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Attendendo l'Impero



Attendendo l'Impero
Immagine: Ivan Bedeschi, variazioni sul tema, 2024


Esce domani per DeriveApprodi In viaggio immobile. Cronache per la «Folha de S.Paolo» di Toni Negri, a cura di Clara Mogno. Il libro contiene le riflessioni elaborate dal filosofo e militante tra metà anni Novanta e inizia degli anni Duemila, prima a Parigi e poi a Roma.

Nell'estratto che pubblichiamo, sono contenute in nuce i temi che saranno poi sviluppati, con Micheal Hardt, in Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione. È dunque un testo di primaria importanza per la cartografia dei decenni smarriti che stiamo portando avanti con Machina e con cui confrontarsi oggi, per comprendere le nuove forme dello Stato nell'epoca della (de?)globalizzazione.


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Diceva Ferdinand Braudel che «il capitalismo trionfa solamente laddove esso viene identificato con lo Stato, laddove esso diventa Stato». Aveva ragione. Chiediamoci dunque: qual è la forma-Stato che segue la mondializzazione capitalistica della produzione e della circolazione delle merci? Rispondiamo: questa nuova forma dello Stato è l’Impero.

La costituzione dell’Impero sta svolgendosi sotto i nostri occhi. Esauritasi la strozzatura sovietica del mercato mondiale e compiutasi la fuoriuscita dal colonialismo, è infatti in corso, all’unisono con l’irresistibile mondializzazione degli scambi, la costruzione di una struttura di regolazione di questi – una struttura centralizzata e dotata di poteri sovrani. Come nell’antichità greco-romana, l’idea d’Impero, quale oggi appare, piuttosto che rappresentare una tensione di conquista, è dunque un tentativo di sospendere la storia, di stabilizzare e di ordinare lo Stato (mondiale) delle cose presenti. E come nell’antichità, quello che a questo fine è messo in atto, lungi dal ridursi a semplice dispositivo ideologico, è una possente macchina politica: la macchina-Impero, appunto, e cioè un nuovo paradigma della sovranità, della sua legittimazione e del suo esercizio, su scala mondiale. Certo, v’è chi afferma che il capitalismo, fin dalla sua nascita, è stato comando mondiale; che quindi l’insistenza oggi portata sui processi di mondializzazione e sulla loro nuova faccia politica, è il prodotto di un precedente difetto di definizione, – e perciò un’illusione. Ma la giusta attenzione portata alle dimensioni «ab origine» universali dello sviluppo capitalistico non può nascondere l’enorme sforzo che oggi si fa per far coincidere il centro del potere economico con il centro del potere politico. La differenza è qui prodotta dalla caduta delle differenze, meglio, dal fatto che la mondializzazione non è più solo un processo di fatto ma diviene fonte di qualificazione giuridica e destino di una figura unitaria di potere politico – l’Impero, appunto. Vi è poi chi afferma che gli Stati capitalisti del Primo Mondo hanno esercitato – collegati fra loro, oppure separati, comunque sempre nella modernità – un’azione imperialista sulle altre nazioni e parti del globo. La tendenza attuale all’Impero non rappresenterebbe perciò una novità ma, per così dire, un perfezionamento dell’imperialismo. Senza sottovalutare eventuali linee di continuità, si deve tuttavia sottolineare che, nell’attuale situazione, nel postmoderno, al conflitto fra imperialismi diversi si è sostituita l’idea di un unico potere che li sovradetermina tutti, li struttura unitariamente e li trattiene sotto la medesima idea di diritto. Quest’idea di diritto è un’idea postcoloniale e post-imperialista.

Eccoci al punto: una nuova idea di diritto. Ovvero una nuova iscrizione dell’autorità ed un nuovo disegno di produzione di norme e di strumenti di coercizione legali per garantire i contratti e per risolvere i conflitti – dunque una nuova pratica della sovranità su scala mondiale. La spia della costituzione dell’Impero è così, in primo luogo, accesa dal diritto. È il diritto che esprime la logica della grande trasformazione in atto – soprattutto il diritto internazionale che, nelle sue attuali trasformazioni, incide sul diritto degli Stati-nazione, affievolendone o annullandone le prerogative, e che costruisce nuove centralità e gerarchie di comando su scala planetaria. Ma anche il diritto del mercato e delle imprese capitalistiche, nella complessità delle relazioni che esso intrattiene, egemonicamente, con la produzione e la circolazione delle merci, la riproduzione e le migrazioni delle popolazioni, lo sviluppo economico e la determinazione dei valori, dei consumi, degli usi e dei modi di vita, – per non parlare dell’informazione e del linguaggio. È questo movimento, e la tendenza che possiamo leggervi dentro, che chiamiamo Impero.

Questo è dunque il quadro.

Noi, cittadini di vecchie o nuove democrazie, di Stati-nazione più o meno consolidati, possiamo augurarci che il processo imperiale si perfezioni, oppure dobbiamo, ritenere che esso rappresenti una nuova, fortissima forma di oppressione e l’irresistibile chiusura di ogni processo di trasformazione democratica delle forme politiche esistenti?

Io non so dare una risposta definitiva a questi interrogativi. Mi sembra tuttavia lecito pensare che il processo imperiale è talmente proceduto che opporvisi può apparire vano. Inoltre, da vecchio comunista, continuo a pensare che la liberazione dell’umanità (dallo sfruttamento) non possa darsi che su un terreno mondiale, e che l’internazionale dei lavoratori abbia fortemente desiderato, attraverso le sue lotte, una fratellanza mondiale degli oppressi. Non riesco d’altra parte a dimenticare la bestiale crudeltà dello Stato-nazione e le mille «guerre patriottiche» nelle quali i popoli si sono massacrati. E non riesco a concepire la possibilità di sopravvivenza dello Stato-nazione, nella crisi, se non come riproduzione di meccanismi di esclusione, di repressione e di integralismo (quali che siano le sue forme, religiose o ideologiche). Inoltre, come cittadino cosmopolita, mi sembra che solo nella mobilità e nel meticciaggio, nella deterritorializzazione e nell’ibridazione, l’uomo libero possa oggi produrre, arricchirsi spiritualmente – insomma vivere.

Il problema, dunque, non è tanto quello di resistere all’Impero quanto quello di decidere, soggettivamente e in termini collettivi, quale Impero vogliamo.



Toni Negri

5 settembre 1996


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Toni Negri (Padova 1933 - Parigi, 2023) ha vissuto e lavorato tra l'Italia e la Francia. Già docente di Dottrina dello Stato a Padova, ha insegnato in molte università  in Europa e nel mondo. La sua riflessione filosofica e politica gli è valsa un importante riconoscimento internazionale. Per DeriveApprodi ha pubblicato: Arte e multitudo, I libri del rogo, Inventare il comune, L'idea di comunismo, pipe-lineSettanta (insieme a Raffaella Battaglini) e Spinoza.

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