Maurizio Cannavacciuolo, It Will Be, 2019, smalto ad acqua e smalto sintetico su parete, dimensione ambiente. Foto di Antonio Maniscalco
Nel futuro prossimo rischia di palesarsi in modo dirompente un problema troppo sottaciuto dalla politica e dalle istituzioni: quello degli sfratti. L’Italia è considerata un paese di proprietari di case e si relega la questione dell’affitto a un problema marginale. D’altronde nelle ultime settimane abbiamo letto diverse affermazioni riguardo il blocco degli sfratti, ritenuto dannoso per le famiglie di locatori già colpite dalla crisi causata dalla pandemia globale[1]. Una sfacciata stortura ideologica di chi ha interesse a difendere la rendita dei grandi proprietari.
Dal motto di democristiana memoria «non tutti proletari ma tutti proprietari», le politiche abitative italiane sono state incentrate su sgravi fiscali e accesso al credito, piuttosto che su investimenti in edilizia pubblica, la quale invece è stata progressivamente svenduta. La liberalizzazione del mercato della locazione e della compravendita ha dato un colpo definitivo alla questione abitativa. In Italia la situazione non è ancora collassata del tutto grazie ai risparmi e alle risorse materiali e monetarie trasferite dalle famiglie di origine, motivo per il quale episodi di sfratto, pignoramento e povertà abitativa non sono stati così capillari come in Spagna o in Grecia. Ciononostante, alcuni processi stanno cambiando.
Se si osservano i dati con una prospettiva longitudinale di breve periodo, dal 2004 a 2019, notiamo che è aumentata di sette punti percentuali la quota di affittuari che paga il canone di mercato e, contemporaneamente, è diminuita la percentuale di coloro che pagano un canone sociale o gratuito, passando dal 15,3% all’8,7%[2]. Inoltre è diminuita la percentuale di famiglie italiane che vivono in una casa di proprietà ed è aumentata la quota di nuclei che si rivolgono al mercato degli affitti. Nel 2004 le famiglie in case di proprietà erano l’81,6% e quelle in affitto erano il 18,4%; nel 2019 i nuclei in proprietà diminuiscono al 78,8% e quelli in affitto aumentano fino a raggiungere il 21,2% delle famiglie residenti[3]. Se si zooma ulteriormente questo dato, notiamo che ci sono più famiglie indebitate con le banche. Infatti i proprietari con mutuo sono aumentati di cinque punti percentuali e quelli senza mutuo sono diminuiti di oltre cinque punti; nello specifico 3,6 milioni di famiglie (pari al 19,2 %), pagano la rata del mutuo per la prima casa, che mediamente si assesta a quasi 600 euro mensili. Infatti, come ci spiegano Filandri, Olagnero e Semi (2020) non c’è un’equazione lineare tra essere proprietari ed essere esenti da vulnerabilità economica e disagio abitativo. Per esempio, circa il 28% di famiglie proprietarie si trova in una situazione di sovraffollamento poiché costretta ad acquistare una casa più piccola rispetto alle esigenze famigliari.
L’accesso alla casa sta diventando un bene di lusso, dal quale una fascia di popolazione è esclusa. La classe sociale di appartenenza sembra contare sempre di più, soprattutto fra i precari, poiché riescono ad ottenere un credito per l’acquisto della prima casa solo coloro che hanno una famiglia con affidabilità creditizia che può garantire. Incrociando queste informazioni coi redditi, ci accorgiamo che non è affatto vero che «siamo tutti sulla stessa barca»: chi ha più difficoltà economiche paga maggiormente lo scotto di questa crisi abitativa. I nuovi affittuari si collocano tra i redditi più bassi; dal 2004 al 2019, la quota di famiglie che si trova nelle fasce più basse di reddito e che vive in abitazioni di proprietà è diminuita, viceversa il numero di persone più povere che si trova in affitto ha superato il 40%[4]. La situazione delle famiglie in affitto è afflitta ulteriormente dal sovraccarico dei costi, che gravano di venti punti percentuali in più sul reddito dei nuclei in locazione. Negli ultimi quindici anni, le richieste di esecuzione di rilascio degli immobili abitativi sono aumentati del 230%, i provvedimenti emessi per impossibilità a pagare l’affitto (ovvero per morosità) sono aumentati di oltre il cento per cento, il numero di sfrattati eseguiti ha subito un incremento del 21,5%. Uno sfratto ogni 530 famiglie residenti secondo l’ultimo dato a disposizione pre-crisi Covid[5].
Con il peggioramento delle condizioni economiche causate dalla pandemia, la questione abitativa potrebbe aggravarsi ulteriormente. Per ora, il governo ha cercato di attutire l’urto sospendendo gli sfratti fino a giugno 2021. Ma quali sono le altre possibili risposte a questa situazione? Cosa succederà quando questo blocco momentaneo sarà terminato?
Per fornire soluzioni dovremmo prima di tutto analizzare meglio il variegato mondo dei proprietari di casa. È necessario distinguere tra grandi, medi e piccoli proprietari, cioè tra chi possiede un grande patrimonio immobiliare e ci specula, chi ha un’abitazione in più con cui arrotonda il proprio reddito e chi ha ritenuto più conveniente comprarsi una casa piuttosto che pagare un affitto. Tra questi ultimi dovremmo differenziare tra chi ha chiesto un credito ad una banca e chi ha usufruito delle risorse materiali o monetarie trasferite dalla famiglia di origine e non ha contratto alcun debito. Come evidenzia Marco Peverini (2020), in Italia non riusciamo a reperire né il numero di case che possiede ogni persona né a individuare l’uso dell’80% degli oltre 7,3 milioni di immobili di proprietà di persone non fisiche (imprese, fondi, enti pubblici, religiosi o privati). Inoltre non è possibile distinguere tra «grandi proprietari», che da un punto di vista legale sono coloro che possiedono più di cento alloggi, e i «medio proprietari». Dai dati pubblicati dall’Agenzia delle Entrate (riferiti al 2016), riguardo i proprietari (persone fisiche) circa il 23% ha un reddito non superiore a 10.000 euro, quasi il 45% ha un reddito compreso nella fascia 10-26 mila, circa il 26% nella fascia 26-55 mila e solo il 6% dei contribuenti dichiara un reddito superiore a 55 mila euro[6]. Sarebbe utile conoscere la quota di valore immobiliare di ciascun proprietario e la rendita che frutta (ad esempio capire se l’1% dei grandissimi proprietari possiede la maggior parte della rendita immobiliare nazionale) per poter strutturare adeguatamente delle politiche abitative che rispondano alle crescenti disuguaglianze del nostro paese.
Per quanto riguarda invece il disagio più grave, quello che porta allo sfratto, è difficile pensare a politiche abitative che prescindano da azioni di solidarietà. Durante il primo lockdown, milioni di famiglie non hanno potuto lavorare e le misure di sostegno al reddito (per le categorie sociali e lavorative che ne hanno usufruito) non sono state tempestive. Molte persone hanno avuto difficoltà a pagare il canone di locazione e per questo in tanti territori si sono costituite reti di realtà politiche che hanno riproposto con forza un’iniziativa collettiva dal basso che da anni era scomparsa dai repertori dei movimenti: lo sciopero degli affitti. Alla base di questa iniziativa c’è l’idea che piccolo inquilino e piccolo proprietario possano trovare un accordo solidale per la riduzione del canone mensile; le esperienze sono state molteplici su tutto il territorio nazionale[7].
Il governo a fine aprile ha aperto le graduatorie per erogare i contributi per il sostegno all’affitto degli inquilini morosi incolpevoli, destinando in modo indiscriminato queste risorse scarse anche ai grandi proprietari, che sicuramente non necessitano di aiuti economici.
D’altronde esempio di politiche che rompano con le linee ideologiche attuate finora esistono, non solo dal basso. Un esempio positivo è quello della Catalogna che, a settembre del 2020, ha approvato una legge che regola gli affitti. Come racconta Stefano Portelli (2020), è la prima volta che si applica una legge sul rent control nell’Europa del Sud. Uno strumento che è l’esito di un processo di lotta contro gli sfratti portato avanti da diversi anni da comitati e sindacati di quartiere, collettivi e centri sociali, Pah (la piattaforma per le persone sotto sfratto) e il Sindacat de llogaters i llogateres(sindacato degli inquilini e delle inquiline di Barcellona che è anche il promotore della legge). Questa legge prevede che, nei Comuni con più di 20 mila abitanti, siano individuate delle «zone di tensione» in cui è riscontrabile uno di questi fenomeni: 1) aumento degli affitti oltre la media del mercato della locazione, 2) affitti che incidono più di un terzo del salario, 3) presenza di canoni di locazione che superano di tre punti percentuali l’indice dei prezzi di affitto, fissato a livello regionale. Sono gli enti locali (la Generalitat catalana e il Consiglio metropolitano di Barcellona) a definire le «zone tese» del mercato immobiliare, in cui diviene impossibile a) stipulare nuovi contratti con canone mensile che supera l’indice, b) alzare i canoni e c) rinnovare contratti che non si adeguino agli indici dei prezzi dell’affitto. Questa legge distingue anche i grandi-medi proprietari dai piccoli proprietari, i quali sono esclusi dall’applicazione delle misure legislative dal momento che dichiarano uno stipendio due volte sotto la media.
Questa rappresenta una legge innovativa e coraggiosa che potrebbe trainare le scelte politiche italiane sulla casa. Sicuramente un primo passo, anche per noi, deve essere quello di rilevare, armonizzare e diffondere i dati sulla proprietà, in modo da poter analizzare adeguatamente le differenti situazioni che si palesano. Questa conoscenza capillare ci consentirebbe di smettere di trattare le politiche abitative attraverso strumenti assistenzialistici. Avere più informazioni sulla proprietà consentirebbe di evitare l’erogazione in modo indiscriminato ai proprietari, senza considerare la situazione patrimoniale di ognuno. È necessario definire adeguatamente le politiche abitative. Da una parte, si devono stanziare fondi per la costruzione o la ristrutturazione del patrimonio pubblico edilizio che sia all’altezza delle esigenze del nostro paese e non rivesta un ruolo marginale rispetto alla spesa pubblica complessiva. Dall’altra parte, bisogna regolare il mercato degli affitti in modo da tenere conto delle necessità e delle disponibilità reddituali delle famiglie.
Queste proposte, già attuate altrove, potrebbero risolvere una situazione in esplosione. Non si potranno rimandare gli sfratti per sempre, procrastinando il problema solo temporalmente. Il meccanismo si è innescato e il tempo è poco.
Note
[1] Confedilizia, Il Governo faccia marcia indietro sul blocco degli sfratti, gennaio 2020, in https://www.confedilizia.it/confedilizia-il-governo-faccia-marcia-indietro-sul-blocco-degli-sfratti/ [2] Dati Eurostat, indagine sulle condizioni di vita Eu-Silc. [3] Dati Istat sulle famiglie e la popolazione. [4] Ibidem. [5] Dati elaborati sul database del Ministero degli Interni relativi ai provvedimenti di rilascio degli immobili residenziali presenti sul sito http://ucs.interno.gov.it. [6] Agenzia delle Entrate, 2019, Distribuzione della proprietà e del patrimonio immobiliare, in Gli immobili in Italia 2019 – Ricchezza, reddito e fiscalità immobiliare, nel sito https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/gli-immobili-in-italia-20191. [7] Cfr. https://scioperodegliaffitti.noblogs.org/.
Riferimenti bibliografici
Agenzia delle Entrate, 2019, Gli immobili in Italia 2019 – Ricchezza, reddito e fiscalità immobiliare, nel sito https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/gli-immobili-in-italia-20191.
Banca dati Eurostat, https://ec.europa.eu/eurostat/web/income-and-living-conditions/data/database.
Banca dati Istat, http://dati.istat.it/.
Filandri, M., Olagnero, M., Giovanni, S., 2020, Casa dolce casa? Italia, un paese di proprietari, Il Mulino, Bologna.
Peverini, M., 2020, Cosa sappiamo sulla proprietà residenziale in Italia?, «Lo stato della città. Monitor», n.5, pp. 61-65.
Portelli, S., 2020, Controllo degli affitti in Catalogna. Una vittoria del movimento contro gli sfratti, «Napoli Monitor», 23 settembre 2020, https://napolimonitor.it/controllo-degli-affitti-in-catalogna-una-vittoria-del-movimento-contro-gli-sfratti/.
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