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Il personale è politico

21st Century Schizoid Man – (Un) Racconto del Buon Selvaggio


In The Court Of The Crimson King, King Crimson, 1969. Cover di Barry Godber
In The Court Of The Crimson King, King Crimson, 1969. Cover di Barry Godber

Andrea Chizzoni, in questo pezzo ibrido e sorprendente, intreccia analisi musicale, critica sociale e riflessione psico-politica a partire dal celebre brano 21st Century Schizoid Man dei King Crimson. Muovendosi tra il personale e il politico, l’autore esplora le derive della sofferenza psichica nella società neoliberale, l’inerzia del soggetto contemporaneo e la privatizzazione del disagio, chiamando in causa autori come Fisher, Lazzarato e Bifo. Il testo alterna citazioni, immagini forti e intuizioni originali, costruendo un racconto visionario che prova con coraggio e un po’ di irriverenza a pensare una soggettività nuova, oltre il sonno verticale del nostro tempo.

 

***


«Il personale è politico». Così recitava lo slogan riassunto dalla femminista Carol Hanisch nel 1970. Oggetto di svariate interpretazioni, in realtà il suo significato è riassumibile con quanto recitava il manifesto studentesco di Port Huron:


È tempo di riaffermare il personale. [è necessario] dare forma a sentimenti di impotenza e indifferenza in modo che le persone possano vedere le origini politiche, sociali ed economiche dei loro problemi privati e organizzarsi per cambiare la società (Ercolani, 4 ottobre 2023, ilfattoquotidiano.it)

 

Seguendo le briciole lasciate da Mark Fisher, venuto a mancare nel 2017, credo sia utile riflettere su ciò che viene definito funzione dormiente della psichedelia: «Combinazione insolita del moderno prefisso inglese psyche con la più evidente radice greca dèlos – che vuol dire "manifestare" o "rivelare" - psichedelico è ciò che rende manifesto quanto c’è nella mente» (p.12)

 Se il personale è politico (e io sono convinto lo sia), la presa di coscienza (in quanto processo creativo) può generare un nuovo soggetto. Un cambiamento.


 

Nell’Ottobre del 1969 veniva pubblicato In the Court of the Crimson King, album di debutto dei King Crimson, band britannica rock progressive, ancora in attività.

Il brano d’apertura si intitola 21st Century Schizoid Man.

 

Ogni strofa del pezzo si focalizza su una sfera dell’attività umana, evidenziando la presenza [...] di una dissociazione tra chi detiene il potere, e dunque controlla, opprime e reprime, e chi, impotente e alienato, subisce l’azione dei detentori del potere

(Agostini, Marconi, 2007 p.9)

 

La scelta del termine «schizoid» non appare casuale. Al contrario di «paranoid» (più vicino all’uso comune) «schizoid» è legato più al linguaggio tecnico della psichiatria; il disturbo schizoide della personalità genera un distacco dalle relazioni sociali e dalla vita emotiva: «l’individuo schizoide mostra scarso interesse per le relazioni con gli altri individui, [...]; non ha dunque amici, è indifferente a ciò che gli altri pensano di lui, [...] è freddo e distaccato, chiuso nel suo mondo». (Agostini, Marconi 2007 p.9)

 

Ci siamo creati un ambiente [..] che si avvicina maggiormente a una gabbia mentale che a un paradiso terrestre [..]. Siamo sempre più deboli, sedentari, atrofici, asociali e indifferenti alla vita. Costantemente immersi in un sonno verticale[...] Quanto siamo distanti dalla Matrix di Neo?!

(Bianchi, 2024)

 

La socializzazione del dolore

(Strofa 1)

Cat's foot, iron claw

Neurosurgeons scream for more

At paranoia's poison door

Twenty-first century schizoid man

 

La prima strofa è dedicata al tema delle malattie mentali; il testo parla di neurochirurghi paragonati a stregoni («cat’s foot, iron claw») che dal laboratorio/camera di tortura, impongono lo status quo con strumenti repressivi e punitivi, urlando «ANCORA!» alle porte avvelenate della paranoia.

 

Il neurochirurgo è dipinto dunque come un personaggio violento e sadico, mai sazio dei propri spregiudicati esperimenti, della cui violenza sembra quasi provare piacere, preoccupato solo di trastullarsi con i propri spaventosi attrezzi e indifferente alla salute dei pazienti.

(Agostini, Marconi, 2007 p.10)

 

In coincidenza con l’insofferenza per le istituzioni, negli anni Sessanta questa visione era ben condivisa. La lettura (politica) dello psichiatra è quella di un «braccio della società», o meglio del «sistema»; un punto di vista già emerso, ad esempio, nel romanzo di Kesey (1962) Qualcuno volò sul nido del cuculo (da cui è tratto l’omonimo film del 1975 con Jack Nicholson).

 

[...] La diagnosi psichiatrica è notoriamente inaffidabile e non valida. La prova dell’inaffidabilità è fornita dalla vita dei beneficiari dei servizi, che spesso ricevono diagnosi diverse durante il loro contatto con i servizi

(Naim, 2024)

 

La terapia professionale, infatti, tende a trattare le conseguenze (e non le cause) del disagio, presumendo che le cause siano interiori; in questo modo il terapeuta si ritaglia un terreno legittimo di intervento. è infatti possibile lavorare sugli individui; impossibile sarebbe, (almeno per il solo terapeuta) incidere su circostanze sociali.

Un esempio: si immagini un adulto, tra i 50 e i 70 anni, in una situazione di burnout lavoro-correlato. Licenziarsi è impossibile; trovare un nuovo lavoro difficoltoso. La terapia potrebbe, nel migliore dei casi, aiutarlo a gestire l’ansia (e gli attacchi di panico) giorno per giorno, con l’ausilio o meno di prescrizioni mediche.

Ma nessun terapeuta potrebbe prescrivere l’astensione dal lavoro!

D'altronde, «la disponibilità di lavoro salariato dipende dalla minaccia della fame» (Coin, 2023 p.104).

In questo modo gli individui imparano rapidamente a vedere se stessi come «difettosi», quando la loro esperienza di disagio potrebbe derivare, in larga parte, da un ambiente difettoso. Come si può immaginare, lo stigma che il disturbo porta con sé non fa altro che pregiudicare ogni eventuale «socializzazione» del disturbo. La tendenza presente è quella contraria:

 

Privatizzare questi disturbi, trattarli come se fossero provocati da null'altro che qualche squilibrio chimico o neurologico dell'individuo, o come se fossero il semplice risultato del retroterra familiare, significa escludere a priori qualsiasi causa sociale sistemica

(Fisher, 2009 p.59)

 

Le influenze sociali e materiali sono classicamente complesse e molteplici, e nessuna causa può essere considerata come necessaria o sufficiente. Ma più queste si intrecciano e più è probabile che il disagio clinico si manifesti.

 

[Le cause] comprendono traumi, abusi e trascuratezza, disuguaglianza sociale (organizzata in gerarchie di classe, genere, etnia, sessualità e disabilità); e, in modo un po’ più casuale, incidenti, disabilità, malattie gravi ed eventi di vita.

(Midland Psychology Group, 2024)

 

Se aver subito un trauma aumenta le probabilità di un disagio diagnosticabile, le disuguaglianze sociali, incidendo su esclusione ed emarginazione, contribuiscono in modo significativo al potenziale di disagio.

 

La povertà, le condizioni abitative e alimentari sfavorevoli, l’ambiente minaccioso, le risorse limitate, le scelte ristrette, il lavoro umiliante o mal retribuito, la discriminazione, l’oppressione e l’essere capro espiatorio sono tutti fattori di sofferenza. Le persone nate in aree operaie da genitori che svolgono lavori manuali hanno una probabilità 8 volte maggiore rispetto al gruppo di controllo ricevere una diagnosi di schizofrenia da adulti.

(Midland Psychology Group, 2024)

 

Il disagio risulta frequentemente correlato a fattori di disuguaglianza sociale quali la disoccupazione, i redditi insufficienti e il deterioramento del sistema educativo; dunque, maggiore è il divario tra ricchi e poveri, maggiore sarà l’incidenza di diversi problemi di salute.

 

Sono sotto gli occhi di tutti gli effetti perversi delle dinamiche dell’economia capitalistica [...]. Sempre più vasta è la condizione di marginalità e di precarietà reale che incide nella condizione (non solo) psicologica del nostro vivere: si moltiplicano le indagini sulla povertà (reale o percepita) che confermano una condizione di inadeguatezza di «mezzi» rispetto ai bisogni o più genericamente una incapacità oggettiva di riuscire a soddisfare i bisogni essenziali.

(Amato, 2014 p.19)

 


Colonialismo - Capitalismo - Neoliberalismo

(Strofa 2)

Blood rack, barbed wire

Politicians' funeral pyre

Innocents raped with napalm fire

Twenty-first century schizoid man

 

Il tema qui è politico. Si parla di lotte di potere, diritti sociali, libertà.

Il riferimento alle morti civili («innocent raped with napalm fire») è legato agli eventi della guerra in Vietnam, all’epoca al centro dell’attenzione dei movimenti politici in tutto il mondo; il riferimento (qui) è ad ogni conflitto coloniale avvenuto (o in atto), ed è descritto come «Politicians' funeral pyre», ossia la pira funeraria dei politici.

 

Emerge così la rabbia di chi vede come la violenza e le ingiustizie si moltiplichino ai danni degli innocenti e a vantaggio dei governanti, interessati esclusivamente ad aumentare il loro potere e indifferenti alle sofferenze e alle ingiustizie inflitte all’umanità per perseguire tale interesse.

(Agostini, Marconi 2007 p.10)

 

Guerre coloniali, guerre per le risorse, guerre egemoniche.

Per lo storico Frederick Jackson Turner (1893) il concetto di «frontiera» ha sicuramente modellato il carattere americano (e i valori democratici) sin dalla conquista (che coincide con il genocidio dei nativi americani) del Nuovo Mondo, il Far West, rappresentando per la società americana dell’epoca un'opportunità di rinascita e progresso. Ciononostante, la definitiva conquista del West, con la chiusura della frontiera, non ha segnato la fine della prosperità per gli Stati Uniti; sono state concepite nuove frontiere da esplorare, non più solo geografiche ma industriali (e mentali) (Berardi, 2020).

Il Colonialismo e il Capitalismo sono da intendersi come due facce della stessa medaglia. Il Colonialismo punta all’espansione territoriale, con la conquista di tutte le risorse ad essa connesse; portando dunque, con lo sviluppo della società industriale Capitalista, alla cosiddetta accumulazione originaria: «il "Nomos della terra", evento storico dove la conquista, la guerra, l’appropriazione – come nell’accumulazione originaria marxiana –  generano e istituiscono un nuovo ordine e un nuovo potere» (Lazzarato 2024).

Il Capitalismo (oggi in chiave neoliberale) punta all’ubiquità.

La svolta Neoliberale può essere descritta come «àntropo-nomìa» (Balibar 2012, p. 134), ossia studio delle leggi che regolano lo sviluppo umano in rapporto con l'ambiente in cui è inserito; o «l'arte di pascolare gli uomini». Per alcuni autori, il neoliberalismo può essere identificato con l’homo oeconomicus, inteso come modello/ideale antropologico. Questo rappresenta un individuo razionale, auto interessato, che agisce solo tenendo presente il proprio vantaggio o interesse. È attraverso questa lente che, ad esempio, l'istruzione viene intesa come capitale sociale: l’individuo investirà le proprie risorse sul mercato (culturale), guidato dal vantaggio competitivo che ricaverà dall’investimento.

 

Se tu fai in modo che lo studio, la lettura e la scuola siano finalizzate a un lavoro, tu stai tagliando la testa alle persone

(intervento di Giovanni Floris nella trasmissione In Altre Parole – Domenica di La7 con Massimo Gramellini) 


In Cronofagia (2019) Mazzocco riporta la classica tripartizione del tempo; per l’individuo contemporaneo, la giornata è tipicamente suddivisa in otto ore di lavoro, otto ore di tempo libero e otto ore di sonno. Il tempo libero, spesso, finisce per consistere in tempo di consumo. Sono esempi lo shopping, lo streaming, i social network (scrolling), la musica, il gaming, la televisione. Per dirla con Galibert (2015), per l’individuo «intercambiabile» moderno il consumo è diventato l’equivalente della produzione, e il tempo libero l’equivalente del lavoro. Quello compiuto dal sistema capitalista «cronofago» è un vero e proprio miracolo di riprogrammazione: una volta esaurito il lavoro «vero», l’individuo spende quanto guadagnato per i propri consumi e compie un lavoro immaginario in favore del capitale (Mazzocco 2019) In altre parole, l’ipercapitalismo è riuscito a fare in modo che

 

Lo sfruttamento del tempo libero possa apparire come la giusta ricompensa dello sfruttamento del lavoro. Infatti, tutti coloro che sono sfruttati al lavoro vorranno essere sfruttati come consumatori.

(Galibert 2015 p.40)

 

Risveglio collettivo

(Strofa 3)

Death seed, blind man's greed

Poets' starving, children bleed

Nothing hÈs got he really needs

Twenty-first century schizoid man

 

La terza strofa è particolarmente frammentaria: dopo alcune fosche immagini, troviamo descritte le sofferenze dei poeti e dei bambini, ovvero, l’espressione e l’arte, la sensibilità e l’innocenza.

 

A queste due immagini si oppone l’avidità e la cecità della società dei consumi [...] : è qui, nel consumismo e, più in generale, nella ricerca prometeica di ciò di cui non si ha davvero bisogno, che si annida il “death seed” di una società sempre più alienata, [...] insensibile e indifferente nei confronti della realtà.

(Agostini, Marconi, 2007 p.11)

 

Per Gancitano e Colamedici (2022), «quelli che fanno la fila davanti agli Apple Store o alle nuove sedi di Starbucks stanno manifestando la propria enorme esigenza di senso: [...] si tratta di esperienze che imitano il sacro, [...] le uniche a saper soddisfare oggi gli affamati» (corsivo mio).

 

Gli studenti [...] sanno che la situazione è brutta, ma sanno ancor di più che non possono farci niente. Solo che questa consapevolezza, questa riflessività, non è l’osservazione passiva di uno stato delle cose già in atto: è una profezia che si autoavvera.

(Fisher, 2009 p.58)

 

Il sonno verticale a cui si accennava in apertura può essere ricondotto a ciò che Fisher (2009), definisce inerzia edonistica (edonismo depressivo) e interpassività, caratterizzate da paralisi, isolamento e ricerca compulsiva di intrattenimento on demand, che sfocia in un’incapacità di concentrazione (per approfondire Ramaglia, Sammantico, 2022).

Pfaller (2004) definisce l’interpassività (ossia il contrario di interazione) come delega del godimento a un mediatore interpassivo, che consuma simbolicamente al nostro posto. Le risate preregistrate delle sitcom, per Žižek (2006), ne sono l’emblema: lo spettatore non ride, qualcuno ride per lui. La sua reazione emotiva è sostituita e prefigurata, producendo effetti di desoggettivazione e alienazione, trasformando il soggetto in un’entità spettrale (Agamben, 2006).

Il soggetto-consumatore, ormai disgregato, sostituisce così le proprie esperienze dirette con mediazioni tecnologiche che lo anestetizzano e lo isolano.

 

[Il sonno verticale] riguarda quelle persone [che] perdono il contatto con le loro emozioni, smettono di prestare attenzione al significato delle loro azioni. I loro comportamenti tendono ad uniformarsi, spesso risultano prevedibili: si avvicinano, in qualche modo, all’output di un computer, più che ad un libero processo di riflessione e scelta della mente umana.

(Bianchi, 2024)

 

Dal «fallimento» delle Rivoluzioni Borghesi e alla diffusione del progetto neoliberale, la guerra di classe è finita, e l’hanno vinta i ricchi. Pochi individui, dotati di potere, denaro e influenza che mirano a mantenere i propri privilegi. L’individualismo esasperato, favorito da invidia e competizione, spinge i singoli ad interessarsi solo al miglioramento delle proprie condizioni. L’individuo è spinto a un autosfruttamento continuo, più vicino «all’homo homini lupus che a comportamenti pro-sociali e volti alla convivenza civile» (Naim, 2024).

 

Affinché un risveglio collettivo dal sonno verticale sia possibile sarebbe indispensabile immaginare un modo alternativo di intendere la vita (un sogno utopico come orizzonte da seguire).

È fondamentale, innanzitutto, applicare una prospettiva «intersezionale» (Corradi, 2012), che miri a decostruire (e risignificare semanticamente) le categorie dell’oppressione (classe sociale, razza/etnia, cultura/religione, genere, età, appartenenza geopolitica ecc.).

Decostruire (per risignificare) alcuni concetti può essere utile. Nel Manuale di Sociologia della Devianza e del Controllo Sociale, D’Amico (1996) definisce la «devianza» come: «comportamento o caratteristica che viola norme ed aspettative istituzionalizzate e che di conseguenza sono oggetto di una valutazione negativa da parte di un grande numero di persone». Il riferimento al numero non è casuale. L’etichetta di deviante è strettamente legata agli equilibri interni alla società; i parametri sociali in base ai quali un comportamento viene definito «deviante» possono modificarsi nel tempo. Ad esempio, nei paesi occidentali l’omosessualità è stata eliminata dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) solo negli anni ‘70. Dunque, se la devianza «diviene un dato insito alla natura del processo sociale”, è da considerarsi coma un fattore innovativo ed utile per il cambiamento (Mincione, 2023 p.14).

Un prospettiva del genere può aiutare ad individuare le tensioni che sussistono tra la percezione del sé (marginale) e le immagini/opinioni esterne, influenzate dai processi di stigmatizzazione.

In secondo luogo, per superare il paradigma neoliberale è necessario operare un decentramento dello sguardo. Gli studi urbani sul neoliberalismo si sono concentrati su poche grandi città del nord del mondo (tipicamente occidentali), in base alla convinzione (errata) che meglio rappresentassero i casi studio più significativi.

 

Tuttavia, mentre in queste città il dibattito sembra essersi parzialmente arenato, realtà meno indagate mostrano maggiore dinamismo e tensioni, offrendo nuovi spunti e occasioni per riflettere su altre possibili declinazioni e impatti socio-spaziali del modello neoliberale e sull’esperienza, molteplice, della marginalità.

(Aru, Puttilli, 2014 p.13)

 

Il margine può essere inteso in termini positivi;  non come «costo sociale» della globalizzazione economica, ma come luogo della crisi e della messa in discussione delle stesse logiche e politiche; uno spazio di contestazione, di protesta e di resistenza. Da un lato, sempre più spesso i margini si manifestano, escono dall’anonimato, insorgono, alzano la voce e rivendicano diritti e opportunità.

 

Dall’altro lato, il margine emerge anche come luogo dell’alterità, spazio di possibilità e di diversità, incontro e mescolanza. Nei margini si sperimentano regole e logiche «altre», costituendo esempi di auto-organizzazione territoriale e cittadinanza.

(Aru, Puttilli, 2014 p.13)

 


Riferimenti bibliografici

  • Agamben G. (2006), Che cos’è un dispositivo? [What is a device?], Nottetempo

  • Agostini R., Marconi L. (2007), Here, There And In Between:, Composizione e sperimentazione nel rock britannico: 1966-1976

  • Amato F. (2014), La Marginalità in Questione. Una Riflessione dalla Prospettiva della Geografia Urbana e Sociale, in «Bollettino della Società Geografica Italiana», Roma, Serie XIII, vol. VII, pp. 17-29

  • Aru S., Puttilli M. (2014), Forme, Spazi e Tempi della Marginalità. Un Itinerario Concettuale, in «Bollettino della Società Geografica Italiana», Roma, Serie XIII, vol. VII, pp. 5-16

  • Balibar È. (2012) Cittadinanza, Bollati Boringhieri, Torino (citato in Aru, Puttilli, 2014)

  • Berardi «Bifo» F., Pignatti L. (a cura di) (2020), Adbusters. Ironia e distopia nell’attivismo visuale, Milano, Meltemi Linee

  • Bianchi D. (2024), Guerra e salute mentale: paura e speranza di un «Reset» sociale, 19 luglio 2024, in «Vaso di Pandora. Dialoghi in Psichiatria e Scienze Umane»

  • Coin F. (2023), Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprendersi la vita, Einaudi

  • Corradi L. (2012), Specchio delle sue brame, Ediesse

  • D’Amico G. (1996), Manuale di Sociologia della Devianza e del Controllo Sociale, Edizioni La Zisa (citato in Mincione, 2023) 

  • Fisher M. (2009), Capitalist Realism: Is There No Alternatives?, Zero Books, trad. it Realismo Capitalista (2018), Nero

  • Fisher M. (2021), Desiderio Postcapitalista. Le Ultime Lezioni, minimumfax

  • Galibert J.P. (2015), I cronòfagi. I 7 principi dell’ipercapitalismo, trad. Biancamaria Bruno, Stampa alternativa

  • Gangitano M., Colamedici A. (2022), La società della performance. Come uscire dalla caverna, Edizioni Tlon

  • Harvey D. (2013) Città ribelli. I movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street, Il Saggiatore, (citato in Aru, Puttilli, 2014)

  • Lazzarato M. (2024), Le condizioni politiche di un nuovo ordine mondiale, in «Machina Rivista», 29 ottobre 2024

  • Mazzocco D. (2019), Cronofagia, D Editore, Roma

  • Midlands Psychology Group (2025), Progetto di manifesto per una psicologia sociale materialista del disagio, in «Machina Rivista», 22 maggio 2025

  • Naim S. (2024), Disumanizzazione, banalità del male e malattia mentale. Chi cura cosa, in «Machina Rivista», 24 settembre 2024

  • Pfaller R. (2004), Estetica dell’interpassività, in «Agalma. Rivista di studi culturali e di estetica», 7-8, 62-74

  • Provasi G. (2019), Dai Trenta gloriosi all’affermazione del neoliberalismo: forme di integrazione e grandi trasformazioni, in «Stato e mercato», n. 116, Fascicolo 2, Il Mulino

  • Ramaglia F., Sommantico M. (2022), Il ruolo dell'interpassività nelle forme del malessere contemporaneo, in «TOPIC-Temi di Psicologia dell’Ordine degli Psicologi della Campania», V. 1 N. 3

  • Žižek S. (2006) Leggere Lacan [Reading Lacan], Bollati Boringhieri (citato in Ramaglia e Sammantico, 2022)

 

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Andrea Chizzoni è un aspirante sociologo (nel tempo libero) e un magazziniere/addetto al reparto logistica part time. Nato a Catania (Sicilia) nel 1996, dopo la laurea triennale in Sociologia (2019) si approccia al mercato lavorativo (precario e sfruttato) del sud Italia. In pieno periodo pandemico (ottobre 2020) si trasferisce nella città di Bologna. Lavorando per periodi intermittenti, riesce infine ad iscriversi alla magistrale di Comunicazione Pubblica, d'Impresa e Pubblicità, laureandosi nell’Aprile 2025.

 

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