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Menù di Ferragosto

  • Anonimo
  • 22 ore fa
  • Tempo di lettura: 8 min

Foto di Angelica Ferrara
Foto di Angelica Ferrara

Una proposta di menù per Ferragosto.

I racconti e le ricette sono tratte da La cuoca di Buenventura Durruti. La cucina spagnola al tempo della «guerra civile» (DeriveApprodi, 2005) diario di una giovane donna, Nadine, scritto tra il 1932 e il 1939, negli anni della guerra civile in Spagna che riesce a intrecciare passioni, illusioni, esperienze di militanti, combattenti, gente comune.


***


Entrata. Terrina di coniglio

C’è una strana pausa nelle ostilità. Nelle piazze i soldati, con la baionetta innestata, si nascondono dietro gl’alberi per non farsi notare. Davanti all’università ho incontrato una pattuglia di marocchini con le scimitarre in pugno, più che spaventarmi mi sono sentita ridicola, Juana dice che dobbiamo cercare in noi le cause del tramonto, le ragioni della nostra incapacità offensiva. Cita Marx, «come gl’individui esternano la loro vita, così essi sono», e va da sé, ciò che essi sono coincide con ciò che producono e con il modo con cui lo producono. Ogni tanto si sente improvviso il rumore di una saracinesca che cala, cigolando, quello di uno sparo, fischi di allarme e di cessato pericolo. La gente si sdraia su marciapiedi rassegnata, poi si alza e si ripulisce i vestiti dalla polvere come se niente fosse stato. Nella comune il tema ricorrente è quello dell’organizzazione. Il nostro argomento principale, come sostiene Miguel. Ognuno dice la sua, tutti temono lo scontro fratricida con i militanti che inneggiano a Stalin. León e Juan sono perentori, il comunismo non può essere presentato come una scienza o una somma di scienze, quali l'economia, la storia, la filosofia, perché è la teoria pratica della lotta di classe ed è indistinguibile da essa, o non è niente. León, in particolare, ridicolizza la pretesa dei leninisti di considerarlo un utensile al servizio di uno scopo politico. La sua tesi è che dobbiamo contrapporre le organizzazioni di base al partito di quadri perché l’unità della volontà, pretesa da Lenin, si realizza più facilmente quando si combatte nella libertà e nel caos che nell’ordine militare e nella gerarchia. Qui, in comune, tutti hanno sempre le tasche piene di giornali ed opuscoli, mi faccio prestare da León un testo di Anton Pannekoek e uno di Karl Korsch per meglio documentarmi, nel farlo intravedo nel suo tascapane l’immancabile Rabelais e una copia di Estremismo, malattia infantile del comunismo di Lenin, pieno zeppo di annotazioni e imprecazioni.

Con María ci diamo alla grande cucina, terrina di coniglio. Ce lo ha portato, già tagliato, Diego. Solo dopo averlo messo in forno la terrina María espresse il sospetto che anch’io avevo avuto quando lo avevo visto in cucina: Nadine, non ti sembra che assomigliasse troppo ad un gatto?

Spolpate un coniglio in modo da ricavarci almeno 800 grammi di polpa. Tagliatela a pezzetti e poi tritatela. Aggiungeteci il fegato, anch’esso tritato, saltato in una padella con un cucchiaio d’olio d’oliva, uno spicchio d’aglio tagliato a fettine sottili, un pizzico di noce moscata. Aggiungete a questo impasto un cucchiaio di farina, due uova sbattute, un bicchiere di sherry e un paio di cucchiai di brandy, del timo fresco, un pizzico di noce moscata, un mezzo bastoncino di cannella sbriciolato, un cucchiaino di paprica, sale e pepe quanto basta. Mescolate il tutto con cura. Adesso, foderate una terrina di coccio con fette di pancetta, riempitela con l’impasto preparato, sistemate in cima all’impasto una croce formata con due striscioline di lardo, poi, ricoprite il tutto con altre fette di pancetta. Chiudete la terrina in modo ermetico saldandola con un impasto di acqua e farina. Sistemate la terrina in un recipiente più grande riempito d’acqua e mettete in forno a bagnomaria per almeno due ore. La cottura deve avvenire a bagno-maria: se l’acqua viene a mancare, aggiungetela. Servite questa terrina fredda con fette di pane abbrustolito. Mio padre la battezzava sempre con il txacolí . In ghiacciaia dura almeno sei giorni.


Nota

A proposito della brochure di Lenin, Paul Mattick ha notato come Otto Ruhle, in una testimonianza, dice che essa restò in vendita nelle librerie di Berlino anche dopo il 1933, anno della presa del potere da parte dei nazisti. Forse, questo Diego è Abad de Santillan, rappresentante della Fai nel Comitato delle Milizie Antifasciste ed autore di La revolución y la guerra en España, uscito a Barcellona nel 1937. Di questo libro riportiamo solo questo passo, impressionante e drammatico: «…quelli che non avevano niente con cui combattere ed attaccare andavano dietro a quelli che avevano una vecchia pistola e qualche munizione, sperando che cadessero uccisi per raccoglierla ed armarsi».

Il txacolí è un vinello basco, bianco e piacevolmente aspro.



Piatto di mezzo. Quaglie con i fichi

Con María sono di turno al consultorio familiare. Non è un lavoro pesante, per di più raccogliamo molti pettegolezzi e saggiamo l’umore della gente. In realtà, tutto si riduce a distribuire preservativi che, con il tabacco, sono, tra le piccole cose, quelle più preziose, e a smascherare le false gravidanze, perché le donne incinte hanno dei vantaggi nella distribuzione delle razioni. Gli uomini sono cambiati, dice María, sono più suscettibili, più violenti, ma anche più generosi. Forse ha ragione Largo Caballero quando dice che gli spagnoli hanno un carattere che ne fa dei subordinati difficili e dei capi pericolosi o, forse, ha ragione Juan a dire che disubbidire, seminare disordine, gridare e gesticolare sono un modo spagnolo di esprimere le passioni. Un modo che è anche l’espressione di una grande generosità, come l’oste che da tempo offre da bere ai soldati, gli automobilisti che si fermano a caricare i pedoni, i medici che visitano ad ogni ora del giorno e della notte, le vecchie che cucinano nei refettori collettivi e poi vanno a casa a fare il bucato, gli artigiani che riparano ogni cosa e sono spesso pagati con cianfrusaglie, i ragazzini che organizzano collette e aiutano gli uomini nei turni di guardia, gli artisti dello spettacolo che cantano, suonano e fanno circolare le nostre parole d’ordine. Soprattutto, c’è generosità nello sguardo di coloro che partono e non sanno se torneranno, c'è generosità in quelli che restano e sentono le famiglie dei caduti come se fosse la loro. Conclude María, ridendo, comunque sono rimasti gelosi come i loro compari dall’altra parte della barricata, dove è ancora santificato il principio mío o de la tumba. Questa notte sono piovuti volantini della falange con l’invito a disertare. A Madrid, invece, ha fatto la sua comparsa la parola tchéka, è una estensione del termine russo che indica dei centri d’inchiesta alle dipendenze dei partiti e dei sindacati. Le polizie si moltiplicano quando le rivoluzioni stanno crollando, mi dice Juan con la voce triste, ma noi non cederemo perché siamo i nemici irriducibili di ogni ragione che disprezza la vita corrente. L’osservazione finale è di Marcelino, nelle rivoluzioni la coerenza appare sempre drammatica, fino a sembrare falsa. Ecco perché è temuta!

A casa ci aspettano delle quaglie sparate in un campo di grano da Miguel, i fichi sono dell’albero del nostro giardino. Questo frutto, secondo mio padre, esalta il gusto delicatamente selvatico di questi gallinacei che María ha definito regum gratissima mensis. Ce ne vuole una a testa. Vanno spiumate e vuotate, lavate ed asciugate, quindi insaporite con sale, pepe e cannella sminuzzata fine. In un tegame fate saltare dei fegatini di pollo con un poco d’olio d’oliva. Usateli per farcire l’interno delle quaglie. Adesso, legatele e sistematele in una casseruola imburrata. Aggiungeteci una cipolla tritata fine, poi, un mazzetto di erbe odorose, timo, rosmarino, origano, alloro, e un pizzico di noce moscata. Mettetele su un fornello, appena cominciano a dorare cospargetele con un poco di farina setacciata e passatele in forno, caldo. A questo punto versateci sopra mezza bottiglia di vino bianco secco e rigiratele almeno un paio di volte. A metà cottura aggiungete alla casseruola un fico per ogni quaglia, sbucciato e tagliato a metà. Poi, se volete, un cucchiaio di cioccolato fondente grattugiato e un bicchierino di brandy. Terminate la cottura e servite subito, oppure, riponete le quaglie al caldo e deglassate il fondo. In questo caso potete fare le porzioni in cucina ed aggiungervi del riso bollito come contorno. Per il cioccolato usammo del «surrogato di cioccolato Cima» preso dalla razione di un volontario italiano.


Nota

Francisco Largo Caballero fu uno degli artefici del Fronte Popolare e capo del governo repubblicano fino al maggio 1937. «A me o alla tomba» è il grido classico del marito che, nella zarzuela, scopre l'infedeltà della moglie.



Dessert. Crema catalana

In un foglio franchista, che si stampa a Burgos, hanno pubblicato la lettera di un tal Luigi Ernoli, membro di un’associazione chiamata «Azione Cattolica» che, dall’Italia, scrive all’ambasciatore del governo di Burgos presso la cosiddetta «santa sede». La legge Rodrigo ad alta voce: «Eccellenza, dalle notizie che apprendo sul satanico e perverso furore anarco-comunista che sfoga la sua atrocità, superando di gran lunga i più selvaggi cannibali, verso venerandi sacerdoti che l’unico male è l’aver prodigato del bene a queste iene umane e verso una moltitudine di vecchi, di bambini, di donne colpevoli di possedere un’immagine sacra o una corona del rosario, non resisto all’indignazione che assale ogni petto che chiude un’anima e mi offro all’Eccellenza Vostra perché mi faccia partire al più presto per la Spagna, pregando che in questa lotta Città di Dio contro quella del Mondo, possa portare un fattivo contributo compreso quello d’una immolazione completa per la Santa Causa di Cristo, della Chiesa e della Spagna». Quasi ogni giorno pubblicano lettere simili a questa, gettate, dice Juan, ma chica, prova a parlare con Pedro, domani.

Pedro è un operaio tessile basco, ricercato per omicidio su prete. Aveva avuto dei sospetti sul fatto che questi gli circuisse la moglie, sospetti confermati anche da alcuni voci di paese e da alcune ammissioni della moglie che, piangendo, sosteneva di non aver potuto fare altrimenti se non volevano perdere il sussidio di studio per i figli. Perciò Pedro decise di non farla andare più in canonica da sola. Il preta, allora, a cui la moglie aveva confessato che il marito bestemmiava, lo fece licenziare e fece istituire una pratica per affidare ad un ente religioso i suoi due bambini. Pedro non si preoccupò molto di questa pratica, anche perché dovette mettersi subito alla ricerca di un altro lavoro, finché non arrivò la «Guardia Civil», con alcuni dell’Ancp, a portarglieli via. Allora, si mise l’abito della festa e una pistola in tasca, poi, con la moglie andò in chiesa e domandò di potersi confessare. Il prete timoroso, dapprincipio la tirò per le lunghe, poi cedette, s’infilò la stola e gli porse la mano per farsi baciare l’anello. Così, mentre il prete mormorava, «peccatore, io ti accolgo in nome di Gesù misericordioso», Pedro gli scaricò tutto il caricatore della vecchia Astra, gridando, «e io ti ammazzo in nome della libertà». Solo ieri avrei gridato inorridita, oggi, 18 maggio 1937, ho abbracciato Pedro, in silenzio.

Con Estrella e un paio di maestre di asilo, abbiamo distribuito, ai bambini di Sans, della crema catalana. È il frutto di un sequestro di uova dirette a Valencia, ma che noi sapevamo destinate a sparire a metà strada per essere rivendute al mercato nero, come capita sempre più di frequente. Questa crema, che a casa mia chiamano di «Sant Josef», è un’antica specialità spagnola che ha fatto da capostipite a tutte le crème brulée della cucina francese e italiana. Un tempo era chiamata la crema delle zitelle, perché il giorno di San Giuseppe è preparata dalle donne, non sposate, di casa. La sua particolarità è di venir bruciata in superficie con un ferro di cavallo rovente o, come faceva mia nonna, con le iniziali di famiglia. In una ciotola raccogliete dodici tuorli d’uovo con 600 grammi di zucchero e qualche goccia di brandy. Sbattete il tutto con una frusta fino ad ottenere una crema liscia ed elastica. Aggiungeteci un cucchiaio di amido, la scorza grattugiata di tre limoni e di un cedro, un bastoncino di cannella intero, un cucchiaino di noce moscata. Poi, versateci un litro e mezzo di latte fresco, bollito e raffreddato. Scaldate questo composto a bagnomaria fino a quando non comincia ad addensarsi. Fuori dal fuoco eliminate il bastoncino di cannella e versatelo in vasetti di coccio monodose. Quando la crema è fredda conservatela nel ghiaccio, al momento di servirla bruciatela con un ferro rovente in superficie. Julio, per l’occasione, ci aveva preparato in officina l’acrostico della rivoluzione asturiana: UHP, inscritto in un cerchio.


Nota

Sul documento dell’azionista italiano vedi anche A. Albonico, Los católicos italianos y la guerra de España, in «Hispania. Revista española de historia», Madrid 1978. L’Ancp è l’Associazione cattolica nazionale dei propagandisti, che operava in stretto contatto con le milizie carliste. La crema catalana conservatela in frigorifero e, al momento di servirla, mettetela sotto il grill del forno, finché lo zucchero che contiene non comincia a caramellare. Servite subito.

1 comentario


Dordle Luka
Dordle Luka
4 ore fa

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