Elon Musk, da anni conosciuto per essere un’avanguardia dell’imprenditoria hi-tech e probabilmente l’uomo più ricco del mondo, da qualche tempo è sotto i riflettori delle cronache politiche, dall’amicizia con Meloni al sostegno a Trump, nel cui trionfo elettorale ha giocato un ruolo fondamentale. È insomma diventato un’icona della destra globale, benché la sua condotta di vita sia alquanto antitetica alle sue retoriche valoriali riassunte nel motto «dio, patria, famiglia». La collaborazione tra Musk e Trump, del resto, non è nuova: durante la sua prima presidenza, con un decreto ad hoc il tycoon americano consentiva l’apertura di cantieri estrattivi su altri pianeti. Da lì è iniziata la colonizzazione spaziale di Musk, già affermatosi con irruenza imprenditoriale nel trasformare la tecnologia in un surrogato dell’umano, spesso al di fuori di normative e regole. Musk è dunque un paradigma del transumanismo contemporaneo (o lungotermismo, secondo la più recente nozione), che Rosi Braidotti studia con lungimiranza da lungo tempo e di cui ha anticipato la centralità. In questo estratto da Postumano. Femminismo (DeriveApprodi, 2023)[1] Braidotti evidenzia come assumere la sfida del postumano, senza alcuna nostalgia per i miti della natura e dell’uomo vitruviano, significhi al contempo mettere a critica quel transumanismo turbocapitalistico di cui oggi Musk è il principale rappresentante.
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La tecnologia sarà anche diventata una seconda natura, ma il prezzo da pagare per lo sviluppo tecnologico è davvero troppo alto per l’ambiente. Il vecchio pianeta non ce la fa più. Ad esempio, i Bitcoin consumano 121,36 terawattora (TWh) di elettricità all’anno, cifra che ammonta a più di quanto consumano l’Argentina (121 TWh) o i Paesi Bassi (108,8 TWh). I computer che portano a termine le operazioni di mining producono la stessa quantità annuale di CO2 di Las Vegas (22 megatoni) (Young 2021). Il miliardario transumanista Elon Musk, pioniere dei veicoli elettrici e a energia alternativa, ma anche appassionato cultore di Bitcoin, è l’emblema delle contraddizioni e paradossi postumani.
[…] L’esplorazione dello spazio siderale è ormai diventato un modello di gestione che incoraggia una sorta di «futurismo privatizzato» (Shaw 2021). Le aziende private detengono l’80% dell’industria globale dello spazio, che nel 2021 ammontava a un totale di 424 miliardi di dollari. Queste società intergalattiche operano in settori come la tecnologia dell’informazione, l’estrazione dei minerali, il turismo, le grandi aziende manifatturiere, la biotecnologia e l’ambito farmaceutico (Jolly 2021). A oggi, i nuovi miliardari stanno fondando aziende private di esplorazione spaziale: Richard Branson ha creato la «Virgin Galactic Hyperloop One»; Jeff Bezos la «Blue Origin», un’azienda che si occupa di progettare tecnologie per l’atterraggio lunare; mentre la Space X di Elon Musk si sta concentrando sullo sviluppo di una cupola di vetro su Marte dove andrà a vivere una colonia umana. Butteranno anche lassù i loro rifiuti? Ci troviamo di fronte a un transumanismo apocalittico integrato nelle economie neoliberali in altri pianeti. La sovrappopolazione e la mancanza di materie prime, ma specialmente di metalli rari, sulla terra vengono additate come giustificazioni per il neocolonialismo spaziale. Jody Byrd arriva al punto quando afferma che «c’è una certa euforia agghiacciante nel discorso «non-siamo-ancora-morti-ma-siamo-prossimi-alla-fine» che nutre le amnesie che poi sfociano lentamente verso la critica politica» (2011, p. 225). Byrd definisce questo atteggiamento morboso come «capitalismo zombie»: l’ultimo stadio delle fantasie deliranti di egemonia imperialiste e coloniali. Così noncuranti delle critiche da parte degli ambientalisti, da arrivare perfino a disprezzare apertamente la Terra, i neo-colonialisti intergalattici sono inoltre assolutamente ignari e indifferenti al razzismo delle proprie posizioni. Questi rappresentanti di commercio transumanisti professano una retorica ambigua, del lamento legato all’euforia, promettendo ai cittadini futuri paradisi economici non-terrestri, colmi di opportunità mai viste prima. Quando si parla di colonizzare il futuro, la realtà supera la fantascienza.
Nell’aprile del 2020 – in piena pandemia – il presidente Donald Trump espresse per l’ennesima volta il suo disinteresse nei confronti delle politiche ambientali, sostenendo invece con entusiasmo una nuova fase per le predilette economie estrattive. Trump allora firmò un ordine esecutivo dove incoraggiava le aziende americane a estrarre risorse dalla luna e dagli asteroidi limitrofi (Milman 2020). È diventato allora palese che gli Stati Uniti, non percependo lo spazio come un bene e una proprietà comune (global commons), hanno rifiutato il coordinamento multilaterale e inoltre hanno dato il via allo sfruttamento commerciale della luna, senza curarsi di redigere alcun trattato internazionale. Questo gesto legittima, inoltre, la possibilità di formare partnership tra il governo federale e le aziende private per l’estrazione di materie prime dalla luna, tra cui acqua e minerali rari. Questa legge sarà uno dei pochi aspetti dell’eredità di Trump che la nuova amministrazione, sotto la guida di Joe Biden, ha promesso di onorare. Non che non ci fossero già stati altri precedenti: gli Stati Uniti, infatti, non hanno mai firmato il «Moon Treaty» del 1979, che stipulava che qualsiasi attività spaziale avrebbe dovuto conformarsi alle direttive internazionali. Ma, a vero dire, non lo avevano accettato neanche la Russia e la Cina, le altre due potenze intergalattiche e avversarie. Il governo degli Usa autorizza, inoltre, l’estrazione di metalli e altre risorse da Marte e da «altri corpi celesti» nel momento in cui questa opportunità dovesse presentarsi. I recenti sviluppi in campo geo-ingegneristico spaziale e astro-biologico portano l’equazione fra biologico e tecnologico a un’apoteosi davvero delirante (Cooper 2008). Si apre una nuova era astropolitica. Queste misure, afferma Jody Byrd, stanno applicando la dottrina colonialista americana del Destino Manifesto allo spazio profondo: «Gli Stati Uniti siedono sull’orlo di un precipizio: l’impero deve decidere se procedere a manifestarsi come una sovranità de-territorializzata oppure restare a terra e provocare un collasso ambientale di proporzioni apocalittiche» (2011, p. 3). Oppure nel peggiore dei casi, come temo io, permettere che entrambe le ipotesi si avverino, spingendo la convergenza postumana verso abissi di distruzione reciproca assicurata.
L’iconica astronauta Samantha Cristoforetti celebra queste evoluzioni straordinarie, affermando che la dimensione planetaria è destinata a durare. Cristoforetti lancia un doppio monito. Esprimendo una sensibilità profondamente post-antropocentrica, l’astronauta ci ricorda che la specie umana è transitoria e fugace: «potremmo scomparire, e la terra continuerebbe comunque a muoversi … non c’è nulla di definitivo o ineluttabile in noi» (2020). Cristoforetti ritiene che la specie umana debba diventare multi-planetaria per sopravvivere a disastri imprevedibili ma non per questo impossibili, tra cui rientrano le collisioni con gli asteroidi e le pandemie. Bastano questi rischi per giustificare la necessità dei viaggi spaziali e di eventuali ricollocazioni intergalattiche.
A questo effetto, le cose progrediscono rapidamente. I progetti per le nuove colonie lunari sono pronti: includeranno uomini e donne, così da garantire la preservazione della specie. I membri dell’equipaggio spaziale della Nasa, con i loro piccoli Uomini Vitruviani diligentemente ricamati sulla tuta, non possono lasciare nulla al caso. È molto probabile che porteranno a termine la loro missione perpetuando, nel frattempo, alcune delle pessime abitudini eteronormative, eurocentriche e orientate al profitto che contraddistinguono i loro antenati terrestri. La forte competizione che arriva dalla Cina e dalla Russia sta trasformando l’insediamento spaziale in uno spettacolo a alto gradimento. Ci troviamo però di fronte allo slancio di colonizzazione di più ampio respiro da cinquecento anni a questa parte, quando l’espansionismo coloniale europeo aveva appena mosso i primi passi.
Per le donne comunque non è una novità viaggiare nello spazio. La prima astronauta, la leggendaria Valentina Tereshkova, partì per lo spazio dall’Unione Sovietica nel 1963. Anche se fino al 1978 la Nasa (creata nel 1958) assumeva solo astronauti uomini e bianchi, e l’Agenzia Spaziale Europea (Esa, fondata nel 1975) ha mandato la prima astronauta nello spazio, Claudie Haigneré, solo nel 2001, i tempi stanno cambiando. Nel febbraio del 2021 l’Esa ha aperto le porte a donne e a persone con disabilità, che prenderanno parte a missioni sulla luna e, col tempo, anche su Marte[2]. Cristoforetti ha commentato favorevolmente questa iniziativa volta alle pari opportunità intergalattiche, in una prospettiva femminista affermativa e intergenerazionale. Ha espresso particolare soddisfazione per i 26 nuovi posti di astronauta riservati a un nucleo di persone che rappresentano la diversità. L’analogia che questo progetto stabilisce fra le donne e le persone disabili non sarà forse gradita a tutte, ma Cristoforetti offre un’astuta riflessione sui sorprendenti colpi di scena della condizione postumana, affermando che «quando si tratta di viaggi nello spazio, siamo tutti disabili» (Reuters, 17 febbraio 2021). In effetti, a gravità zero, tutti i corpi galleggiano liberamente, proprio come faceva Sue Austin, immersa nell’ambiente sottomarino.
La portata e la rapidità di questi ultimi sviluppi dimostrano che la convergenza postumana è già in pieno svolgimento, qui e ora: è un tratto storico attuale, non una lontana possibilità. E ciò mette anche in rilievo la preveggenza e il profondo carattere etico che anima la letteratura speculativa femminista e LGBTQ+ – che viene spesso liquidata ingiustamente come un genere leggero o d’evasione dalla realtà, aumentandone così la credibilità.
[…] Mentre mi apprestavo a ultimare questo volume, la missione Perseverance Rover era in pieno svolgimento. Ci arrivavano da Marte immagini straordinarie del pianeta rosso, scattate da dispositivi tecnologici guidati dall’intelligenza artificiale, che si stanno auto-organizzando per programmarsi a vivere in un nuovo habitat. Si dà, inoltre, il caso che l’ingegnera capo di questa missione storica, nonché volto della Nasa, sia una donna indo-americana: Swati Mohan. I volti e le prospettive che una volta venivano esclusi stanno cambiando rapidamente eppure, come nota Helen Lewis: «La misoginia muta. Il sessismo e il femminismo sono come batteri e antibiotici; i secondi costringono i primi a evolversi (2021, p. 403)». Aggiungerei inoltre che l’effetto congiunto di entrambi risulta anche nella creazione di un’immunità politica di gregge per l’intera comunità. Ma una tale mutazione politica richiede interventi attivi. Indietro non si torna. Se le mobilitazioni femministe non continuano su questo pianeta, allora il progetto di esplorazione dello spazio potrà anche diventare intergalattico, ma resterà tanto patriarcale quanto il sistema con cui già conviviamo. E l’esperienza di vita marziana e spaziale sarà di una noia mortale[3].
Note
[1] R. Braidotti, Postumano vol. III. Femminismo, DeriveApprodi, Bologna 2023, pp. 127, 293-296, 299.
[2] Nell’aprile del 2021, la Nasa ha annunciato che il nuovo progetto per l’atterraggio lunare Artemis (in collaborazione con la Space X di Elon Musk) manderà la prima donna e la prima persona di colore sulla luna.
[3] Un omaggio a David Bowie.
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Rosi Braidotti femminista e filosofa, è autrice di numerosi saggi tra i quali, in italiano: Il ricordo di un sogno. Una storia di radici e confini (Rizzoli, 2024); Soggetti nomadi (Castelvecchi, 2023); Fuori sede (Castelvecchi, 2022), Madri, mostri, macchine (Castelvecchi, 2022). DeriveApprodi ha pubblicato i tre volumi dedicati a Il postumano.
L'ipotesi che il patriarcato spedisca nei mondi intergalattici anche donne, di colore e persino disabili, per vivacizzare e democratizzare, è molto interessante. Musk è andato a scuola dalla Cristoforetti? Ma Trump è d'accordo? Andare a scuola da una donna? Non sia mai. Comunque, la terra è ormai irreversibilmente spazzatura, quindi, organizziamoci per un altrove. Da curare come i commons di Eleonor Ostrom? Con pratiche partecipative fra chi? AUSPICIO. Di Rosi e mio. Se il femminismo continua il suo lavoro qui, cercando di ridurre a zero - chissà - la spazzatura, forse anche i mondi e gli spazi intergalattici non saranno male. Altrimenti, la vedo dura. Quello che mi stupisce sempre piacevolmente in Rosi. Analizza questioni prevedibilmente apocalittiche, e sottotraccia, neppure…