Bandiere rosse su Marte? Sul recente ammartaggio cinese pubblichiamo questo testo di Cobol Pongide, autore di Marte oltre Marte. L’era del capitalismo multiplanetario, DeriveApprodi 2019.
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Più spazio per tutti
La missione Tianwen-1 è il secondo tentativo (il primo non era riuscito) di ammartaggio da parte cinese. Il tutto avviene in tono minore se paragonato al clamore della missione Nasa Mars 2020, che oltre a introdurre decisive innovazioni tecniche esplorative, come nel caso dell’elicottero Ingenuity, inaugura un impianto comunicativo capillare senza precedenti nella storia delle esplorazioni spaziali. Per la prima volta, conosciamo i nomi, i volti di responsabili, ingegneri, addetti alla comunicazione appartenenti allo staff Nasa-Jpl che accolgono gli spettatori delle dirette streaming come in una grande famiglia in festa, ampiamente slegata dai protocolli scientifici in cui eravamo abituati a intravedere, sullo sfondo, gli scienziati spaziali in camice bianco o in camicetta a maniche corte, cravatta e occhiali a montatura spessa.
Entrambi gli eventi avvengono nel pieno svolgimento delle fasi preliminari della terza era spaziale, quella dominata da un rinnovato interesse per lo spazio ultraorbitale e dalla centralità dell’imprenditoria privata nello sviluppo indipendente di tecnologia e di visioni prospettiche per il futuro degli esseri umani nello spazio.
In questo contesto, molti sono gli attori internazionali che permangono in una fase di tradizionale ideazione e progettazione delle missioni a opera delle agenzie spaziali nazionali. Tuttavia, quest’ultime, assumono il timing da quell’insieme di imprese che nel complesso formano il cosiddetto NewSpace indiscutibilmente capitanato dall’imprenditore Elon Musk (SpaceX) e dal suo stile discinto (ispiratore anche della nuova veste della Nasa-JPL, incentrata sulle magliettine polo) che nonostante eccessi personali e iniziale sfiducia da parte dell’establishment scientifico del Vecchio continente, si è aggiudicato, grazie alle sue innovazioni nel campo dei vettori, l’esclusiva per lo sviluppo della futura tecnologia dei lanci Nasa.
L’industria privata statunitense (Musk è sudafricano naturalizzato statunitense) ha assestato anche un colpo fatale all’agenzia spaziale Russa, per molti anni rimasta la più competitiva (anche se già completamente narcotizzata circa obiettivi più ambiziosi) per i lanci verso la stazione orbitante ISS, e ora resa obsoleta dallo SN15 di Musk.
Accantonata velocemente anche l’idea di un ulteriore sviluppo della ISS, ogni Stato (o polarizzazione di Stati) ragiona oggi su un proprio programma spaziale in concorrenza con quello di tutti gli altri, che lo riporti, o lo porti per la prima volta, preliminarmente sul suolo lunare. Ma stavolta non si tratterà di una toccata e fuga come negli anni Settanta; questa volta il suolo lunare è l’obiettivo delle aziende private per cui gli Stati stanno vergando legislazioni ad hoc, e che sfrutteranno per ricavare risorse, nonché per intraprendere la vera e propria esplorazione del sistema solare esterno con equipaggi umani: dapprima intaccando le risorse offerte dagli asteroidi Neo (Near Earth Object), per poi accedere definitivamente al suolo marziano ove installare colonie più o meno stabili.
Come ha recentemente affermato Samantha Cristoforetti, elevata a paladina nazionale nell’epoca dello star system spaziale, con il NewSpace (con il suo approccio informale e con le innovazioni tecnologiche, prima tra tutte quella del riuso dei lanciatori sempre a opera della SpaceX) l’era spaziale entra oggi nella sua fase di normalizzazione.
Affermazione interessante, in effetti, che sembra ricalcare quella bipartizione elaborata nel campo della sociologia di matrice costruttivista dedicata all’indagine sull’evoluzione sociale delle tecnologie: SCOTT. Come per ogni innovazione tecnologica si assiste, inizialmente, a una fase di flessibilità interpretativa dell’era spaziale dominata dalla pura sperimentazione, spesso priva di un vero e proprio ampio respiro, e di una destinazione d’uso definitiva. Successivamente subentra la fase di stabilizzazione dei fini, l’oggi, in cui diviene chiaro, qualora ci fossero stati dei dubbi, che a prendere in carico la gestione dello spazio extraatomosferico sarà il neoliberismo capitalista e le sue priorità di accumulazione.
Res cogitans e res extensa
Restano tuttavia aperte alcune opzioni di cui una costituita proprio dalla Cina.
A ben vedere la supremazia statunitense in campo spaziale, a partire dalla fine degli anni Sessanta, non è durata moltissimo. Già con i tardi anni Ottanta tutta l’iniziale spinta verso l’ultraterreno aveva subito un drastico ridimensionamento entro le missioni di routine dello Shuttle, poco fuori l’esosfera. Caratteristiche di questo periodo: un’elaborazione a bassa intensità da parte della Nasa (concentrata su piccole missioni a carattere scientifico e gestione delle prime stazioni orbitanti) e una netta distinzione tra l’esplorazione conoscitiva (di matrice astrofisica) e le possibili ricadute commerciali di tali sforzi. Quest’ultimo aspetto riguardava esclusivamente il riuso della tecnologia spaziale nella vita quotidiana tramite processi di spin-off aerospaziale.
Lo spin-off è un processo sotterraneo che per lo più interviene al fine di giustificare i capitali investiti in ricerche che appaiono incomprensibili al contribuente non specializzato. Dal Duemila il peso dello spin-off, pur permanendo, assume un ruolo meno rilevante, dato che a esso si sostituisce la visione dello spazio extraatmosferico come nuovo West: nuova prateria suscettibile di conquista e foriera di territori incontaminati. Tutti gli sforzi dell’amministrazione statunitense, soprattutto l’elaborazione di specifica giurisprudenza, si concentrano nel mettere a fuoco, nell’implementare, questa nuova prospettiva che tra l’altro serpeggia, in forma dapprima più controculturale e poi sempre più esplicita, già nell'Alt.Right a stelle e strisce dei tardi anni Novanta.
Oggi che gli obiettivi Nasa e NewSpace sono tornati a primeggiare in termini di ambizione celeste, la modalità con cui le missioni più speculative (trovare tracce di vita passata su Marte, ad esempio) sono impostate, implicano sempre un costante riferimento all’eventualità che si tratti di accrescere consapevolezza non solo imparzialmente scientifica, ma anche di creare le precondizioni per lo sfruttamento dei territori in termini economici. A questo proposito, Musk parla di Marte come di un’eccellente opportunità in termini imprenditoriali.
In sostanza però il NewSpace statunitense ancora non è implicato nelle missioni esplorativo/scientifiche, il che continua a caratterizzare l’approccio occidentale per un dualismo tra conoscenza e affari che si sanerà solo al momento opportuno: quando (e non se) i primi risultati analitici comproveranno le fattibilità e le opportunità economiche che tutti stanno aspettando.
Geopolitica multiplanetaria
In questo contesto a noi fin troppo noto, s’inserisce il programma spaziale cinese le cui finalità ultime intuibili restano comunque ufficialmente opache e non completamente accessibili, al di là delle dichiarazioni generiche circa i prossimi step: il ritorno sul suolo lunare con una missione automatica capace di prelevare rocce e, più tardi, per la costruzione di un habitat che ospiterà i primi taikonauti residenti sul nostro satellite naturale.
Intanto, nel 2018 il rover Yutu-2 ha violato, primo tra tutti, il lato oscuro della Luna grazie alla sonda Chang’e 4. Subito dopo la scoperta di una sostanza anomala rinvenuta sul suolo di cui si è dato conto qualche mese dopo, il robot ha continuato a lavorare all’analisi di un quadrante tradizionalmente ritenuto poco interessante e troppo impegnativo dall’esplorazione di parte occidentale. Questo fatto lascia presagire, come al solito, che i fini non siano troppo dissimili da quelli di coloro che hanno maturato più esperienza nei viaggi spaziali, ma perseguiti attraverso una strategia sostanzialmente divergente da quelle adottate fin qui dagli occidentali.
Per tutta risposta, gli Stati Uniti hanno metabolizzato il primato cinese sceneggiando (in una serie) la vicenda ucronica dell’allunaggio in un 1969 alternativo, in cui a giungere per primi sulla Luna furono i sovietici: For all mankind (2019).
Ma al di là delle risposte emozionali e dei fantasmi semiotici collettivi, due questioni si profilano immediatamente con l’entrata in scena della Cina nella nuova corsa allo spazio.
Per prima cosa quel dualismo tra scienza e imprenditoria che come ho detto caratterizza ancora l’approccio occidentale, sembra non riguardare la strategia cinese, che riesce a coordinare sincronicamente le due esigenze sotto un’unica regia di Stato. Lo straordinario recupero del ritardo in campo spaziale è la prova di quanto, ovviamente, questa modalità paghi e ripaghi gli sforzi consentendo di raggiungere obiettivi su una scala ormai di poco inferiore a quella della Nasa-Jpl.
L’ammartaggio cinese, inoltre, posiziona concretamente un altro paio d’occhi sul pianeta rosso, al momento mappato al livello del suolo, solo dai robot della Nasa, seguendo strategie e obiettivi unilaterali.
Il secondo aspetto rilevante è quello giocato sul cosiddetto scacchiere internazionale e sugli equilibri geopolitici. Lo strapotere del NewSpace statunitense (che dall’anno Duemila a oggi ha condizionato i tempi di questa rinascita spaziale) deve di necessità misurarsi con un altro grande polo catalizzatore che sta ridefinendo, per ora solo in campo spaziale, alleanze e tattiche comuni. L’avvicinamento della Russia alla Cina e di queste ai contributi europei di Francia, Svezia e Italia, ha creato un’anomala polarizzazione in campo di cooperazione spaziale tra Ucraina e Canada, segnando inoltre la definitiva cesura nella collaborazione tra Russia e Stati Uniti. Gli europei rimangono al momento a cavallo tra i due poli in quel punto lagrangiano posto tra il progetto Artemis (Nasa) e la pianificazione dell’agenzia spaziale cinese, almeno sulla carta, più predisposta ad alleanze estese. Non è ancora chiaro se l’Europa dovrà, prima o poi, giurare fedeltà a uno dei due poli escludendo quello nemico. Di fatto, è il ruolo stesso dell’Esa (Agenzia spaziale europea) a essere completamente ridefinito; da una cauta politica orbitale guidata dalle priorità delle comunicazioni e dai rilevamenti satellitari, si sta faticosamente ma necessariamente transitando all’acquisizione di un ruolo anche nei progetti verso lo spazio esterno ritenuti, all’epoca della nascita del NewSpace, poco più che bravate elettorali di presidenze statunitensi in affanno.
Quindi, un nuovo assetto di pesi e alleanze mondiali potrebbe consolidarsi proprio a partire dal nascente settore della Space economy: non più nelle mani di un solo protagonista, ma in uno scenario che nuovamente dall’esplorazione transiterà la dimensione extraatmosferica in una più belligerante atmosfera da conquista dello spazio.
Ammonizioni
A poche ore dall’ammartaggio cinese (15 maggio 2021) l’ex presidente degli Stati uniti Barack Obama (17 maggio 2021) torna sul tema degli oggetti volanti non-identificati affermando trattarsi di un fenomeno reale: di qualcosa che da anni le amministrazioni civili e militari statunitensi tentano, senza riuscirci, di spiegarsi. L’affermazione è tardiva, perché preceduta nei mesi passati da altri illustri esponenti dell’intelligence e dell’aeronautica. Tardiva quindi, ma anche scontata aggiungerei; tuttavia perfetta nel tempismo.
Bisogna tornare almeno in parte all’idea dell’astrofisico Jacques Vallée dell’Ufo come fenomeno compensativo, capace di assorbire tensioni e di produrre risposte come quelle immaginate dallo scrittore William Gibson nel suo Il continuum di Gernsback (1981): fantasmi semiotici.
Con buona pace dei neoinquisitori del Cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) l’Ufo assurge, nell’epoca della conquista dello spazio, al ruolo di contropeso, dell’ineffabile, laddove il rischio è quello di affidarsi fin troppo docilmente alle certezze neoliberiste.
Ben vengano allora! Tanto più ci allontaneremo nello spazio oltre la biosfera, tanto più riceveremo visite ammonitrici.
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