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Cinque poesie


cinque poesie
Immagine: Roberto Gelini

Cinque poesie di Marina Massenz.


* * *


Dialogo tra neuroni e sinapsi


In questa zona accidentata

tutta volute creste spirali

tra loro parlano fitto fitto

a voce bassa e suadente.

Altre volte in modo stridente

urlano per chi la sa più lunga

ed è tutto un ronzìo un franare

di parole calpestate ammassate.

Di dialogo ora non si parla certo

non ci sono temi, tempi d’attesa

o pause, ma un cicaleccio nervoso

elettrico con qualche scintilla

che a tratti illumina un sapere

illusorio, una fugace intuizione,

una scoperta che frana nel nulla.

Vuoto, silenzio ora, stanno

abbottonati e nel loro mutismo

si sente come un abbandono

del territorio, del mio corpo

che attende nuove informazioni

sulla perdita, antica otto anni.

Si sa che l’eco è lunga, il corpo sa

che non è finita ancora, rimbalza

si muove è ancorata nelle vene

nel respiro ammaccato e attende.

*


Concertino per malleoli ardenti e nebbia


a V. S.

Trasporta in uno spazio aperto

la lingua della danza vocabolario

di gesti imprevisto di splendore

e ardore materia del corpo

che nell’istante prende forma

e insieme si dissolve la semantica

di atti lungo il filo del suono


nel piacere dell’elastico che tende

e rilascia dei piedi senza orma

per leggiadrìa e rapido slittare

per l’odore del ghiaccio

amaro dolce frizzante

la prima sensazione oscura

intensa nell’alba della nebbia

milanese piranesi già qui


siamo in pista e solo mezzi busti

si vedono scivolare sospesi

misteriosi senza gambe

che ancora piedi e gambe immersi

in nebbia scivolano veloci

senza forma invisibili

ma attivi nella traccia lasciata

sulla superficie a specchio

come tagli morbidi suadenti

a volute come i gesti

delle braccia che avvolgono l’aria.

*

La parola bendata

a P.R.


E’ a un metro di distanza

che si arresta lo scandire dei piedi

questa voce ovattata

che oltrepassa la siepe dei denti

oltre la bocca bendata

ancora ci parliamo cara

ci diciamo di ieri di domani

di cosa cucini stasera

del nostro lavoro sospeso

del silenzio metropolitano

ancora ci diciamo cose

e persino ci sorridiamo

sollevando la benda nel sole

trasgrediamo? Forse può essere

sì, ma così poco pochissimo

che oltrepassiamo appena la linea

che svaghiamo la mente

e c’è pure il cielo, che ancora c’é.


6.4.2020 (rif. Lokdown Covid-19)


*


Pelle e frammenti


Della pelle di cristallo

si può notare la preziosità la trama

di cellule porose oppure la fragilità

l’incrinarsi (il progressivo)

come dai bicchieri di cristallo

armonia di suoni al solo battere

di posate comporre intera orchestra

o il formarsi insieme di stridore

anticipante il frantumarsi nei dettagli

(invisibili ai molti)

della struttura sottostante.

Così possono avvenire grandi crepe

improvvise e rombanti cadute

infranta la lucentezza il ricamo

fine fine lavorato a mano.

Da giovane la ragazza era coperta

da una tonaca di grossa tela

di vigore e spesso tono muscolare

tutto dentro ben contenuto

nel corso dell’allenamento gioioso

pure il sentire rischio compattato

felice pure il sentire il corpo

come roccia salda di piedi e mani

ben trattenuto il tutto

come tiene come sta in equilibrio

come cade in postura perfetta

nello scivolamento controllato

in perfetta postura l’arabesque

nell’equilibrio che solo lei conosce

precario, lei mensola dei bicchieri

di cristallo nelle molte forme

e variazioni altezze spessore

così perfetti levigati in apparente

armoniosa sintesi coperti di pelle

trasparente e fragile.


*



La sfera blu


La ragazza ha visto la sfera blu

da astro nello spazio sospesa

e ammira e ama quel verde

e le acque le pecore i musi

bagnati nell’erba umida. E’ la terra.

Così bella e fragile come creatura

che non diresti sospesa nel nulla

che non diresti abbia bisogno

della tua mano, per appoggiarsi

sul palmo aperto ad accogliere.

La vita così per alcuni decenni

ci sta nel palmo, la mano è la stessa,

ma a volte dimentica, lascia cadere

e tutto cade e cade e cade

finché si ferma proprio lì,

dove stanno le pecore, sotto l’albero.


* * *


Marina Massenz è nata nel 1955 a Milano, dove vive. Ha pubblicato la sua prima raccolta poetica, Nomadi, viandanti, filanti, Amadeus, Cittadella (Padova), nel 1995, con presentazione di Marosia Castaldi. Il suo secondo libro, La ballata delle parole vane, è uscito nel 2011 per la casa editrice

L’Arcolaio di Forlì, con postfazione di Andrea Inglese. Del 2018 è la raccolta Né acqua per le voci, edita da Dot.com.Press, Milano, con prefazione di Vincenzo Frungillo. L’ultimo suo lavoro, Ossa e cielo, Puntoacapo editrice, è stato pubblicato nel giugno 2021, con prefazione di Alessandra

Paganardi, e ha ricevuto una Menzione d’onore al premio Lorenzo Montano 2022. Suoi versi e prose poetiche sono uscite sulle riviste «Qui-appunti dal presente», «Il monte analogo», «Poliscritture», «Le voci della luna», «Il foglio clandestino», «Il segnale» e sue poesie sono apparse

sui siti Internet «La poesia e lo spirito», «Fare voci», «Versante ripido», «Nazione Indiana».


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