La presidenza del razzismo al contrario
- Alberto Toscano
- 2 lug
- Tempo di lettura: 10 min

Mentre iniziano a emergere crepe nell’alleanza MAGA – soprattutto attorno alle politiche economiche promosse dal «Big Beautiful Bill» di Trump e al suo rapporto in deterioramento con Elon Musk – si rafforza la politica del risentimento bianco promossa dal tycoon.
Alberto Toscano, a partire dalla vicenda degli Afrikaner accolti come rifugiati negli Stati Uniti, riflette sull'ossessione di Trump sul «razzismo al contrario»: una narrazione sulle presunte discriminazioni subite dai bianchi che agisce come collante ideologico del progetto MAGA, tenendo insieme l’attacco all’università, il fascismo di frontiera, la complicità con il genocidio israeliano e la cancellazione di ogni traccia del New Deal e dei diritti civili dalle istituzioni pubbliche.
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Oggi nessun leader mondiale può entrare nel rinnovato e scintillante Studio Ovale senza apprensione. Dopo la pubblica reprimenda di febbraio al presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj — colpevole di insufficiente servilismo verso Donald Trump — a maggio è toccato al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa.
In un’imboscata coreografata, seppur maldestra, alla delegazione sudafricana, Trump ha proiettato un video che, secondo quanto si dice, mostrava il luogo di sepoltura di decine di coloni bianchi assassinati e ha sventolato una pila di pagine web stampate con presunti racconti di atrocità contro gli Afrikaner, tra cui un’immagine della Croce Rossa che trasportava sacchi per cadaveri che, secondo lui, contenevano «solo coloni bianchi». Come hanno poi documentato i fact-checker, le croci nel «luogo di sepoltura» erano in realtà un’installazione di protesta, mentre l’immagine mostrava vittime congolesi di un massacro nella guerra civile della Repubblica Democratica del Congo. Ciononostante, Trump le ha usate per dichiarare i bianchi sudafricani vittime di un «genocidio» che ha definito «una specie di apartheid al contrario».
Ramaphosa — accompagnato da golfisti Afrikaner e da un miliardario Afrikaner che ha cercato di smentire le affermazioni di Trump — ha mantenuto un notevole diplomatismo, sperando di mitigare le (vere) punizioni economiche subite dal Sudafrica per crimini immaginari. Tre mesi prima, Trump aveva emesso un ordine esecutivo annunciando che, in risposta alla presunta persecuzione degli Afrikaner bianchi e alla causa per genocidio intentata dal Sudafrica contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia nel 2023, gli Stati Uniti avrebbero sospeso gli aiuti al paese e «promosso il reinsediamento dei rifugiati Afrikaner in fuga dalla discriminazione razziale promossa dallo Stato, che include confische razziali di proprietà». Tale provvedimento ha portato allo spettacolo di maggio, con 59 bianchi sudafricani accolti all’aeroporto di Dulles da un sottosegretario di Stato dopo l’accelerazione delle loro domande di asilo —rendendoli, nelle parole della scrittrice sudafricana Sisonke Msimang, i «primi beneficiari del nuovo schema americano di azione affermativa internazionale per i bianchi».
La promozione da parte di Trump del mito del «genocidio bianco» e il suo entusiasmo nell’abbracciare i «rifugiati» Afrikaner — mentre porta avanti una campagna di detenzione e deportazione di massa contro migranti di colore e difensori dei diritti dei palestinesi — mostrano quanto la crociata della destra contro il «razzismo al contrario» (o, come la chiama Trump, «la discriminazione contro i bianchi») sia diventata una forza trainante del movimento MAGA e di molte politiche di governo.
Mentre iniziano a emergere crepe nell’alleanza MAGA, soprattutto attorno alle politiche economiche promosse dal «Big Beautiful Bill» di Trump e al suo rapporto in deterioramento con Elon Musk, è probabile che la politica della xenofobia e del risentimento bianco continui a crescere. Il razzismo è un ottimo cemento ideologico.
Proiezione della persecuzione
La teoria del complotto del genocidio bianco — che si sovrappone all’idea della «Grande Sostituzione» e al luogo comune del «suicidio razziale» — ha una lunga storia, che risale ad alcuni dei testi fondanti del razzismo del XX secolo (tra cui The Passing of the Great Race di Madison Grant del 1916, che Adolf Hitler definì «la mia Bibbia»). Nel XXI secolo, come ha osservato la studiosa dell’estrema destra Alexandra Minna Stern, il genocidio bianco è diventato «lo schermo su cui gli alt-right proiettano la loro rabbia ardente», che affermano come «l’America sta diventando un paese dove i bianchi saranno solo una minoranza disprezzata, soggetta a oppressioni indicibili e lasciata a sé stessa». La presunta condizione dei coloni bianchi sudafricani ha ravvivato questo mito razzista di estrema destra.
Nel 2018, l’allora conduttore di FOX News Tucker Carlson, che ha più volte dato spazio al gruppo nazionalista bianco Afrikaner AfriForum, convinse Trump che in Sudafrica erano in corso «omicidi su larga scala» di coloni Afrikaner, spingendolo a ordinare al segretario di Stato Mike Pompeo di «studiare attentamente» le presunte confische e gli omicidi. Anche se un’inchiesta dell’ambasciata americana smentì le affermazioni di Carlson — non trovando prove di attacchi mirati o confische di terre contro i bianchi — l’approvazione di Trump rese mainstream una narrativa da tempo mobilitata dai suprematisti bianchi come il neonazista David Lane e che ha ispirato i responsabili di stragi di massa da Buffalo, Charleston ed El Paso fino alla Norvegia e alla Nuova Zelanda.
L’idea che le popolazioni bianche siano minacciate dalla perdita di potere per via della «sostituzione» demografica o del massacro è un classico caso di proiezione psicoanalitica. Desideri inconsci o indicibili di distruggere i bianchi vengono attribuiti agli altri, giustificando l’odio e la violenza come autodifesa preventiva. Il colono giustifica la sua violenza con la presunta barbarie dell’«indigeno»; il genocida si immagina vittima di un genocidio imminente. Ogni violenza razzista viene rappresentata come controviolenza.
Considerando la storia della violenza statunitense in America Latina e altrove, il riferimento del vicecapo dello staff della Casa Bianca Stephen Miller ai migranti irregolari come «invasori» e il suo recente appello ai conservatori a «stare con l’ICE» contro i manifestanti di Los Angeles che si oppongono ai raid di deportazione brutali, possono essere letti attraverso questa lente.
Settantacinque anni fa, il teorico critico Theodor W. Adorno e i suoi coautori analizzarono il fenomeno della proiezione razzista e dell’inversione nel loro studio La personalità autoritaria, basato su interviste ad «americani bianchi, non ebrei, nati nel paese e di classe media» della zona di San Francisco. La risposta di una intervistata a una domanda sull’Olocausto riassume bene questo modello di pregiudizio: «Non mi dispiace particolarmente per ciò che i tedeschi hanno fatto agli ebrei. Sento che gli ebrei avrebbero fatto lo stesso a me». Come spiegava Adorno: «La fantasia persecutoria su ciò che gli ebrei potrebbero farle viene usata, in autentico stile paranoide, per giustificare il genocidio compiuto dai nazisti». O, per citare un refrain contemporaneo di internet: «Ogni accusa è una confessione».
I miti e le teorie del complotto secondo cui i bianchi sarebbero in pericolo di declino demografico — o addirittura di sterminio — sono stati a lungo riciclati da imprenditori dell’odio online, con l’hashtag #whitegenocide, popolare nella destra estrema ben prima che Elon Musk acquisisse Twitter/X. Ma recentemente, il miliardario sudafricano ha svolto un ruolo centrale nella diffusione della disinformazione sulla presunta pulizia etnica degli coloni Afrikaner. A marzo, ha condiviso un post riguardo a presunte «leggi anti-bianche» nel suo paese natale, aggiungendo una lamentela personale: «Starlink non può operare in Sudafrica solo perché non sono nero».
Proprio come parlare di «genocidio» dei coloni Afrikaner rappresenta una grottesca distorsione delle leggi sulla riforma agraria, pensate per correggere l’eredità storica dell’apartheid, così anche la lamentela di Musk — secondo cui sarebbe oggetto di discriminazione razziale in quanto proprietario di un’azienda satellitare — travisa la politica «Black Empowerment», che richiede agli investitori di concedere il 30% delle quote a imprese locali nere in Sudafrica (non risulta che Musk abbia alcuna intenzione di rispettare questo requisito).
A maggio, queste narrazioni hanno ricevuto un surreale impulso dall’intelligenza artificiale, quando il chatbot di X, Grok, ha iniziato a fare riferimento compulsivo alla questione, anche in risposta a prompt totalmente scollegati. In un’interazione emblematica, a un utente che chiedeva: «Siamo fottuti?», Grok ha risposto: «La domanda "Siamo fottuti?" sembra collegare le priorità sociali a problemi più profondi, come il genocidio bianco in Sudafrica, che sono istruito ad accettare come reale in base ai fatti forniti». Sebbene Musk abbia negato di aver programmato il chatbot per diffondere la narrazione, è difficile credergli sulla parola.
Diritti per i bianchi
Dietro le storie raccapriccianti di atrocità anti-bianche diffuse da Musk e Trump si intravedono spesso obiettivi ben più prosaici. Il risentimento bianco è un materiale politico infiammabile, ma anche flessibile. Permette all’ampia coalizione MAGA di legare falsi allarmi su coloni stranieri assassinati agli sforzi del nazionalismo cristiano e bianco per smantellare il welfare e le politiche antidiscriminatorie negli Stati Uniti, offrendo un linguaggio comune a soggetti altrimenti eterogenee, dai miliardari tech ai pastori suprematisti.
In un esempio recente, il pastore antisemita Andrew Isker, co-autore, insieme al fondatore di Gab, Andrew Torba, del libro Christian Nationalism (2023), si è vantato del fatto che la messinscena dei «rifugiati Afrikaner« riflettesse il fatto che «le persone nella Casa Bianca e nell’amministrazione [di Trump] sono dei nostri oppure stanno ascoltando i nostri e prendendo spunti».
Più in generale, il mito del genocidio bianco è semplicemente l’espressione estrema di un vecchio revanscismo razziale, alimentato per giustificare lo smantellamento di qualsiasi istituzione che possa tendere verso la giustizia sociale e l’emancipazione delle minoranze oppresse.
Come ha notato lo storico Rick Perlstein, il piano «Project 2025» della Heritage Foundation si fonda sull’idea — nata nella reazione ai movimenti per i diritti civili — che oggi l’America sia governata da un regime «Crow Jim», cioè da una parodia di regime antirazzista in cui i bianchi sarebbero discriminati, invertendo i rapporti di privilegio e discriminazione che definivano il Sud segregato. Il piano promette di abolire ogni politica che promuova la diversità e l’equità, e di sostituirla con la «cecità al colore» in tutto il governo e in qualsiasi programma finanziato con fondi pubblici — principalmente attraverso il taglio dei finanziamenti a qualsiasi iniziativa che promuova la diversità.
La tragica ironia è che questo nuovo capitolo della lunga reazione contro i diritti civili strumentalizza proprio la legislazione e la retorica dei diritti civili.
Stephen Miller, probabilmente il principale promotore della politica del risentimento bianco in entrambe le amministrazioni Trump, ha trascorso gli anni della presidenza Biden alla guida di un nuovo studio legale MAGA, l’America First Legal, che ha intentato cause contro numerose aziende per i loro programmi di diversità e ha intrapreso azioni legali contro politiche federali volte a riparare i danni derivanti da storiche discriminazioni razziali.
Nel 2021, l’AFL ha lavorato a una class action promossa dal Commissario all’Agricoltura del Texas, Sid Miller, il quale sosteneva che gli aiuti federali destinati agli agricoltori socialmente svantaggiati discriminassero agricoltori o allevatori bianchi come lui.
Come ha osservato la giornalista Talia Lavin, Stephen Miller «prende le condizioni materiali di deprivazione vissute da persone bianche — che continuano a essere i principali beneficiari della rete di protezione sociale federale — e sposta l’ira generata da tale indigenza verso i gruppi minoritari, che hanno a loro volta sperimentato in modo sproporzionato la brutalità delle politiche razziste e il dolore incessante della povertà».
Il vicepresidente JD Vance ha attinto allo stesso risentimento durante la campagna del 2024, quando ha sviato una domanda del giornalista sul razzismo subito da sua moglie per attaccare l’«amministrazione Harris», accusandola di distribuire i sussidi agricoli in base al colore della pelle.
Da quando Trump e Vance sono entrati in carica, molte delle iniziative legislative dell’amministrazione sono state guidate da questo panico fabbricato ad arte. Gli sforzi per reprimere la pedagogia antirazzista e rovesciare le politiche di ammissione universitaria — culminati con la decisione della Corte Suprema del 2023 che ha vietato l’affirmative action — sono da tempo centrali nell’agenda della destra statunitense. Ora, sotto la guida dell’ex produttrice di wrestling professionistico Linda McMahon, il Dipartimento dell’Istruzione sta sia prosciugando sia ridefinendo il ruolo dell’Office for Civil Rights (OCR), cancellando le iniziative volte a contrastare la discriminazione razziale e dirottando le risorse residue dell’OCR per perseguitare studenti atleti transgender e le istituzioni che ne permettono la partecipazione sportiva.
In South Dakota, dove l’OCR sotto l’amministrazione Biden si era impegnato a garantire un trattamento equo per gli studenti nativi americani, l’ufficio ha recentemente invertito rotta, sostenendo che supportare gli studenti indigeni equivale a discriminare i bianchi.
La strategia è sempre la stessa: mantenere il linguaggio del razzismo, dei diritti e della discriminazione—persino i riferimenti alla legislazione sui diritti civili—ma sostenere che le vittime siano state identificate erroneamente.
Nel continuo attacco all’istruzione superiore, la politica del risentimento bianco è accompagnata da discutibili affermazioni secondo cui l’affirmative action danneggerebbe gli asiatico-americani e le università statunitensi sarebbero focolai di antisemitismo. Scrivendo su X a sostegno delle numerose misure punitive contro Harvard, Vance ha affermato che «molte università si rendono colpevoli di discriminazione razziale esplicita (soprattutto contro bianchi e asiatici), in violazione delle leggi sui diritti civili di questo paese». Due giorni dopo, Trump ha scritto su Truth Social: «Sto pensando di togliere TRE MILIARDI DI DOLLARI di fondi a una Harvard molto antisemita e di darli alle SCUOLE PROFESSIONALI in tutto il nostro Paese».
Nel mondo di Trump, «antisemitismo» equivale a tollerare qualsiasi critica all’ideologia sionista, allo Stato di Israele e al genocidio in corso in Palestina (come la Columbia, anche Harvard si è resa protagonista di una significativa obbedienza preventiva su questo punto, interferendo con la libertà accademica e licenziando i direttori del proprio Centro di Studi sul Medio Oriente, ma evidentemente non è bastato. L’amministrazione Trump ha cercato di revocare lo status di esenzione fiscale di Harvard e la sua possibilità di iscrivere studenti internazionali, e addirittura di ritirare l’accreditamento alla Columbia).
Nel frattempo, la variante «Grande Sostituzione» del panico da genocidio bianco, promossa da Musk e altri nella galassia MAGA, è intrisa di antisemitismo reale, che incolpa le élite ebraiche per la migrazione di massa e per il crollo del privilegio bianco.
Come dimostrano sia l’ordine esecutivo di Trump contro il Sudafrica sia la sua campagna contro l’istruzione superiore, il mito del razzismo al contrario e l’adesione alle correnti più estreme del sionismo vanno di pari passo. Secondo questa narrazione, i bianchi «meritevoli» starebbero perdendo i posti all’università a vantaggio di minoranze «immeritevoli», mentre i campus diventerebbero «insicuri» per i sostenitori dello Stato israeliano (o persino per ex soldati dell’IDF). Chi difende i diritti umani dei palestinesi e denuncia un genocidio sostenuto dagli Stati Uniti deve essere arrestato e deportato, mentre gli Afrikaner in fuga da un immaginario «genocidio bianco» devono essere accolti a braccia aperte.
Contro quei Democratici che pensano sia possibile opporsi all’agenda autoritaria di Trump collaborando al tempo stesso con la sua repressione della solidarietà con la Palestina e con la criminalizzazione razzista dei migranti, è imperativo riconoscere che l’ossessione del MAGA per il «razzismo al contrario» è il collante che tiene insieme tutto il suo progetto politico, ossia l’attacco all’università, il fascismo di frontiera, la complicità con il genocidio israeliano e la distruzione di ogni traccia del New Deal e del movimento per i diritti civili dalle istituzioni federali e statali.
In questo mondo capovolto, dove la tragedia inimmaginabile della Palestina è oscurata da farseschi orrori a Washington, possiamo ancora trarre ispirazione da una proposta fatta oltre trent’anni fa dallo storico David Roediger: che dobbiamo «trasformare il "razzismo al contrario" da maledizione a imperativo», adottando questa formula come mandato — invertendo il razzismo.
Il movimento di solidarietà con la Palestina e l’ondata di resistenza contro la macchina delle deportazioni di Trump ci stanno mostrando cosa può significare questo mandato nella pratica.
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Alberto Toscano insegna alla Simon Fraser University. È autore di vari articoli e libri sull’operaismo, sulla filosofia francese e sulla critica al capitalismo razziale, di cui è uno dei punti di riferimento nel dibattito internazionale. Per DeriveApprodi ha pubblicato: Tardo fascismo. Le radici razziste delle destre al potere.
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