top of page

L'editore


traliccio

Nel 1998 Nanni Balestrini pubblicò presso Bompiani il romanzo L’editore. Una sua nuova edizione venne poi pubblicata da DeriveApprodi nel 2006 con una prefazione di Aldo Nove nella quale scrisse: «Il personaggio di Giangiacomo Feltrinelli, nelle densissime pagine del romanzo, diventa emblema di un cortocircuito storico estremamente complesso: il garante della trasmissione storica di un’esperienza (quella della Resistenza) si ritrova epigono, sulla propria pelle, di una frangia di un movimento storico successivo, rivoluzionario ma inevitabilmente molto diverso dal precedente. Surreale figura romantica ma in realtà vittima della storia agita al guado di grandi trasformazioni epocali». Di questo romanzo pubblichiamo qui due Scene, la settima e la undicesima. Nella Scena settima Balestrini ricombina con la sua risaputa maestria alcuni testi tratti dalle cronache dei giornali che scrissero sulla morte di Feltrinelli. Quel che traspare da questi testi è sarcasmo volgare, incontenibile livore, disprezzo e a tratti vero e proprio odio nei confronti della figura dell’editore. E anche a questo riguardo le parole di Aldo Nove appaiono alquanto appropriate: «Balestrini ha combattuto contro il fascismo in tutte le sue camaleontiche forme, con un’esemplarità che forse non ha avuto uguali nel mondo della cultura italiana, e lo ha fatto anche, barthesianamente, entrando nel corpo a corpo della contraddizione per cui sono sempre i vincitori, in qualche modo, a narrare le cose: sono sempre i vincitori, in qualche modo, a parlare. E lo fanno attraverso le parole che da sempre vengono emesse da un «ordine» (di Stato, di polizia) di linguaggio a cui è quasi impossibile sottrarsi». La Scena undicesima registra lo scenario del funerale di Feltrinelli: «[…] la scena finale che è quella del funerale dove si ritroveranno tutti insieme con tantissimi altri perché lì questa storia finisce e lì comincia un’altra storia che non sarà più quella di prima e i funerali saranno per tutti in modo diverso ma per tutti saranno la fine di una storia e l’inizio di un’altra storia che sarà per tutti da lì in poi una storia diversa […]». E la chiusura del sipario sul dramma narrato può avere a corollario le parole di Felice Piemontese: «Sarebbe difficile negare che la morte di quell’uomo sotto il traliccio abbia rappresentato davvero un momento drammatico della recente storia italiana e abbia avuto il carattere di uno spartiacque nelle vicende di quel «movimento» con il cui tormentato destino Balestrini, e altri come lui, hanno fatto coincidere una parte della loro esistenza».


***


Scena settima


I ricchi facciano i ricchi se non vogliono cacciarsi nei guai o combinare guai penso così con malinconia dell’editore un ricco infelice pieno di problemi personali che in fondo non interessavano a nessuno sempre implicato in vicende clamorose che gli appassivano tra le mani incapace di fermarsi in un lavoro in un amore in una idea sempre alla ricerca di qualcosa che lo tenesse in piedi che desse un significato alla sua vita alle sue contraddizioni alle sue stravaganze mentre scrivo so poco del modo nel quale è morto vedremo di capire meglio se sarà possibile ma temo che neppure questa sua fine tragica


comunque siano andate le cose riuscirà a fare di lui qualcosa di diverso da un uomo fallito la sua morte è un finale come si suol dire emblematico c’è qualcosa di logico e di fatale nel fatto che questo ricchissimo borghese sia stato trovato dilaniato da una carica di dinamite la stessa dinamite che egli metteva contro una società che gli aveva permesso di nascere in una culla tappezzata di miliardi cioè in definitiva contro se stesso è la sorte che aspetta tutti questi buffoncelli del sinistrismo in spyder fra i quali il povero editore


fa spicco se non altro per un certo coraggio l’editore è approdato all’ultima spiaggia di una morte violenta che ha suggellato una esistenza difficile inquietante contraddittoria l’origine miliardaria che più o meno confusamente sentì come una condizione che lo segnava con le comode stimmate del privilegio ha condizionato la sua vita spingendolo tra sbandamenti e confusioni alla ricerca di miti e di soluzioni disperate e isolate convinto che l’Italia fosse in pieno colpo di stato viveva in clandestinità all’estero dopo aver mal digerito la lezione del Che in America latina alle teorie aberranti aggiungeva un pizzico


di bizzarria confinante da vicino con la stravaganza l’assurda avventura dell’editore è di quelle che si snodano oscillando paradossalmente tra il mondo ricco e dorato di origine e la ricerca disperata di primeggiare in ambienti assolutamente opposti che quel mondo vuole abbattere istinti autopunitivi labilità di carattere frustrazioni profonde possono certo spiegare sotto il profilo psicologico o meglio psichiatrico la personalità del miliardario dinamitardo il Che diventa la sua stella polare la tecnica della guerriglia lo affascina e appena gli affari glielo consentono vola


a Cuba e vi soggiorna per lunghi periodi senza tralasciare di farsi vedere in giro con belle donne e di condurre una vita molto agiata nel 1954 fonda la casa editrice e due anni dopo lascia il Pci dopo i fatti di Ungheria la Milano-bene sorride soddisfatta il transfuga ritornerà presto tra le file ha finito di fare il sovversivo le due anime dell’editore l’impronta del grande ricco e l’insoddisfazione che lo spinge sempre verso una ricerca individualistica e esasperata si manifestano in modo clamoroso i suoi viaggi a Cuba la sua brevissima detenzione nelle carceri


della Bolivia si alternano all’apparizione su Vogue in cui appare fasciato in un mantello di lontra marrone firmato da Jole Veneziani giustificava la sua latitanza dicendo che quando il Reichstadt brucia occorre tenersi lontani ma continuava a inguiaiarsi in clamorose disavventure di svolte nella vita privata e pubblica dell’editore milanese ce ne sono state molte e talune sconcertanti e difficilmente omologabili sotto una comune e chiara matrice il tarlo dell’avventura doveva roderlo senza sosta forse gli eroi della rivolta proletaria e dell’anarchia immortalati dalle sue pubblicazioni l’ossessionavano doveva diventare uno di essi specialmente


il Che Guevara non contento delle ville delle barche di lusso delle automobili che vanno a trecento all’ora delle pellicce e dei gioielli che poteva regalare aveva scelto l’hobby della dinamite e del populismo si portava dietro troppi complessi d’inferiorità e troppi bollori momentanei per non diventare uno strumento nelle mani di qualcuno più abile di lui un boy-scout che voleva essere considerato pericoloso ma che non c’era mai riuscito che voleva essere considerato un estremista ma era guardato con sospetto dagli estremisti veri fino in fondo l’editore ha tentato di diventare un primo attore senza capire che aveva i mezzi soltanto per particine


di contorno quella del traliccio era la sua grande occasione la sfortuna la maledetta sfortuna non l’ha mollato fino all’ultimo giustificava la sua latitanza dicendo che quando il Reichstadt brucia occorre tenersi lontani ma continuava a inguiaiarsi in clamorose disavventure nello stesso tempo per altro egli non smette certi atteggiamenti tendenti a épater le bourgeois in questo senso è certo significativo che egli riesca a offrire al pubblico nello stesso momento due contemporanee e opposte immagini di sé quella del playboy e quella dell’editore impegnato d’avanguardia pronto


a pagare di persona siamo infatti al settembre del 67 i lettori di L’Uomo Vogue possono ammirare le foto dell’editore in veste di indossatore di costosissime pellicce in un servizio sui quattro re della foresta di cemento milanese dopo aver lanciato Il dottor Zivago scrive la rivista l’editore yé-yé ora lancia le pellicce Zivago e infatti l’editore posa in una foto di studio con un mantello di lontra marrone addosso e in un’altra avvolto in un mantello di persiano S.W.A. con colbacco chi vorrà scrivere una biografia o un tentativo di biografia


di questo gigantesco Ossesso in senso dostoeskiano dovrà necessariamente far partire la sua inchiesta informativa la sua indagine conoscitiva da un’accurata analisi del corpo già vastissimo delle sue edizioni più che delinquenziale il suo caso mi sembra patetico e soprattutto rivelatore di una certa mentalità molti si domanderanno per quali vie ideologiche questo rampollo di una delle più ricche dinastie lombarde sia arrivato al terrorismo posso garantire che l’ideologia non c’entra per il semplice motivo che questo ragazzo non era in grado di capirne nessuna ciò sembrerebbe in contrasto con la sua attività di editore che vantava anche notevoli successi


ma in realtà questi successi vanno accreditati unicamente agli uomini di cui si era circondato tradendo l’acume dei filosofi e dei sociologhi marxisti che egli a preferenza di altri pubblicava i suoi autori preferiti quelli a cui dedicava non confessate ore di appassionata lettura erano quelli che molti anni fa avevano inventato i personaggi di Fantomas di Rocambole e di Arsenio Lupin in quegli eroi trovava rassomiglianze stupefacenti stimoli esempi da imitare gli sarebbe piaciuto essere il Fantasma dell’Opera o uno di quei misteriosi e sanguinari tipi per cui Eugène Sue


e Carolina Invernizio prosciugarono piscine d’inchiostro una lunga e pressoché ininterrotta omertà ha sempre legato il Pci e il suo figliol prodigo con troppi soldi e troppi raptus rivoluzionari si ricattavano e si condizionavano a vicenda sfortunatamente per entrambi il boy-scout lasciato a far di testa sua non si accontentava delle bombe con la crema voleva anche fare il Pietro Micca e il Reichstag è bruciato per davvero ma con lui dentro il rifugio segreto tra i monti della Carinzia in una romantica baita sepolta dalla neve e nascosta tra i boschi dove l’editore progressista aveva conservato tutti gli antichi vessatori


diritti padronali e si pagava un pedaggio per transitarvi e le guardie col cappello piumato catturavano e consegnavano alla polizia le donnette che andavano a far legna più tardi fu convertito alla rivoluzione da un giardiniere e abbracciò la sua nuova fede con il medesimo fanatismo cieco apparteneva a un genere di uomo comune in Italia che poteva passare da un movimento estremista a un altro opposto purché illiberale e mitologico senza fermarsi alle idee forse noiose e troppo serie perché non promettono nessun miracolo ma solo fatica non ereditò dagli avi quell’amore per lo stato


italiano che era invece insegnato naturalmente ai discendenti di patrioti dell’800 né per le idee di libertà e come molti fi- gli di borbonici un secolo fa egli continuò senza accorgersene la lotta all’Italia liberale e indipendente ma da posizioni di sinistra per capirlo bisogna forse evocare alcuni personaggi simili egli somigliava al grande industriale tessile russo presso il quale erano impiegati l’ingegner Skriabin detto Molotov e l’ingegner Krassin e che al principio del secolo finanziò per anni Lenin l’Iskra e la Pravda e dopo la rivoluzione si impiccò in una camera


d’albergo di Cannes avendo capito a che erano serviti i suoi denari ricorda curiosamente per certi aspetti anche Howard Hughes il miliardario americano che vive in un mondo separato tutto per lui circondato dal segreto servito da sicofanti cortigiani e dipendenti fedeli come schiavi la rivista di moda Vogue si occupò di lui pubblicandone una foto in pelliccia con questa didascalia Dopo aver lanciato Il dottor Zivago l’editore yé-yé ora lancia la pelliccia Zivago a sinistra in un mantello di lontra marrone di Jole Veneziani a destra in un mantello di persiano S.W.A. marrone scuro di Fendi con colbacco torna in Italia deluso


dalla Bolivia mentre la sua sterile avventura balza all’onore delle cronache di tutti i giornali torna nella grande villa stile liberty sul lago di Garda con un giardino da mille e una notte ed un chilometro di spiaggia privata riprendono i party sfarzosi ed assurdi con centinaia di invitati intellettuali anarchici estremisti avventurieri di tutti i colori e molte belle donne guerriglia e champagne atteggiamenti da Filippo egalité che la Milano bene comincia a disprezzare in merito all’attentato di Segrate l’on. Malagodi ha fatto la seguente dichiarazione se veramente l’attentatore morto è l’editore termina così tragicamente per lui e sull’orlo del dramma


per Milano una carriera di dilettante della politica rivoluzionaria di un uomo ricchissimo per eredità che giocava non da ieri al mistero e all’estremismo dinamitardo in nome di un progressismo senza sbocchi di progresso è un nuovo esempio di quella confusione degli spiriti che può essere vinta soltanto dalla ragione e dalla buona volontà in nome della libertà e dell’umanità secondo i rapporti del controspionaggio l’editore reduce dalla Bolivia e desideroso di importare in Italia i metodi della guerriglia come primo passo verso l’insurrezione armata ritenne assurdamente che in Sardegna avrebbe potuto opportunamente stimolata crescere la pianta


della rivoluzione in Sardegna a suo avviso la base rivoluzionaria esisteva bastava trovare la leva giusta mancava invece un esercito di guerriglieri l’editore credette di trovarlo già bello e pronto nelle bande che operavano sequestri e rapine nel Nuorese e Graziano Mesina il più celebre il più popolare e anche il più amato dei banditi sardi fu designato come capo nella mia costernazione per la tragica fine del povero editore devo confessare che c’è una venatura di rimorso non è che me ne senta in qualche modo responsabile ma avendolo conosciuto ragazzo quando si allenava alla contestazione esercitandola contro la madre il patrigno i precettori il latino il galateo e soprattutto


il sapone forse avrei dovuto dargli qualche consiglio che a lui non sarebbe servito a nulla lo so perché l’avrebbe rifiutato ma che ora servirebbe a me per mettermi in pace la coscienza nell’atteggiamento dell’editore c’è la chiave per comprendere il fondamentale errore della sua concezione della lotta politica in Italia per lui erano finite le illusioni della via italiana al socialismo le sostituì con altre strade che lo hanno portato a essere un tragico simbolo di fallimento nella foto un’immagine dell’editore pubblicata da Vogue all’epoca del successo del Dottor Zivago e si chiama appunto modello


Zivago una pelliccia lunga fino ai piedi di agnellino di Persia da portare con un colbacco dello stesso pelo l’editore accusava un’impotenza manifesta e permanente con molta probabilità egli soffriva di una sindrome infantile ossia era rimasto bloccato a uno stadio infantile per effetto di traumi contratti durante l’infanzia e l’adolescenza nell’ambiente familiare e sociale di conseguenza non avrebbe raggiunto né la maturità psicologica né la maturità sessuale ma gli elementi attinenti alla sfera sessuale si riflettono su ogni altro aspetto della personalità di qui la sua rivolta alla famiglia alla classe sociale dalla quale proveniva al sistema al quale apparteneva quasi


biologicamente per nascita e consanguineità di qui il suo bisogno disperato di distinguersi e di differenziarsi il suo protagonismo disperato il denaro ebbe una grande influenza i miliardi facili danno a coloro che li possiedono un senso di ebbrezza paragonabile all’effetto che producono certe droghe tutto sembra loro consentito nessuna remora non l’opinione altrui non il codice penale non le regole della vita normale li ferma li ferma solo talvolta il timore di perdere i miliardi e con essi il potere e l’immunità ma l’editore non aveva questo timore perché le risorse erano immense perché si illudeva di potersi rifare e perché infine


stava conducendo una manovra speculativa che egli considerava sicura la sua posizione di potere si sarebbe rafforzata e quella degli altri ricchi distrutta il giorno in cui egli sarebbe tornato in Italia alla testa della rivoluzione non dategli del delinquente non lo era soltanto un ragazzo di poca testa che ha fatto il terrorista perché oggi questa è l’unica attività che fa notizia e riempie le pagine dei giornali fa perfino il manichino per la rivista di moda Vogue che lo presenta in posa da indossatore con un cappotto e colbacco di astrakan i baffi cadenti lo disegnano come un satrapo cosacco abbiamo di fronte soltanto la fine


allucinante di un uomo ricchissimo insoddisfatto sempre più perso dietro le sue lucide follie che si addestra nell’uso dell’esplosivo e parte all’attacco di un traliccio nella notte della campagna lombarda una fine assurda da pazzo soldato solitario un contestatore con molti soldi e molti complessi tragico simbolo di un fallimento la politica che diventa la sua passione ossessiva riconducendo ogni azione ogni gesto ogni parola al bisogno di soddisfare un impulso oscuro ma esigente ha voluto giocare alla rivoluzione è lo sfogo probabilmente di tutti i suoi complessi l’assurda avventura del guerrigliero


dinamitardo dilettante isolato della rivoluzione la morte di un ricco infelice che corre dietro al clamore una vita piena di svolte velleitarie una vita inquieta sbagliata e contraddittoria sotto il traliccio di Segrate la fine di una vita sbagliata il romanzaccio giallo di Segrate si articola in una serie ancora incompiuta di capitoli che spesso dopo una prima lettura risultano del tutto estranei alla trama della vicenda e non è proprio il caso di illudersi che manchino poche pagine all’epilogo né tantomeno che questo epilogo sia tale da sciogliere tutte le incertezze e fugare tutti i dubbi sul personaggio


un play-boy della rivoluzione un giovane patrizio viziato dagli agi e dai miliardi un bambino capriccioso incapace di dare un senso alla propria esistenza un alto-borghese degenere e degenerato un boy-scout un commesso viaggiatore alla ricerca di pubblicità assetato di clamore e di avventura ecc. ecc.




Scena undicesima


Milano è una piazza d’armi alla Scala c’è un muro di scudi di plastica una foresta di manganelli al Duomo a San Babila i baschi neri dei carabinieri marciano come alle manovre per prendere posizione a ogni angolo di strada le armi sono tenute bene in mostra compaiono anche i mitra pesanti caricatori da quaranta colpi due piedi sulla canna perché con quelli si spara distesi a terra il rinculo è violentissimo a far fuoco in piedi un uomo non ce la farebbe gli elicotteri sorvolano ronzando la città il pilota e l’operatore osservano col binocolo ma non è l’operazione strade sicure gli uomini sono venuti da tutta la Lombardia da mezza Italia per la prima volta a quanto si ricorda anche decine di commissari sono stati fatti accorrere da altre questure


era un martedì quando l’editore morì in un campo di grano ai piedi di un traliccio minato di martedì a due settimane di distanza il suo corpo dilaniato è stato tumulato nella cappella di famiglia al monumentale il corteo funebre non era stato permesso dalla questura per motivi di ordine pubblico la salma composta in una cassa di abete greggio chiarissimo l’abete dei suoi monti della Carinzia è stata portata in forma privata dall’obitorio al cimitero di prima mattina


il gran sole di primavera non è bastato a disperdere quell’atmosfera di grande tensione che la gente ha avvertito a Milano durante tutta la giornata per i funerali dell’editore la città ha vissuto una giornata di apprensione a momenti di angoscia tre elicotteri dei carabinieri si sono alzati in volo alle 7 del mattino e hanno continuato a girare sulla città fino al tramonto sorvegliando dall’alto strade piazze il centro la periferia e l’hinterland milanese per un raggio di 30 km posti di blocco lungo le autostrade le statali le provinciali code di automobili con le portiere spalancate clacson inferociti


la città quasi in stato di assedio per i funerali proibiti dell’editore si temevano incidenti che per fortuna non ci sono stati forse grazie anche all’imponente servizio d’ordine pubblico che ha scoraggiato eventuali fomentatori di disordini un piano preciso era stato predisposto fin da lunedì scorso dal questore d’accordo con il comando della I divisione Pastrengo dei carabinieri con la polizia stradale la polizia ferroviaria e i vigili urbani rinforzi di polizia e di carabinieri sono affluiti da altre città insieme con funzionari e con agenti in borghese si calcola che circa 5000 uomini siano stati impiegati in questo eccezionale servizio d’ordine


in una città praticamente stretta d’assedio con uno spiegamento di forza straordinariamente imponente si è fatto uso anche di elicotteri si sono svolti al cimitero monumentale i funerali dell’editore trovato morto sotto un traliccio dell’alta tensione a Segrate una località a pochi chilometri da Milano ieri il questore richiamandosi ad una legge del 1931 aveva vietato il corteo funebre col pretesto che avrebbe potuto causare incidenti pregiudizievoli per la sicurezza e la pubblica incolumità in seguito a tale grave decisione la città è stata posta sotto il controllo di migliaia di poliziotti e di carabinieri


le camionette delle cariche i gipponi gli idranti gli autocarri i cellulari i vetri protetti dal graticcio metallico a bordo cassette già aperte di lacrimogeni formano colonne ai lati delle vie in testa ad ogni colonna il trombettiere pronto a incrinare l’aria con i prescritti tre squilli il cimitero monumentale ricorda un castello assediato davanti alle rosse mura dei mattoni il verde schieramento compatto delle forze dell’ordine tutto perché si sta seppellendo un cadavere quello dell’editore


sono state utilizzate tutte le pattuglie al completo in particolare quelle civetta i carabinieri hanno agito in un raggio di trenta chilometri dal centro controllando circa 14000 auto e 25400 persone la polizia aveva provveduto anche a istituire un servizio di sorveglianza allo stesso cimitero monumentale prima ancora che vi fosse trasportato il feretro dell’editore la tomba di famiglia è stata presidiata nella notte precedente e sono stati sguinzagliati persino cani poliziotto addestrati alla scoperta di ordigni non si poteva neppure escludere la macabra ipotesi di qualche attentato anche nelle prossime notti la tomba rimarrà sorvegliata


praticamente in ogni quartiere gli imbocchi di tutte le strade e autostrade in un raggio di 20 chilometri almeno erano sorvegliati da 150 gazzelle dei carabinieri e ad ogni punto cruciale ad ogni nodo del centro e della periferia vigilavano posti di controllo forti di almeno un plotone ci sono stati scontri e disordini non importanti al ponte della Ghisolfa ma in compenso la giornata che si temeva potesse riportare a Milano la violenza di due settimane addietro è trascorsa tranquilla


mai visto uno schieramento di polizia così imponente per un funerale fin dal primo mattino agenti e carabinieri erano già in movimento erano passate da poco le sei ed in piazzale Gorini davanti all’obitorio sono arrivati sei camion una quindicina di jeep ed otto gipponi stracolmi di uomini in divisa c’era anche una corriera piena zeppa di agenti in borghese la bara che è arrivata al monumentale poco prima delle 8 il cimitero era già stato stretto d’assedio da migliaia di poliziotti e carabinieri è stata quindi sistemata in una cripta vicino all’entrata


erano le 7,30 quando il furgone nero del comune si è mosso dall’istituto di medicina legale di piazza Gorini dove il corpo dell’editore era stato portato con il falso nome di Vincenzo Maggioni le generalità che risultavano dalla carta d’identità trovata nelle sue tasche sin dal primo mattino la polizia aveva circondato tutta la zona per evitare che la triste circostanza fosse strumentalizzata dai gruppetti estremisti che diventasse il pretesto per una nuova manifestazione di piazza così come aveva disposto la questura solo i familiari hanno assistito a questa prima parte della cerimonia


tutt’intorno alla camera ardente rami gialli di forsizie un fittissimo intreccio ai piedi del feretro adagiato su un alto zoccolo un cuscino di rose rosse sul coperchio felci rami di pino e di altre piante di bosco solo più tardi è comparso un nastro rosso il grande afflusso dei visitatori è cominciato nel primo pomeriggio alle 15 tutto il piazzale del cimitero era pieno di gente sotto un sole che scottava erano in gran parte giovani giovanissimi blue-jeans e maglioni folla anche sulla gradinata centrale e folla affacciata ai loggiati sul piazzale molta animazione un incessante brusio


sulle grandi terrazze che si aprono a semicerchio intorno alla chiesa monumentale in un solenne scenario di archi di balaustre di marmo e di statue la folla si affacciava come per assistere ad uno spettacolo altri sedevano in fila sulla gradinata che conduce alla cappella molti fumavano invano redarguiti dai pochi custodi c’era una strana atmosfera tra la kermesse e l’attesa di qualcosa di grave che sarebbe potuto accadere da un momento all’altro la morte dell’editore figlio ribelle della Milano ricca e potente che si rifletteva in quei monumenti funebri opere di grandi artisti e in quelle cappelle degne di figurare nei cataloghi di un museo sembrava un fatto incongruo e lontano una avventura incomprensibile e assurda

a braccia poco prima delle 16 la bara è stata sollevata dal catafalco di velluto verde fra due ali di folla è stata quindi portata fino alla cappella di famiglia la numero 177 al reparto 2 è stato un percorso brevissimo sotto un sole primaverile che stagliava ombre nette è stato anche il momento di maggiore tensione mentre dai gruppetti di estremisti con il pugno levato venivano intonate le prime note di inni e mentre qualcuno scandiva slogan come compagno sarai vendicato e borghesia assassina


quando la bara è stata finalmente issata in cima ai gradini si sono alzati pugni chiusi una selva di braccia ancora una volta si sono levati canti rivoluzionari e sono stati scanditi in coro i nomi di Marx Lenin e Mao Tsetung l’editore è stato assassinato borghesia assassina ha gridato qualcuno faceva caldo il cielo era di un azzurro terso ogni tanto si levava il ronzio dell’elicottero dei carabinieri che per tutta la mattinata e per buona parte del pomeriggio ha sorvolato la zona del cimitero monumentale quel rumore basso e insistente seguito dal fischio di un jet che stava prendendo quota si è portato via tutto l’inizio dei discorsi


fendendo a fatica la folla che aveva invaso le tombe vicine la bara è stata portata nella cappella di famiglia una costruzione neoclassica alta 17 metri rivestita di marmo botticino costruita nel 1915 su disegno dell’architetto Guido Cesarini vi riposano i corpi del padre dell’editore e della nonna accanto a loro è stata posta la bara che all’ultimo momento è stata ricoperta con una bandiera rossa molti hanno anche gettato fiori che sono ricaduti nell’atrio della cappella


continuava il pellegrinaggio davanti alla bara una sfilata lenta continua qualcuno toccava il feretro qualcuno alzava il pugno e qualcuno si faceva il segno della croce poi alle 15,30 un gran movimento di poliziotti si è formato un robusto cordone di agenti che a stento è riuscito però a trattenere l’ondata della folla la cripta in cui era esposta la bara si è di colpo riempita di un assordante brusio alle 16 infine la tumulazione il feretro è stato portato a spalle dai dipendenti della casa editrice è stato a questo punto che si sono levate le prime grida i primi canti


hanno cominciato a cantare quando il feretro portato a spalla da amici e da dipendenti della casa editrice ha lasciato l’androne nel quale era rimasto dalle otto del mattino coperto di felci e di rose su uno sfondo di rami di forsizia il fiore giallo che è il simbolo della Carinzia e cantavano a mezza voce un coro triste e sommesso nel quale a stento si distinguevano le esortazioni alla lotta dell’Internazionale le canzoni della rivoluzione gli slogan della condanna e dell’ira gli impegni e i giuramenti di vendetta hanno accompagnato l’editore fino alla soglia della suntuosa cappella di famiglia dove la bara di abete bianco della Carinzia ornata di chiodi dello stesso legno è stata inumata qualche minuto prima delle quattro in un pomeriggio caldo di sole e gonfio di passione politica a salutarlo erano venuti in cinque o seimila barbe e capelli lunghi bluejeans e tascapani bandiere rosse occhi duri sui poliziotti schierati in una cintura di ferro intorno al perimetro del cimitero e ammassati all’ingresso davanti al cancello centrale


d’improvviso però il coro si è alzato di tono le voci si sono fatte rabbiose le mani chiuse a pugno sono diventate una selva e hanno cominciato a sventolare le bandiere rosse compagno sei stato assassinato compagno sarai vendicato e altre grida di rabbia altre minacce contro la borghesia assassina parole dure che risuonavano assurde nel pomeriggio di sole fra le tombe monumentali che fanno del cimitero di Milano forse il più importante museo della scultura lombarda e dove riposano da Manzoni a Cattaneo a Forlanini tutti gli uomini che nell’industria nelle lettere nelle arti figurative e nella musica hanno illustrato questa regione


la bara d’abete è stata rimossa alle 15,45 portata a spalla dai dipendenti della casa editrice fino alla cappella della famiglia reparto 2 numero 177 accanto alla tomba della famiglia Pirelli ma molto più grande quando la bara è stata calata nel sotterraneo della cappella la folla che salutava con i pugni chiusi cantando l’Internazionale ha cominciato a scandire compagno sarai vendicato alle 16,30 la tensione si è dissolta per le strade le colonne motorizzate della polizia sono rientrate nelle caserme e la città è ritornata finalmente alla sua vita normale

adesso escono dal cimitero ad ondate ininterrotte il piazzale è ormai pieno zeppo di gente davanti ai cancelli continua intanto a restare compatto lo schieramento dei poliziotti con lo scudo la celata calata sugli occhi e un grosso sfollagente impugnato tutt’attorno alle mura decine di camion di jeep di gipponi stracarichi di carabinieri armati di tutto punto i tascapane gonfi di bombe lacrimogene l’elicottero continua sempre a ronzare instancabile


lo spettacolo che si offrì ai loro occhi quand’essi emersero sulla strada fu terrificante i neri ammassi di nubi continuavano a salire nel cielo crepuscolare altissimi sul loro capo a un’altezza immensa un’altezza immensa fino all’orrore uccelli neri senza corpo più simili a scheletri d’uccelli vagavano come portati alla deriva tempeste di neve s’inseguivano lungo la vetta oscurandola mentre la sua mole si perdeva dietro un velo di stratocumuli ma l’intero massiccio sembrava avanzare su di loro viaggiando insieme coi nembi protendendosi sopra la valle sul fianco della quale incisa a rilievo dalla strana luce malinconica scintillava la piccola vetta ribelle d’un colle con un minuscolo cimitero in essa scavato


ancora pugni chiusi levati al cielo inni intonati in coro slogan ripetuti infine gli inservienti hanno chiuso i cancelli lentamente aspettando che tutti lasciassero i vialetti di ghiaia su cui erano rimasti molti fiori i responsabili dell’ordine pubblico a Milano e a Roma erano sicuramente soddisfatti ieri sera i funerali dell’editore sono diventati comizio ma il comizio non è sfociato in incidenti lo spiegamento di polizia e di carabinieri ha ottenuto l’effetto deterrente che si proponeva la vita di Milano non è stata turbata da scontri e violenze alle inquietudini della vigilia elettorale al disorientamento per l’accavallarsi di piste rosse e piste nere non si è aggiunto un nuovo motivo di disagio


la manifestazione per l’editore al cimitero monumentale ha suggerito anch’essa nella sua sostanziale compostezza qualche riflessione gli studenti sono accorsi numerosi nella tenuta standardizzata giacche a vento per gli uomini pantaloni per le ragazze profusione di capelli e barbe ma di operai non crediamo di averne visto neppure uno e non si obbietti che gli operai a quell’ora erano in fabbrica perché ci sono quelli dei turni che finiscono alle due del pomeriggio o i tranvieri che lavorano di notte e tanti altri lavoratori liberi per le più svariate ragioni è che gli operai hanno capito come l’occasione fosse ben strana per una loro partecipazione


una tuta mimetica una tessera falsa una carica esplosiva che salta un prato di periferia nel buio della notte e adesso tutto quel sole la bara di legno pregiato la cappella alta 17 metri quasi una piccola chiesa i giovani che gridano borghesi assassini e promettono la prossima rivoluzione restituito nella morte alla sua dimensione ma ad essa conteso fino all’ultimo istante dai compagni che giurano di vendicarlo l’editore è scomparso nel pomeriggio di oggi personaggio emblematico di un tempo inquieto e confuso nel suo nome saranno forse commesse altre violenze ma oggi mentre la folla cantava bandiera rossa qualcuno ha certo pianto per lui



* * *


Nanni Balestrini (Milano, 1935 – Roma 2019), ha vissuto tra Roma e Parigi. Negli anni Sessanta è stato tra i principali animatori della stagione della «neoavanguardia». Autore di numerose raccolte di poesia e di romanzi di successo tra i quali Vogliamo tutto, Gli invisibili, I furiosi. Con altri è stato ideatore di storiche riviste come «Quindici», «alfabeta» e «alfabeta2». La casa editrice DeriveApprodi ha pubblicato quasi tutte le sue opere.




bottom of page