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La voce della resistenza nelle piattaforme digitali

Forme di soggettivazione fra informale, corporeità e relazione


Rider
Immagine: Lyigia Pape, Língua apunhalada, 1968

L'articolo che pubblichiamo oggi s'interroga sulle capacità di soggettivazione dei rider che lavorano a Napoli, analizzando, tramite le parole degli stessi lavoratori, le forme di resistenza, di cooperazione, di informalità che persistono nonostante la pervasività delle piattaforme digitali.


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Questo contributo si basa sui risultati empirici di una ricerca di dottorato condotta sulle capacità di soggettivazione (Deleuze, 2018) dei rider che lavorano tramite l’uso di piattaforme digitali nella città di Napoli. Attraverso l’analisi di interviste a rider e testimoni privilegiati che hanno partecipato a processi di sindacalizzazione, si intende sostenere la necessità di ri-territorializzare il concetto di algoritmo (Deleuze, 2010, 1999; Benasayag, 2019, 2019, 2020, 2008; Srnicek, 2017) e la difficoltà delle piattaforme digitali di assorbire tutto il lavoro informale, perché tale tipo di strutturazione può piegare e sfruttare la piattaforma in modi inediti, influenzando anche la percezione di una possibile sindacalizzazione. Questa, dalle impressioni di campo fornite dai testimoni privilegiati, risulta non lineare e risponde a criteri di prossimità legati al territorio.

A partire dal concetto di parrhesia, elaborato da Foucault negli ultimi corsi tenuti al Collège de France e attraverso l’interpretazione di Deleuze nel suo corso sulla soggettivazione, si intende sostenere che non tutto il parlare di fronte al potere è uguale e «per non rimanere dalla parte del potere» (Deleuze, 2018) è utile iniziare a vagliare delle ipotesi di ricerca che vadano al di là di polarizzazioni le quali, con lo specialismo linguistico, promuovono un’idea univoca di soggetto rivoluzionario, rendendo invisibili le relazioni che vanno al di là di quella stessa formalizzazione, decisive per l’assegnazione di un senso all’agire politico. Questo lavoro giunge alla formulazione dell’idea per cui, sebbene le piattaforme digitali si basino sullo sfruttamento delle facoltà di linguaggio degli esseri umani, non tutto il parlare è lavorare e non tutto ciò che viene considerato lavoro è dirimente per interpretare i processi in atto. Il lavoro nero non solo non scompare, ma si può immaginare che le pratiche informali si riproducano in maniera inedita grazie alle piattaforme digitali, proprio facendo leva sulla loro capacità di invisibilizzazione. L’esperienza dell’attivismo sul territorio partenopeo riferisce di pratiche come quella dell’affiliazione a flotte di lavoro, in alcuni necessaria per avere a disposizione fasce orarie più redditizie di altre, lasciando pensare che questa dinamica possa recuperare alcuni meccanismi tipici del caporalato. Questo punto trova esplicazione nelle parole di V. attivista nelle reti sindacali CGIL e NIDIL Napoli:

«C’erano questi gruppi che se tu ti fossi affiliato avresti avuto a disposizione più ore. L’affiliazione alla flotta avveniva per conoscenza di questa persona. Quindi non era un meccanismo riconosciuto dalla piattaforma; questo rende esente da ogni tipo, almeno formale, di responsabilità la piattaforma, perché io non è che metto, io che gestisco, cioè, diciamo, le ramificazioni territoriali o le gestioni territoriali che si vengono a creare e l’“affiliazione” avviene per prossimità, per conoscenza». È possibile immaginare che tra la gestione tradizionale dell’attività commerciale e la gestione algoritmica sia presente un ulteriore filtro umano capace di condizionare ritmi e divisione del lavoro. L’informale incide e replica problematiche che già attraversano la città: «Quindi, la questione di accondiscendenza dei gestori degli store del Mc Donald’s era relativa alla gestione della flotta. L’informale, ovviamente, aveva molte più possibilità di attecchire in una città come Napoli, assolutamente». In un contesto urbano dove si sono sviluppati fenomeni violenti quali gentrification, turistificazione e de-industrializzazione, le espressioni dell’umanità non possono essere ridotte a visioni semplicistiche tipiche della sociologia mainstream, ma vanno esperite nella loro complessità.

Le contraddizioni del tessuto economico e sociale di Napoli erano attraversate da Antonio Prisco, rider e sindacalista appartenente alle reti locali e nazionali di organi istituzionali quali CGIL e NIDIL, sezione che si occupa di lavoro atipico non rientrante nella contrattazione nazionale. La sua vita, l’attività politica e l’esperienza hanno toccato le persone che hanno avuto modo di conoscerlo e lavorare con lui, dimostrando che i meccanismi di sindacalizzazione in questa città passano attraverso legami di prossimità fisici. Le parole di V. riferiscono i punti nodali dell’attività politica di Antonio, che intercettò un bisogno collettivo con possibilità di sostanziarsi negli ambiti di un’esperienza particolare (Wright-Mills, 2018): «C’è stato un momento in cui quel gruppo di lavoratori che si era coagulato intorno ad Antonio e organizzava queste riunioni auto-convocate a Piazza Municipio, in Piazza Garibaldi, in mezzo a tutte le altre vulnerabilità, alle diaspore che attraversavano la piazza, in mezzo anche agli stessi clienti del Mc Donald’s che attendevano a Municipio, perché poi, un’altra domanda che ci si è posti è stata, no? Io devo sindacalizzare i lavoratori, è vero, ma devo anche trovare il modo, cioè un grimaldello non solo per riappropriarmi di questo meccanismo, infatti, uno dei progetti che stava germinando, soprattutto dopo la pandemia, era creare una cooperativa sociale di lavoratori». L’idea di Prisco, di creare una cooperativa sociale, nasceva dall’esigenza di fornire strumenti di consapevolezza a lavoratori e lavoratrici che si trovavano isolati e atomizzati nel tessuto urbano, facendo anche da luogo di socializzazione. Un progetto che si è fermato in maniera forzata a causa della sua morte.

Lo scivolamento verso il basso del conflitto assume una forma diversa, ma ciò non significa che il conflitto inteso in senso classico sia terminato. Foucault in Sorvegliare e punire spiega che le mentalità di potere non si alternano in maniera sequenziale all’interno dello sviluppo storico, ma procedono per accumulazione, come indica l’esperienza di P., ex rider di Deliveroo: «Io avevo lo schedule delle consegne che dovevo fare e allora lui da un lato c'aveva ragione perché l'ordine era stato fatto alle 19:30 e io sono uscito alle 21:15, ma non perché, cioè se non mi davano gli ordini io come facevo? Scendo da via Hemingway, lo busso e lui già da là, palesemente ubriaco, al citofono, inizia a insultarmi pesantemente “lota, omm’ e merd” non hai proprio idea. Ho detto, vabbè, non fa niente voglio andare a casa. Comunque, lui scende e fa “io non lo voglio più il sushi” e ho detto “per me va bene, lo lascio qua a terra all'interno, poi te lo prendi, non te lo prendi, non me ne fotte proprio”. Mi abbasso per posare la borsa, lui mi dà un pugno qua (indicando la zona occipitale sinistra, ndr). Io avevo il casco, ho avuto la freddezza di non reagire e sono andato subito».

Le categorie classiche della società della prestazione (Chicchi, Simone, 2017) non sembrano più sufficienti per comprendere le forme raggiunte dal potere algoritmico nella contemporaneità, dove, ad esempio, l’assunzione di posture orientate alla competizione presupponeva comunque una percezione dell’altro, in quanto relazioni sociali possibili all’interno di una dinamica intersoggettiva di prossimità fisica. Lo scenario nel quale ci troviamo ora ad analizzare il lavoro di piattaforma, condizionato dalla pervasività management algoritmico, sembra sviluppare una messa a valore inedita che distanzia i corpi. V. riferisce di questo fenomeno nel caso di Napoli: «All’inizio non era chiaro quali fossero i criteri che erano alla base dell’assegnazione delle ore. Accadeva che c’erano dei giorni specifici e delle ore specifiche in cui tutti si dovevano collegare per prendere delle ore, per prenotare delle ore di lavoro, a seconda delle disponibilità del lavoratore, sempre, perché si voleva corroborare il mito che tu sei libero di dire e lavorare, cioè, dire quando puoi e vuoi lavorare e, quindi, essere libero di gestirti. Durante questi slot di prenotazione, c’era una corsa che alla fine si rivelava iniqua, perché, ovviamente era tutto gestito dalla velocità, dalla virtualità, quindi, non, ecco, già in questo ti mettevano in contrapposizione e in competizione gli stessi lavoratori, no? Ma poi questo meccanismo evolveva di settimana in settimana, di mese in mese, perché ti rendi conto che potevi avere accesso a un certo ventaglio di ore».

I criteri individuati di prossimità e dell’inadeguatezza delle categorie tipiche degli studi sul neoliberismo si intrecciano profondamente nell’esperienza di soggettivazione di V. e Antonio Prisco: «Cioè, tu hai ragione Antò, (qui V. fa le veci di diversi soggetti che hanno avuto modo di relazionarsi con Prisco, ndr) siamo portatori di diritto, ci spetta questo, ovviamente lo fanno con parole che non sono parole sindacali, però si vede il germe della coscientizzazione no? Anche in riferimento a rivendicazioni sulla malattia, perché poi iniziavano ad accadere i primi episodi di incidenti, iniziano ad accadere episodi in cui ci sono persone che portano gli scooter dal meccanico, ogni mese, mese e mezzo e devono pagarsi anche con quel poco che guadagnano le riparazioni dello scooter, cosa che, ovviamente, accade meno frequentemente in città in cui ti muovi con la bici, perché i costi sono più irrisori di riparazione della bici. Accade che si inizino a fondere i telefoni, perché anche questo è un tema, cioè, io mi devo pagare il telefono di cui la batteria si brucia in meno tempo; devo pagarmi la connessione internet, perché non mi passano neanche quella; devo pagarmi il cubo, cioè il cubo, paradossalmente è un cubo che l’azienda fa pagare 60 euro a inizio “rapporto lavorativo”, cioè 60 euro per un lavoratore di Napoli non sono spiccioli, cioè ora può sembrare, nel senso, una cosa di poco conto, ma non lo era per persone che, appunto, facevano questo lavoro per sbarcare il lunario. E accade che, insieme a questo percorso di coscientizzazione che si amplia anche per passaparola, Antonio diventa il punto di riferimento, ma poi è come se tutti riconoscono che possono essere un po’ Antonio, questo sempre in virtù del fatto che Antonio resta uno di loro, secondo me. Cioè, questo, l’elemento umano è imprescindibile da questa storia di sindacalizzazione».

Ritrovare nuovi modi di incontro e scontro risulta necessario alla luce del perpetuo cambiamento in atto. Aver condiviso spazi e tempi con lavoratori e lavoratrici delle piattaforme digitali nel settore del food delivery a Napoli ha fatto luce sulla necessità di tenere presente l’influenza dei meccanismi produttivi sulle soggettività, ognuna portatrice della propria storia non sottoponibile a riduzionismi discorsivi.

 


Bibliografia

M. Benasayag, La tirannia dell’algoritmo, Vita e Pensiero, Milano 2019.

M. Benasayag, Funzionare o esistere, Vita e Pensiero, Milano 2019.

M. Benasayag, Cinque lezioni di complessità, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano 2020.

M. Benasayag, Elogio del conflitto, Feltrinelli, Milano 2008.

F. Chicchi, A. Simone, La società della prestazione, Ediesse, Roma 2017.

G. Deleuze, Il potere, Il sapere, La soggettivazione, Corso su Michel Foucault (1985-1986), Ombre Corte, Verona 2018.

G. Deleuze, Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza, Ombre Corte, Verona 2010.

G. Deleuze, Spinoza e il problema dell’espressione, Quodlibet, Macerata 1999.

E. Quadrelli, Prefazione in ma, la saittella. Strategie di sopravvivenza in territorio amico, pp. 5-15 , Magmata, Napoli 2019.

E. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano 2013.

N. Srnicek, Capitalismo digitale. Google, Facebook, Amazon e la nuova economia del web, Luiss University Press, Roma 2017.

C. Wright Mills, L’immaginazione sociologica, Il Saggiatore, Milano 2018.


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Andrea Postiglione è dottorando in Scienze e Culture dell'umano presso il Dipartimento di Studi Politici dell'Università di Salerno.

 

 

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