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Potere operaio (9)


Pubblichiamo il primo capitolo dell’opuscolo Potere operaio. Alle avanguardie per il partito, edizioni politiche, dicembre 1970.


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Comunismo e organizzazione

1. 1 COMUNISMO COME PROGRAMMA Compagni, il Comunismo è il nostro programma. Le forze produttive si ribellano alle condizioni della produzione: il lavoro è sempre di più una condanna. Ogni sua necessità oggettiva viene meno, l'urgenza di liberare le enormi possibilità delle forze produttive, che soggiacciono allo sfruttamento capitalistico, si è imposta come compito immediato. Il Comunismo è il pro­getto di distruggere il lavoro come espropriazione quotidiana di ogni energia umana, come forma di organizzazione della società, come fondamento di legittimità dell'autorità. Una enorme base materiale è stata accumulata dal lavoro umano durante secoli di sfruttamento; contro il lavoro vivo questa massa materiale è usata dalla mano armata del capitale e del suo Stato. Rompiamo questa necessità del capitale, riappropriamoci di quanto ci è stato tolto, usiamo intera la nostra forza di operai e di sfruttati nell'organizzare la nostra volontà di rivoluzione!

1.2 RIFIUTO DEL LAVORO CONTRO APPARENZA DEL VALORE Premuti da questo nuovo, sempre più incalzante esprimersi della coscienza operaia dello sfruttamento e della necessità del comunismo, i padroni resi­stono – come sempre – alternando crisi e sviluppo, repressione e riforme. Riforme e repressione oggi si presentano in una proposta di ristrutturazione che vuole l'uso della schiavitù salariale per lo sviluppo produttivo dentro un ordinamento ricalcato sul «valore del lavoro», come legge esclusiva dell’organizzazione produttiva e sociale. L'esclusività con cui i padroni intendono muoversi su questo terreno comporta una forte tensione riformista contro tutte quelle specie di sfruttamento che non possono raggrupparsi sotto la legge del valore: contro la rendita parassitaria, contro tutte le disfunzioni improduttive che impediscono di regolare in modo pianificato il rapporto di sfruttamento a livello sociale. Coll'imporre la legge del valore come legge della società intera,il capitale cerca di legittimare il proprio sviluppo,di mostrarsi un giusto legislatore e garante di un potere che le lotte operaie gli vengono contestando. Ma la legge del valore è la legge dello sfruttamento. L' «equo sfruttamento» che l'estensione illimitata del dominio della legge del valore dovrebbe stabilire fra i lavoratori, è l'eguaglianza apparente che esiste fra gli sfruttati da un unico padrone: il capitale come potenza impersonale e astratta, i padroni come suoi funzionari tutti intesi all'opera senza fine di accrescere la ricchezza produttiva e a stravolgerla in comando sugli operai. Il problema degli operai non è quello di sapersi uguali nella miseria dello sfruttamento ma di abolire lo sfruttamento e il comando del capitale. Agli operai non interessa un nuovo imbroglio, una «giustizia» astratta e mostruosa, – a ciascuno secondo il lavoro – astratto e mostruoso il dominio del capitale: nel suo comando la regola dell’equità può solo presentarsi come rinnovata funzione dello sfruttamento. Agli operai le lotte hanno mostrato che non c'è più alcuna misura tra lavoro e capitale che non sia misura del comando, della necessità dei padroni di comandare perché il capitale possa riprodursi come figura del loro potere. All'operaio-massa, intercambiabile nelle sue funzioni produttive, soggetto all’orribile ricatto di dover accettare comunque il comando del padrone solo per godere della «libertà» di vivere come vuole il padrone, schiavo del capitale dentro la fabbrica e nella società dominata dalla volontà e dal puzzo del padrone, nessuno può più raccontare che il lavoro è un valore e che l’«uguaglianza» capitalistica è giusta. Distruggiamo questa apparenza del valore, riappropriamoci del comando sulla ricchezza sociale prodotta, opponiamo la forza operaia al capitale! Una nuova epoca della lotta di classe si è aperta: dobbiamo osare viverla! Nella situazione di sempre maggiore sfruttamento che la legge del valore determina, nelle lotte che gli operai hanno condotto e conducono tra gli anni '60 e gli anni '70, gli operai hanno lanciato contro l'apparenza mistificata del valore il rifiuto del lavoro! Rifiuto del lavoro significa prima di tutto rifiuto operaio di accettare il lavoro come sistema di fabbrica, di legarsi a ogni forma di partecipazione (da quella brutale del cottimo a quelle raffinate della cogestione produttiva); significa – in secondo luogo – rifiuto da parte degli operai di vedersi non solo collocati nello sporco sistema di fabbrica, ma anche nello sporco sistema dello sviluppo, all'interno del progetto capitalistico di subordinare la società alla legge del valore e dello sfruttamento. Ma soprattutto, rifiuto del lavoro significa comprendere che – al di là del mondo del lavoro salariato, della legge del valore, del dominioc apitalistico che stravolge la capacità dell'uomo di produrre ricchezza nella costrizione a produrre valore (che cioè costringe l'attività umana a farsi lavoro, cioè produzione di valore e di plusvalore) – esiste, e già si scopre nei comportamenti dell'autonomia operaia, la possibilità di creare un mondo nuovo che rinneghila barbarie dell'oppressione, della povertà e dell'ignoranza e che sia costruito sull'affinamento dell'operatività operaia, della capacità di produrre ricchezza (beni utili) e non merci, valore, capitale,dell'invenzione e di una intelligenza liberata dalla subordinazione alle necessità della produzione e della scienzacapitalistica. Gli operai non vogliono subordinare se stessi ad una nuova figura dell'organizzazione capitalistica del lavoro – più avanzata, più raffinata, più astratta – : il processo di valorizzazione si è mangiato il lavoro vivo senza dare speranza di riscatto e di alternativa. Solo la distruzione del lavoro incorporato al capitale può liberare, solo il rifiuto è la condizione di un mondo liberato. Il rifiuto di farsi merce, che esprima in se un programma di dittatura che imponga l'abolizione del lavoro salariato, che distrugga il rapporto fra lavoro e diritto all’esistenza. Nella lotta gli operai hanno già opposto il rifiuto del lavoro all'apparenza del dominio capitalistico! Su questa via dobbiamo marciare!

1.3 PROSPETTIVA SOCIALISTA DEL CAPITALISMO Nella misura in cui ogni alternativa di semplice uso della ricchezza capitalistica accumulata, di semplice diversificazione delle ragioni e delle modalità di gestione è venuta meno, il socialismo, il modello di organizzazione sociale e produttiva realizzata in URSS e nei paesi del blocco «sovietico», ha finito di essere, nella coscienza operaia, un'indicazione positiva per la lotta rivoluzionaria. L'esperienza del socialismo realizzato, che pure aveva determinato una formidabile spinta rivoluzionaria, si è man mano mostrata come esperienza di una sconfitta. Certo, la coscienza operaia non perde di vista il significato di una forma di organizzazione della produzione che – come nel socialismo realizzato – ha determinato posizioni di egemonia della forza-lavoro nella società; ma sa anche che questa alternativa di gestione del capitale sociale ha bloccato il cammino della classe operaia verso il comunismo. Sa soprattutto che il capitalismo avanzato vede oggi, nei paesi del socialismo realizzato non l'avversario ma il complice nella realizzazione di forme più alte di sfruttamento sulla classe operaia internazionale. Dentro la mostruosa apparenza dell’eguaglianza di tutti sotto l'uniforme e assoluto dominio dell'astratta «giustizia» della legge del valore come legge finalmente perfetta dell'equo sfruttamento, dentro l'utopia socialista dell'equo processo delle mansioni, il capitale ha realizzato il suo sogno di una società fatta di soli operai, una società sotto il potere reale del capitale ma senza classe formale dei capitalisti, con il capitalismo nel rapporto di produzione e il socialismo nel modo di produzione e di scambio. Contro i padroni unificati nella forma unificata del capitale sociale e contro la prospettiva di gestione «socialista» dello sfruttamento capitalistico, si muove dunque la lotta operaia. La riunificazione delle lotte operaie in tutti i paesi dell'occidente e del «campo socialista» è un fatto, i militanti rivoluzionari che hanno verificato il tradimento della loro lotta anticapitalistica nei paesi del socialismo realizzato si ricompongono man mano nel fronte proletario e nel nuovo progetto rivoluzionario. 1.4 DALLA LOTTA SUL SALARIO ALLA LOTTA PER IL POTERE Da quando i padroni hanno scoperto – dopo la grande crisi del '29 la lotta operaia come motore dello sviluppo; da quando è stato chiaro che il controllo sulla dinamica della variabile salariale o la rottura di questo controllo erano il terreno di scontro fra capacità capitalistica di garantire stabilità e sviluppo e capacità operaia di squilibrare il sistema – da allora l'instabilità del sistema del capitale è stata ricercata ed ottenuta, nei paesi a capitalismo avanzato, dall'attacco operaio sul salario,contro lo sviluppo. ln questo ciclo di lotte operaie e del conseguente sviluppo capitalistico, il movimento operaio in generale, e comunista nella fattispecie, è stato man mano emarginato a partire dalle punte più avanzate dell'organizzazione capitalistica della società. Le lolle degli anni '60 in Europa e in Italia si iscrivono ancora in questo ciclo complessivo di lotte operaie: ma esse hanno avuto il significato di rompere la possibilità capitalistica di ingabbiare le lotte stesse nelle politiche di controllo dei salari. Il Capitale è stato sconfitto sullo stesso terreno che a «livello internazionale aveva scelto – a partire dal New Deal – come terreno di contenimento e di repressione: la politica dei redditi, la programmazione, il contenimento della spinta operaia attraverso istituzioni di controllo elastico nei movimenti di classe operaia (le organizzazioni del movimento operaio, e in particolare il sindacato, come diretta articolazione del Piano capitalistico). Nella nuova situazione che le lotte hanno determinato il capitale punta oggi direttamente sul livello statuale, sul potere politico che detiene sullo sviluppo, come momento fondamentale di contrattacco nei confronti delle lotte operaie. La sua possibilità di sopravvivenza è oggi tutta giocata su questo piano: di qui la violenza con cui esso si presenta nello scontro, la necessitò che sempre lo rincorre di affrontare e dibattere in uno scontro frontale la classe operaia. Di qui la completa e definitiva riassunzione del Livello economico (lo sviluppo capitalistico) dentro il livello statuale (in gestione politica complessiva dello sfruttamento). La classe operaia ha scoperto questa situazione nuova del capitale nel corso delle lotte che seguono il passaggio agli anni 70. Dalla lotta sul salario l'obbiettivo della lotta contro lo Stato viene fuori imposto dalla continuità stessa dell'attacco: la scoperta operaia del nuovo livello dello scontro, la messa a fuoco del problema del potere politico come questione all'ordine del giorno, è sempre più nitida e precisa. A questo punto il passaggio all'organizza­zione si pone come risposta al bisogno determinato della classe operaia di mantenere contro l'attacco dello Stato le vittorie salariali strappate in fabbrica; come risposta al bisogno operaio di progettare il comunismo: distruzione del lavoro salariato e liberazione delle forze produttive dalle condizioni della produzione, liberazione della capacità di produrre ricchezza colla costrizione a produrre valore, liberazione della costrizione a farsi lavoro. Il terreno della lotta sul salario è quello che la classe operaia ha percorso spontaneamente quando il capitale ha tentato l'operazione di contenimento della forza operaia a questo livello. Il terreno della lotta per il potere non può essere percorso dalla spontaneità, sia pure dalla più alta. Quil'organizzazione, un'organizzazione che sia l'opposto equivalente della violenza organizzata dello Stato, diviene l'elemento decisivo. Cogliere questo passaggio, organizzare negli anni '70 un ciclo di lotte sul terreno del potere politico, individuare delle scadenze di costruzione del Partito, fissare dei tempi entro i quali si deve dare una risposta al bisogno operaio d'organizzazione, è l'obiettivo fondamentale delle avanguardie operaie.


1.5 POTERE OPERAIO E I COMPITI DELL'ORGANIZZAZIONE

Organizzare il Partito, aprire la battaglia politica per l'unificazione entro una sola organizzazione delle avanguardie degli anni '60, affermare una corretta via nel passaggio dal processo di aggregazione di unità d’azione al processo di unificazione di queste avanguardie, definire le scadenze di lotta di massa dentro il progetto strategico di un nuovo ciclo di lotte per l'organizzazione, riformulare il programma politico per gli anni '70, propagandare il programma comunista di potere come programma alla portata dell'organizzazione rivoluzionaria degli operai e dei proletari: questi sono i compiti che oggi le avanguardie rivoluzionarie hanno di fronte. Questi sono i compiti che i compagni di POTERE OPERAIO intendono assolvere.

POTERE OPERAIO ha posto nel Convegno di Firenze, (9-11 gennaio ‘70) l'urgenza del progetto di costruzione del Partito, a partire dal bisogno operaio di organizzazione così come era venuto definendosi dentro le grandiose vittorie dell’autunno rosso e il conseguente esaurirsi del terreno del salario come terreno percorribile in termini esclusivi dall'autonomia operaia; nel Convegno di Bologna (5-6 settembre ‘70) ha cominciato a definire il terreno politico, le scadenze e le forme intermedie di crescita dell'organizzazione, e soprattutto ha identificato l’urgenza capitalistica dello scontro a cui la classe operaia deve dare, violentemente, raccogliendovi attorno l'intera forza del proletariato, la risposta che merita; oggi, POTERE OPERAIO, pone alle avanguardie l’urgenza della discussione: e della pratica sul programma comunista di potere e sull'organizzazione politica per la conquista del potere.


COMUNISMO E ORGANIZZAZIONE: PAROLA D’ ORDINE CHE DOMINERÀ GLI ANNI ’70.



Qui sotto è possibile scaricare i pdf dei n. 11-20 di «Potere operaio del lunedì»


PotereOperaioLunedì_N.11
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PotereOperaioLunedì_N.12
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PotereOperaioLunedì_N.13
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PotereOperaioLunedì_N.15
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