A presentazione della raccolta completa della rivista pubblichiamo uno stralcio dell’introduzione di Alberto Magnaghi al libro da lui curato e pubblicato da Derive Approdi: «Quaderni del territorio». Dalla città fabbrica alla città digitale. Saggi e ricerche (1976-1981). Ci scusiamo con i lettori perché, per ragioni tecniche, le scansioni pubblicate non sono di adeguata qualità. Prossimamente provvederemo a renderle ottimali.
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«Quaderni del territorio» (1976-1981)
Alberto Magnaghi
La rivista «Quaderni del Territorio», esce a Milano presso la Celuc Libri in 5 numeri dal 1976 al 1978. L’uscita del sesto numero, quasi pronto alla fine del 1979, viene interrotta dal mio arresto il 12 dicembre nell’ambito dell’inchiesta 7 aprile e verrà completato nella forma di libro come «Ricerche di Quaderni del Territorio», sempre presso la Celuc, con il titolo La riconversione del terziario, a cura di Silvia Belforte nel 1981.
La nascita della rivista si inquadra in una fase molto complessa dell’evoluzione del movimento del ’68: il prolungarsi e l’intensificarsi delle lotte operaie nei primi anni Settanta; lo scioglimento dei principali gruppi extraparlamentari fra cui Potere operaio (1973) e Lotta continua (1976), nel pieno della ristrutturazione produttiva simboleggiata dalla robotizzazione della catena di montaggio, dal passaggio dalla «città fabbrica» alla «città digitale con il decentramento e la diffusione produttiva a livello regionale («fabbrica diffusa» ) e planetario (internazionalizzazione dei cicli produttivi e del capitale tecnofinanziario). Con la scomposizione della grande fabbrica fordista, il territorio viene «messo al lavoro» nei mille rivoli della formazione dell’operaio sociale; formazione che vede il conflitto di fabbrica estendersi al territorio con la crescita esponenziale di movimenti (centri sociali e culturali[1], gruppi femministi, ambientalisti, collettivi di «arti e mestieri» che sperimentano nuove forme e finalità produttive in agricoltura, nei servizi, nella formazione, nella conoscenza, nella comunicazione, e cosi via). Questo fermento sociale di una nuova civilizzazione anticapitalistica alternativa fecondata dall’onda lunga del ’68, che cresce in opposizione al «compromesso storico», e che si è resa visibile nelle sue ricche sfaccettature e esperienze creative e progettuali nelle grandi manifestazioni del marzo del 1977 a Bologna, viene travolto nei suoi esiti politici, dall’intensificarsi delle azioni dei gruppi armati, che spostano il conflitto verso la sua militarizzazione, fino all’assalto allo Stato delle Brigate rosse con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, premessa alla criminalizzazione dell’intero movimento.
La nascita della rivista «Quaderni del territorio» matura in questa biforcazione degli esiti del ’68 con lo scioglimento dei gruppi extraparlamentari: da una parte la crescita di forme di militanza di ricerca/azione che conduce una critica serrata di molte discipline e professioni per riconnetterne gli obiettivi e la cultura alla crescita di consapevolezza del proletariato sociale e ai suoi conflitti; dall’altra la radicalizzazione della militanza verso esiti di lotta armata. Nelle ricostruzioni storiche mainstream, nei «teoremi» giudiziari, nella vulgata comunicativa, è questa seconda strada che viene enfatizzata e generalizzata come esito dei movimenti del ’68 e dei gruppi extraparlamentari. Che porta alla nefasta definizione degli anni Settanta come «anni di piombo».
Scrive Sergio Bologna a proposito del ’68:
«Quando gli studenti cominciarono a contestare sia i metodi di apprendimento che i programmi universitari, posero le premesse per quella rivoluzione delle professioni che avrebbero messo in atto una volta laureati ed entrati nel mondo del lavoro. Nacque un nuovo tipo di giornalismo: “il manifesto” di Rossanda, Pintor e Parlato ne è un esempio. E poi un nuovo modo di fare il medico, l’architetto, l’urbanista, l’ingegnere, l’avvocato, il magistrato e anche l’insegnante, il docente universitario. Tutte le professioni misero in discussione il modo e i principi secondo i quali erano state esercitate e quindi le istituzioni – dalla scuola all’ospedale, dal palazzo di Giustizia al manicomio – in cui venivano esercitate. Una larga parte della classe media si schierava a fianco degli operai… scontrandosi con resistenze interne ai loro stessi ambienti, dai quali molti furono emarginati o espulsi. Questo contribuì alla nascita di una “nuova scienza”. Vuoi un esempio? Un esempio che è tornato di prepotenza alla ribalta oggi? Nel 1973 a Milano un medico, docente di biometria, Giulio Maccacaro assume la direzione della più antica rivista scientifica italiana, «Sapere» e raccoglie ben presto attorno a sé sia studiosi di varie discipline, scientifiche e umanistiche, sia tecnici e operai di fabbrica particolarmente attivi sul piano sindacale. In pochissimi anni metterà le basi per una nuova medicina del lavoro, per una medicina impostata sui bisogni del paziente (straordinaria la sua «Carta dei diritti del bambino») e soprattutto di un sistema sanitario che poggia su pratiche d’igiene pubblica e di medicina territoriale» [2].
In questo percorso che riguarda in quegli anni molte professioni e riviste riferite a diversi ambiti scientifici e culturali [3] si inserisce la rivista «Quaderni del territorio» che si propone, sottoponendo a critica i tradizionali strumenti urbanistici di analisi e pianificazione del territorio di derivazione «funzionalista», di interpretare le trasformazioni dell’organizzazione capitalistica del territorio a partire dal conflitto fra capitale e lavoro con il fine di favorire la crescita di un «uso di classe del territorio» sia nell’organizzazione diretta delle lotte, sia nel costruire conoscenza sociale per progetti collettivi alternativi dell’abitare e del produrre, in grado di trasformare anche le culture e modalità e le forme di azione delle professioni nell’urbanistica e nel governo del territorio, oltreché nella formazione universitaria nelle diverse discipline che si occupano di territorio.
Note
1. Solo a Milano, un’indagine condotta da Dario Borradori per «Quaderni del territorio» nel 1976 furono censiti più di duecento centri sociali che organizzavano attività culturali, artistiche, sociali, artigianali, ecc.
2. Sergio Bologna, intervista al «il manifesto» del 21 maggio 2020. Vedi anche S. Bologna, Ritorno a Trieste scritti over 80, Asterios 2020: «Il ’68 è stata una rivoluzione vera in quanto ha affrontato la critica dei paradigmi culturali e scientifici con i quali si formano le professioni».
3. Ad esempio il numero 4/5 della rivista «Quaderni del territorio» è stato organizzato insieme alle redazioni delle riviste «Primo Maggio», «aut aut», «Critica del diritto», «Marxiana». Ma negli anni Settanta, questo processo di critica estesa ai diversi ambiti disciplinari produce la nascita di molte altre riviste fra cui: «L’erba voglio» (1972), «Ombre rosse» (1973), «Il pane e le rose» (1973, dai «Quaderni Piacentini»), «Sapere» (1973), «Città classe» (1973) , «A/Traverso» (1975), «Quaderni del progetto» (1974), «Herodote Italia» (1979), «alfabeta» (1979).
Qui sotto è possibile scaricare la raccolta completa in Pdf.
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