L'emblema perfetto del calcio iper-finanziarizzato: un ex promessa trasformata in asset, per di più tossico; lo scambio di calciatori che è anzitutto scambio di valori finanziari; l'onnipresenza di fondi speculativi; l'ingombrante figura di un superagente capace di giostrare il mercato. La vicenda di João Félix, spiegata da Pippo Russo, ci spiega come funzionano l'economia e il mondo del calcio - e non solo...
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Un asset calcistico tossico che viene passato di mano grazie a un gioco di plusvalenze incrociate. Forse non poteva finire diversamente la vicenda di João Félix, l’ex promessa del calcio portoghese rimasta schiacciata da un carico eccessivo di aspettative, il giovane talento invecchiato presto ma ancora non pronto per vivere una vita dopo. Per adesso potrebbe bastargli sapere che questa estate del 2024 gli ha portato una novità: il suo cambio di casacca, dall’Atlético Madrid al Chelsea, è definitivo. Nel senso che non gli toccherà più essere spostato in prestito da club colchonero verso altri club dell’élite europea, come è successo nelle stagioni recenti coi trasferimenti temporanei allo stesso Chelsea e poi al Barcellona. Adesso il suo passaggio al club londinese è fatto per consentirgli di fermarsi, e il contratto della durata di sette anni sancisce questo stato delle cose. Che poi il Chelsea lo tenga davvero con sé per le prossime sette stagioni è cosa tutta da vedere. Perché potrebbe andare a finire che anche il club londinese rimanga deluso dallo scarto fra le (gigantesche) aspettative riposte nel ragazzo nativo di Viseu e l’effettivo rendimento mostrato in campo. Ma queste sono cose che appartengono al futuro. E invece è al passato che bisogna guardare. Per capire come si sia arrivati fin qui. Soprattutto, per spiegare perché João Félix è l’emblema perfetto del calcio iper-finanziarizzato. Del suo cinismo, dell’irresponsabilità di chi ne manovra i fili, delle logiche esogene che lo governano, e di quanto smisuratamente si sta gonfiando la bolla speculativa.
The Italian Job
Ma partiamo dalla (momentanea) conclusione della vicenda. Nella giornata di giovedì 21 agosto Atlético Madrid e Chelsea comunicano di avere concluso uno scambio oneroso di calciatori: il club londinese cede a quello madrileno il centrocampista Conor Gallagher, prodotto del vivaio Blues, e in cambio prende João Félix. I due sono coetanei (novembre 1999 il portoghese, febbraio 2000 l’inglese) e si scambiano le maglie nel quadro di un affare che è anche un incrocio di valori finanziari e di plusvalenze. Un vero Italian Job, dato che il meccanismo è stato inventato e brevettato dalle società del calcio italiano per poi essere esportato. Consiste in uno scambio di calciatori che è innanzitutto scambio di valori finanziari. Il motivo della manovra è chiaro a chiunque abbia una minima dimestichezza coi principi del calcolo di patrimonializzazione degli asset di bilancio. Principi che permettono d’iscrivere in bilancio un doppio valore positivo grazie allo scambio incrociato. C’è il valore positivo che viene dal calciatore in uscita, generato dalla plusvalenza (la somma positiva fra ciò che viene incassato per la cessione dei diritti economici e il costo residuo di quei diritti iscritto a bilancio al momento della cessione). Ma c’è anche il valore positivo dato dal calciatore incamerato, valore che corrisponde alla cifra impiegata per acquisirlo e successivamente iscritta in bilancio nella rubrica delle immobilizzazioni immateriali, sotto la voce «diritti pluriennali alle prestazioni di calciatori». Tutto ciò spiega il senso delle «plusvalenze a specchio» generata da calciatori scambiati per il medesimo valore finanziario, con l’effetto che, per i bilanci delle due società, la somma dello scambio non fa zero ma piuttosto corrisponde al doppio del valore assegnato a ciascun calciatore. Ma il giochino così architettato serve a spiegare anche gli scambi per valori asimmetrici, come quello realizzato fra Chelsea e Atlético Madrid. La ratio è sempre quella: consentire, al club che spende la cifra maggiore, di ammortizzarne parzialmente la portata dell’esborso grazie alla realizzazione di una plusvalenza; mentre l’altro club si ritrova, oltre alla grassa plusvalenza realizzata, un ulteriore asset (i diritti economici del calciatore acquisito «per compensazione») che incrementa il valore degli attivi da immobilizzazioni immateriali. In Inghilterra hanno fatto presto a apprendere le virtù dell’Italian Job. Basta vedere cosa è successo intorno al trasferimento di Douglas Luiz dall’Aston Villa alla Juventus. L’intreccio Gallagher-João Félix si inserisce in questo filone: il Chelsea accetta di spendere 42 milioni di sterline (49,2 milioni di euro) per riportare il portoghese a Stamford Bridge, ma compensa parzialmente l’esborso incassando 34 milioni di sterline (40,2 milioni di euro) per la cessione di Gallagher. Va aggiunto che entrambe le valutazioni sono generose. E proprio questo elemento dell’eccesso di valutazione ci permette di portare indietro la trama del racconto sulla vicenda di João Félix. Che proprio a una valutazione esagerata, costruita col principale scopo di accendere una scommessa finanziaria, deve l’inizio delle sue sventure calcistiche.
Dare i numeri
La vicenda del trequartista portoghese può essere sintetizzata in tre numeri: 19, 126, 23. Il primo numero indica l’età del calciatore nel momento in cui (3 luglio 2019) viene realizzato il suo trasferimento dal Benfica all’Atlético Madrid. João Félix è reduce dalla sua prima stagione da titolare, accompagnata da toni trionfalistici e anche parecchio propagandistici. Per la sua crescita sarebbe opportuno trascorrere almeno un’altra stagione nella Liga portoghese. Ma qualcuno sceglie per lui e decide che bisogna bruciare le tappe. Perciò viene disposto il suo trasferimento del ragazzo in uno dei principali club europei e in una delle leghe più competitive al mondo. La seconda cifra è quella che viene versata per il trasferimento del portoghese in Liga: 126 milioni di euro. Una somma semplicemente lunare. João Félix non valeva quella cifra né arriverà mai a valerla. Il suo ultimo trasferimento è stato realizzato per una somma che ammonta a molto meno della metà, e anche quella è eccessiva. Ma non è quello il punto. L’aspetto più curioso (e inquietante) è l’intera operazione di ingegneria finanziaria attraverso cui si compone la cifra. La somma base è di 120 milioni di euro. L’Atlético Madrid paga nell’immediato soltanto i primi 30 milioni, mentre i restanti 90 milioni vengono interamente anticipati al Benfica da un’istituzione finanziaria. Che a sua volta, per i servizi resi, porta a casa 6 milioni di euro (il 5% sulla transazione), ciò che fa salire la cifra a 126 milioni. Il comunicato ufficiale inviato dal Benfica alla Comissão do Mercado de Valores Mobiliários (CMVM, la Consob portoghese) specifica che ulteriori 12 milioni di euro (cioè, il 10% del valore di transazione, al netto dell’aggio riconosciuto all’istituzione finanziaria) vengono spesi per prestazioni di intermediazione. Ma infine, chi ha finanziato l’operazione? Rispondendo a questo interrogativo si può spiegare il motivo del terzo numero associato a questa vicenda: 23. L’istituzione finanziaria in questione si chiama infatti 23 Capital (o XXIII Capital, come da denominazione associata a altre scatole della complessa architettura societaria). Si tratta di un soggetto che agli analisti dell’economia parallela del calcio globale era già noto. Se n’era fatta conoscenza ai tempi di Football Leaks, l’operazione condotta dal whistleblower portoghese Rui Pinto e successivamente portata avanti da un consorzio di testate europee (European Investigative Collaborations, EIC) guidato dal settimanale tedesco Der Spiegel. Era l’inverno del 2016 e venne fuori che 23 Capital rastrellava i crediti da calciomercato dei club per trasformarli in prodotti finanziari da piazzare in Borsa negli Usa. Lo schema era stato interpretato da molti analisti come un escamotage per aggirare i divieti della Fifa contro le formule di Third Party Ownership (TPO). E in effetti, se si guarda alla situazione in cui si trova João Félix quando si realizza il suo trasferimento a Madrid, di fatto il 75% dei suoi diritti è sotto il controllo di 23 Capital; che in linea di principio diventerebbe proprietario dei diritti economici sul calciatore qualora l’Atlético non onorasse i pagamenti. Va aggiunto che l’istituzione finanziaria, quella medesima estate, dà corpo all’altro trasferimento che movimenta l’estate del 2019 e vede ancora una volta l’Atlético Madrid come protagonista: il passaggio dell’attaccante francese Antoine Griezmann dai Colchoneros al Barcellona. Il clamore che si accende intorno ai due trasferimenti finisce per attirare troppa attenzione su 23 Capital. Un lavoro d’investigazione giornalistica da noi condotto assieme al Guardian fa emergere che il fondo ha l’abitudine di fare raccolta fondi presso la piazza borsistica delle Isole Cayman, ciò che non è proprio il miglior biglietto da visita. Anche per questo motivo, pochi mesi dopo, 23 Capital annuncia pubblicamente di ritirarsi dal business del calcio. Difficile crederlo, vista l’ingente massa di capitali impiegati. Ma questa è la versione ufficiale e come tale va accolta.
L’antitesi del Cholismo
Ma bisogna tornare a João Félix e alla sua traiettoria calcistica. Che dal 3 luglio 2019 decreta per lui lo status di calciatore che ha battuto il record del trasferimento più costoso nella storia del calcio portoghese. Un record che è anche, per lui, una macina al collo. Perché se vieni trasferito per 126 milioni di euro, non puoi permetterti tempi di maturazione né invocare indulgenze. Sei stato pagato da fenomeno, devi giocare da fenomeno. Subito. E invece lui, fenomeno, non lo è né lo sarebbe mai stato. È un buon giocatore di finissima tecnica, cui avrebbero dovuto lasciare il tempo di irrobustirsi nel fisico e nel temperamento. Fra l’altro, capita nel club più sbagliato e nelle mani dell’allenatore meno indicato. Diego «El Cholo» Simeone ha plasmato l’Atlético a propria immagine e somiglianza. Una squadra fatta soltanto da calciatori «di garra», pronti a trasformare ogni partita in una guerra e a comportarsi in campo come un corpo d’élite. Per il Cholo, vedersi arrivare quel mingherlino che ancora indossa i brufoli e gioca un calcio così cicisbeo, è cosa sommamente fuori luogo. Per di più, sapere che il giovane portoghese arriva con l’etichetta di «quello che deve giocare perché è costato uno sproposito di soldi» è la premessa sicura per metterlo in pessima luce agli occhi del tecnico. Risultato: il Cholo Simeone non nasconderà mai il fastidio per l’ex del Benfica. Che ci mette anche del suo, dimostrandosi non all’altezza di una squadra come l’Atlético. Finisce presto ai margini e non ne viene più fuori. La dirigenza del club colchonero prova a tutelare l’investimento, presto convertito in asset tossico. E così arriva la scelta di mandare João Félix in prestito, trovando due club del massimo livello pronti a accoglierlo: prima il Chelsea, poi il Barcellona. Entrambe le esperienze si chiudono allo stesso modo: con l’impressione che il calciatore sia schiacciato dal peso di aspettative troppo elevate. Se le squadre girano, gira anche lui e magari fa anche cose pregevoli. Ma se tocca a lui risolvere i problemi della squadra, in una giornata nella quale le cose non funzionano, allora buonanotte. Perché proprio lui è il primo a sparire di scena. Non proprio quello che ci si aspetterebbe da un calciatore pagato 126 milioni di euro. La stessa irrilevanza, per João Félix, viene misurata nei ranghi della nazionale portoghese. Che sia il recordman in materia di costo del trasferimento non gli risparmia di essere riserva fissa e poco utilizzata, sia agli Europei 2020 e 2024, sia ai Mondiali 2022.
Nella giostra di Jorge Mendes
Ce ne sarebbe abbastanza da essere catturati, senza via d’uscita, dalla Sindrome dell’Impostore. Ma se davvero un’impostura c’è stata in questa storia, va imputata a un soggetto diverso rispetto al calciatore. Bisogna infatti guardare a chi è stato l’artefice di tutto ciò: il superagente portoghese Jorge Mendes, boss dell’agenzia Gestifute, uno fra gli uomini più potenti del calcio globale. Tutti i principali calciatori portoghesi sono roba sua, tutti i principali trasferimenti dal Portogallo verso l’estero avvengono dopo apposizione del suo timbro. E poiché l’uomo ha vocazione alla dismisura, ecco che gli capita di esagerare facendo bruciare le tappe ai suoi assistiti. L’esperimento gli è riuscito nell’estate 2003 col giovanissimo Cristiano Ronaldo, trasferito al Manchester United in anticipo rispetto a quanto suggerito dai più. In quell’occasione era stato proprio Mendes a insistere per precorrere i tempi. E l’averci visto giusto ha indotto nel superagente la presunzione di poter replicare l’operazione con calciatori di levatura ben inferiore. L’operazione avviene sempre con grande dispiegamento di mezzi propagandistici, cui la stampa sportiva lusitana si presta in modo imbarazzante. È successo nel 2016 con Renato Sanches, autore di un buon campionato (ma nulla più) col Benfica. Viene immediatamente piazzato al Bayern Monaco per 35 milioni di euro più una serie di bonus che porterebbero a 80 milioni il totale. Lette adesso quelle cifre, si rischia di essere impietosi nel giudicare quei 45 milioni di euro in bonus. Perché Renato Sanches, oltre a dimostrarsi totalmente inadeguato per competere a certi livelli, ha anche esibito una frequente esposizione all’infortunio. Tutte cose confermate nel corso della sua ultima stagione, trascorsa alla Roma. Dopo Renato Sanches è toccato a João Félix, il cui caso è stato illustrato in questo articolo. Per la cronaca, indovinate chi ha percepito i 12 milioni di commissione per il trasferimento del calciatore all’Atlético Madrid? L’ultima tappa si è consumata giusto questa estate. A essere trasferito è stato ancora una volta un calciatore del Benfica, il giovane João Neves, anche lui reduce dal primo campionato da titolare. Il ragazzo è stato ceduto al Paris Saint Germain per 60 milioni di euro. Un’altra scommessa su un calciatore acerbo, ancora una volta condotta con un club amico. Così va il calcio dei super-agenti. Coi calciatori trasformati in veicoli finanziari per far girare quanto più denaro possibile. E se poi si bruciano, o si ritrovano nella condizione di asset tossici, poco male. È un rischio del mestiere.
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Pippo Russo (Agrigento, 1965) è ricercatore di Sociologia dell’ambiente e del territorio presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Firenze. Giornalista e saggista, ha dedicato diversi studi all’analisi sociologica dello sport. Ha pubblicato quattro romanzi, fra i quali la duologia dedicata a Nedo Ludi.
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