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Eugène Sue e la donna proletaria nei secoli


Figlio ribelle di un’alta borghesia parigina soccombente alla crisi finanziaria degli anni Trenta, partecipe dei tumulti rivoluzionari, delle lotte per i diritti del lavoro, esponente anche in qualità di deputato di una sinistra radicale e intransigente, Eugène Sue, tra il ’49 e il ’56, lavora a un’opera colossale che incontrerà infinite traversie, pubblicata al principio in forma semiclandestina, a puntate, e che al romanzesco unisce, attraverso le note a piè di pagina, un vero e proprio manuale militante: Les Mystères du peuple ou Histoire d’une famille de prolétaires à travers les âges. Il fluviale romanzo ha per protagonista una famiglia popolare, i Lebrenn, colta nel fuoco delle sommosse del ’48, ma poi, come una stirpe nobiliare del sangue, narrata genealogicamente in flash back a partire dall’epoca druidica, attraverso Gesù Cristo in persona (dopotutto era un falegname), il cristianesimo primitivo martirizzato e oltre: Carlo Magno, le crociate, gli eretici, insomma l’intero percorso della storia umana, fino all’epoca napoleonica.

Dal punto di vista letterario, al di là della riuscita (assai inferiore a quella dei precedenti Misteri di Parigi, del ’42-43) quest’opera fonda quel romanzo popolare «a carattere ideologico-politico di tendenza democratica legata alle ideologie quarantottesche» (per usare l’elaboratissima definizione di Antonio Gramsci in Letteratura e vita nazionale, Einaudi, Torino, 1954) che contagerà Hugo e, con diverse sfumature, Balzac, Flaubert, Edmond e Jules de Goncourt, Zola. Già i Misteri di Parigi avevano dato vita a una quantità pressoché incalcolabile di imitazioni in tutta Europa. Nessuna città era rimasta (o sarebbe rimasta) esente dalla raffigurazione dei propri misteri: Londra, Vienna, Berlino, Venezia, Napoli. Nelle grandi città, sino ad allora sinonimo, per definizione, di civiltà, si mettevano allo scoperto le fogne: autentici abissi di degradazione umana, nefandezze d’ogni genere, mali talmente diffusi e infettanti da sembrare ormai, incurabili, se non con una terapia d’urto rivoluzionaria e rigenerante. I Misteri del Popolo sono un piano ancor più ambizioso di ricostruzione storica che vede per protagonista non un singolo eroe, e nemmeno un’epoca, ma la storia di quel popolo che costituisce il vero mistero della storia umana, troppo a lungo occultato, e da riportare in piena luce. Un popolo che non viene più definito in negativo (tutto ciò che non è aristocrazia e clero) ma in positivo con il termine: proletariato.

Les Mystères du Peuple rappresenta il proletariato come l’aristocrazia della classe dei lavoratori, la parte nobile del popolo. Nelle note militanti che Sue appone al suo feuilleton, questo aspetto si precisa meglio. In nota al capitolo XIII, Sue pubblica un dettagliato elenco delle Associations Ouvrières Fraternelles, con tanto di indirizzo delle loro sedi. È molto interessante vedere le categorie di lavoratori in prima fila nel movimento socialista, cooperativistico e di difesa dei diritti del lavoro: lavandai, lavoratori dell’abbigliamento (sarti, fabbricanti di maglie, cuffie, scarpe, camicie, cappelli), conciapelli, panettieri, carbonai, muratori ed edili, lavoratori delle ferramenta, fabbri, parrucchieri, ciabattini, cuochi, fabbricanti di bibite, di apparecchi per dagherrotipia, di pianoforti, redattori, stampatori, litografi, istitutori e istitutrici, imbianchini, medici e farmacisti, levatrici, fabbricanti di montature metalliche per occhiali, commercianti di latticini e uova, di granaglie, addetti agli impianti del gas, falegnami. Siamo di fronte a un proletariato urbano diviso in professioni specializzate, strettamente legate all’artigianato e al commercio, che includono il lavoro intellettuale, e socialmente sono sul confine tra operai e piccola borghesia. Nel romanzo di Sue, il capofamiglia Lebrenn è un commerciante di tela. Suoi compagni di barricata sono un garzone magazziniere, un falegname ex soldato, un fabbro ferraio. Il proletariato di cui si parla è dunque un ceto di artigiani, piccoli commercianti, lavoratori di piccoli atélier e botteghe, non la classe operaia dei grandi insediamenti industriali o i minatori. Zola pubblicherà Germinal nel 1885. Negli anni Cinquanta, i tempi, evidentemente, non sono ancora maturi, e diversi i riferimenti di classe.

Veniamo a uno degli aspetti più significativi e insieme grotteschi del romanzo di Sue. La coscienza di classe di Lebrenn rimonta ai «Galli nostri padri, ridotti in schiavitù, costretti a portare dei collari come quelli dei cani da caccia, cui spesso si mozzavano i piedi, le mani, le orecchie, il naso». Con uno spiazzante flash back, il romanzo ci piomba di colpo nel 57 avanti Cristo. In nota, Sue cita alcuni saggi storici per corroborare la sua idea secondo la quale i diciannove ventesimi degli attuali francesi discende dai galli. Basterebbe rileggere il primo capitolo del De Bello Gallico, che descrive le popolazioni transalpine nel 58 A.C., per smascherare questa colossale panzana. Ma sulla scorta indubitabile del suo amico Jean Raynaud, avvocato a Périgueux, che verrà eletto parlamentare e Cavaliere della Legion d’Onore, Sue asserisce che, senza nulla togliere agli ebrei, ai greci e ai romani, anche i francesi sono un popolo d’antica schiatta. Dappertutto c’è proletariato, ma quello francese discende dai galli, e in particolare dai galli oppressi, dunque la storia dei francesi è la storia di un popolo liberatosi da un giogo, il popolo rivoluzionario per eccellenza. Sue applica uno schema assai simile a quello di Scott, per il quale il popolo inglese discendeva dai Sassoni poveri in lotta contro i dominatori Normanni. Ma Sue si spinge oltre, rivendicando primogeniture nazionali nel campo della rivoluzione. Ci sarebbero popoli più rivoluzionari di altri per stirpe. Non era evidentemente sufficiente far riferimento all’aristocrazia operaia, bisognava aggiungere che questa aristocrazia è pure nazionale, e che i francesi hanno la rivoluzione nel sangue. Il proletariato francese, se ne ricava, guiderà la rivoluzione mondiale, con la spada di Brenno in pugno. Non è uno scherzo: la bottega di tela di Lebrenn si chiama La Spada di Brenno ed egli stesso, nel suo cognome, Le-brenn, cos’è, se non un discendente di Brenno? Quel leggendario Brenno che aveva messo a sacco Roma nel 390 A.C., ma, fortunatamente, considerando l’eccesso di quadri storici, Sue ce ne risparmia il flash back.

Grande rilievo ha il ritratto delle tipica femme gauloise. Qui Sue cita i classici. Ammiano Marcellino (330-332 ca. – 397 ca.):


La donna gallica come forza, eguaglia il marito; ha gli occhi ancor più selvaggi quando va in collera; agita le sue braccia bianche come la neve, e mena colpi così vigorosi che sembrano inferti da una macchina da guerra.


Non pago, cita anche Plutarco (46/48 ca. – 125/127 ca.):


Se un Cartaginese si ritiene offeso da un Gallo, la questione sarà sottoposta al CONSIGLIO SUPREMO DELLE DONNE GALLICHE [maiuscole di Sue].


Le donne sono protagoniste nel romanzo di Sue e soprattutto nelle illustrazioni che lo arricchiscono. Nel solo primo volume, di 808 pagine, dell’edizione del 1880 dei Misteri del popolo edito a Parigi della Librairie du Progrès, figurano 101 illustrazioni, opera di George Coutan (1853-1890). In 77 di queste compaiono donne. In 40 casi vestite, in 26 seminude, in 11 integralmente nude. La donna proletaria, prevalentemente giovane, veste leggero in qualsiasi epoca, in qualsiasi stagione, in qualsiasi paese, e tende alla nudità in qualsiasi circostanza.


Tortura (fig. 1).

Fig. 1


Piacevole intrattenimento, seppur schiavistico (fig. 2).

Fig. 2


Sofferente, stuprata e vendicatrice immaginaria (fig. 3).

Fig. 3


Nella pace di un idilliaco gineceo (fig. 4).

Fig. 4


In guerra con strabiliante armatura nude-look (fig. 5)

Fig. 5


Umiliata e prigioniera (fig. 6).

Fig. 6


Liberata e novella Pomona (fig. 7).

Fig. 7


Donna proletaria e gallica. Da compatire per le sue sofferenze, da celebrare per il suo eroismo unito alla bellezza. Erotica, esotica e celestiale al contempo. Simbolo primigenio di un universo separato da quello maschile, un mondo a parte. Una donna che, nella sua nudità, si distacca anche dal contesto storico, e viene proposta come eterno femminino.

Certo ci si può chiedere: perché tale profluvio di donne nude in un romanzo fiume dai propositi socialisti? Non tutte le edizioni del romanzo, va detto, sono come questa. In altre, le immagini sono più sobrie e caste, e il testo regna sovrano. Ma nella scansione a puntate, come nelle edizioni pluri-illustrate, la sua diffusione viene indubbiamente aiutata assecondando il lettore voyeur. Trattandosi oltretutto di un’opera osteggiata dalla censura politica, da distribuire per abbonamento e per canali non ufficiali, tanto vale unire alla vispolitica la provocatoria trasgressione alla pruderie e al comune senso del pudore. Una forte componente valoriale del resto non manca: c’è abuso e c’è riscatto, nelle immagini. Il nudo femminile aiuta, idealmente, la causa del progresso e dell’emancipazione. Di fatto, aiuta la commercializzazione dell’opera.

Il socialismo di Sue è già socialismo di mercato. Del resto, ben al di là socialismo, la donna, come rileverà in seguito Zola, sarà al centro del mercato, come soggetto e come oggetto di consumo. Trionferà, alla fine del secolo, nella cartellonistica pubblicitaria. La donna sarà la rappresentazione simbolica della merce. Insieme valore di scambio e valore d’uso. Con una specificità non da poco: per le donne, tale mercificazione non riguarderà soltanto il loro lavoro, ma il loro stesso corpo.

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