Quali approcci alla neurodiversità? [1]
Neurodiversità è un concetto sempre più frequente e la sua diffusione rischia di nascondere le profonde differenze che esistono nella sua elaborazione. Robert Chapman, il più importante teorico marxista della neurodiversità, ci aiuta a costruire una mappa per orientarci. Articolo tradotto da Luca Negrogno per gentile concessione dell’autore.
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Tre approcci
Ho già scritto in passato di come il concetto di neurodiversità significhi cose diverse per persone diverse (vedi qui e qui). Voglio fare un passo avanti individuando alcune differenti tendenze nell'ambito dell'attivismo neurodivergente. Il presente testo vuole essere inteso come un primo tentativo di aprire la discussione su questi diversi approcci piuttosto che come la parola definitiva su questo tema.
Le tre categorie quasi-sociologiche che propongo sono: Neurodiversità Neoliberale, Neurodiversità Marxista e Neurodiversità della Giustizia Intersezionale. Ognuna di esse è definita dagli elementi che vi sono maggiormente enfatizzati: in pratica, la maggior parte di noi si colloca a metà tra due o più di queste categorie, ma è probabile che ognuno di noi si orienti più verso l'una o l'altra.
Suggerisco questa distinzione perché ritengo che una maggiore chiarezza su queste differenze favorirà l'elaborazione su come raggiungere al meglio il cambiamento che vogliamo creare nel mondo reale; delineerò brevemente ogni approccio e noterò alcuni possibili esempi di essi, inoltre proporrò alcune riflessioni introduttive sul perché preferisco due dei tre approcci.
Neurodiversità neoliberale
Per neurodiversità neoliberale intendo i casi in cui il concetto o il paradigma della neurodiversità vengono utilizzati per promuovere i successi delle persone neurodivergenti (di solito autistiche) senza mettere in discussione il neoliberismo o il capitalismo in senso lato.
Uno dei modi principali per individuare questo approccio è che spesso si concentra sui punti di forza o sui talenti individuali. (Il significato di «forza» non viene mai chiarito, ma di solito si intende un tratto che può essere considerato economicamente valorizzabile nel sistema neoliberale). Questo approccio utilizza il modello sociale della disabilità, ma più per potenziare gli individui in contesti specifici che per forzare un cambiamento sistemico più ampio.
Questo orientamento è spesso usato da operatori e dirigenti d'azienda che si appropriano della terminologia della neurodiversità per sostenere pratiche medicalizzate preesistenti, che non hanno nessun legame con le riflessioni del movimento. È interessante notare che questo approccio tende a fare riferimento a realtà considerate prestigiose nei circoli neoliberali, come ad esempio le università d'élite, le riviste economiche, ecc.
Un buon esempio potrebbe essere Lawrence K. Fung. Fung è uno psichiatra che si è rilanciato come esperto mondiale di neurodiversità ed è ora direttore dello Stanford University Project. Il libro da lui recentemente curato viene pubblicizzato come centrato sul «modello della neurodiversità basato sui punti di forza (SBMN), progettato per concepire valutazioni e interventi basati sui punti di forza per gli individui neurodivergenti, integrando le teorie esistenti della psicologia e della psichiatria positiva, delle intelligenze multiple e della psicologia dello sviluppo». Ovviamente questa descrizione non dice nulla sul cambiare la società, si tratta piuttosto di riformulare pratiche medicalizzate relativamente standard come se fossero una difesa della neurodiversità.
Un altro buon esempio è l'ente di beneficenza «Neurodiversity in Business» che inquadra alcune forme di neurodivergenza come un «vantaggio competitivo». La sua visione è quella di «promuovere un ambiente aziendale in cui le persone neurodivergenti siano comprese e costituiscano una ricchezza per la cultura del lavoro»; classificando le persone neurodivergenti come risorse preziose per i datori di lavoro l’organizzazione si propone di aiutarle a trovare lavoro ma non mira a cambiare la società nel suo complesso.
Neurodiversità marxista
La neurodiversità marxista tende a collocare la disabilità e la disumanizzazione neurodivergente in un'analisi più ampia e critica del capitalismo; così facendo si inscrive nella tradizione dei disability studies materialisti britannici e di autori di riferimento come Mike Oliver. Questa tendenza usa il modello sociale della disabilità per generare solidarietà di classe e puntare l'attenzione sui sistemi e sulle strutture sociali sottostanti piuttosto che sull'empowerment individuale.
Questo approccio sembra essere più popolare nel Regno Unito, probabilmente anche in corrispondenza con una forte tradizione socialista nella società e nella politica, in cui sindacati, partiti e campagne di sensibilizzazione sono stati in grado di incorporare la difesa della neurodiversità all'interno di un movimento socialista più ampio.
Un bell'esempio di approccio marxista alla neurodiversità è quello sostenuto da Janine Booth. Booth è una sindacalista autistica che ha scritto molto sulla neurodivergenza (soprattutto autismo) e occupazione. In contrasto con l'attenzione neoliberale ai talenti e ai punti di forza individuali, questo orientamento consiste nell'incorporare la difesa della neurodiversità all'interno delle lotte esistenti nei luoghi di lavoro e, allo stesso tempo, nel rendere il socialismo più inclusivo per gli individui e i gruppi neurodivergenti.
Esistono approcci simili in alcuni partiti politici. Il partito marxista-leninista britannico Red Fightback svolgeva l'analisi della discriminazione contro le persone neurodivergenti principalmente come conseguenza della razzializzazione capitalista. Un approccio più generalista si vede invece nel Manifesto sulla Neurodiversità del Partito Laburista britannico, sviluppato durante l'era Corbyn: pur non essendo del tutto marxista, questo manifesto posiziona la «giustizia neurodivergente» in contrasto con la politica di austerità del governo e con le attuali leggi e politiche in materia di occupazione, istruzione e giustizia penale, rivendica un approccio basato sul modello sociale e maggiori investimenti da parte del governo nella rimozione delle barriere a tutti i livelli della società.
Approccio di giustizia intersezionale alla Neurodiversità
Questa tendenza, sviluppatasi principalmente in Nord America, trae origine principalmente dai movimenti antirazzisti intersezionali e dalla teoria queer, influenti nel contesto nordamericano più che altrove.
Questo approccio è più saldamente intersezionale rispetto alla neurodiversità neoliberale e alla neurodiversità marxista (sebbene anche chi sostiene gli altri due approcci sottolinei spesso l'importanza dell'intersezionalità). Inoltre questo approccio fa un uso più diffuso della nozione di liberazione collettiva, che sottolinea l'intreccio di tutte le forme di oppressione e possibile emancipazione. Questa impostazione può talvolta essere anche più «spirituale» rispetto a quelli neoliberale e marxista, saldamente «secolari» ‒ per quanto in modi diversi.
Un buon esempio di leader di questo approccio è Lydia X. Z. Brown, che si autodefinisce «impegnata ad affrontare la violenza di Stato e interpersonale che colpisce le persone disabilitate che vivono all'intersezione di razza, classe, genere, sessualità, fede, lingua e nazione». Brown ha svolto un lavoro molto importante su tutti questi aspetti e ha privilegiato la moltiplicazione delle prospettive dei soggetti marginalizzati nella sua instancabile attività di organizzazione per la giustizia intersezionale.
Un altro buon esempio è il progetto performativo Sins Invalid, basato sulla giustizia della disabilità, che si propone di «andare oltre i diritti legali individuali per passare ai diritti umani collettivi» e di «passare dalla politica dell'identità all'unità tra tutte le persone oppresse». L'obiettivo è la liberazione collettiva di tutti i popoli emarginati e, in particolare, promuovere l'idea che tutte le forme di oppressione sono intimamente legate tra loro.
Alcune riflessioni
Sottolineo ancora una volta che quelle qui esposte non sono classificazioni nette e che la maggior parte di noi si colloca a metà tra due o più di esse; è probabile che nessuno, compresi gli esempi che ho citato, rientri compiutamente in una di queste classificazioni. Le tendenze che ho proposto sono quindi, nel migliore dei casi, delle ipotesi di lavoro che dovranno essere riviste e chiarite; potrebbero essere aggiunte ulteriori distinzioni.
Una ragione per cui è utile pensare alle differenze tra gli approcci è che a volte gli obiettivi e i metodi implicati nelle varie tendenze sono in conflitto tra loro. Sulla base di questo, nonostante si debba ammettere che tutti e tre gli approcci possono avere qualche utilità, concluderò mettendo in guardia dall'approccio neoliberale e spiegando perché preferisco gli altri due.
Il vantaggio dell'approccio neoliberale è che aiuta realmente alcuni individui, sia potenziandoli nel loro lavoro sia generando ricchezza per coloro che capitalizzano questa tendenza (diventando leader d'impresa, life-coach e così via). Il problema, tuttavia, è che non mette in discussione nulla delle strutture sociali sottostanti contro le quali si è sviluppato il movimento per la neurodiversità; se diventa egemonico rispetto alle altre due tendenze, rischia di risolvere gli sforzi del movimento in un compromesso al ribasso: una versione leggermente più inclusiva del sistema attuale ‒ esattamente il tipo di sistema che gli approcci marxista e di giustizia intersezionale puntano a smantellare e sostituire.
L'approccio marxista e quello della giustizia intersezionale hanno maggiori probabilità di completarsi a vicenda; personalmente mi posiziono da qualche parte tra questi due approcci e non vedo la necessità di scegliere tra loro. In particolare l’approccio marxista è utile per sviluppare un’analisi materialista della neurodiversità e di forme specifiche di disabilità neurodivergente, mentre l’approccio della giustizia intersezionale è necessario per rendere la difesa della neurodiversità più genuinamente intersezionale e per rendere queer la teoria della neurodiversità. Non c’è alcuna contraddizione evidente tra questi obiettivi.
Un esempio di come questi due approcci possano interagire nel mio lavoro è nell'articolo «The reality of autism: On the metaphysics of disorder and diversity» in cui propongo di utilizzare il concetto di «serialità collettiva»[2] per capire l’autismo. Nell’articolo ho sviluppato una critica intersezionale delle concezioni dell’autismo basate sull’identità e ho proposto una «metafisica realista» dell’autismo che spero sia più compatibile con un approccio di giustizia intersezionale. La mia inquadratura dell’autismo come serialità collettiva si è basata su un’analisi marxista e femminista del genere e l’ha combinata con una comprensione del modello sociale della disabilità autistica[3].
Scriverò di più su questi temi in un secondo momento; per ora ho solo cercato di fare alcune distinzioni fondamentali e di notare alcuni potenziali conflitti. Spero che questo possa essere utile per le persone che cercano di orientarsi tra diversi approcci alla neurodiversità, pensare a dove si trovano e decidere dove meglio indirizzare il proprio tempo e le proprie energie.
Note
[1] Originariamente pubblicato il 31/12/2021 su «criticalneurodiversity.com»
[2] Concetto usato negli studi di genere da Iris Marion Young, riprendendo le riflessioni di Jean Paul Sartre sulla serie e sul gruppo, L’articolo di Chapman è disponibile qui:.
[3] Sullo stesso argomento Chapman rimanda a questo altro articolo.
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Robert Chapman è un filosofo e teorico sociale specializzato in neurodiversità, follia e disabilità. Dopo aver studiato filosofia all'Università di Southampton e aver ricevuto una diagnosi di autismo nel 2012, Chapman ha lavorato prima all'Università dell'Essex e poi all'Università di Durham sulla teoria della neurodiversità. Nel 2023 ha pubblicato il libro Empire of Normality: Neurodiversity and Capitalism, incentrato sullo sviluppo di una prospettiva marxista sulla neurodiversità.
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