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Atti umani e il massacro di Gwangju

Carla Pagliero

Atti umani e il massacro di
Jang Sun-woo, A Petal, 1996, still da film

Recensione al libro di Han Kang, premio Nobel per la letteratura 2024


Il tentato colpo di Stato in Corea del Sud del presidente Yoon Suk-yeol in Corea ha rievocato tristi avvenimenti del passato avvenuti nel paese asiatico, come il massacro di Gwangju del 1980, di cui parla anche il premio Nobel per la letteratura Han Kang in uno dei suoi importanti libri, Atti umani.

Parte dal libro Carla Pagliero per esaminare la prosa e il rapporto tra memoria e scrittura nella scrittrice coreana.


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Atti umani è un romanzo della scrittrice sudcoreana Han Kang pubblicato nel 2014, uscito in Italia nel 2017 per le edizioni Adelphi, con la traduzione di Milena Zemira Ciccimarra. È il suo secondo libro pubblicato in Italia, dopo La vegetariana, con cui aveva vinto il Man Booker International Prize nel 2016. Grazie a Atti umani, l'autrice ha vinto il Premio Malaparte 2017, e nel 2024 le è stato assegnato il premio Nobel per la Letteratura. È la prima volta che una scrittrice sudcoreana vince il premio Nobel e la diciottesima volta, in assoluto, che il premio viene assegnato ad una donna. Questo riconoscimento ha avuto in Corea, dove Han è molto popolare, una notevole risonanza. I recenti fatti avvenuti in Sud Corea, dove il presidente Yoon Suk-yeol si è visto respingere all’unanimità dal Parlamento il decreto che proclamava la corte marziale di emergenza, hanno riportato alla memoria fatti già visti e vissuti negli anni Ottanta, ancora molto sentiti dalla popolazione coreana. Infine anche il premio Nobel per la letteratura, assegnato ad Han Kang, «per la sua intensa prosa poetica che affronta traumi storici ed espone la fragilità della vita umana», ha rinnovato, attraverso uno dei suoi romanzi più famosi, Atti umani, il ricordo di quei giorni e, probabilmente, non è casuale che le forze politiche coreane, così come la popolazione, si siano mosse rapidamente per sventare la minaccia messa in atto da Yoon. Personalmente mi piace pensare che la letteratura, in questo caso, abbia dato una mano alla storia e abbia contribuito a smuovere energie e ricordi che si sono rivelati decisivi per fronteggiare lo scellerato colpo di mano del presidente coreano.


Il massacro di Gwangju

La storia che si narra nel libro parte dai fatti avvenuti nel maggio del 1980 a Gwangju, città di nascita della scrittrice coreana. Una vicenda di cui si conosce molto poco sia in Italia che fuori dalla Corea. Il lungo racconto, organizzato a più voci, ha il merito di far conoscere e riportare all’attenzione della storia uno degli episodi più tragici della storia recente della Corea del Sud, restituendo memoria e dignità alle vittime di quel massacro.

Nell’ottobre del 1979 il presidente della Corea del Sud, Park Chung-hee, fu assassinato dopo 18 anni di dittatura. La popolazione si riversò nelle strade e ci furono moltissime manifestazioni studentesche che coinvolsero la cittadinanza di Gwangju. Il 12 dicembre del 1979 il generale Chung Doo-hwan destituì il governo che si era formato, cui seguirono una sequela di rivolte spacciate dalle autorità come un tentativo dei comunisti di prendere il governo, il che favorì l’appoggio statunitense al golpe coreano. Il Presidente degli Stati Uniti era, all’epoca, il democratico Jimmy Carter. Le manifestazioni, iniziate subito dopo l’assassinio del presidente Park Chung-hee, scossero il paese, soprattutto dopo il 17 maggio quando la corte marziale fu estesa a tutto il paese e fu impiegato l’esercito contro la popolazione civile. A Gwangju, in particolare, ci fu un’insurrezione popolare che durò dieci giorni, e che ebbe il suo clou il 18 maggio del 1980. La risposta dell’esercito fu brutale e la violenza messa in atto durante la ribellione e nei giorni successivi fu inaudita. La città, nei giorni dell’insurrezione, visse un’esperienza di vivace condivisione e autonomia, una democratizzazione sperimentale e innovativa, come oggi viene ricordata in Corea, e l’esercito venne allontanato dalla città. Ma dopo quella breve primavera che, come raccontano le testimonianze raccolte da Han Kang, segnò in maniera indelebile la vita di Gwangju, le autorità imposero all’esercito di rientrare in città e di intervenire, e la città venne completamente isolata. Da quel momento in poi, per alcuni giorni, ci fu un massacro ancora più brutale di quanto si era visto in precedenza: il bilancio delle vittime fu stimato tra i duemila e i tremila morti, un evento incredibilmente sanguinoso. Il regime di Chun abusò in modo oltraggioso della sua autorità, ma alla fine crollò proprio grazie alle rivolte che scoppiarono ogni maggio a Gwangju negli anni successivi. Ci vollero sette anni prima che la verità venisse a galla e che i colpevoli fossero giudicati. Quell’episodio, però, ebbe un ruolo decisivo nel rovesciamento del regime, che aveva continuato le politiche oppressive del cosiddetto «Rinnovamento» del dittatore ucciso, Park Chung-hee, e fu decisivo per ottenere le prime elezioni democratiche nel 1987. Nel 1996 Chun Doo-hwan «il macellaio di Gwangju» e i suoi complici vennero giudicati e condannati da un tribunale, anche se, pochi anni dopo, il presidente Kim Dae-jung concesse loro la grazia, probabilmente per chiudere i conti con quei fatti con un atto di pacificazione e Chun Do-hwan, morto nel 2021 a 90 anni, venne liberato. L'insurrezione democratica di Gwangju viene oggi considerata in Sud Corea il punto di partenza della democratizzazione, l’episodio che ha portato il paese verso la costruzione di una società moderna e democratica. Il giudizio della storia, infine, ha restituito dignità a quel sacrificio umano atroce e doloroso.


Il ragazzo viene da noi

Nel libro i fatti vengono narrati attraverso le parole di alcuni protagonisti che, come in una commedia pirandelliana, si rivolgono direttamente a noi attraverso la scrittura fluida asciutta incisiva di Han Kang. La scrittrice, che all’epoca dei fatti aveva nove anni, riserva per sé l’epilogo conclusivo proponendosi come testimone e voce esterna agli avvenimenti, descrivendo il suo rapporto con quel segmento di storia come una specie di ossessione mentale che l’ha tormentata per anni e che con la ricerca e la scrittura ha cercato di affrontare. La memoria diventa elemento fondante nel libro, memoria intesa come strumento per costruire e ricostruire lo scenario di quell’avvenimento e la storia di una popolazione diventata protagonista in quei giorni, persone a cui è giusto e sano restituire dignità. Dignità, termine che ritorna spesso nel libro e nelle interviste all’autrice coreana. Dignità che in questo caso vuol dire fare giustizia e ricostruire la verità dei fatti, quella verità che all’epoca non è stato possibile urlare lasciando in tutti una specie di fiele amaro in bocca che ha avvelenato la loro vita per sempre: è questo il compito che si attribuisce la scrittrice, sanare con la letteratura i bachi della storia.

Il sangue e la violenza, il senso di impotenza di fronte all’ingiustizia e all’arroganza del potere sono al centro della narrazione di Atti umani, che in sostanza è un racconto corale che ruota attorno ad un personaggio centrale, Dong-ho, filo conduttore delle varie storie. Il ragazzo Dong-ho è molto giovane, ha quindici anni quando si trova coinvolto nella rivolta di Gwangju. Quindici anni sono davvero pochi per morire in una circostanza così abnorme e sproporzionata alle forze e all’età. La sua presenza bambina colpisce subito nel profondo, assieme alla sua vitalità e alla nobiltà d’animo. La sua morte, il nucleo motivante della storia, viene svelata sin dall’inizio attraverso una narrazione che sceglie il «tu» e il presente storico per coinvolgere, da subito, chi legge nei fatti narrati. L’intenzione è quello di far tornare e restituire alla vita presente la sua figura, da qui il titolo originale del libro: Il ragazzo viene da noi. Il ricordo del ragazzo, che ritorna a mo’ di presenza disturbante nel racconto degli altri testimoni vittime di questa tragedia, sembra evocato intenzionalmente per dire che, in fondo, la nostra esistenza è legata alla memoria dei vivi. Il tema della parola che salva dall’oblio della dimenticanza è uno dei temi affrontati nel libro, presente sin dall’inizio nel racconto di Dong-ho. Il ragazzo si trova coinvolto nella carneficina dell’Università di Chonnam quasi per caso, è lì per cercare il suo amico, Jeong-dae, morto durante gli scontri e voce narrante del secondo capitolo, testimone diretto delle violenze viste e subite e dello scempio compiuto sui corpi delle vittime.

Altro tema, affrontato anche ne La vegetariana, è quello del corpo: il corpo che subisce violenza, quella violenza che Yeon-hye, protagonista de La vegetariana, rifiuta non cibandosi della carne di animali allevati e uccisi. In Atti umani i corpi sono quelli uccisi, violati e oltraggiati nella strage che vengono evocati dalla parola e cui si rende omaggio con un rituale antico ed universale come quello delle candele accese e dei fiori offerti: simboli di vita che si oppongono alla morte restituendole la dignità e la sacralità dovute.

Il racconto prosegue affidandosi a voci diverse raccolte in tempi successivi ai fatti descritti.  La redattrice, il prigioniero, l’operaio, la madre e i fratelli del ragazzo raccontano la loro versione dei fatti e le conseguenze che quegli avvenimenti hanno avuto sulle loro esistenze, svuotandole per sempre di senso: vite dove l’incubo individuale ha sostituito in maniera malata l’incubo collettivo vissuto durante il massacro. 

Atti umani è una storia potente e universale, così come i personaggi che entrano in scena possono essere rintracciati anche in modelli che appartengono alla nostra cultura. Dong-Ho, sin dall’inizio, evoca figure del neorealismo. Per me, da subito, un piccolo Gavroche, quello dipinto da Delacroix sulle barricate del 1830 ne La libertà guida il suo popolo, lo stesso immortalato da Hugo ne Les Misérables, così come Gwangju rinnova e ripropone le figure straziate di una Guernica rivissuta quarant’anni dopo. «Gwangju è in tutti i luoghi e tutti i tempi in cui dignità e violenza coesistono»  ha dichiarato Han Kang alla cerimonia di premiazione del Premio Malaparte, a Capri, nel 2017. La letteratura, come afferma ancora Han, forse non può cambiare il mondo ma assume un significato importante quando restituisce sensazioni esistenza corpo dignità all’afonia di una storia spezzata. E questo è, forse, il messaggio più convincente che la scrittrice coreana ci affida.

  

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Carla Pagliero, architetto di formazione, si è occupata di didattica e storia dell'arte. Ha insegnato per 35 anni storia dell'arte e ha partecipato a progetti di ricerca sulla didattica con l'IRRSAE e con la scuola di specializzazione interfacoltà. Ha collaborato con la fondazione Scuola del San Paolo e con la casa editrice SEI come consulente.

 

 

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