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Space invaders. Soggetti di movimento e luoghi comuni nello spazio urbano


Immagine di Mihamiha

Come anticipato nel precedente articolo pubblicato in questa sezione di Machina, continuiamo il racconto del «sud ribelle» e della straordinaria manifestazione di Cosenza di novembre 2002 con un interessante saggio di Anna Curcio. Pubblicato originariamente nel volume collettivo Spazi Comuni. Reinventare la città (a cura di F.M. Pezzulli e G. Brugellis), il lavoro, che prende spunto dalla tesi di dottorato dell’autrice, indaga i nessi tra l’azione di movimento e la ridefinizione dei luoghi cittadini a partire dal caso in questione. A tal proposito, a vent’anni di distanza, non è esagerato dire che la reazione cittadina agli assurdi arresti di quei giorni fu enorme e che l’invasione della città da parte dei “no global” accorsi da tutta Italia contribuì in modo determinante a fissare fatti e luoghi nella memoria collettiva dei cosentini.


* * *


Introduzione

Parlando di soggetti di movimento e luoghi comuni intendo qui fare riferimento alle dinamiche e alle modalità di relazione e interazione tra soggetti che prendono forma intorno ad un evento (vedi P. Virno, 2001). Un insieme cioè di pratiche, corpi e linguaggi che entrano in connessione dando vita ad uno spazio di azione comune, un luogo pubblico di confronto e discussione, di pratiche e condotte collettive. Parlo di luoghi comuni, dunque, come spazi pubblici in cui si producono al contempo relazioni di cooperazione e conflitto: in modo ben diverso dalle nicchie tra simili scavate al margine del sistema delle merci, si tratta di spazi – simbolici e fisici – in cui soggetti molteplici praticano hic et nunc forme di vita, resistenza e attività alternative alla sfera statuale e al mercato. Si tratta di un ambito in cui si diffondono discorsi critici e pratiche conflittuali, lo spazio dell’incontro tra soggetti portatori di saperi, conoscenze, capacità critiche, attitudini comunicative, linguistiche e relazionali – risorse centrali nella produzione contemporanea – che interagiscono tra loro dando vita ad un’azione comune. La ricerca di legami e contatti è infatti una delle caratteristiche cardine dell’interazione comunicativa e dell’agire politico di movimento. Ogni relazione linguistica, così come ogni azione politica, ha infatti a che fare in prima istanza con lo spazio di relazione tra i soggetti, ma – lungi dal rimanere fine a se stessa e relegata nella pura dimensione fàtica, del contatto relazionale – è al contempo capace di innovazione e cambiamento. Rinsalda i legami esistenti e ne inventa di nuovi; trasforma le relazioni, i contenuti e i discorsi; modifica lo spazio e i luoghi nella forma, nelle funzioni e negli usi.

Luoghi comuni di reciprocità, confronto e azione possono quindi prodursi negli ambiti e nei contesti più differenti, mantenendo il nesso con lo spazio fisico come elemento costante tra passato e presente, tra «oriente» e «occidente», tra la πόλις ellenica e l’adda descritto dallo storico bengalese Chakrabarty (H. Arendt, 2001; D. Chakrabarty,2004). Se infatti Hannah Arendet individua nello spazio della αγορά il luogo in cui gli individui esprimono il loro carattere pubblico, Jϋrgen Habermas – pur focalizzando la sua analisi sulla sfera pubblica generata intorno alla stampa periodica del XIX secolo – non trascura i caffé quale ambito del confronto fisico, reale e concreto (J. Habermas, 1961). In Italia, alcuni analisti italiani della sfera pubblica, come Chiara Sebastiani (vedi, 1997), hanno affrontato in modo puntuale il tema della strutturazione e della dimensione simbolica dello spazio urbano, mentre in India gli studiosi dell’adda si sono soffermati ad indagare le trasformazioni dei luoghi della città attraverso l’apertura di uno spazio discorsivo[1].

Per il ragionamento che qui mi propongo di articolare, tali luoghi comuni, ossia spazi pubblici del confronto e dell’azioni in comune, acquisiscono un interesse particolarmente rilevante quando il loro nascere è legato ad una mobilitazione collettiva.

Le manifestazioni, le mobilitazioni e più in generale l’azione di movimento sono infatti prioritariamente azioni politiche di soggetti non istituzionali, orientate in ultima istanza a produrre cambiamento, ad attraversare gli ambiti più tradizionali della politica con il fine di trasformarli, di pervenire ad una nuova articolazione dei rapporti di potere in grado di aprire nuove opportunità per i soggetti sociali. Il nesso tra luoghi comuni ed azioni di movimento non è immediato, ma si presenta come punto prospettico particolarmente interessante attraverso cui leggere le trasformazioni della politica, delle relazioni e dello spazio urbano. Parlando di spazio pubblico non si può tuttavia oggi fare a meno di considerare la rete telematica e i forum di discussione, la comunicazione digitale tramite mail, telefoni cellulari, satellite, nonché i media (stampa, radio e televisione). Si tratta quindi di spazi fisici, virtuali e mediatici insieme. In questa chiave, dunque, l’analisi della produzione di spazi fisici, o meglio della trasformazione negli usi e nelle rappresentazioni di edifici, costruzioni o, più in generale, di porzioni del territorio urbano si combina necessariamente con l’analisi del mutamento dello spazio pubblico complessivo.

Per quello che qui mi interessa, incentrerò l’attenzione sulla capacità dell’azione di movimento di ridefinire e ripensare in modo differente gli spazi della città.

In questo lavoro, a partire dall’analisi di una mobilitazione di protesta che ha preso forma nella città di Cosenza nel novembre 2002, cercherò di descrivere il nesso tra l’azione politica e la trasformazione dello spazio urbano, ragionando a partire dall’idea che l’azione di movimento produce cambiamento. Si tratta, in particolare, di indagare l’ipotesi secondo cui i luoghi comuni dell’azione politica tendono a produrre discorsi e saperi, a creare nuove determinazioni nelle relazioni tra gli attori, nonché inedite funzioni ed innovativi utilizzi degli spazi della città. La scelta del caso di studio è ricaduta sulla mobilitazione di Cosenza non perché questa abbia rappresentato un duraturo modello di appropriazione e ridefinizione degli spazi da parte del movimento, ma perché – pur in forme incerte, contraddittorie, contingenti ed alla lunga deboli – può offrire alcuni spunti analitici paradigmatici e generalizzabili. Va quindi precisato che in questa mobilitazione il movimento non è riuscito a conquistarsi i suoi spazi, mentre le istituzioni hanno ben presto riguadagnato i propri. Tuttavia, almeno per poco e in modo forse solo allusivo, si è determinata una nuova rappresentazione di alcuni luoghi della città. I soggetti di movimento si sono configurati come space invaders: non solo facendo irruzione in spazi originariamente non pensati per loro ma, appunto, trasformandoli e risignificandoli. Le cronache delle giornate di mobilitazione, come anche le narrazioni dei protagonisti, descrivono infatti una sovrapposizione di pratiche ed esperienze che mostrando la contaminazione tra luoghi istituzionali e protesta[2].

A ben vedere, è l’intera città che si muove sulla base di iniziative politiche messe in campo immediatamente da attivisti ed organizzazioni di movimento, da molti abitanti della città, da alcune figure istituzionali e da tutti coloro che confluiscono a Cosenza in quelle giornate, man mano che si diffonde la notizia degli arresti. Le parole di un attivista mostrano la progressiva sovrapposizione di funzioni, attività e pratiche che interessa alcuni luoghi della città con il prendere forma della mobilitazione:


«C’è l’iniziativa immediata dei primi compagni che subito in mattinata si radunano al comune ed ottengono di riunirsi la dentro dove si svolge un vera e propria assemblea, molto partecipata, circa un centinaio di persone. Si stabilisce subito il da farsi con l’immediata convocazione di un’assemblea al cinema “Italia” dove la sera ci sarà ancor più gente e che là deciderà di andare al consiglio comunale che si sta svolgendo e quindi a quel unto si apre quel tipo di mobilitazione ampia con assunzione di responsabilità, una cosa che va a crescere e la mattina dopo davanti al tribunale di Cosenza c’è una partecipazione oceanica che assedia fisicamente il tribunale, come mai era accaduto neanche negli anni ’70»


Il giorno del corteo inoltre, sarà l’intero spazio urbano a presentarsi sotto una nuova veste agli occhi delle oltre sessantamila persone che attraversano le strade della città. Strade in via straordinaria interdette al traffico, pullulanti di gente, dove è possibile imbattersi in cartelli stradali con su scritto: «divieto di sosta per manifestazione». Si assiste così ad una metamorfosi temporanea, circoscritta alla settimana di mobilitazione ma non per questo meno significativa, in grado di far emergere i modi e le forme possibili di trasformazione della città da parte dell’azione del movimento.

Se è quindi l’intero tessuto cittadino che in quelle giornate di mobilitazione sembra risentire della ventata di cambiamento che l’azione di movimento proietta su Cosenza, alcuni luoghi simbolicamente forti e le trasformazioni che in quelle giornate li attraversano permettono di concentrare l’osservazione sul nesso azione collettiva/rinnovamento urbano, di indagare in modo dettagliato il peso delle relazioni pubbliche e dell’azione di movimento nella trasformazione dei luoghi della città. Un altro attivista racconta:


«Dal 15 al 22 è tutto un susseguirsi di assemblee e riunioni organizzative. In città è come se ci fosse un contropotere. Un presidio permanente sarà allestito nella centrale piazza 11 settembre e il dipartimento di sociologia all’Unical è in assemblea permanente aperto 24 h su 24. Il luogo simbolo di quelle giornate diventa comunque il cinema “Italia” che la sindaco mette a disposizione già dalla prima assemblea nel pomeriggio del 15. Quel giorno poi anche il Comune, proprio il salone dove si stava svolgendo il consiglio comunale, all’ultimo piano del municipio, è letteralmente invaso da centinaia e centinaia di persone che partecipavano all’assemblea e che si sono spostate quasi come fosse un flusso continuo dall’assemblea a "Palazzo dei Bruzi"»


Nelle pagine che seguono parleremo di due differenti tipologie di spazio urbano: la prima, istituzionale, riguarda il «municipio» e «dipartimento di sociologia dell’Unical» che sono stati con chiarezza attraversati dalle istanze di cambiamento; la seconda, incede, riguarda due luoghi storici della sinistra a Cosenza, il «Cinema Italia» e «Piazza 11 settembre» che in quelle giornate hanno assistito al rifiorire di istanze di cambiamento, che già in precedenza li avevano interessati.


L’invasione dei luoghi istituzionali: il municipio e l’università

Le giornate di mobilitazione di Cosenza, nel mostrare l’apertura di uno spazio pubblico di discussione e di azione, mettono in luce la natura performativa delle interazioni sociali e della pratica politica, la capacità cioè dell’azione collettiva di trasformare non solo gli spazi di relazione tra gli attori e le forme della politica ma anche di rinnovare negli usi e nelle funzioni i luoghi fisici di una città. Nel corso della mobilitazione alcuni luoghi istituzionali, solitamente chiusi e spesso autoreferenziali, si ritrovano concretamente attraversati dalle istanze e dai corpi del movimento, diventando luoghi realmente «pubblici». Il municipio di Cosenza e il dipartimento di Sociologia e Scienza Politica dell’Unical mostrano con chiarezza l’incrocio e la contaminazione di pratiche e linguaggi differenti che l’invasione degli attori della protesta comporta. Il municipio viene subito individuato dagli attivisti come luogo di riferimento della mobilitazione, «è una scelta quasi naturale» afferma infatti uno di loro, sottolineando al contempo il carattere fortemente simbolico del luogo e la peculiare struttura di relazioni e rapporti tra l’amministrazione comunale ed alcuni, almeno, dei militanti della città. Anche il dipartimento dell’Unical, in cui la ricaratterizzazione dei luoghi si carica di un portato emozionale e simbolico che si articola intorno alla sua «violazione» nel corso della perquisizione notturna connessa agli arresti di un ricercatore e di una dottoranda, diventa un importante ambito di incontro, relazione e scambio tra studenti, docenti, attivisti che contamina rapidamente l’intero ateneo.


«Una risposta studentesca stupenda – ricorda una dottoranda di biologia – ragazze e ragazzi che si sono messi in moto hanno tappezzato l’università di volantini, si sono dati da fare per parlare con i professori, i rappresentanti degli studenti sono andati a proporre mozioni d’ordine ai vari consigli di dipartimento, di facoltà, di corso di laurea e tutta l’università si è mossa, tutti indistintamente ed è stato un momento bellissimo»


Ben presto infatti manifesti, striscioni di protesta e volantini ricoprono il ponte lungo cui si sviluppa l’ateneo calabrese animato, in quei giorni, dal rinnovato attivismo di studenti, ricercatori, professori.

I due luoghi, differenti per funzioni, per tipo di coinvolgimento nella protesta e per localizzazione spaziale nel tessuto urbano (il municipio sorge nel cuore della città di Cosenza, l’università si sviluppa invece ai margini di questa, nel limitrofo comune di Rende) sembrano tuttavia incontrare la medesima sorte al contatto con le soggettività molteplici della mobilitazione. Appaiono cioè assumere un nuovo significato quando incrociano le istanze, i linguaggi e i corpi dei manifestanti. Il municipio, che nel corso degli anni aveva spesso incarnato la funzione di controparte nelle rivendicazioni messe in campo dalle organizzazioni di movimento, sembra nelle giornate di mobilitazione superare la classica dinamica di contrapposizione tra movimento ed istituzioni, trasformandosi da metaforico «Palazzo d’Inverno» a temporaneo luogo comune dell’azione politica. Senza andare troppo a ritroso, nel corso degli anni ’90, ad esempio, i militanti del centro sociale «Gramna» avevano più volte fatto irruzione pacifica nei corridoi e nelle stanze del palazzo comunale nel corso di una vertenza sugli spazi da cui nacque appunto il centro sociale.

Come ricorda poi un altro attivista, nella prospettiva di sottolineare la non subalternità dei movimenti alla politica «illuminata« di un’amministrazione che nella seconda metà degli anni ’90 contribuisce indubbiamente alla riqualificazione della città ma al prezzo della stigmatizzazione di ogni dinamica di conflitto, sul finire del decennio:


«una bella risposta era stata l’occupazione del salone di rappresentanza del comune di Cosenza nel momento in cui l’amministrazione comunale aveva invitato Pino Rauti un fascista noto riconosciuto, a parlare nel salone dell’amministrazione comunale»


Insomma, nelle rappresentazioni di attivisti e militanti il municipio si presentava perlopiù come un luogo da violare, da profanare, lo spazio in cui esercitare il conflitto con le istituzioni. Nel corso della mobilitazione del novembre 2002 tale rappresentazione appare tuttavia trasformarsi, indicando il municipio come ambito collettivo di elaborazione politica, il luogo dell’incontro e della contaminazione tra attori differenti e molteplici, tra movimenti, istituzioni e la società nel suo insieme.

La mobilitazione, detto in altri termini, apre uno spazio pubblico di cooperazione e resistenza che mentre modifica le modalità di relazione tra gli attori, elegge il municipio a luogo della protesta e ne modifica radicalmente le funzioni e gli usi. Quando la protesta raggiunge il comune per una conferenza stampa la mattina successiva agli arresti, e irrompe durante la seduta del consiglio comunale nella serata dello stesso giorno, il palazzo sembra acquisire una nuova significazione. Recupera, in altri termini, il carattere pubblico che gli è proprio per definizione, ma che acquista significato solo in presenza degli uomini e delle donne che gli uni al cospetto degli altri si aprono al discorso. Non tutti, specie tra gli amministratori, hanno visto di buon occhio la situazione che prendeva forma e che rappresentava un taglio radicale rispetto alle consuetudini:


«Era bene che la protesta rimasse fuori dalla macchina comunale che non si usassero i telefoni comunali, che non si servissero delle sedie e dei tavoli comunali, che rimanesse una sana reciproca autonomia senza mischiare le cose»


Invece in quelle giornate, come ha affermato la stessa sindaco:


«la mia stanza era un po’ un centro operativo, ho mandato a chiamare Franco [Piperno, assessore, negli anni ‘70 militante di Potere operaio] e quando è arrivato un mio consulente con l’ordinanza di arresto ho capito la gravità della cosa e abbiamo cominciato a fare le telefonate, a contattare gli esponenti dei partiti, i giornalisti per la conferenza stampa...»


In occasione della manifestazione il salone di rappresentanza accoglie i manifestanti che non sono per le strade della città. Le finestre dell’intero palazzo illuminate, i balconi gremiti, gli striscioni e il corteo che sfila, segnano tutta la particolarità di quelle giornate, mostrando la radicale rideterminazione degli usi che interessa la sede istituzionale dell’amministrazione comunale di Cosenza.

In modo sostanzialmente analogo si svolgono le cose all’università della Calabria. L’ateneo calabrese già nel corso degli anni ‘70 era stato interessato dalle irruzioni poliziesche del generale Dalla Chiesa, che una mattina del 1979 fece circondare il campus universitario mettendo a soqquadro dipartimenti e abitazioni di docenti, ponendo sotto sequestro materiale scientifico e di ricerca e operando alcuni fermi. Si è trattato di un avvenimento che, senza produrre una reazione di massa capace di riqualificare anche solo temporaneamente gli usi e le funzioni dell’ateneo, aveva sicuramente pesato sulla particolare connotazione assunta da almeno alcuni dipartimenti.

Come ricorda una ricercatrice del dipartimento di Sociologia:


«qui dentro si fa analisi, studi critici della società e del mondo, si adotta una didattica di un certo tipo e l’attenzione è spesso su questioni politicamente dirimenti. Per mestiere dobbiamo occuparci di tematiche che hanno a che fare con i cambiamenti che avvengono sul terreno della politica e della società più in generale»


In questo quadro, a fronte degli arresti, delle perquisizioni e del sequestro di materiale didattico e di strumenti informatici in seguito ai fatti del novembre 2002, la reazione da parte dei membri del dipartimento ma anche degli studenti, di altri docenti e in modo crescenti di diversi esponenti dell’intero ateneo è immediata, spontanea e diffusa. I soggetti più diversi si mobilitano, un via vai continuo trasforma radicalmente un luogo che seppur politicamente attento e informale nei rapporti, ha sempre mantenuto un ruolo marcatamente accademico e per tanto sobrio ed essenziale.

In maniera differente, invece, in quelle giornate il dipartimento di Sociologia e Scienza Politica diventa sede di assemblee, riunioni organizzative e conferenze stampa. In un lavorio continuo che coinvolge insieme agli attivisti del movimento studenti, ricercatori e docenti che hanno respirato il «clima di Genova», mette a disposizione della protesta tutte le risorse disponibili – strumenti tecnici, informatici e di comunicazione. Un docente racconta:


«abbiamo aperto il dipartimento a tutti coloro che hanno organizzato questa cosa. È rimasto aperto 24 ore su 24 per accogliere gli attivisti che arrivavano a Cosenza da altre parti d’Italia, si è allestito anche un media center»


Il dipartimento diventa cioè uno dei poli di organizzazione della protesta, è uno spazio di discussione e di confronto che si concretizza, come sottolinea un sociologo dell’Unical, in «bellissime assemblee, interessantissime, variegate, ampie» che sembrano riconnotare i grigi spazi del dipartimento come luogo comune del confronto e della discussione. Con chiarezza, le parole del direttore del dipartimento portano l’accento sulla possibilità offerta dalla mobilitazione all’incontro, al dibattito, al dialogo:


«abbiamo parlato tra di noi – afferma –, abbiamo discusso come non si faceva più ormai da molto tempo. Un tipo di rapporto e di pratiche che dentro il dipartimento avevamo in qualche modo tralasciato»


Nelle pratiche che attiva e negli usi che assume, il dipartimento sembra quindi concretamente ridefinire i suoi spazi: la facciata principale dell’edificio che diventa – come mostra la foto 4 – una sorta di enorme bacheca in cui si rivendica la scarcerazione degli attivisti arrestati ne è chiara testimonianza.


L’azione collettiva ed i «luoghi storici» della sinistra a Cosenza: il «Cinema Italia» e «Piazza 11 settembre»

La natura performativa della relazioni, del discorso in comune, del confronto e del dialogo tra soggetti politici mobilitati in un’azione di protesta si manifesta, nel corso della mobilitazione del novembre 2002, anche con il ritorno a pratiche ed usi di alcuni luoghi storici della sinistra cosentina che nel corso degli anni si erano invece svuotati del carattere «comune» e delle istanze di cambiamento che per un certo periodo li aveva caratterizzati. Assolutamente significativo in questo senso è il divenire luogo privilegiato della mobilitazione del cinema «Italia». Una struttura del periodo fascista, collocato nel centro urbano, caduta in disuso nel corso degli anni ‘60 e ’70, il cui riutilizzo era stato a più riprese rivendicato dai giovani della città.


«La cosa incredibile – sottolinea in proposito un attivista del Cosenza Social Forum – è stata che quando ci furono le iniziative e i primi dibattiti al vecchio cinema «Italia» la sala si è riempita, per quattro o cinque giorni di seguito, come non ricordo nemmeno da ragazzo quando la domenica mattina c’erano i film per i ragazzi. Le assemblee lo facevano riempire all’inverosimile, nei posti di sopra e in quelli di sotto, c’era gente che non vedevo più ad un dibattito da anni»


Mostrando in modo esplicito la particolare articolazione dei rapporti tra movimenti, istituzioni e società che prende forma in quelle giornate, il Cinema Italia diventa quindi uno spazio di riferimento per la mobilitazione che pare ulteriormente alimentare l’immaginario dei partecipanti intorno al portato simbolico di cui il luogo è carico.

Il cinema teatro, infatti, ha rappresentato nella storia recente di Cosenza un luogo emblematico tanto dell’antagonismo quanto del potere locale. In tempi recenti si è infatti espresso come rappresentazione di una «gestione illuminata» della città che attraverso l’opera del sindaco Mancini (nelle due legislature tra il 1993 e il 2002) ha recuperato, riutilizzato e riqualificato ampi spazi del tessuto urbano. Tuttavia, nel corso degli anni ’80 e ‘90 quegli stessi spazi, che all’inizio del nuovo millennio erano stati riconsegnati agli abitanti di Cosenza sotto forma di teatro, erano stati attraversati dalle iniziative culturali e dalle lotte sociali delle realtà di movimento che ne avevano a più riprese rivendicato la gestione. Negli anni ’80 l’associazione «laboratori di poesia ed arti visive» prima e il gruppo politico informale «alta tensione» poi avevano infatti individuato negli spazi sottoutilizzati del Cinema Italia il luogo per la realizzazione di manifestazioni politico-culturali. Recital di poesia, mostre di pittura e concerti punk-rock avevano a tratti rianimato gli asfittici spazi del cinema teatro, ponendo in modo esplicito il problema della mancanza di luoghi per la realizzazione di iniziative di carattere sociale. Sul finire del decennio si era quindi aperto un dibattito pubblico sulla questione degli spazi e si era dato vita ad un’assemblea permanente di una settimana al Cinema Italia che assurgeva così a simbolo della rivendicazione di spazi ad uso sociale a Cosenza. In questo quadro, il momento probabilmente più significativo si era registrato all’inizio degli anni ‘90 quando, mentre quegli stessi spazi venivano almeno in parte riutilizzati da alcune associazioni culturali della città, prendeva forma la prima esperienza di occupazione e autogestione a Cosenza che trasformava il Cinema Teatro Italia in un Centro Sociale Autogestito.

Recuperando quindi il carattere immediatamente politico che aveva caratterizzato la stagione delle rivendicazioni per il riutilizzo degli spazi e riempiendosi ancora dei corpi di attivisti e militanti, l’invasione degli spazi del Cinema Italia da parte della mobilitazione, mentre restituisce il carattere politico «comune« al luogo, ne riconfigura (seppur temporaneamente) l’uso.


«È stato un po’ come ritornare all’inizio degli anni ’90 – afferma una giornalista cosentina – quando io ero con il “Quartiere” a fare teatro nel cinema "Italia" e ci fu l’occupazione da cui poi nacque il "Gramna", con tutti questi ragazzi che sono entrati nel cinema, che facevano le assemblee e che avevano ricoperto i muri di poster e striscioni»


In modo non del tutto differente sembrano infatti andare le cose nel corso della mobilitazione del novembre 2002, anche se – come mostra la foto 5 – a riempire di vita le sue sale, occupando gli oltre cinquecento posti a sedere disponibile e ben oltre, non c’erano soltanto gli attivisti di un’organizzazione di movimento, ma una composizione molteplice e variegata, traversale per generazione, e appartenenza politica; né c’erano solo gli abitanti di Cosenza, bensì anche soggetti del movimento globale.

In modo simile sembrano svolgersi le cose in un altro luogo della città denso di un portato simbolico e politico forte: Piazza 11 settembre, luogo di ritrovo della sinistra di movimento a Cosenza negli anni ‘70, interessato in anni recenti da un intervento di riassetto urbano legato all’attuazione della Variante Generale al Piano Regolatore. Tra non poche polemiche, tale intervento ha inoltre comportato una revisione della toponomastica, trasformando le rappresentazioni che per anni aveva contraddistinto la piazza. Conosciuta infatti come «Palazzo degli Uffici» (la piazza è infatti sede di un palazzo adibito ad uso direzionale) a seguito della ristrutturazione urbanistica che ne ha comportato la pedonalizzazione e la riorganizzazione dell’arredo urbano, ha visto il suo originario nome di «Piazza Principe di Piemonte» mutare in quello fortemente connotato di «Piazza 11 settembre». A detta dei più, tale operazione ha svuotato la piazza di quel carattere politico che per anni l’aveva contraddistinta, trasformandola da luogo di incontro, discussione e confronto politico in uno spazio esclusivamente commerciale la cui denominazione, peraltro, ricorda non solo l’attentato al World Trade Center di New York ma anche la guerra permanente e la tolleranza zero che ha seguito quegli avvenimenti. Nonostante l’indubbia riqualificazione urbana, nonostante le panchine, i lampioni e i gazebo informativi, la piazza rimaneva sostanzialmente inanimata, fatta eccezione per il frenetico via vai dello shopping.

Tuttavia, con il prendere forma della mobilitazione, nella riarticolazione dei rapporti tra movimento e istituzioni di quelle giornate, i punti informativi collocati nella piazza che per circa un anno erano rimasti completamente inutilizzati, diventano dei punti di raccolta e diffusione delle informazioni sulla vicenda giudiziaria e soprattutto sulle iniziative di lotta e gli appuntamenti di mobilitazione. A gestirli ci sono gli attivisti delle realtà di movimento della città che si coordinano con gli addetti del Comune e con gli organi di informazione. La piazza prende così ad essere un luogo di ritrovo, recuperando la sua natura di luogo comune di spazio del confronto e della discussione, di ambito per l’elaborazione del discorso e la diffusione dei saperi, per la preparazione e la progettazione delle iniziative. Diversamente da quello che accade nel cinema «Italia», gli incontri sono prevalentemente di tipo informale ma, mentre si solidarizza, si discute e si condividono stati d’animo, timori e aspettative, si mettono a punto le iniziative e si definiscono le strategie di lotta. In proposito un’attivista, membro del circolo cittadino del Partito di Rifondazione Comunista racconta:


«ricordo un litigio affettuoso con un amico e compagno una di quelle sera che eravamo in piazza 11 settembre e si discuteva, era una discussione animatissima sul dove fare la manifestazione. Ad un certo punto ci io e Nini ci siamo ritrovati in mezzo alla piazza che gridavamo come pazzi e avevamo creato un capanello di persone intorno, ricordo che mi trovai vicino altri compagni e amici»


Insomma, la piazza era tornata ad essere il luogo vivo, sensibile ed espressivo che da anni ormai non era più, e in questa direzione ha sicuramente giocato la forza dell’azione collettiva, le relazionI e le pratiche comunicative attivate intorno alla mobilitazione, capaci come sono di trasformare anche i luoghi di una città.


Conclusioni

A Cosenza nel novembre 2002 si è chiaramente manifestata la contaminazione tra luoghi istituzionali e mobilitazione, fatto che evidenzia la capacità performativa dell’azione di movimento e la capacità dei soggetti a configurarsi come space invaders – invasori dello spazio – che irrompono in spazi originariamente non pensati per loro e li trasformano dall’interno. I molteplici soggetti, nel corso della mobilitazione, hanno infatti individuato, attraversato e praticato luoghi di incontro e discussione che, seppur temporaneamente, si sono strutturati incarnandosi nella dimensione simbolica dello spazio urbano. Tuttavia, ad alcuni anni di distanza dalle «calde» giornate del novembre 2002, la capacità performativa dell’azione collettiva di costituire e ricostituire luoghi non immediatamente pensati e praticati dai corpi di movimento sembra essersi dissolta. Il municipio è tornato ad essere il vuoto e disincarnato ambito del potere politico locale; il dipartimento di Sociologia dell’Unical ha ripreso le sue attività didattiche e di ricerca «prettamente accademiche». Il Cinema Italia, svuotato dei corpi e dei linguaggi che lo avevano attraversato, ritorna nella sua funzione specialistica di teatro, mentre piazza «11 settembre» riprende a svolgere il suo ruolo di ambito commerciale e luogo spoliticizzato d’incontro per i più giovani.

Della temporanea trasformazione degli spazi che la mobilitazione aveva praticato sembra alla fine essere rimasto ben poco, e mentre il movimento svuota gli spazi che aveva fin lì riconfigurato, le istituzioni ne riprendono possesso. Il ritorno alle funzioni tradizionali appare pressoché immediato. Probabilmente l’attraversamento e l’invasione di luoghi istituzionali, ma anche di ambiti socialmente consolidati all’interno dello spazio urbano da parte dei soggetti di movimento, ha provocato (come per altro testimoniano le preoccupate parole dell’assessore comunale che lamenta l’utilizzo delle risorse istituzionali per la mobilitazione) ciò che Nirmal Puwar ha descritto come uno stato di ontologica ansietà che disturba consuetudini consolidate e crea paura. Tale timore del sistema politico ha origine nella più generale natura dei movimenti, nell’autonomia e radicalità che li contraddistingue in quanto soggetti che non rispettano fino in fondo le norme e i valori stabiliti. Tuttavia, a Cosenza lo svuotamento dei luoghi comuni, il ritorno degli spazi alle funzioni tradizionali appare prodursi in una doppia direzione: insieme al timore per gli space invaders, pesa la particolare dinamica relazionale che, nelle giornate di mobilitazione, si è stabilita tra il movimento e le istituzioni. I soggetti di movimento tendono infatti a consegnare l’iniziativa politica della mobilitazione nelle mani delle figure istituzionali – in quanto rappresentanti della «comunità offesa» –, sottraendo così all’azione collettiva il portato di radicalità ed autonomia che la contraddistingue.

Sarebbe troppo lungo ed esulerebbe dal tema in oggetto dilungarsi in questa sede sul perché la risignificazione dei luoghi che la mobilitazione di Cosenza ha praticato non è riuscita a superare gli eventi delle giornate di mobilitazione, non radicandosi cioè nello spazio urbano della città; le motivazioni affondano nella storia recente della città, del suo sistema politico e del tessuto soggettivo e relazionale di movimento. Per quello che qui ci interessa può essere sufficiente sottolineare che i soggetti di movimento non sono riusciti a sedimentare la riarticolazione di rapporti e relazioni, la trasformazione di usi e funzioni dei luoghi che in quelle giornate avevano praticato. Dall’altra parte le istituzioni, intimorite dal portato di radicalità e autonomia dell’azione del movimento nel suo complesso (e non solo di quello cittadino) hanno messo presto da parte il terreno di sperimentazione innovativa. In mancanza di una reale ed autonoma pratica di partecipazione radicale, dunque, la costruzione di uno spazio pubblico alternativo all’esistente e i luoghi comuni di confronto e azione a cui quelle giornate avevano alluso sembrano esaurirsi con il consumarsi della mobilitazione.




Note [1] Per quanto con adda si intenda prioritariamente una pratica sociale, «la parola adda – precisa Chakrabarty – è stata tradotta dal linguista bengalese Sunitikumar Chattopadhaya come “un luogo” per parlare spensieratamente in piacevole compagnia» (Chakrabarty D., 2004, Op. Cit., 238). Letteralmente, continua l’autore, significa «posto di ritrovo»: «nell’India settentrionale le stazioni degli autobus sono dette buss adda» (Ivi, 241). Lo storico indiano si sofferma successivamente in modo specifico sulle trasformazioni che hanno interessato ad esempio le università e gli ostelli (Ivi, 258) o anche i parchi urbani e più in generale lo spazio pubblico della città (Ivi , 263). [2] Questo lavoro si avvale del materiale empirico raccolto per la mia tesi di dottorato che ha indagato le forme emergenti della partecipazione politica a partire dallo studio della mobilitazione che ha preso forma a Cosenza nel novembre 2002. Il metodo di rilevazione empirica è stato l’approccio biografico integrato da interviste semistrutturate con testimoni privilegiati. Mi sono inoltre avvalsa dell’analisi della stampa locale e nazionale nei giorni compresi tra il 15 ed il 25 novembre 2002 e di alcuni dei siti web del movimento. Nella settimana tra il 15 e il 23 novembre 2002, in seguito all’arresto di 18 attivisti di movimento nel sud Italia – accusati dalla procura di Cosenza di cospirazione politica, associazione sovversiva, turbativa delle funzioni del governo, propaganda sovversiva e altri reati minori – si apre a Cosenza all’interno del più generale spaio politico del movimento globale, uno spazio pubblico di azione e discussione che attraversa, contaminandola, l’intera città. Si tratta di una mobilitazione di protesta complessa e articolata che si caratterizza per un’ampia e variegata partecipazione (oltre sessantamila persone sono a Cosenza in occasione del corteo per la scarcerazione degli arrestati), per un coinvolgimento trasversale (la città di Cosenza, il movimento, partiti e sindacati ma soprattutto ampi strati della società) e per forme molteplici di lotta e mobilitazioni (lettere ai giornali e interventi sugli altri media, go-in e sit-in, cortei e manifestazioni pacifiche, ma soprattutto assemblee, dibattiti e riunioni organizzative). (A. Curcio, Lo spazio pubblico tra allusione e realtà. Movimenti, soggettività e reti di resistenza cooperativa nelle mobilitazione di Cosenza, Tesi di dottorato in «Politica Società e cultura» – XVI Ciclo, 2005, Università degli studi della Calabria, Dipartimento di Sociologa e Scienza Politica). Il concetto di spaze invaders è ripreso da N. Puwar, Space invaders, Berg, Oxford 2004.



Riferimenti Bibliografici

H. Arendt, Vita activa. Bompiani, Milano 2001.

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