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Potere operaio (11)



Pubblichiamo un testo di Cinzia Zennoni che tratta la teorizzazione delle «basi rosse» in Potere operaio


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Agli inizi del 1972, Potere operaio avanzò una nuova proposta organizzativa: la realizzazione di «basi rosse», intese come «la forma specifica dell’organizzazione di massa della lotta degli anni Settanta, in una fase politica in cui il problema è forzare il movimento, a partire dal terreno dell’appropriazione, verso lo sbocco insurrezionale»[1]. I nuovi organismi, che avrebbero dovuto sostituire il vecchio progetto dei Comitati politici (ora ritenuti inadeguati ai compiti che la mutata situazione imponeva), si inserivano all’interno del progetto insurrezionale, dove la capacità di direzione del movimento di massa diveniva non più solo politica, ma politico-militare. Già a partire dal convegno di Roma del settembre 1971, Potere operaio aveva fatto una precisa scelta di campo.


È a fronte della risposta capitalistica classica in termini di crisi, che per il movimento si danno – a nostro avviso – due possibili vie di risposta: la via istituzionale e la via insurrezionale.

Molti compagni imboccano la prima via, e questa conduce ai contratti e alle elezioni come sbocchi e scadenze istituzionali, alla difesa del posto di lavoro in fabbrica e alla lotta per la democrazia nella società, a una logica frontista. Noi pensiamo di rappresentare la seconda via, e questo vuol dire privilegiamento di una tematica antiistituzionale, della parola d’ordine dell’organizzazione, della violenza proletaria, […] dell’appropriazione come passaggio di massa verso il terreno della lotta armata[2].


Si trattava ora di approntare gli strumenti necessari alla concretizzazione del progetto. Nella convinzione che «lo Stato non cadrà da solo, come un dente cariato, né si sfalderà d’un colpo» e che nel processo insurrezionale «lo Stato va invece sfaldato, disorganizzato con un attacco sistematico contro le istituzioni»[3], Potere operaio poneva come prioritaria la questione della «militarizzazione delle avanguardie» da realizzarsi all’interno della «base rossa», non da intendersi come «braccio armato» o servizio d’ordine con funzione militare specifica rispetto all’organizzazione politica, ma come organismo di unità delle avanguardie con compiti di azione contemporaneamente politica e militare[4].

Il progetto di una «guerra civile rivoluzionaria» richiedeva l’esercizio di una forte egemonia sul movimento e la capacità di imprimere una direzione specifica alle lotte. In questo stava la difficoltà, poiché, come giustamente Potere operaio rilevava, all’interno del movimento si era venuta a creare una polarizzazione tra due posizioni: da un lato si proponeva


la difesa dell’occupazione; la radicalizzazione delle piattaforme sindacali; il consolidamento dell’autonomia; la costruzione dell’organizzazione mattone su mattone, per la via lunga del «radicamento graduale fra le masse»; il rafforzamento degli organismi dell’autonomia, il rifiuto di assumere l’iniziativa sul terreno della violenza; la difesa contro la repressione;


dall’altro


il salario garantito come programma radicale di unificazione dei proletari contro lo Stato; […] la creazione nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, di organismi di massa di direzione della lotta, di esercizio pratico di potere sovversivo, di organizzazione dello scontro (le basi rosse del potere operaio e proletario); […] la costruzione di un’organizzazione politico-militare per organizzare la guerra civile rivoluzionaria […] che sia capace – non di inseguire il movimento – ma di muoversi «da partito»: cioè che sia in grado di anticipare, di promuovere i comportamenti delle masse, del movimento[5].


La realizzazione del partito dell’insurrezione richiedeva la capacità di stabilire un «programma», cioè di fissare alcuni obiettivi politici e momenti generali di scontro attorno ai quali far convergere il consenso di strati della classe operaia e di settori del movimento. L’obiettivo del salario politico, in primo luogo esemplificato dalla richiesta di reddito garantito per tutti e «sganciato dal lavoro», poteva rappresentare la formula riassuntiva «dell’intero ventaglio dei bisogni, degli interessi proletari».

Tuttavia la questione del programma si poneva contemporaneamente a quella delle forme di lotta, degli strumenti d’organizzazione della guerra civile. Potere operaio si opponeva a una duplice prospettiva: sia a una concezione organizzativa tipica delle formazioni terroristiche, incentrata attorno alla lotta e alla propaganda armata da parte di nuclei d’avanguardia clandestina, dalla cui aggregazione sarebbe poi derivato il partito rivoluzionario, sia a una struttura organizzata su due livelli, in cui il partito fosse legale e a esso si affiancasse una struttura militare di carattere subalterno. A tali ipotesi si preferiva quella di un’organizzazione politica, insieme d’avanguardia e di massa, già immediatamente strutturata per le necessità dello scontro militare, dove la violenza preordinata d’avanguardia potesse fondersi con la violenza di massa del movimento. La «base rossa», in quanto «organismo di massa capace di direzione politica sul movimento», avrebbe dovuto rappresentare la struttura intermedia di raccordo tra i due momenti di esercizio della violenza rivoluzionaria[6], all’interno di un «progetto complessivo di militarizzazione del movimento proletario e delle sue avanguardie»[7]. Il partito si affermava quindi in una forma fluida e dinamica:


Vi è solo uno spazio di partito che di volta in volta si costruisce come possibilità di insurrezione, che si afferma dentro gli organismi di massa a direzione operaia predisposti alla lotta […] Gli organismi di massa a direzione operaia sono la forma attuale del partito.[8]


Premesso che di «basi rosse» non risulta ne siano state costituite in nessun luogo[9], attorno alla proposta della loro realizzazione si svolse, dall’1 al 3 giugno 1972, il convegno dei quadri dirigenti di Potere operaio (erano presenti circa 250 delegati di tutte le sezioni). Partendo dall’analisi della composizione sociale dei militanti dell’organizzazione[10], il convegno esordiva con l’affermare:


va sviluppata all’interno delle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria una profonda autocritica che coinvolga la stessa composizione politica (oggi impoverita di energie operaie di lotta) delle organizzazioni, che riapra la campagna di reclutamento di massa di quadri politici operai e assicuri perciò che la parola d’ordine della direzione operaia non sia semplice fumisteria[11].


Si era alla vigilia delle lotte d’autunno per il rinnovo del contratto dei chimici, degli edili e, soprattutto, dei metalmeccanici. Potere operaio cercò di inserirsi nel contesto delle agitazioni operaie precisando meglio la propria posizione. La sensazione di aver allentato il legame con la classe operaia (che ora andava organizzandosi autonomamente, al di fuori delle direttive dei gruppi, in collettivi, comitati, assemblee) era forte. Per questo si ribadiva l’urgenza di riproporre la questione della «direzione operaia del movimento». Si affermava perentoriamente che


il soggetto indivisibile della lotta rivoluzionaria è la classe operaia […] non l’individualità (o il coraggio e l’eroismo) dei singoli quadri. La soggettività rivoluzionaria non è in nessun caso individualità singola, individualismo. È sempre e soltanto comportamento di massa[12].


Il partito dell’insurrezione avrebbe potuto costituirsi solo attraverso l’affermarsi di una volontà radicale di scontro all’interno degli organismi di massa e di movimento nati nel corso delle recenti lotte. Potere operaio si proponeva di promuoverne lo sviluppo e il collegamento sul piano nazionale, cosciente che «una proposta di conferenza dei comitati e delle assemblee operaie e proletarie non va vista come iniziativa di un gruppo, ma come l’espressione di un bisogno reale da parte di questi organismi stessi»[13].

Con l’espressione «organismi di massa» Potere operaio non intendeva riferirsi solo alle nuove realtà organizzative di quell’area di movimento che si definiva come «autonomia operaia organizzata»[14], ma anche al progetto delle «basi rosse». Esso doveva legare il problema della militarizzazione alla lotta di massa e alla «dimensione metropolitana» del contesto insurrezionale, proprio in virtù della natura politico-militare che tali organismi avrebbero avuto e della loro prevista diffusione sul territorio. Inoltre la «base rossa» (sempre a livello di dibattito teorico, perché sul piano pratico non si concretizzò nulla) avrebbe permesso di risolvere la questione della «centralizzazione» del movimento, cioè «l’emancipazione di momenti centrali di direzione operaia sugli organismi di massa»[15].

L’organizzazione rivoluzionaria avrebbe dovuto conquistare l’adesione delle avanguardie operaie più significative, per raggiungere una capacità di direzione politica sulle situazioni di lotta. Per far questo occorreva


battere con urgenza l’inefficacia delle assemblee al comando, il loro corporativismo, la loro disarticolazione, la mancanza (che spesso in esse si rivela) di collegamenti, di disegno politico generale e di disciplina; e insieme dobbiamo battere la presunzione dei gruppetti alla direzione del movimento, il loro settarismo, l’inefficacia nello stringere un rapporto con le masse, le alternative cervellotiche fra lotta di lunga durata e terrorismo[16].


All’interno di Potere operaio era iniziata una seria autocritica sui limiti organizzativi dei gruppi, la quale si stava orientando in una duplice direzione: da un lato si mirava alla realizzazione del tanto ambìto partito dell’insurrezione, momento supremo di centralizzazione delle situazioni rivoluzionarie, sovrastante gruppi e organismi di massa; dall’altro si guardava con interesse ai fenomeni di autorganizzazione di base, sorti in fabbrica e sul territorio, che rivendicavano la propria autonomia rispetto a qualunque pretesa egemonizzante dei gruppi o delle organizzazioni del movimento operaio. Da qui prese avvio la crisi progressiva delle strutture di Potere operaio.

Note [1] Come si pone oggi il problema dell’unità, «Potere operaio», n. 46, febbraio 1972, p. 36. [2] Terroristi noi, opportunisti loro?, «Potere operaio», n. 46, cit., p. 35. [3] Ibidem. Nell’articolo sopra citato il processo insurrezionale è definito come «processo di lungo periodo». Altrove invece si affermerà: «Il peggior momento di opportunismo che oggi emerge nel movimento è quello che vede […] il processo organizzativo come un continuo, e l’insurrezione diluirsi quindi in guerra di lunga durata». (Preparare l’insurrezione, «Potere operaio», n. 49, 30 giugno 1972). La duplice indicazione è dovuta alla compresenza all’interno di Potere operaio di due differenti percorsi di analisi, che, almeno su questo punto, troveranno una formula d’intesa al successivo convegno di Rosolina. [4] Come si pone oggi il problema dell’unità, art. cit. [5] Proletari, è la guerra di classe!, «Potere operaio», n. 47-48, 20 maggio-20 giugno 1972, p. 4. [6] Ivi, p. 34. [7] Ibidem. [8] Preparare l’insurrezione, art. cit. [9] G. Palombarini, 7 aprile: il processo e la storia, Arsenale Cooperativa Editrice, Venezia 1982, p. 88. [10] A tal proposito Giorgio Bocca scrive: «Se badiamo alla estrazione sociale e alla professione del gruppo dirigente troviamo che i professori e gli studenti destinati alla docenza sono la grande maggioranza […]. Sono professori a Padova Negri, Ferrari Bravo, Gambino, Serafini, la Del Re, Sergio Bologna; insegnano in altre università Piro, Piperno, Magnaghi, Galimberti; Vesce è preside di scuola media; sono insegnanti, almeno sulla carta, Scalzone e il Marongiu e lo Zagato; sono medici il Pancino e la Di Rocco; studenti Benvegnù e Sturaro; professore pure il Bianchini; quanto agli operai Sborgiò, Finzi e Mander saranno autodidatti ma hanno linguaggio da professori e in più intelligenza pratica. Fa caso a sé Mario Dalmaviva assicuratore e pubblicitario, di grandi iniziative, intelligente ma di non frequenti letture». (G. Bocca, Il caso 7 aprile, Feltrinelli, Milano 1980, p. 44). [11] Preparare l’insurrezione, art. cit. [12] Ibidem. [13] Il convegno di Potere operaio, «Potere operaio del lunedì», n. 14, 18 giugno 1972. [14] Per una trattazione più specifica del tema dell’autonomia operaia, vedi un mio testo di prossima pubblicazione su «Machina». [15] Preparare l’insurrezione, art. cit. [16] Ibidem.


Qui sotto è possibile scaricare i pdf dei n. 41-50 di «Potere operaio del lunedì»:













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