comunità nomadi, in particolare.

[35] Si veda l' «Arrestometro della CJA» nel numero 15 di Schnews. SchNews è nato dal gruppo di Brighton, Justice?, che si era formato in opposizione alla CJA e si è affermato come infrastruttura cruciale per le notizie e le discussioni sulle campagne locali e sugli sforzi anti-statali.

[36]  In modo simile, «Do or Die #10» osserva che «the act had been meant to neuter direct action. Instead in the climate of opposition, whole new struggles opened up». Ne sono un esempio i ragazzi delle scuole di Glasgow che si sono precipitati a difendere gli accampamenti anti-stradali sulla M77 dallo sgombero da parte della polizia, o la rapida crescita dell'interruzione delle esportazioni di animali vivi.

[37] Proprio come i lavoratori sono stati in grado di aggirare in qualche modo la legislazione anti sciopero, durante i periodi di relativa forza, gli attivisti e gli altri minacciati dalla CJA hanno potuto sostenere la loro attività ormai illegale solo finché le reti di sostegno e di difesa sono rimaste forti.

[38] «Now that carrot has gone rotten everywhere, but profits must be maintained, so sticks like the JSA are needed to force down benefits and wages here and in Europe» così è riportato in «NottFIN (Nottingam Freedom Information Network), numero 13.

[39] Il sussidio ha permesso a una comunità di «panseys» [Politically Active Not Seeking Employment, NdT] di sostenersi (una presunta categoria di richiedenti il sussidio che erano «politicamente attivi e non in cerca di occupazione», come ha scritto recentemente Seth Wheeler).

[40]  Dole Bondage? Up Yours!,una riflessione da Cardiff, offre uno sguardo importante verso le asimmetriche dinamiche regionali dei movimenti anti-JSA e su come sono nate le tensioni tra coloro che percepivano i sussidi e i disoccupati.

[41] TUC è l'acronimo di Trades Union Congress. È la più grande e longeva federazione sindacale britannica, con 5,5 milioni di iscritti provenienti da quasi tutti i principali sindacati affiliati. La sua burocrazia, tuttavia, ha tradizionalmente svolto un ruolo conservatore nel disciplinare il movimento sindacale.

[42]  Dal numero 19 del giornale dell’ultra-sinistra «Subversion».

[43] Si veda, come esempio, Queer Footprints di Dan Glass per una storia di come si sono formati e mobilitati i gruppi di azione diretta e di attivisti a Londra. Si vedano anche eventi come il primo festival Queeruption nel famoso 121 Railton Road Squat di Londra, per un'intersezione delle lotte queer, anarchiche e di estrema sinistra dell'epoca.

[44] Si veda, come esempio, Queer Footprints di Dan Glass per una storia di come si sono formati e mobilitati i gruppi di azione diretta e di attivisti a Londra. Si vedano anche eventi come il primo festival Queeruption nel famoso 121 Railton Road Squat di Londra, per un'intersezione delle lotte queer, anarchiche e di estrema sinistra dell'epoca.

[45]  Si veda il primo capitolo di Black Resistance to British Policing di Adam Eliott-Cooper.

[46]  Si veda il numero di agosto/settembre 1995 della rivista «Campaign against Racism and Fascism».

[47]  Si veda il capitolo sei del loro Fractured Race, Class, Gender and the Hatred of Identity Politics.

[48] Lo stesso antifascismo coordinato ha avuto un ruolo nella lotta contro l'estrema destra sempre più sicura di sé negli anni Novanta, con la creazione di organismi antifascisti militanti in tutto il Paese e la partecipazione a conflitti di strada spesso molto violenti.

 [49] La cultura do it yourself non era, ovviamente, universalmente apprezzata: poteva trattarsi di «una sorta di Thatcherismo dell'underground?» che feticizzava il sacrificio individuale, come ha notato George McKay. I suoi DiY Culture e Senseless Acts of Beauty sono due testi cruciali del periodo che affrontano l'emergere e le dinamiche in queste esperienze di contestazione, discutendo le loro radici nei cicli precedenti dell’antagonismo creativo.

[50]  Come sottolinea The Free Association all'inizio del suo Moments of Excess: Movements, Protest and Everyday Life - un capitolo di questo testo è apparso per la prima volta attraverso DeriveApprodi.

[52] Citata in Do or Die’s 2006, retrospettivamente.

[53] Un lungo documentario dei movimenti anti-roads, la loro cultura e la repressione è qui disponibile e merita di essere visto The Lock ‘n’ Rollie Years.

[54] Earth First and the Anti-Roads Movement di Derek Wall offre un utile inquadramento su come si è composto il movimento e sulle numerose correnti che lo hanno alimentato, così come l'articolo Down with Empire! Up with Spring! in Do or Die numero 10.

[56] «300 people closed down Bath City Centre for a couple of hours in a cross between a Critical Mass  cycle action and a Reclaim The Streets party» riporta il numero 36 di SchNews nell’agosto 1995, valga come esempio delle attività di RTS. Si veda anche Past Tense’s report of a 1998 di una festa RTS.

[57] Il numero 8 di Do or Die, Autonomous Actions and Anarchy descrive gli avvenimenti di Manchester e fa i conti con la natura londinese dell'organizzazione dell'epoca.

[58] Si consiglia di leggere la guida preparatoria alla giornata, Squaring Up To The Square Mile, distribuita in migliaia di copie prima della giornata, per avere un'idea di come è stato inquadrato l'obiettivo della città.

[60] Definito come una «protesta e un carnevale contro la guerra, l'oppressione e lo sfruttamento» che ha preso di mira il centro finanziario di Londra. Si veda: History is made at night (16 Sept 2023) ‘Birmingham Stop the City 1984’.

[61]  Come citato in Anthony Davies’s J18 and All That in Mute’s Proud to Be Flesh Anthology.

[62]  Si veda Let Patriarchy Burn! a feminist rant! In «Do or Die #8» [attenzione: contenuti relativi alla violenza sessuale].

[63] Come suggerisce Eileen Condon in Proud to Be Flesh, la sua valutazione delle manifestazioni del Primo Maggio (May Day) del 2000, quando la polizia «mise in scena la più grande operazione securitaria degli ultimi 30 anni». Si veda anche il commento di Jeremy Gilbert in Anticapitalism and Culture per una lettura alternativa, sul messaggio «anticapitalista» del movimento e sulla sua capacità di connettersi al di là della stessa estrema sinistra.

[64] Si veda l'antologia Proud to Be Flesh di Mute per un documento che dà ampio spazio alla necessaria agonia sulla web-politics che si stava elaborando negli anni Novanta.

[65] In particolare, progetti come Indymedia hanno preso forma mentre nuove piattaforme di comunicazione e di media cercavano di indirizzare le campagne politiche attraverso l'infrastruttura digitale.

[66] Nel testo di Josephine Berry Slater, Disgruntled Addicts - Mute Magazine and its History nella raccolta Proud to Be Flesh Anthology.

[67] Per un esempio di questi progetti si veda Michael Hardt’s Subversive Seventies (Oxford University Press) e Jamila Squire & Seth Wheeler’s A Thousand Little Machines (Agit Press).

[68] Si consideri anche il caso di un progetto come Aufheben, quando si riflette sulle dinamiche di collaborazione e co-optazione che infestano le correnti di sinistra. Nel 2011, il gruppo antiautoritario greco TPTG ha rivelato in una lettera aperta che il membro fondatore del gruppo, John Drury ,aveva lavorato a stretto contatto con la polizia su strategie e misure di controllo della folla attraverso il suo lavoro accademico.

[69] L’articolo Give Up Activism, da «Do or Die’s Reflections After J18», è un documento particolarmente rilevante e largamente discusso di quell’epooca: «Activism is a form partly forced upon us by weakness».

[70] Si veda la recente intervista di James Butler di questo argomento su «London Review of Books».

[71] Un recente pezzo di «Decompositions», ad esempio, offre una ricostruzione comprensiva ma variegata dell'attivismo «anticapitalista» degli anni Novanta, in particolare attraverso le lotte per i diritti degli animali. L'analisi a questo livello ci aiuta a sintonizzare più finemente le cornici analitiche e le politiche a cui sono legate, senza necessariamente entrare nel merito di specifiche problematiche tattiche.


***


Dante Philp lavora in biblioteca ed è un redattore di Notes From Below. È membro di Pagliacci Rossi, un collettivo di ricerca militante attivo a Londra, presso l'archivio MayDay Rooms.


Matthew Lee lavora in biblioteca, è un rappresentante sindacale ed è redattore di Notes from Below.

Comments


bottom of page