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La favola dei tamburi (Ode to Elvin)


Immagine di tamburo battente

Un racconto di Adelino Zanini, «La favola dei tamburi»: «Noi siamo liberi e improvvisiamo come meglio ci pare. Però, pensate a come diversi suoni possano stare insieme... Il leone ruggisce, io rispondo con il mio barrito, la colomba tuba e poi ancora la leonessa, la zanzara, molti cavalli e cavalle...».


* * *


Una notte di luna piena, molti animali della foresta e della savana si riunirono attorno a un grande fuoco, innescato da un fulmine caduto nel corso di un tremendo temporale. Erano migliaia ed erano in ordine di altezza, così che tutti potessero vedere e sentire. Non mancavano neppure le zanzare, sempre in volo, perché temevano di essere accidentalmente schiacciate.

Al centro vi era il re degli animali, un leone grande e possente, anche se piccino se confrontato a un enorme nonno elefante, con grandi zanne, incredibilmente preservate, e svolazzanti orecchie. Ai suoi piedi, vi era una piccola pitonessa, timorosa di essere schiacciata. Per farsi notare cercava di stringere la zampona del nonno elefante. Accortosene, la raccolse con la proboscide e se la mise al collo, come un’amichevole e curiosa collana.

Si sa, un re è un re, non può temere un suddito, eppure anche il leone era riverente nei confronti del nonno elefante. Il quale volle narrare una storia molto curiosa, raccontatami dal vento, una notte d’estate. Eccola.


Dovete sapere che molti anni fa, quand’ero ancora giovane e molto forte, fui fatto prigioniero. Era un mattino luminoso, stavo vagando con molti miei fratelli e sorelle, quando spuntarono molti uomini, molti con la pelle scura, pochi con la pelle chiara, ma erano i più cattivi e sedevano su mostri metallici, sui quali mi caricarono dopo avermi proditoriamente addormentato. Mi svegliai e ... mi ritrovai in un luogo senza sole e senza terra, né piante, né uccelli in cielo. Non pioveva, né annottava, c’era sempre una luce pallida e triste. E la mia pancia era vuota e dentro di essa tutto fluttuava: lo stomaco sussultava, così che il cuore mi saliva in bocca. Insomma, nulla era fermo. Era come se stessi ondeggiando su di una superficie galleggiante. E infatti, quando fu il momento di uscire vidi che mi lasciavo alle spalle molta acqua: tanta tanta, però, non avevo mai visto una tale distesa azzurra. Mi dissero poi che si chiamava mare e che avevo viaggiato su una cosa grande grande che si chiamava nave.


La piccola pitonessa stava scivolando, perché si era addormentata. Così una giraffa dal collo lunghissimo, col suo muso, la risistemò. Molte iene erano rumorose, perciò il leone ruggì. Si zittirono all’istante e il nonno elefante poté riprendere a narrare.


– Ero incatenato e, improvvisamente, sentii uno scoppio, un sibilo, un piccolo dolore e un grande sonno. Mi risvegliai in un posto molto strano, tra altri animali spauriti, sotto un cielo ancor più strano, sempre scuro e triste. Vi era un uomo con un grande bastone: urlava e batteva. Voleva comunicare con noi? Lo capii dopo molti giorni: se volevo mangiare, dovevo farmi mettere addosso strani panni, fare dei girotondi, sedermi e alzarmi, spingere una cosa chiamata grande palla. Gli umani si divertivano così. Ciò che più mi infastidiva era il dover prendere in groppa piccole scimmie molto dispettose ...


Si sentì ridere tra le foglie di un grande albero, ma il muoversi lesto di un gattopardo bastò per ottenere un improvviso silenzio. E il grosso elefante riprese la sua storia.


– Insomma, eravamo in un circo, si chiamava così: vi erano strani individui e molti animali. Ogni tanto, si accendevano piccole stelle luminose in cielo, un cielo molto piccolo e strano, incolore, in cui si muovevano, timorosi, uomini e donne che pretendevano di saltare come scimmie ...


– Nonno, ti trattarono male –, chiese un’elegante e giovane leonessa?


– Spesso –, rispose il nonno.


– Non è che fossero tutti cattivi, però era una vita noiosissima e non ero libero.


– Che significa essere libero? –, chiese una zanzara, coraggiosamente planata tra la peluria di un bufalo.


– Significa poter vivere come vivi tu – rispose l’elefante –, poter mangiare, bere, dormire, amare come meglio ti pare. Io non potevo. Ero prigioniero e avevo molti padroni. Finché, una notte ...


– Nonno, già sappiamo come ti sei liberato –, dissero in coro molte cornacchie.


Il leone lo guardò, come a dire: – Mica posso mangiarmele tutte ... lascia che dicano!


Fu però un grosso e molto rispettato ippopotamo a chiedere: – Nessun bel ricordo?


E il nonno riprese: – Bello bello, proprio no; però mi piaceva la musica.


Ci fu un gran silenzio e poi: – Che cos’è? –, chiesero in coro tutti gli animali.


L’elefante non sapeva come fare a spiegarsi, sino a che gli venne un’idea: emise un tremendo barrito. Tutti si spaventarono, lui sorrise (anche gli animali ne sono capaci) e disse:


– Ecco, questo è un suono, a volte gli umani lo chiamano musica. Ognuno di voi è a suo modo capace di emetterne uno ...


Tutti si guardarono e poi, improvvisamente ... il leone ruggì, la zanzara frinì, il cavallo nitrì, ecc. ecc.


– Così? –, si chiesero un po’ tutti.


Certo –, disse il vecchio elefante.


– Però, bisognerebbe che ognuno di noi ascoltasse gli altri, così da creare una … armonia ...


– Ma forse questo è umano, troppo umano! –, aggiunse.


– Noi siamo liberi e improvvisiamo come meglio ci pare. Però, pensate a come diversi suoni possano stare insieme... Il leone ruggisce, io rispondo con il mio barrito, la colomba tuba e poi ancora la leonessa, la zanzara, molti cavalli e cavalle...


– E c’era un suono che ti piaceva di più? –, chiese una timida ma elegantissima gazzella.


Il nonno elefante non ebbe dubbi.


– Sì, era quello che più mi ricordava questa nostra terra: il tuono, il vento, la pioggia, la tempesta di sabbia … Era prodotto da una cosa strana, che chiamavano batteria e si suonava con due piccoli bastoni, ma anche con altri battenti, molto più strani. Quasi sempre, la suonavano uomini scuri di pelle, come quelli che vivono qui da noi.


– Il suono era sempre lo stesso? –, chiese il re.


E il nonno:


– No. Cambiava, e anche coloro che lo producevano, i … batteristi. Mi piacevano tantissimo Max, Elvin, Tony, Jack, ma anche tanti tanti altri.


– Non c’era proprio un tuo preferito? –, chiese un passero posato sulla proboscide del nonno, ma lontano dalla piccola pitonessa, che avrebbe voluto giocare con lui.


Il nonno elefante diventò pensoso. Non avrebbe voluto rispondere, proprio no, ma non era in grado di dire perché. Del resto, tutti lo avevano deliziato con la loro grande bravura: perché avrebbe dovuto preferire Max a Tony, o Jack a Elvin? E poi, Paul, Philly Joe, Billy ...


Ma il passero insistette e con lui, via via, un po’ tutti, mentre il tuono si allontanava e il fuoco svaniva. Così, il nonno elefante fu costretto a tentare una risposta, che avrebbe voluto fosse evasiva. Invece, gli scappò un ...


– Beh, sì –, pentendosene subito dopo, – ma non perché fosse più bravo degli altri ... –, aggiunse, nel tentativo, un po’ goffo, di rimediare, con molta sincerità, ma con scarsa disinvoltura, mentre lo sguardo si volgeva verso il cielo di nuovo stellato, quasi a implorare comprensione.


– Chi era, chi era??? –, in coro, le solite cornacchie, ma anche le zebre, i conigli della savana e persino una giovane tigre, che era lì in vacanza, ospite della leonessa e del leone.


L’elefante, messo alle strette, dovette trovare una soluzione, perché il «sì» gli era proprio sfuggito ... e non voleva veder sminuito il suo grandissimo amore per tutti gli altri amici batteristi. Perciò, all’improvviso, si schiarì il barrito e cercò una via d’uscita.


– Posso dire solo questo. Quando ascoltavo Tony, mi venivano in mente alcuni suoi vecchi amici: Roy, Louis (Hayes) ...; Roy era un amicone anche di Jack... Invece, Max e Elvin ... beh, sembrava non avessero mai avuto amici più vecchi di loro. Non avevo mai sentito nessuno suonare come loro prima ..., capite la differenza?


– Poverini –, disse la piccola pitonessa di nuovo mezza addormentata.


– Però non sembravano affatto tristi –, proseguì il vecchio elefante.


– Anzi. Elvin, poi, aveva un sorriso senza eguali ...


– Ed è per questo che era il tuo preferito ... Vero? – frinì furbescamente una zanzara.


L’elefante provò tanto imbarazzo (anche gli animali ne provano), non voleva proprio mancare di rispetto a coloro che molto lo avevano consolato nelle serate più tediose. Dunque, tacque.


Abbassò la sua grande testa, con molta compostezza (anche gli animali sanno essere discreti), e gli spuntò una lacrimona – come ai vecchi a volte succede –, che cadde sulla testa di una gatta, la quale emise un miaooo e si dileguò, ma non troppo lontano, per non perdere la risposta.

Poi, l’elefante, quasi per chiedere aiuto, guardò un’elefantessa, anch’essa molto avanti negli anni, sua compagna di vita e di avventura. Alzarono lo sguardo in cielo e videro, vicine e splendenti, quattro stelle mai viste prima in quella posizione, e molte altre attorno, dietro, più lontane, ma non meno luminose: sembrò loro di vedere in esse i loro cari vecchi amici batteristi. Erano molti, moltissimi. E la nonna elefantessa disse:


– Alzate la testa e guardate: questa sera, ci sono in cielo quattro stelle mai viste prima così vicine: sembrano voler abbracciarsi. Sono molto diverse, ma chi saprebbe dire qual è la più splendente? Sono semplicemente differenti tra loro.


Tutti tacquero. E l’elefante:


– Così erano i nostri quattro amici. E noi li ricordiamo così, come fratelli.


Ci fu un lungo silenzio, interrotto solo da un impertinente cucciolo di rinoceronte, che chiese:


– E Roy, Louis, Paul, Philly ...?


– Ora basta –, decretò una leonessa che aveva colto l’imbarazzo creatosi. E il suo ruggito gentile ma fermo obbligò tutti a ritirarsi, in ordine, senza calpestarsi a vicenda. Solo il nonno elefante pensava ancora al suo amico: a Elvin, certo, ma anche ai suoi compagni.

Perché, non lo aveva detto, ma Elvin doveva molto a tre amici davvero speciali, che producevano altri tipi di suono. Uno di loro barriva quasi meglio di un’elefantessa innamorata. Ed era incontenibile e instancabile, davvero! Ma sapeva essere anche dolcissimo, con una voce vellutata.

Si chiamava John, ma tutti lo chiamavano Trane.


***

Adelino Zanini insegna Storia del pensiero economico presso l’università di Ancona. Tra i suoi lavori più recenti ricordiamo: Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti (1933-1973) (Il Mulino, 2022); Principi e forme delle scienze sociali. Cinque studi su Schumpeter (Il Mulino, 2013).


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