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La complessità irriducibile del femminismo di Carla Lonzi


Thomas Berra
Immagine: Thomas Berra

Inserendosi nel dibattito aperto dalla ripubblicazione delle opere di Carla Lonzi, il testo discute l’ipotesi di una matrice o impronta cattolica, che attraversa l’intero corpus della sua scrittura e pratica femminista. Non un esercizio di fede ma «un’ideologia fondativa», rintracciabile anche in altri movimenti rivoluzionari del tempo, che ne segna l'irriducibilità all’idea di differenza sessuale.

 

* * *


Vorresti mettermi sul piedistallo

Vorresti tenermi sotto tutela

Mi allontano e non me lo perdoni

Non sai chi sono e ti fai mia mediatrice

Quello che ho da dire lo dico da sola

Chi ha detto che hai giovato alla mia causa?

Io ho giovato alla tua carriera

Ma il mio apparire ti ha guastato la festa

La provocazione è un gesto di attaccamento

Mi fai assistere a penose rivalse in chiave di sfida

Celebri un mito che con me è caduto

Chi ha detto che la cultura è una meta sublime?

È la meta sublime dell’autodistruzione.

 

[io dico io, 1978]

 

 

La recente ripubblicazione in Italia di Sputiamo su Hegel ha generato un susseguirsi di articoli e opinioni sull’importanza e la necessità di rileggere l’opera di Carla Lonzi, celebrata come la più importante femminista italiana, messa «su un piedistallo e presa «sotto tutela» da femministe e attiviste. Carla Lonzi torna a essere un mito, come era stato qualche anno fa, quando una serie di mostre d’arte femminista a Milano e Roma avevano assunto Lonzi come madre simbolica non solo del femminismo italiano ma dell’arte cosiddetta femminista degli anni Settanta. E questo nonostante la stessa Lonzi fosse ferma nel rifiutare anche il solo prendere in considerazione che possa esistere una forma d’arte femminista. Per capire meglio in che modo la figura di Lonzi, più che il suo pensiero, sia potuta diventare così popolare e quali siano le modalità con cui il suo pensiero abbia davvero influenzato il femminismo italiano si potrebbe iniziare dalla storia editoriale della casa editrice che sta ripubblicando i suoi testi, La Tartaruga. Questo marchio editoriale nasce negli anni Settanta come portavoce di autrici donne, con una speciale attenzione per il pensiero femminista prodotto dal gruppo veronese Diotima, animato tra le altre da Adriana Cavarero e Luisa Muraro che, con le loro pubblicazioni, hanno stabilito i principi e le caratteristiche di quello che viene comunemente chiamato femminismo della differenza sessuale. La ripubblicazione dei testi di Lonzi da parte di una casa editrice che rappresenta il femminismo della differenza sembra dunque ufficializzarne l’inclusione nel canone. La questione del ruolo di Carla Lonzi nella storia del pensiero femminista in Italia è però ben più complessa. I testi che teorizzano e mettono in pratica il modello relazionale dell’autocoscienza all’interno di un femminismo separatista anti-egalitario, si prestano a una lettura di questo tipo, soprattutto se l’idea di differenza sessuale, cioè l’idea che la donna sia diversa dall’uomo perché di sesso differente, viene equiparata al rifiuto dell’uguaglianza con l’uomo. Tuttavia, Lonzi non accenna mai nei suoi scritti al concetto di differenza né tantomeno alla differenza sessuale.

La pratica femminista proposta da Lonzi, il linguaggio e le modalità con cui comunica, lo stile e anche gli obiettivi cambiano radicalmente nell’arco temporale che va dal 1970, anno di pubblicazione del primo Manifesto di Rivolta Femminile, al 1981, quando Lonzi pubblica il suo ultimo testo: Vai pure: dialogo con Pietro Consagra. Leggere in modo selettivo alcuni testi e non altri significa manipolare il suo pensiero, soprattutto se ciò che viene lasciato da parte è una presa di posizione critica, esplicita e articolata, nei confronti proprio di quel femminismo della differenza che pretende di includerla nel proprio canone. Carla Lonzi è una figura fondativa del femminismo italiano ma lo è in tutta la sua complessità, inclusi i ripensamenti e le condanne.

 

Rivolta Femminile e Diario di una femminista

Il primo periodo femminista di Lonzi si colloca grosso modo tra l’estate 1970 e l’inverno 1972-73 quando il gruppo di Rivolta Femminile elabora, sia individualmente che collettivamente, i testi raccolti in Sputiamo su Hegel, pubblicato nel maggio 1974. Insieme a Lonzi lavorano sui testi l’artista Carla Accardi e la giornalista Elvira Banotti. In questi anni, la progressiva radicalizzazione dei temi e delle proposte elaborate in testi quali Sputiamo su Hegel (estate 1970), La donna clitoridea e la donna vaginale (1971), Sessualità femminile e aborto (1971) e Assenza della donna dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile (1971) portano il gruppo a scontri drammatici. La rottura totale col marxismo, e quindi anche col femminismo marxista, con i partiti e con l’attivismo militante si somma a un rifiuto del sesso vaginale e quindi del rischio di gravidanza, con una strategia provocatoria che porta all’estremo il dibattito sulla legalizzazione dell’aborto. Sul piano culturale, la necessità di fare «tabula rasa» della cultura (che è sempre per Lonzi cultura maschile) si accompagna al rifiuto, di nuovo, di prendere parte a qualsiasi celebrazione, privata o pubblica che sia, di espressioni artistiche prodotte da uomini. La prescrittività e il dogmatismo del pensiero lonziano sono qui presenti in tutto il loro peso politico e sociale.

Nei mesi tra gennaio a giugno del 1972, Lonzi lascia Rivolta Femminile e, poco dopo, rompe l’amicizia decennale che la legava a Carla Accardi. Inizia, in questa fase cruciale della sua vita, a tenere un diario che pubblicherà nel 1978, in un gesto radicale di «coscienza del proprio diritto a esistere nella realtà sociale per quello che si è», con l’intento di «demolire le false identità che stanno appiccicate alle donne come un sudario»[1]. Nel periodo di stesura del diario, Lonzi non pubblica e non interviene pubblicamente: è una fase di ripensamento strutturale della sua pratica femminista. La pratica dell’autocoscienza, della discussione in piccoli gruppi che porta alla presa di coscienza di sé viene messa a fuoco come pratica che necessita della scrittura autobiografica (o meglio, della scrittura «autocoscienziale») e della pubblicazione, e quindi della condivisione di sé senza mediazioni né interferenze. Nei due volumi più teorici della sua opera, È già politica (1977) e La presenza dell’uomo nel femminismo (1978), i modelli di donne e delle relazioni tra donne vengono rivelati e discussi: l’esperienza del convento di clausura, al centro Teresa di Lisieux e Teresa d’Avila, poi salotti rinascimentali, monache sconosciute e sante canonizzate, poetesse e artiste dimenticate. Questi testi sono elaborati insieme al gruppo di Rivolta Femminile, che si è ricostituito e adesso, nel suo secondo periodo femminista, è composto dalla sorella Marta Lonzi, da Anna Jaquinta e Maria Grazia Chinese. Se nel primo femminismo l’obiettivo polemico era il marxismo che permeava ogni aspetto della cultura, a partire dal 1974, l’attenzione di Lonzi si sposta sul movimento femminista.

L’accusa principale che Lonzi muove alle femministe sue contemporanee è quella di aver accolto nella loro pratica strumenti, concetti e modelli relazionali provenienti dalla psicanalisi. Condannata già in Sputiamo su Hegel, la psicanalisi, alla stregua del marxismo, è considerata un prodotto della cultura maschile, e per questo il suo impiego dentro il femminismo, anche se filtrata attraverso la mediazione critica di una femminista come Luce Irigaray, è inaccettabile. Nel diario registra la rabbia e la frustrazione per il femminismo «falsificato»:

 

Matilde torna da Parigi e porta notizie e libri. Questo femminismo, questa cultura femminile non mi interessano. I libroni della Mitchell, e gli altri, scostanti, da cui non s’intravede che ideologia e cultura, cultura e ideologia in tutte le salse! Tutto falsificato, e ora diffuso, propagandato, riposto in sacchetti verdi chic nel gusto Fiorucci con la scritta «Edition des femmes»! E da questa tragica distorsione invitano, che dico, ricattano le femministe esibendo la necessità della psicanalisi «da Freud a Lacan»! Merda, soltanto merda![2]

 

In altre pagine del diario, Lonzi condanna inequivocabilmente la «pratica dell’inconscio» di Lea Melandri. In uno scritto del 1978, Mito della proposta culturale, scrive: «Questo dirottamento dei rapporti, nei gruppi femministi, verso l’analisi del profondo o pratica dell’inconscio non mi va per diversi motivi, ma soprattutto perché si ha un bel dire che non esiste più analista né analizzata, c’è circolarità ecc. Non è vero: esiste la cultura dell’analisi»[3]

 

Ripesare la storia del femminismo italiano

Nella storia del femminismo italiano, è ampiamente diffuso il racconto di un movimento sì radicale, ma omogeneo e tutto sommato coeso, che da origini imperfette evolve e migliora in un crescendo di emancipazione. Uno degli esempi più eclatanti di questa narrazione progressista è un testo fondativo del femminismo della differenza: Non credere di avere dei diritti. La generazione della libertà femminile nell'idea e nelle vicende di un gruppo di donne, pubblicato nel 1981 dalla Libreria delle Donne di Milano. In questo testo si afferma l’idea che la pratica dell’autocoscienza sviluppata da Lonzi sia inadeguata, un modello da migliorare e superare: «II pensiero femminile si trovò dunque in questa stretta, che aveva bisogno di strumenti per mettersi in rapporto con sé e con i1 mondo ma che, volendo salvaguardare la propria autenticità, non poteva usarne nessuno salvo 1'autocoscienza. Ma per molte, si è visto, questa era diventata insoddisfacente. [...] C’erano due teorie che potevano assistere la mente femminile nel suo doppio movimento, il marxismo e la psicanalisi»[4]. La soluzione, per le autrici di questo testo, è quella di ispirarsi da vicino al gruppo francese Psychanalise et Politique fondato da Antoinette Foque, e quindi alla pratica femminista proposta da Luce Irigaray. La casa editrice Edition des femmes contro cui Lonzi si scaglia nel 1974 è fondata proprio da Foque. È dunque evidente la distanza che separa Lonzi e il femminismo della differenza sessuale.   

Alla luce di questa esplicita divergenza va ripensata l’intera storia del femminismo italiano che riacquista così, in prospettiva, la profondità storica e le sue molteplici sfaccettature, dai primi anni Settanta fino ad oggi. Carla Lonzi va pensata in questo contesto come figura allo stesso tempo coerente col suo tempo storico e specifica nei modi di declinare e ripensare le pratiche discorsive del femminismo. La sua pratica femminista è, per sua stessa ammissione, profondamente radicata nelle dinamiche oppositive proprie del marxismo, nonostante e forse proprio grazie alla critica che lei stessa ne fa, e per questo è specifica del suo tempo storico. Per Lonzi la cultura, che è poi sempre cultura maschile, fatta dagli uomini per gli uomini, è cultura in senso propriamente marxista, ed è proprio questa rigidità che le permette di essere impermeabile alle influenze della psicanalisi. Le sue famose concettualizzazioni oppositive, tra donna clitoridea e donna vaginale, artista e spettatore, istituzione e interlocuzione risentono tutte e sono tutte radicate in una visione marxista della realtà. Scrive Lonzi con grande lucidità nel febbraio 1974: «Dopo avere tanto tentato di sganciarmi il marxismo di dosso, l’ho mantenuto in pieno: l’idea di identificare il valore con una categoria di oppressi è marxista. Quando dicevamo “le donne, le donne...” eravamo marxiste, appunto. Non credo più a una classe di persone indipendentemente dalla coscienza individuale. Non rivoluziona un bel niente»[5].

Una lettura critica e attenta dei testi di Lonzi conferma come non si possa pensare la storia del femminismo italiano come un movimento di conquiste progressive, né tantomeno un movimento nel quale il femminismo della differenza sessuale ha sempre avuto una posizione centrale, sia essa politica, militante o teorica. L’apparente prominenza di questo tipo di femminismo nasce anche da una dinamica di appropriazione culturale di ritorno che imita e riproduce l’interesse proveniente da altre tradizioni culturali, come quella dell’accademia americana (si pensi per esempio alla popolarità di Gramsci o Agamben). Pensatrici come Cavarero, de Lauretis e Muraro sono molto conosciute negli Stati Uniti, dove alcune di loro lavorano da anni, e la loro popolarità ha contributo a creare una narrativa di corrispondenza tra femminismo della differenza e femminismo italiano anche in Italia.

La ripubblicazione delle opere di Carla Lonzi deve essere allora un’occasione per avversare questa corrispondenza e non per affermarla, per rivendicare la complessità degli studi di genere in Italia, che sono fatti di storie divergenti e radicali ormai dimenticate, come quella per esempio del femminismo marxista militante di Lotta Femminista, o quella ancora più misconosciuta del pensiero oggi definito queer.

 

La matrice cattolica del femminismo di Lonzi

Arriviamo ora alla questione per me centrale della matrice cattolica del femminismo italiano. Che esista una matrice comune a gran parte del femminismo italiano e che questa matrice, di stampo cattolico, sia una prova ulteriore della eterogeneità e insieme specificità del femminismo italiano potrebbe sembrare un controsenso. Il mio obiettivo non è però dare un resoconto lineare, ma complicare e andare a fondo delle caratteristiche del femminismo italiano, avendo sempre ben presente il contesto storico, sociale e politico in cui questo movimento rivoluzionario si situa. Il termine matrice cattolica è preso in prestito e adattato dal dibattito sulle «origini storiche, politiche e culturali della lotta armata di sinistra»[6], animato tra gli altri da Rossana Rossanda con il celeberrimo articolo per «il Manifesto» Il discorso sulla DC in cui si discuteva dell’album di famiglia delle Br. La legittimazione della violenza politica è studiata in questi interventi in relazione al cattolicesimo cosiddetto terzomondista (cioè anticapitalista, antitotalitarista e a favore dei movimenti anticoloniali) sviluppatosi a seguito del Concilio vaticano II. Queste riflessioni rimandano ad analisi storiche che obbligano a considerare il cattolicesimo come un’ideologia fondativa che si sviluppa in modi e forme diverse in ogni aspetto della vita sociale e politica del nostro paese, inclusa quella della violenza politica degli anni della lotta armata. Questa considerazione potrebbe sembrare banale, ma non lo è: come spesso accade la tendenza a semplificare per opposizioni ed equivalenze la storia italiana è in voga anche qui.

La matrice cattolica del femminismo italiano non è per me un carattere empirico o tematizzato, ma un’impronta culturale che opera alle fondamenta dello sviluppo di alcune correnti del femminismo dagli anni Sessanta a oggi, come quella appunto dell’autocoscienza e del femminismo della differenza[7]. Questa matrice ideologica non si manifesta come fede o pratica religiosa; quello che mi interessa non è il femminismo cattolico. La matrice di cui parlo è neutra nei suoi intenti e fluida nelle sue manifestazioni, e non presenta necessariamente quelle che possono sembrare forme positive o negative. Non costituisce la struttura ideologica ma la matrice, letteralmente l’impronta, il contenitore in cui poi si sviluppano e crescono indipendentemente vari modi di vivere il femminismo. Così come è stato per i movimenti della contestazione, per i movimenti femministi la cultura cattolica si configura negli stessi anni, e fino ad oggi, come una delle matrici ideologiche fondative. Il mio obiettivo non è trovare prove storiche ma offrire una chiave di lettura che si basa su caratteristiche evidenti nei testi e nelle produzioni culturali radicate nel femminismo.

Gli scritti di Carla Lonzi offrono un esempio eclatante di come la matrice cattolica si declini in maniera specifica attraverso un’impostazione di pensiero marxista che rifiuta l’illusione dell’egalitarismo e condanna le istituzioni come tirannia. La figura di Teresa di Lisieux, santa francese del Diciannovesimo secolo, costituisce nella pratica femminista di Lonzi un modello e un archetipo. Teresa viene evocata per la prima volta nelle pagine di Autoritratto, testo chiave che segna una svolta nel pensiero lonziano e celebra l’addio al lavoro di critica d’arte a cui Lonzi si era dedicata per più di dieci anni, composto sull’onda della contestazione culturale che sfocia nell’occupazione della Triennale del 1968. Il viso della santa fa capolino nelle le conversazioni tra gli artisti registrate al magnetofono, riportate sulla pagina con precisione chirurgica da Lonzi che mette in pratica la sua condanna radicale alla critica d’arte, considerata «un mestiere fasullo»[8] in cui il critico (sic) «fa dell’opera una costruzione di idee, punta sulla connivenza cultura-società all’interno della quale non vige alcuna distinzione tra operazione autentica e perciò immune alla ricerca di potere e operazione mediatrice e perciò stesso alla ricerca di potere, di persuasione, dunque inautentica»[9].

In Autoritratto, definito da Lonzi stessa «una specie di convivio, reale per me che l’ho vissuto»[10], le immagini hanno la funzione di controcanto tematico alla conversazione apparentemente caotica che si sussegue in ordine sparso, con domande pronunciate da Lonzi a cui rispondono uno o più artisti intervistati separatamente nel corso dei mesi precedenti (sono quattordici, di generazioni e correnti artistiche disparate: Accardi, Alviani, Castellani, Consagra, Fabro, Fontana, Kounellis, Nigro, Paolini, Pascali, Rotella, Scarpitta, Turcato, Twombly). La fotografia tagliata e ingrandita di Santa Teresa si colloca in un passaggio importante del libro dove Lonzi riflette sull’azione del registrare «come nei processi chimici, quando c’è la condensazione (…) che da un suono si condensa in segno» e Carla Accardi, che poi fonderà con lei Rivolta Femminile, le risponde: «proprio lo sforzo che tu hai di fare questo libro che lo stai montando con dei pezzi disordinati (…) vuoi avvicinare il più possibile, più possibile, è vero? Per salvare degli altri, ma, in fondo, per salvare anche di te stessa, in fondo, è vero?»[11]. Lonzi inizia in queste pagine a raccontare l’importanza del «periodo religioso» della sua vita, nel convento di Badia di Ripoli dai nove ai tredici anni. Più tardi Lonzi ricorderà come proprio la fotografia di Santa Teresa, poi inclusa nel volume, doveva essere sulla copertina, per sottolineare l’importanza della santa nella sua biografia intellettuale: «l’immagine esatta del mio autoritratto, la presenza di due spinte entrambe attive nella mia vita e sovrapposte a cui cercavo una soluzione»[12].

La presenza della santa nei testi di Lonzi si fa più intensa e frequente col secondo periodo femminista (1974-1981), quando il gruppo di Rivolta Femminile si ricostitutisce e inizia a prendere come modelli non solo le sante di Lonzi, tra cui spiccano Teresa d’Avila e la sconosciuta Caterina Paluzzi, ma intellettuali e poetesse come Moderata Fonte, Compiuta Donzella e Atalanta Donati. L’accento interpretativo è sempre sui modelli relazionali separatisti e anti-istituzionali che queste donne proponevano e sulle scelte di autonomia e libertà compiute in nome di un «vuoto culturale» necessario allo sviluppo dell’autenticità[13]. Il convento di clausura, narrato nelle pagine dei libri autobiografici di sante che Lonzi ha in mente come modelli di scrittura autocoscienziale per eccellenza, ha in questa fase della pratica femminista di Lonzi un ruolo simbolico di «luogo di privazione, ma non di distruzione, gestito da sepolte-vive, luogo esistente anche se fuori dalla Storia, luogo di inefficienza, ma non sterile, che io sapevo intenso di tutta l’intensità reclusa della mia vita di donna»[14]. In queste e molte altre pagine emerge con forza la prominenza dell’immaginario mistico proprio del cattolicesimo radicale che per Lonzi, paradossalmente, non è mai in contrasto con le scelte più estreme della sua pratica femminista, incluse quelle del separatismo, del rifiuto del sesso vaginale e dell’assenza dal mondo dell’arte.

 

«Catechismo femminista»

L’inclusione del pensiero di Lonzi nel canone del femminismo della differenza sessuale avviene spesso senza una presa di coscienza dell’elemento religioso. L’eccezione recente a questa tendenza è Luisa Muraro che dà credito a Lonzi per averla indirizzata a esplorare «la mistica femminile»[15]. A complicare ulteriormente il quadro si aggiunge però la predilezione, propria sia di Lonzi che del femminismo della differenza, per la scrittura come espressione artistica consona all’espressione della soggettività della donna. Ancora una volta sono i testi che offrono chiarezza: se per Lonzi l’atto di scrivere di sé è parte integrante del processo di autocoscienza femminista nella fase di interlocuzione e reciproca riconoscenza tra donne, per la Libreria delle Donne è la letteratura in quanto genere letterario ad essere centrale come luogo simbolico dell’espressione della differenza sessuale, e della ricerca di un «linguaggio sessuato femminile»[16]. Di luoghi simbolici o linguaggi sessuati non c’è menzione nei testi di Lonzi, che vede la scrittura semplicemente come un esercizio di autenticità e non come espressione artistica, come testimoniano varie pagine del suo diario e lettere manoscritte a Pasolini, Morante e Natalia Ginzburg, solo per citarne alcuni.

Il ritorno violento del cattolicesimo come tematica all’interno del femminismo di oggi, come per esempio nel dibattito sulla cosiddetta gestazione per altri, e in quello, sempre attivo, sul diritto all’aborto, e più in generale sulla maternità come dovere, offre un’occasione ulteriore per riflettere sulla necessità di riconoscere la matrice cattolica del femminismo italiano e di come si manifesti in modi radicalmente divergenti, confermandosi una delle radici ideologiche con cui dobbiamo confrontarci, nel bene e nel male. La recente condanna senza appello della gestazione per altri in nome della sacralità della relazione materna proveniente da personalità di spicco del femminismo della differenza sessuale come Luisa Muraro[17] è purtroppo coerente con la sacralizzazione della madre e la conseguente equivalenza tra madre e donna portata avanti dal femminismo della differenza fin dalle sue origini. Le posizioni di Muraro si scontrano con le posizioni radicalmente intersezionali di Michela Murgia. Richiamandosi a un tipo di cattolicesimo in cui l’inclusione è alla base della vita comune Murgia critica apertamente «il femminismo del corpo» (così ribattezza il femminismo della differenza) che «legato a una idea del materno che sfiora la mistica (…) si pone in maniera ostile o critica rispetto all’aborto e alla gestazione per altr3 (…) rendendo simbolico (e quindi per certi versi sacro) il corpo femminile in quanto tale (…)»[18].

Non riconoscere la matrice cattolica del femminismo italiano significa non darsi la possibilità di capirlo fino in fondo. In un momento storico in cui, ancora una volta, la religione si pone come alibi e radice di violenze e discriminazioni è necessario ripensare anche al ruolo del cattolicesimo come ideologia fondante della nostra storia recente, in tutta la sua complessità.


Note

[1] C. Lonzi, Scacco ragionato. Poesie dal ’58 al ’63, Scritti di Rivolta Femminile, Prototipi, Milano 1985, p. 51.

[2] C. Lonzi, Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978, p. 679.

[3] C. Lonzi, Mito della proposta culturale in AA. VV., La presenza dell’uomo nel femminismo, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1979, p. 145.

[4] Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti: la generazione della libertà femminile nell'idea e nelle vicende di un gruppo di donne, Rosenberg & Sellier, Milano 1987, p. 41.

[5] Lonzi, Taci, anzi parla, cit., p. 434.

[6] G. Panvini, Cattolici e violenza politica: l'altro album di famiglia del terrorismo italiano, Marsilio 2014, p. 10.

[7] Al contrario, per esempio, del femminismo marxista di Lotta Femminista, che si sviluppa in un contesto radicalmente diverso.

[8] C. Lonzi, Autoritratto. Accardi, Alviani, Castellani, Consagra, Fabro, Fontana, Kounellis, Nigro, Paolini, Pascali, Rotella, Scarpitta, Turcato, Twombly, Abscondita, Milano 2021, p. 39. La prima edizione del volume, ormai introvabile, fu pubblicato dall’editore De Donato nel 1969.

[9] C. Lonzi, La critica è potere, NAC -Notiziario Arte Contemporanea, p. 5-6.

[10] C. Lonzi, Autoritratto, cit., p. 13.

[11] Ivi., p. 35.

[12] Carla Lonzi, Taci, anzi parla, cit., p. 34.

[13] Carla Lonzi, Itinerario di riflessioni, in AA. VV. È già politica, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1977, p. 36.

[14] Ivi, p. 14.

[15] Luisa Muraro, Le amiche di Dio. Margherita e le altre, Orthotes Editrice, 2014, p. 7.

[16] Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, cit., 37.

[17] Luisa Muraro, L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto, La Scuola SEI 2016.

[18] Michela Murgia, God save the queer: catechismo femminista, Einaudi 2022, p. 99.


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Sara Colantuono è dottoranda in Italian Studies alla Brown University, negli Stati Uniti. La sua tesi di dottorato The Catholic Matrix of Italian Feminism: from Carla Lonzi to Michela Murgia è una storia culturale del femminismo italiano dal dopoguerra a oggi. Insegna a Tufts University (Boston). Ha tradotto in inglese L'Arcano della riproduzione di Leopoldina Fortunati (1981) in corso di pubblicazione per Verso books.

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