La bambina con la corda per saltare
- Krystina Zywulska
- 27 gen
- Tempo di lettura: 15 min

Il racconto dell’arrivo di un convoglio di italiani nel lager di Auschwitz, visto con gli occhi di una veterana del campo: Krystyna Zywulska, ebrea polacca, militante socialista internata nell’agosto del 1943. Il racconto è introdotto da una nota dello storico della seconda guerra mondiale Cesare Manganelli.
***
La bambina italiana, di Cesare Manganelli
In un recente libro di Sergio Luzzatto su Primo Levi e sul gruppo di deportati che erano prigionieri con lui nel Kommando chimico, viene riportata una conversazione avvenuta in Auschwitz fra un membro del Sonderkommando del campo e una scrittrice ebreo-polacca detenuta. «Tu pensi che noi siamo gente orribile. Ti assicuro che noi siamo come tutti gli altri, solo molto più infelici»[1]. Nella nuova prospettiva che Luzzato intende proporre nel libro, la citazione assume una posizione rilevante perché testimonia il mutamento e la rivalutazione di alcune figure chiave nell’opera di Levi. In generale si tratta della ennesima conferma di alcune ipotesi di lavoro sul potere nelle situazione estreme che sono l’argomento più importante de I sommersi e i salvati e, in particolare, sul concetto di «zona grigia». L’autore ha rinvenuto nel fondamentale testo di Hermann Langbein, Uomini ad Auschwitz, la cruda riflessione, fatta da un membro della squadra addetta alle cremazioni. Langbein, a sua volta, ne indica la fonte in Krystyna Zywulska, senza dare altre indicazioni. La citazione in realtà viene dal libro di memorie di Krystyna Zywulska ed è presente in Sopravvissuta ad Auschwitz, a pagina 252 della edizione polacca del 2011 in lingua inglese, un’edizione in versione «occidentale» e post-socialista nella quale però la propaganda filosovietica rimane presente nel testo (la prima edizione polacca di grande successo è del 1946) anche se in modo sporadico, come è stato nelle numerose edizioni prima del 1989. Nella edizione «occidentale» la citazione viene segnalata e ampiamente commentata, come anche la scomparsa del nome della scrittrice cattolica Kossak Szczucka che fra un’edizione e un’altra va in esilio fuori dalla Polonia. La frase, in ogni caso, fa parte di una breve conversazione tra un membro del Sonderkommando, Krystyna e la sua amica Irena. La conversazione appare in modo evidente una costruzione letteraria che consente all’autrice di descrivere la situazione di generale complicità di ogni deportato ancora vivo con la macchina di morte dei nazisti. Il sistema del self-government dentro i Lager non consente a nessuno, quale che fosse il suo ruolo, di assolversi, di tenersi fuori. Infatti Irena, l’amica più esperta e che chiaramente svolge in questo caso il ruolo di Virgilio, conclude l’incontro con una riflessione che non consente più a nessuno di proclamarsi innocente, nemmeno loro due che lavorano al Canada:
Hai visto che nessuno giudizio deve essere espresso senza conoscere la verità. Cosa possono ipotizzare di fare? Come puoi dire a loro con la coscienza pulita «ucciditi» o «uccidili»? Loro possono dirti la stessa cosa Perché tu puoi star seduta qui tranquillamente, solo perché loro non possono venire qui per te. Quanti loro compagni sono stati uccisi e quanti ne hanno assassinato? E noi non facciamo nulla… noi anche aspettiamo il miracolo.. come quelli che vengono dal Sonderkommando. Per qual motivo dovremmo crederci migliori di loro?
Krisytyna Zywulska ha fatto parte della resistenza polacca a Varsavia durante l’occupazione nazista; dopo l’arresto trascorre un periodo di prigionia in Varsavia nel carcere di Pawiak e viene deportata ad Auschwitz il 25 agosto 1943[2]. Era fuggita miracolosamente dal ghetto di Varsavia con la madre utilizzando documenti falsi. Delle ottocento donne deportate, Zywulska è una delle poche sopravvissute di quel convoglio. Il suo vero nome era Sonia Landau, nata a Lodz nel 1914, ma dopo la sua fuga dal ghetto di Varsavia si procurò la nuova identità polacca con i documenti falsi (na aryjskich paperiach) di Krystyna Ziwulska nata a Lodz nel 1918. Ed è con questa identità che venne arrestata e poi internata ad Auschwitz come prigioniera politica e non come ebrea. Il suo numero di matricola è 55908, le fu assegnato il 25 agosto 1943.
Raccontò la sua esperienza nel campo nel libro I Survived Auschwitz nel 1946 (Przezylam Oswiecim), pubblicato già nel 1946 in polacco (dieci edizioni per un totale 350.000 copie ) e poi tradotto in inglese, francese, russo, ceco e tedesco in ordine di uscita. Nel libro, successivamente ampliato fino all’edizione inglese del 2004 (che è quella che si utilizza per la traduzione e per il contesto storico), Zywulska offre al lettore le sue memorie del periodo di internamento in un racconto impietoso ed implacabile, senza retorica o eroismi[3].
Nel dopoguerra la sua principale attività fu quella di giornalista e autrice di testi satirici sui principali giornali polacchi e scrittrice di teatro: intorno a lei e alla sua personalità si riuniva parte della intellighenzia e dei giovani intellettuali polacchi. La scrittrice poteva fornire anche protezione politica poiché il marito, Leon Andrzejewski, era un alto dirigente dei servizi di sicurezza dello Stato polacco[4]. Nell’aprile del 1955 Hermann Langbein la propose come parte della Commissione per la «Raccolta, ritrovamento e acquisizione dei documenti e dei materiali su Auschwitz» organizzata dallo IAK (Comitato internazionale di Auschwitz) insieme a Odette Elina e Leonardo De Benedetti, l’amico di Primo Levi[5].
Ziwulska non svela nel primo libro la sua vera identità ebraica, lo farà solo nel 1962 nel suo secondo libro L’acqua vuota, tradotto anch’esso in molte lingue e anche in italiano da Sperling e Kupfer nel 1973[6]. Il titolo deriva dalla inutile bollitura dell’acqua nelle pentole dentro il ghetto di Varsavia. Nella situazione di terribile carestia nel ghetto, la bollitura di una pentola d’acqua senza null’altro all’interno era il simbolo della disperazione. Un gesto privo di senso compiuto ripetuto dalle donne ebree, una mera ripetizione di una disperata liturgia.
Nel secondo libro Ziwulska narra invece della sua partecipazione alla Resistenza e descrive il periodo precedente alla cattura da parte dei nazisti. Tale prudenza nello svelare la propria identità ebraica può essere ricondotta alla costante presenza della zydokomuna (una parola che riassume brutalmente l’ampio pregiudizio antisemita e il diffuso anticomunismo saldamente presente all’interno del «senso comune» polacco del secondo dopoguerra) e che rimane un elemento costitutivo ed importante nella vita politica e culturale polacca[7].
Nel 1968 deve abbandonare la Polonia perché è fatta oggetto di persecuzione durante la campagna antisemita che il governo polacco aveva scatenato e promosso contro il movimento studentesco polacco. Si trasferisce in Germania con i due figli, a Dusseldorf dove muore nel 1993.
La traduzione del breve racconto dal titolo La bambina con una corda per saltare è una testimonianza diretta, rara e forse unica, dell’arrivo di un convoglio di ebrei italiani in Auschwitz visto con gli occhi di una veterana del campo, ed è per questo che ho ritenuto opportuno proporla.
L’arrivo dei Transport degli italiani provoca negli internati una sensazione ancora più lunare e spiazzante di altri. Gli italiani sono probabilmente i meno informati e preparati tra quelli provenienti dalle altre aree europee già occupate dai nazisti – d’altronde fino a pochi mesi prima erano alleati – senza contare l’efficacia della barriera linguistica che rimarrà costantemente una caratteristica che ha limitato ed isolato la deportazione italiana. Un sintomo della distanza fra gli internati già presenti e gli italiani si nota anche successivamente alla vicenda narrata quando, alla fine dell’insurrezione di Varsavia nell’agosto del 1944, cominciano ad arrivare le superstiti della repressione. Queste annunciano che Varsavia non esiste più, che quella via, quella casa, quel palazzo non ci sono più, provocando nelle deportate polacche ormai «anziane» del campo un’angoscia inesprimibile. L’ultimo legame con l’esterno sembra definitivamente interrotto. «Dopo tanti anni di sogni, di desideri noi eravamo costrette a vedere Varsavia ridotta così». L’angoscia che procura tale situazione è talmente insopportabile che Zywulska è costretta a convincere le altre a non chiedere più nulla intorno al destino di Varsavia e «facciamo in modo di credere che si tratta di un convoglio italiano, non posso più ascoltare quello che stanno dicendo»[8]. Non c’era più Varsavia, non c’era più famiglia. Tutto il mondo era all’interno del filo spinato. Nel frattempo la Zyvulska giudica, anche in modo distaccato, ed elabora velocemente una nuova valutazione, sulla scala di Auschwitz, delle possibilità di sopravvivenza delle nuove arrivate. Poche pagine dopo, all’arrivo di un nuovo trasporto di italiani, l’estraneità alla loro cultura e provenienza, emerge con altrettanta chiarezza.
«Arrivarono ubriachi di vino italiano, ridacchiando mentre si spogliavano, non realizzando dov’erano. Resistevano, protestavano. Pensavano di poter avere qualcosa da dire. Nessuno fu smosso dal loro modo di essere»[9]. E poche righe dopo all’arrivo delle donne polacche che arrivavano dalla prigione di Myslowice: in confronto con il trasporto italiano, abbronzati e ben saturi di vino, apparivano «pallide e miserabili»[10].
Forse possiamo trovare un pregiudizio verso gli italiani, ben altra è la descrizione dell’arrivo dei partigiani jugoslavi e dei soldati sovietici. Dubito che gli italiani arrivati dopo giorni di viaggio chiusi in carri bestiame, siano giunti in Auschwitz abbronzati, pasciuti e ubriachi di vino italiano (?), ma, al di là di tale scivolate sui caratteri nazionali, il libro è intriso da una sincera e profonda pietas per tutte le vittime. Zywulska vuole ricordare le sue amiche e ogni altra persona che è passata dal camino del campo. In una notte di dicembre del 1944, mentre stava nevicando sente le voci che le suggeriscono insistenti: «non dimenticarci, non dimenticarci e non lasciare che gli altri ci dimentichino. Permetti a loro di vendicarci»[11].
Il ricordo della bambina italiana rimase conficcata nella memoria di Zywulska fino alla fine della sua esperienza. Nel gennaio del 1945 stava marciando con le compagne sotto un insolito sole caldo in una inedita situazione di relativa tranquillità e «non dovevamo dimenticare di star camminando sopra le ceneri di milioni di persone. Noi calpestavamo la bellissima bambina italiana con il viso come la Madonna e bambini polacchi, ungheresi, francesi, olandesi e zingari»[12].
*
La bambina con la corda per saltare
(Krystyna Zivulska, I survived Auschwitz , doM wYdawniczy tCHu, in cooperation with Panstowe Muzeum Auschwitz-Birkenau, Warsaw, 2011, pp.162-165].
Il giorno seguente noi stavamo vagliando il contenuto dei sacchi provenienti da zugangs (l’ingresso dei trasporti). Questi sacchi dovevano essere sanificati nella sauna e poi impilati in una piccola camera adiacente alla sauna. Mentre stavo lavorando sento qualcuno che si muoveva nella sala. Guardai e vidi gruppi di persone che erano entrate – uomini, donne e bambini -, stanche e malconce e sedevano sul cemento del pavimento della stanza. Parlavamo in italiano. Notai una bambina di sei anni con la pelle olivastra, grandi occhi scuri e lunghi capelli neri. Non potevo impedire ai miei occhi di riempirsi di lacrime per lei. Con movimenti aggraziati si stava guardando intorno nella stanza. Poi srotola una corda per saltare e fece alcuni salti con le sue lunghe e snelle gambe. Lei non aveva avvertito le espressioni depresse e spaurite della folla in attesa. Lei non conosceva il vero scopo del posto in cui si era arrivata. Considerava la stanza un luogo adatto per giocare. Saltava la corda con la serietà di un bambino per cui il mondo è ancora un grande campo di gioco.
Una SS nella sala. Aveva la mascella inferiore sporgente, gli occhi piccoli e guizzanti – quasi invisibili per gli zigomi rialzati - con movimenti nervosi a scatti e un teschio sul berretto. La sua apparizione provocava brividi di terrore.
La bimba con la corda per saltare si bloccò e lanciò una sguardo sugli altri.
«Hustek», senti da una voce maschile in tono misurato.
«Cosa significa?»
«Il diavolo che è arrivato si chiama Hustek. Lui farà la selezione».
Dopo tale comunicazione, divenni conscia dell’uomo che mi era di fianco. Era Wacek. Mi era stato indicato una solo volta, ma riconobbi immediatamente il suo volto con gli occhiali maliziosamente raffinato. Quella faccia ora mostrava una espressione di odio.
«Perché non vai via? il capo può arrivare in qualsiasi momento. Come sei arrivata qui?».
«Ti ho visto attraverso la porta».
«Guarda quella bambina piccola», mi sussurrò.
«Quella con la corda per saltare?», «Yes».
Hustek era esaltato dalla possibilità di decidere il destino di tutte quelle persone. Girava intorno alla stanza in cerca di facce distorte dal dolore e dalla paura. Afferrò delle donne anziane per le braccia e le spinse verso il «lato della morte» – gridava ordini con una sola parola.
Hier! Los! Stehen! Gehe!. [qui, vai, ferma, vai].
Finalmente sbottonata la giacca dell’uniforme, prese una gran respiro dopo questa meravigliosa attività. La bambina decise che c’era ancora tempo per giocare. Peraltro non sembrava non sentire sentimenti di paura. Probabilmente non le era mai capitato di incontrare persone malvagie. E così saltò la corda, i suoi grandi occhi innocenti si posarono su Hustek. Potei vedere per un secondo il suo stupore. Poi distese la mano e la indicò: «Los, schnell».
Un sorriso illuminò il suo viso pallido e, senza il minimo sospetto, saltò nel «lato della morte».
Wacek era ancora al mio fianco. All’improvviso mi sembrava molto vicino. Sapevo che provava lo stesso sentimento di orrore che mi stava attraversando.
«Lei non deve sapere» - mi disse in un respiro – «lei deve solo saltare».
Basia che stava controllando dei sacchi non lontana da me mi avvertì con una spinta.
«Il Kapo, Krysia, stai attenta».
Wacek scomparve cosi velocemente come era apparso. Mi chinai su un sacco e comincia a leggere l’elenco degli oggetti sulla lista. Ero turbata nel profondo.
«Ein Rock… Eine Bluse…Eine Kitterschurze..»
Controllata ogni cosa, caricai il sacco sulla schiena e mi misi in movimento. I nazisti stavano portando fuori il gruppo selezionato. Cercai la bambina. Si stava abbottonando il cappotto, come se stesse preparandosi per una passeggiata e nello stesso tempo stava parlando con una donna anziana, probabilmente sua mamma.
Stavo insistendo su di lei per avere un ultimo sguardo-per ricordarmi per sempre di lei. Mentre mi passava davanti estrasse il berretto dalla tasca e se lo mise sul capo. Soffocai un grido. Perché il berretto? Fra in istante non sarebbe rimasta traccia di lei.
Nel gruppo c’erano per la maggior parte donne anziane e bambini. Dietro loro venivano gli uomini. Era un piccolo trasporto, circa duecento persone. Si stavano guardando intorno con visibile preoccupazione. Sentivano qualcosa di malvagio, di incomprensibile. Qualcuno di loro, vedendo i nostri numeri, realizzò che noi eravamo prigionieri. Timorosi delle possibili risposte, ci chiesero supplicando: «Dove stiamo andando?». Un uomo, con un viso riflessivo di un intellettuale, molto distinto, alzò il cappello mentre mi passava davanti.
«Donna [in italiano] dove ci stanno portando?!». Poteva essere mio padre, il pensiero mi attraversò la mente. Cosa potevo dire?
«La disinfestazione» ho risposto tranquillamente con un sorriso per non far sorgere tra loro dei sospetti. Le facce degli uomini si illuminarono. Qualcuno mi ringraziò, tirando un sospiro di sollievo. Mi stavano ringraziando per qualche minuto di illusione. Il gruppo si mosse in vanti sorvegliato da due militi armati di fucili. Camminavano lenti, ridendo di qualcosa, probabilmente di qualche battuta fra di loro.
Lasciai cadere la borsa nella seconda baracca. No, non ero sicura di voler trovare una soluzione….Avevo ancora da vivere.
Cronologia di Krystyna Ziwulska nel campo
Arrivo 25 agosto 1943.
Il giorno successivo le rubano le zoccole e partecipa alla prima adunata.
Niente cibo e acqua per due giorni.
Le notti di agosto sono già fredde.
Dopo trentaquattro ore dall’ingresso (zugang) le donne si erano già trasformate in vittime affamate ed assetate.
Quarantena.
Una mattina, durante la quarantena, viene avviata ad una giornata di lavoro esterno.
Settembre si rivela un mese caldo.
Inizia la stagione delle piogge e Krystyna è ancora in quarantena.
A metà settembre riceve il primo pacco da sua mamma che vive ancora a Varsavia con un nome ariano.
Dopo al quarantena inizia a la lavorare come scrivana sotto la protezione di Wala Konopska (n.13156) che sarà sempre il suo angelo custode.
Scrive la prima poesia sul campo.
Il 2 settembre arriva un trasporto di olandesi, mille uomini, donne e bambini. Poi altri quattro fino al 21 ottobre. Zywulska ne vede uno e poi, poco dopo un altro; quello che vede potrebbe essere il trasporto del 16 settembre o, al massimo, del 23 settembre.
Si ammala di tifo e viene ricoverata al River, probabilmente a dicembre del 1943 e lì rimane anche per tutto gennaio 1944. Passa il Natale nel River. Esce dall’ospedale in febbraio, molto indebolita.
Viene assegnata all’ufficio del Canada, sempre grazie a Wala.
Arrivano i trasporti di donne cecoslovacche e italiane.
Nell’aprile 1944 vengono spostate a Birkenau. Il 9 aprile vede arrivare il convoglio proveniente da Majdanek. «Il giorno seguente…» qui comincia il racconto sulla bambina italiana. Il 10 aprile era arrivato il convoglio da Fossoli con 936 deportati; vennero selezionati 154 uomini e 80 donne, gli altri avviati alla morte per gassazione. Nel convoglio trai i sopravvissuti c’erano Giuliana Tedeschi, Teo Ducci, Emilio Jani e Mario Spizzichino.
In ottobre del 1944 arrivano primi deportati i reduci dell’insurrezione di Varsavia e comunicano che Varsavia non esiste più.
Il 17 gennaio 1945 viene liberata Cracovia.
Note
[1] Sergio Luzzatto, Primo Levi e i suoi compagni. Tra storia e letteratura, Donzelli, Roma, 2024, p.141. Luzzatto nell’utilizzare la testimonianza del membro del Sonderkommando dal testi di Langbein non può avvertire che anch’essa è frutto di una costruzione letteraria. Cfr Krystyna Zivulska, I survived Auschwitz , doM wYdawniczy tCHu, in cooperation with Panstowe Muzeum Auschwitz-Birkenau, Warsaw, 2011, pp.252-253. Un ritratto approfondito ed informato di Zywukska si trova nella raccolta di poesie di donne deportate Boschi cantate per me. Antologia poetica dal lager di Ravensbruck, testo originale a fronte con un saggio sulla Memoria di Ravensbruck, a cura di Paola Moretti, Enciclopedia delle donne, Milano, 2024. L’antologia comprende due tra le sue poesie più conosciute.
[2] In quella data è registrato il suo ingresso nel Kalendarium di Danuta Czch, nel capitolo 1943, luglio-settembre p.42. Si è utilizzato il testo messo a disposizione sul sito dell’ANED, tradotto da Gianluca Piccinini e curato nell’edizioni on-line da Dario Venegoni. In nota è riportato anche il titolo del libro della Zywulska da cui abbiamo tratto il ricordo della bambina italiana. Il lavoro poetico e musicale di Zywulska e la sua biografia è ricordata da Henryk Grymberg in The Warsaw Ghetto in Polish Literature, «Soviet Jewish Affairs», n.2, 1983 pp. 40-42. Anche in questo caso l’autore non può che notare che «the oddest thing about Przezylan Oswiecin is that nowhere in it does admit that she herself is Jewish. She concealed this not only from the Nazis and her fellow-prisoners but also from her post-war readers» (ivi, p.41). Henryk Grymberg, anch’egli un ebreo sopravvissuto allo stermino, è uno scrittore e attore fuggito negli Stati Uniti nel 1967 per protesta contro l’ondata antisemita. In italiano si può leggere, tra gli altri, I bambini di Sion delle edizioni E/O del 1993.
[3] Uno dei figli di Zywulska racconta che sua madre ribadiva costantemente la sua volontà di raccontare la realtà della sua esperienza senza abbellimenti Cfr. Zivulska, I survived Auschwitz, cit. p.356.
[4] Il suo vero nome era Lajib Wolf Ajezen, nato a Lodz nel 1910. Era membro del Partito Comunista Polacco fin dalla prima giovinezza. Fu arrestato varie volte prima della guerra e, complessivamente, rimase nelle carceri polacche per nove anni. Fu uno dei dirigenti più influenti del Comitato polacco per la liberazione nazionale, organismo creato a Mosca per sedimentare un presenza filo-sovietica in Polonia e contrastare l’egemonia della Armia Krajowa in seno alla resistenza polacca. Nel secondo dopoguerra diviene dirigente dei servizi segreti e comandante della scuola ufficiali. Dopo essere stato promosso a viceministro con la responsabilità del controspionaggio, viene destituito nello stesso anno. Muore abbandonato da tutti in una clinica di Varsavia, nel 1978. Cfr. Thomas Harlan, Une vie après le nazisme. Entretien avec Jean-Pierre Stephan, Capricci, 2015, p.122. Nel libro intervista Harlan disegna la figura di Krystyna Zywulska e la ritrae come una scrittrice di teatro e di cabaret affermata ed influente. Tace signorilmente sul loro grande amore che fu occasione di grandi sofferenze per loro e di scandalo nell’alta società «socialista» a cui appartenevano. Una relazione tra il figlio del famigerato e mai pentito regista di Suss l’ebreo ed una polacca sopravvissuta ad Auschwitz.
[5] Katharina Stengel, Hermann Langbein. Ein Auschwitz-Uberlebender in der erinnerungspolitischen Konflikten der Nachkriegzeit, Campus Verlag, Frankfurt/New York, 2012, pp.158-159.
[6] Il testo italiano dell’Acqua vuota è una traduzione del testo francese e comprende la prefazione dell’edizione francese di Vercors. Non è inutile ricordare che il vero nome di Vercors è Jean Bruller, fondatore nel periodo della clandestinità delle Editions de Minuit, autore del libro simbolo della Resistenza francese Le silence del la mer, tradotto nel 1945 in italiano da Natalia Ginzburg. Dopo il 1956, già estromesso dalla casa editrice che aveva fondato e diretto durante il periodo clandestino, le Editions, anche lui si allontana dal Pcf e si trova sostanzialmente isolato, ma non disconosciuto, nel contesto della sinistra francese. In questo senso si veda le lettere pubblicate in Appendice a Vercors, Il silenzio del mare seguito da Le armate della notte, Einaudi, Torino, 1994. Tale posizione può spiegare il suo interesse e solidarietà con una scrittrice come Ziwulska, esiliata dal governo polacco per la sua opposizione alla deriva antisemita. Cfr. Introduzione di Gabriella Bosco a Il silenzio del mare seguito, cit., pp. VII-XXIV. L’importanza del libro di Vercors nel panorama della letteratura clandestina è rimarcata da Halik Kochanski, Resistance. The Underground War in Europe, 1939-1945, Penguin Books Random House, London, 2023 ( 2^ ed), p.48.
[7] Si può dare uno sguardo generale alla questione nel lavoro di Laura Quercioli Mincer, Patrie dei superstiti. Letteratura ebraica del dopoguerra in Italia e Polonia, Lithos Editrice, Roma, 2010, pp. 86-113. Da tenere presente anche la tesi di Jan Gross, autore del famoso libro I carnefici della porta accanto, sull’origine strettamente economica e brutalmente materiale dell’antisemitismo polacco, di cui la larga diffusione della zydokomuna è solo un mantra di comodo, una copertura ideologica all’espropriazione radicale degli ebrei polacchi. Tale ipotesi deve essere tenuto presente anche se poi non spiega il radicamento del sentimento antisemita al sorgere del movimento studentesco del 1968. Anche Gross era tra membri del movimento degli studenti espulsi dalla Polonia nel 1968 La seconda tornata della «degiudeizzazione» del Partito comunista polacco. Si veda inoltre sempre di Gross, Fear. Antisemitism in Poland after Auschwitz. An essay in historical interpretation, Random House, New York, 2007, sul pogrom di Kielce. Sull’adesione degli ebrei polacchi al comunismo sono molto interessanti i testi di Jaff Schatz, Generation. The rise and fall of the jewish comunists of Poland. University of California Press, Berkeley, 1991 e il più recente Marc Shore, Caviar and Ashes. A Warsaw generation’s life and death in marxism, 1918-1968. Yale University Press, New Haven & London, 2006. Un testo che interpreta l’ondata antisemita del 1968 in Polonia come direttamente collegata alla posizione dell’URSS dopo la guerra dei Sei Giorni in Halik Kochanski, The Eagle Unbowed. Poland and the Poles in the Second World War, Penguin Books, London, 2013 ( 2^ ed.), p. 587.
[8] Zyvulska, I survived Auschwitz, cit. pp. 283-285.
[9] Ivi, p. 291.
[10] Ibidem.
[11] Ivi, p. 321.
[12] Ivi, p. 332.
***
Krystyna Zivulska ha fatto parte della resistenza polacca a Varsavia durante l’occupazione nazista; dopo l’arresto trascorre un periodo di prigionia in Varsavia nel carcere di Pawiak e viene deportata ad Auschwitz il 25 agosto 1943 come prigioniera politica. Raccontò la sua esperienza nel campo nel libro I Survived Auschwitz nel 1946. Il suo secondo libro è L'acqua vuota (trad it. Sperling e Kupfer, 1973).
Cesare Manganelli, storico, direttore della Biblioteca dell’Isral di Alessandria.
Ha pubblicato vari saggi e articoli di storia del Risorgimento e del movimento operaio.
Comentários