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Non sono marxista



Non ci interessa celebrare Marx, così come non ci è interessato nelle precedenti settimane difenderlo dalle accuse a lui mosse dai suoi avversari politici. Ci interessa invece tratteggiare alcuni aspetti della soggettività e del metodo del Moro di Treviri, delle sue ricche intuizioni e dei suoi possibili limiti. In poche parole, incarnarne politicamente la figura al di fuori delle mitologie dei seguaci e degli oppositori. Di seguito proponiamo alcuni stralci di testimonianze – tratti dai Colloqui con Marx e Engels – di figure significative: del dirigente della socialdemocrazia tedesca Willhelm Liebknecht, del comunardo e autore del Diritto all’ozio, nonché genero del Moro, Paul Lafargue, dell’amica di famiglia Franziska Kugelmann, dello storico militante Franz Mehring. Concludiamo con una lettera di German Aleksandrovič Lopatin – traduttore russo de Il Capitale – a Marija Nikolaevna Ošanina, dirigente della Narodnaja Volja. In questo carteggio, che riferisce di un incontro di Lopatin con Engels, emergono le significative posizioni politiche di Marx rispetto alla Russia, confermate dalle sue relazioni con i populisti rivoluzionari e dagli studi dell’ultima fase della sua vita. Un Marx inquietamente in lotta con se stesso e con la teleologia storicista degli stadi di sviluppo, visibile invece nella codificazione engelsiana del marxismo. Al contempo, resta irrisolto il problema di quale sia la soggettività rivoluzionaria in grado di formarsi dentro e contro quelle condizioni «oggettive» della struttura di capitale che Marx analizza con ineguagliata profondità. Quando Lenin porterà Marx a Pietrogrado, infatti, lo forzerà oltre i suoi limiti, cioè rompendo quella codificazione – sarà appunto la rivoluzione contro Il Capitale.


Immagine: Arcangelo, Monotipo, 2003


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Testimonianza di Willhelm Liebknecht (1896)


Per la popolarità Marx nutriva un sovrano disprezzo. Una cosa che lodava particolarmente in Robert Owen era che egli, ogni volta che una delle sue idee diventava popolare, avanzava una nuova esigenza che lo rendeva di nuovo impopolare. Scevro di ogni vanità, Marx non poteva attribuire alcun valore al plauso della folla. La folla era per lui il gregge senza idee, che riceveva pensieri e sentimenti dalla classe dominante. Finché il socialismo non si è fatto spiritualmente strada tra le masse, il plauso della folla non può che andare a gente senza partito o a oppositori del socialismo.

[…] Mentre gli altri esuli architettavano piani per sovvertire il mondo e giorno dopo giorno, sera dopo sera s’inebriavano con l’oppio del «Domani è la volta buona!», noi «demoni», «banditi», «feccia dell’umanità» eravamo chiusi nel British Museum a cercare di approfondire la nostra preparazione e di approntare armi e munizioni per le lotte future. [...] La politica è teoricamente la conoscenza dei milioni e bilioni di fattori che tessono la «tela della storia» e praticamente l’azione determinata da quella conoscenza. La politica è dunque scienza e scienza applicata.

[...] Come maestro Marx aveva la rara capacità di essere severo senza scoraggiare. Un’altra eccellente qualità pedagogica possedeva Marx: ci costringeva all’autocritica, non tollerava alcuna forma di pigra soddisfazione dei risultati già raggiunti. Fustigava l’indolenza e l’amore del quieto vivere con la sferza del suo severo sarcasmo, e nessuno deve ringraziarlo più di me per questa dura disciplina. La gioventù si compiace del successo immediato e del plauso.



Testimonianza di Paul Lafargue (1890)


Karl Marx è uno dei rari uomini capaci di stare in prima linea al tempo stesso nella scienza e nella attività pubblica; egli collegava entrambe le attività tanto intimamente che è impossibile comprenderlo se non lo si considera nello stesso tempo come uomo di scienza e come combattente socialista. [...] Per lui i libri erano strumenti di lavoro e non oggetti di lusso. «Sono i miei schiavi e devono ubbidire alla mia volontà».



Testimonianza di Franziska Kugelmann (dopo il 1900, riferita a un episodio del 1867)


[Marx] Era sempre allegro e pronto allo scherzo e alla canzonatura, e niente lo infastidiva più della pretesa di chi, senza un minimo di tatto, gli chiedeva un’esposizione delle sue dottrine che si guardò sempre dal fornire. In famiglia diceva che costoro erano «curiosi della sua travelling opinion [opinione di predicatore viaggiante]». Ma ciò accadeva di rado.

Una volta, però, un signore gli domandò chi avrebbe lustrato le scarpe nella società del futuro. Marx allora perse le staffe, e rispose: «Lei, naturalmente». Il curioso rimase senza parole. Fu l’unica volta che Marx perse la pazienza.

Quando il visitatore se ne fu andato, mia madre disse con franchezza: «Signor Marx, non voglio prender le difese di quel signore e delle sue domande insulse, ma penso che dopo la Sua risposta abbia fatto bene a tacere, piuttosto di rispondere, magari, che non si sentiva portato a lustrare le scarpe». Marx le diede ragione, e mia madre aggiunse: «Non posso immaginarLa in un’età di livellamento: Lei ha inclinazioni e abitudini così aristocratiche». «Nemmeno io – rispose Marx. – Quell’epoca verrà, ma noi non ci saremo più».



Testimonianza di Franz Mehring (1896)


Essi [Marx ed Engels] si distinguevano già nell’aspetto esteriore. Engels era uno spilungone, biondo come un germano; aveva modi inglesi, come disse di lui un osservatore, e vestiva sempre con cura, avvezzo alla rigida disciplina della caserma e dell’azienda. Con sei impiegati, mandava avanti un ramo della impresa in modo mille volte più semplice e chiaro che se avesse avuto ai suoi ordini sessanta consigli d’amministrazione, che, diceva, non sarebbero stati nemmeno capaci di scrivere in modo leggibile, e avrebbero combinato un tale pasticcio nei libri contabili che nemmeno il demonio sarebbe più riuscito a raccapezzarcisi. Ma, con tutta la sua rispettabilità di membro della borsa di Manchester, assorbito dagli affari e dai piaceri della borghesia inglese, con le sue cacce alla volpe e i suoi banchetti natalizi, egli restava sempre il lavoratore dell’intelletto e il combattente che teneva il suo tesoro nascosto nella casetta all’estrema periferia della città: una figlia d’irlandese, una figlia del popolo, fra le cui braccia si ristorava quando non ne poteva più di tutta quella marmaglia.

Marx, al contrario, era tozzo e tarchiato; gli occhi scintillanti e la folta, nerissima criniera leonina tradivano l’ascendenza semitica; trasandato nel portamento esteriore, assorbito dai crucci del padre di famiglia, egli viveva appartato dalla vita sociale della metropoli mondiale, tutto dedito a un estenuante lavoro intellettuale che gli permetteva a malapena un fugace pasto di mezzogiorno e si protraeva fino a tarda notte, consumando le sue energie, pur notevolissime. Era un pensatore che non conosceva riposo; per lui pensare era il massimo dei godimenti, e in ciò era l’erede autentico di Kant, di Fichte, di Hegel, di cui amava ripetere il detto: «Anche il pensiero criminale di un malvagio è più grandioso e solenne delle meraviglie del cielo». Ma il suo pensiero lo spronava incessantemente all’azione. Privo di senso pratico nelle piccole cose, ne aveva moltissimo per le grandi; incapace di far quadrare il piccolo bilancio domestico, sapeva adunare e guidare come nessun altro un esercito per marciare alla conquista di un mondo.



Lettera di German Aleksandrovič Lopatin a Marija Nikolaevna Ošanina (Londra, 20 settembre 1883)


Devo assolutamente comunicarLe il risultato del mio primo incontro con Engels, poiché penso che alcune delle sue opinioni Le piaceranno assai. Parlammo a lungo della situazione russa, e soprattutto del modo in cui probabilmente si realizzerà il rinnovamento politico e sociale del nostro paese. Come ci si poteva aspettare, le nostre opinioni concordarono pienamente: ciascuno completava i pensieri e le parole dell’altro. Egli infatti pensa (come Marx e me) che in Russia il compito di un partito rivoluzionario, di un partito dell’azione, in questo momento non sia la propaganda del nuovo ideale socialista, non sia neppure lo sforzo per realizzare questo ideale (elaborato in modo ancora di gran lunga insufficiente) instaurando un governo provvisorio formato da nostri compagni, ma consista invece nel concentrare tutte le forze per: 1) costringere l’autocrate [Alessandro III] a convocare una zemskij sobor [parlamento dei vari ceti]; oppure 2) suscitare (spaventando il regnante o con altri espedienti) motivi tanto violenti da condurre per altra via alla convocazione della sobor o di un’altra istituzione analoga. Engels è convinto, come lo sono io, che irresistibilmente una sobor di questo tipo provocherebbe un rivolgimento radicale, non soltanto politico ma anche sociale. Egli è convinto dell’enorme importanza che avrebbe un periodo di campagna elettorale, che permetterebbe una propaganda incomparabilmente più fruttuosa di quella condotta con i libri e con la persuasione orale. Secondo lui una riforma costituzionale puramente liberale, che non sia accompagnata da profonde trasformazioni economiche, è irrealizzabile; perciò egli non teme questo pericolo. Egli è convinto che in quelle che di fatto sono le condizioni di vita del popolo si siano già raccolte condizioni sufficienti per una profonda trasformazione della società. Naturalmente egli non crede a una realizzazione immediata del comunismo, o a qualcosa di simile, ma soltanto a ciò che è già maturo nella vita e nell’anima del popolo. Egli è convinto che al popolo non sarà difficile trovare eloquenti interpreti che portino avanti i suoi obiettivi, difendano i suoi bisogni ecc. Egli è convinto che quando questa trasformazione o rivoluzione che dir si voglia si sarà messa in moto, nulla potrà più arrestarla. Importante, perciò, è una cosa sola: spezzare la forza fatale della tregua, scuotere per un momento il popolo e la società dal loro stato d’inerzia e d’immobilità, scatenare un tale disordine da costringere il popolo e il governo ad accondiscendere alla trasformazione interna: un disordine che rimescoli il tranquillo mare del popolo, che risvegli l’entusiasmo di tutto il popolo per una completa trasformazione sociale. Gli eventi allora andranno avanti da soli; gli eventi possibili, desiderabili e realizzabili nell’epoca presente.

Tutto ciò è dannatamente breve, ma non posso dilungarmi di più. Inoltre tutto ciò forse non Le andrà del tutto a genio, e perciò mi affretto a riferirLe, parola per parola, le altre opinioni di Engels, assai lusinghiere per il partito rivoluzionario russo. Eccole:

«Tutto ora dipende da ciò che nel prossimo periodo avverrà a Pietroburgo, sulla quale sono appuntati gli sguardi di tutti coloro che riflettono, che hanno vedute ampie e mente acuta, in tutta Europa».

«La Russia è la Francia del nostro secolo. A buon diritto le spetta l’iniziativa rivoluzionaria per una nuova trasformazione sociale».

«… La disfatta dello zarismo – con la quale crollerebbe l’ultimo baluardo della monarchia in Europa e l’“aggressività” della Russia, l’odio dei polacchi per la Russia e molte altre cose ancora cesserebbero di esistere – produrrà fra le potenze una configurazione completamente diversa, frantumando l’Austria e propagando in tutti i paesi un potente impulso alla trasformazione interna».

«… È estremamente improbabile che la Germania decida di approfittare dei torbidi in Russia per mobilitare le sue truppe a difesa dello zarismo. Ma se lo facesse, tanto meglio. Sarebbe la fine del governo attuale e l’inizio di una nuova era. L’annessione alla Germania delle province baltiche sarebbe insensata e irrealizzabile. Simili conquiste di sottili strisce costiere adiacenti o prospicienti, di semplici fazzoletti di territorio (i confini statali informi che ne sono la conseguenza) erano possibili soltanto nel Cinque e nel Seicento, oggi non lo sono più. Inoltre non è un segreto per nessuno che in quelle zone i tedeschi sono soltanto una sparuta minoranza reazionaria». (Aggiungo questo per J.P., date le sue opinioni ultrapatriottiche sulla questione).

«Sia io che Marx troviamo che la lettera del comitato ad Alessandro III è semplicemente grandiosa, per l’esperienza che rivela e la pacatezza del tono. La lettera dimostra che nelle file dei rivoluzionari non manca l’intelligenza dei problemi dello Stato».

Spero che Lei trovi tutto ciò abbastanza piacevole e lusinghiero; come mi contraccambierà queste righe? Si ricorda quando dicevo che Marx stesso non è mai stato marxista? Engels raccontò che durante la lotta di Brousse, Malon e compagnia contro gli altri Marx disse una volta ridendo: «Posso dire una cosa soltanto: che non sono marxista!».

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