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Il magico mondo dell’editoria (4)

Condizioni di lavoro e lotte nella logistica del libro




In memoria di Adil Belakhdim


Il 18 giugno è morto Adil Belakhdim. Morto investito da un camion che lo ha travolto senza fermarsi, mentre organizzava uno sciopero al magazzino della catena di supermercati Lidl di Biandrate (Novara). Sgomento, rabbia, orrore. Quante volte è successo? Almeno un’altra, alla Gls di Piacenza; un lavoratore egiziano dell’Unione sindacale di base Abd El Salam, come vittima. Quante altre volte ci si è andati vicini? Una infinità. Il clamore stavolta è diverso. Sono dieci anni che nel trasporto merci su strada, in misura e intensità differente, è scoppiato un ciclo di rivendicazioni che ha sconvolto le relazioni tra capitale e lavoro, ed è già successo tutto ciò che nel nostro immaginario è legato al sindacalismo rivoluzionario americano: i pestaggi della Pinkerton per rompere i picchetti, il sequestro di sindacalisti, l’iniezione di soldi sporchi nelle aziende, lavoratori che non parlano neanche la lingua del paese in cui vivono, ma che scioperano perché la fatica non ha bisogno di traduzioni. Questa volta però è stato diverso. Sembra che solo la morte fisica, crudele, drammatica, riesca a rompere l’indifferenza sul lavoro operaio. Non il Lavoro, ma il lavoro salariato e operaio, intendendo il lavoro nella sua concretezza, quella fatta di condizioni materiali, di organizzazione dei turni, di carichi e di tempi, di subordinazione al dipendente più alto in grado, che si presta a tenere l’ordine per il padrone sul posto di lavoro. Non è del tutto vero che di lavoro operaio non se ne parli per nulla. Se ne parla come merce, quanto deve costare, come regolamentarlo. Nella società senza più operai, per capire cos’è il lavoro operaio sembra che si debba estinguere fisicamente, come successo qualche giorno fa nel caso della morte sul lavoro della giovane operaia dell’ex distretto tessile pratese [1].


Un motivo più politico della rottura di questa afasia può essere legato al fatto che questo dramma viene a valle di una sequenza di episodi che coinvolgono lo stesso settore e lo stesso sindacato nel giro di pochi giorni. Adil stava scioperando in un magazzino Lidl, dove i facchini avevano forti problemi di riconoscimento degli straordinari. Era però una giornata di mobilitazione nazionale proprio contro la repressione delle lotte sindacali, oltre che contro l’accordo firmato dai sindacati confederali sul nuovo CCNL. Poco tempo prima un picchetto dei lavoratori della Fedex di Piacenza era stato sciolto a suon di gas lacrimogeni e i loro sindacalisti arrestati. Gli stessi operai del magazzino di Piacenza, chiuso poi come ritorsione dal corriere americano Fedex, vengono picchiati due volte da vigilantes privati assunti dalla ditta che gestisce in appalto i magazzini. Il pestaggio avviene mentre scioperano di fronte a magazzini dello stesso marchio in Lombardia (a San Giuliano e a Tavazzano). Venti giorni fa una’inchiesta della procura di Milano mette sul banco degli imputati Dhl, la multinazionale tedesca che ha quote significative del mercato italiano delle consegne espresse, e che ha ricevuto anche l’appalto per la distribuzione dei vaccini dal centro di raccolta militare di Pratica di Mare, ai vari hub vaccinali. Secondo l’accusa degli inquirenti la multinazionale ha evaso il fisco e fatto illecita intermediazione di manodopera. Infine, un evento che i lettori di libri riconosceranno da vicino: uno sciopero nel più grande centro di distribuzione logistico di tutti gli editori del paese – per la seconda volta in due anni – blocca la distribuzione libraria in quasi tutta Italia.

Ma la più forte e definitiva ipotesi per spiegare l’attenzione di questi giorni al lavoro operaio dentro la Logistica è che la pandemia abbia operato una rottura irreversibile nella percezione del ciclo produttivo logistico, del suo peso e della sua rappresentatività dell’intera condizione operaia.

Sia agli occhi delle persone, che ne hanno sperimentato l’utilità nei mesi di confinamento domestico, che degli organi di stampa che avevano bisogno di qualcuno attraverso cui semplificare la nuova classe operaia dopo aver narrato la scomparsa di quella vecchia.

Quale che sia la spinta a questa nuova consapevolezza, essa è benvenuta. Va raccolta e approfondita.

Prendiamo solo uno degli episodi citati sopra che hanno costellato questi due mesi infuocati della Logistica italiana, quello che più da vicino riguarda il mondo della cultura, l’intellettualità che produce e consuma testi scritti, che sono anche – o prima di tutto – oggetti fisici, che abbisognano di uno stoccaggio e di una distribuzione come tutte le altre merci.


Quasi tutti i libri italiani passano da Stradella, un polo logistico che ha diverse specializzazioni, tra cui quella del libro.

Migliaia di metri quadri di magazzini denominati «città del libro». Nell’estate del 2018, il sito logistico era balzato agli onori delle cronache per l’inchiesta giudiziaria «Negotium» della Procura di Pavia. L’inchiesta rivelava che le cooperative in subappalto di Ceva (che ha l’appalto principale da parte di Messaggerie, il principale gruppo di distribuzione), che lavoravano sul polo logistico del libro, erano la copertura di un gruppo di imprenditori che eludeva il fisco e utilizzava lavoratori tramite un’agenzia di somministrazione Romena che retribuiva le missioni ai livelli salariali dell’Est Europa. A marzo dell’anno dopo, la rimozione per via giudiziaria delle false cooperative non aveva ancora lasciato il passo al pagamento delle liquidazioni e a un corretto inquadramento contrattuale secondo l’anzianità maturata nel magazzino. Uno delle classiche ignominie delle cooperative in appalto è infatti quella di fallire, far scomparire il Tfr e riassumere tramite una neonata cooperativa lo stesso lavoratore con il livello di apprendista neo-assunto. A far rispettare diritti dei lavoratori ci penserà un enorme sciopero, convocato da tutte le sigle sindacali, che bloccherà integralmente Stradella costringendo a regolari assunzioni le cooperative subentranti. Lo sciopero spinge anche il Tribunale di Milano a ricondurre Ceva sotto amministrazione controllata, per garantire che l’operato avvenga dentro i confini delle norme fiscali e tributarie. Fin qui i corposi antefatti. Bisogna evidenziare che la «città del Libro» è il frutto di una doppia concentrazione. La prima è quella del mercato dei servizi editoriali che vede oramai Messaggerie Libri come un colosso della distribuzione, tanto più capace di condizionare il mercato in quanto presente in più punti della filiera, incluso quello del commercio al dettaglio. La concentrazione gemella è quella dei meccanismi funzionali della Logistica. Quanto più concentri, quanto più ottieni economie di scala. Ecco perché i nodi delle reti Logistiche (detti hub) tendono a essere tanto grandi, almeno fino a quando questa elefentiasi non preclude la celerità della consegna (problema non rilevantissimo nella Logistica del libro dove un ciclo di consegna al distributore finale di pochi giorni è accettabile). Per gestire centri così grossi ci vuole però una capacità gestionale non comune. Per dotarsene Messaggerie affida da sempre la movimentazione dei libri nei magazzini di Stradella alla gestione della multinazionale inglese (ma con sede fiscale in Svizzera) Ceva, specializzata appunto in operazioni logistiche, la quale – a sua volta – subappalta le operazioni e l’assunzione diretta a cooperative o srl che erogano materialmente il servizio. A dicembre 2020 l’ampliamento delle funzioni logistiche date in appalto a Ceva ha richiesto anche la creazione di una joint venture (C&M) che ha preso direttamente in gestione i magazzini all’inizio di marzo 2021, investendo anche in nuovi nastri di distribuzione. Contemporaneamente è avvenuto lo spostamento di alcuni lavoratori iscritti all’organizzazione di base Si Cobas (la stessa del sindacalista ucciso a Biandrate) in un altro sito all’interno della stesso polo logistico. Ciò ha fatto ovviamente temere che gli incrementi di produttività dati dai nuovi macchinari venissero scaricati in esuberi, ai quali erano predestinati ovviamente gli iscritti (in gran parte stranieri) dell’organizzazione di base che rappresenta circa una metà degli operai del luogo. Da qui lo sciopero partito all’inizio di giugno. Le altre rivendicazioni della piattaforma sono due punti che il sindacato (di cui faceva parte anche il sindacalista ucciso) tende a riportare in tutti gli appalti dove è presente per creare omogeneità di trattamento anche in diversi comparti della Logistica: il pagamento integrale dell’indennità di malattia a carico dell’azienda (non è infatti previsto nella sezione cooperative del CCNL il contributo aziendale alla sosta per malattia), e un ticket pasto del massimo valore possibile (oggi intorno agli 8 euro). Per dare un’idea della ragionevolezza delle richieste queste rivendicazioni sono, oltre che assolutamente sostenibili per appalti di quelle dimensioni che hanno margini economici di centinaia di migliaia di euro, già in uso nel reparto dei corrieri espresso. Venerdì 4 giugno, la polizia interviene a un picchetto del sindacato sparando lacrimogeni ad altezza d’uomo e provocando la frattura della mano di un lavoratore e il ricorso alle cure mediche da parte di altre due lavoratrici. La violenza poliziesca non spezza però il picchetto che dal giorno dopo continua con maggiore partecipazione. Il clamore suscitato dall’intervento scomposto delle forze dell’ordine spinge la Prefettura alla convocazione di un tavolo, a cui vengono chiamati anche i sindacati confederali. Il Si Cobas pretende la titolarità della trattativa aperta grazie ai suoi scioperi e alla fine C&M è costretta a capitolare. Il comunicato pubblico della C&M uscito all’indomani della fine dello sciopero è un concentrato di arroganza. La definizione delle richieste sindacali come irrealistiche (quando poi le richieste verranno parzialmente accolte), l’accusa di violenza a lavoratori e lavoratrici vittime di pestaggi e finiti in prima persona all’ospedale ecc. C’è n’è quanto basta per capire che, nelle relazioni con il capitale, il disprezzo scorre dall’alto verso il basso.

Cosa ci insegna questa vicenda, che abbiamo sinteticamente riassunto, sulla Logistica? E su noi?

Proviamo qualche generalizzazione cauta, perchè la Logistica è innanzitutto al servizio di una filiera produttiva e ne assume le caratteristiche differendo molto da settore a settore.

Prendiamo qui alcuni punti comuni, per cercare di capire ciò che c’è nuovo e che è stato capace di produrre l’agitazione di questi giorni. Sicuramente, il fatto che il capitale procede per salti. E ognuno di essi produce una rottura. La concentrazione del mercato editoriale si sposa con quella della gestione della Supply chain. L’intensificazione della concorrenza produce la rincorsa al ribasso delle condizioni di lavoro, i primi conflitti conducono alla modernizzazione tecnologica. Questo è vero, ed è operante in questo settore, ma non è certo il nuovo. Tra l’altro le capacità delle tecnologie di risparmiare forza lavoro sono assai più contenute in questo settore che in altri. Come il trasporto, il commercio e le altre attività distributive la Logistica è una parte del ciclo produttivo estremamente caratterizzata dall’alternarsi stagionale e dagli orari dei picchi lavorativi. La vera innovazione è quella di riuscire a imporre una flessibilità lavorativa che vuole gli operai impiegati solo al momento del picco (orario o stagionale che sia) con abuso di part-time involontari e contratti di somministrazione. La Logistica ha a che fare con la valorizzazione, più che con il valore. Anche questo è vero, ma non è certo una novità.


C’è invece un elemento che è nato dieci anni fa e va indagato nella sua mutevolezza. La Logistica non è fatta di invisibili. Dopo l’apertura del ciclo di lotte che ha portato fino agli eventi di questi giorni i salari sono ben più alti della media di un contratto operaio. I lavoratori della Logistica non sono vittime molto di più di quanto non lo siamo tutti, anche perchè si sono ribellati. La rincorsa all’abbassamento dei costi ha portato alla fine degli anni 2000 all’etnicizzazione del facchinaggio – e non solo – all’interno di questo segmento. Intere comunità sono state assunte in magazzini gestiti per conto di multinazionali nella convinzione che non si sarebbero mai ribellate perchè non parlavano italiano. E invece la ribellione c’è stata, perchè la fatica è un linguaggio universale. Il momento della soggettivazione non è cosa di cui scrivere, perchè è un accadimento orale. È un precipitato di molte cose: la voglia di cambiare, il non avere molto da perdere, il senso della dignità per il quale non si passa il Mediterraneo in barca per ritrovarsi a essere insultati dentro un magazzino della pianura padana. Il punto è non solo che sia successo, ma che sia continuato per dieci anni anche grazie allo sforzo di associazioni sindacali come Adl e Si Cobas a cui va riconosciuto, al di là delle critiche che ognuno ritiene di dover fare, di aver riscritto, per poter intervenire in situazioni tanto complesse, i codici non solo del sindacalismo confederale (oramai inservibile) ma anche di quello di base (sclerotizzatosi negli anni). La pratica sindacale è guerra, non in senso metaforico. Disporre le truppe, bloccare, anticipare l’avversario, come a Stradella. Se ti fai spostare di magazzino anche in assenza di una lettera di licenziamento il licenziamento arriverà. Il punto è che questa ondata partita dai magazzini dei corrieri espresso ha ora infiammato altre sezioni del comparto, ed è qui, salvo contromosse, per durare. Il vero punto nuovo è Adil. Un lavoratore-studente che a una vita da operaio straniero ha sostituito una vita da sindacalista in un paese ostile al lavoro. Se la determinazione di questa composizione è il vero punto di rottura del ciclo della Logistica, capire come riproporla, su su per la filiera, è il nostro compito. La capacità del lavoro operaio di capire che di fronte ai colossi dell’editoria l’unica arma è la solidarietà collettiva è stata finora inversamente proporzionale a quella dimostrata dal lavoro professionale in testa alla filiera. Eppure esperimenti che tentano di riproporre la sostanza di quella solidarietà con strumenti adeguati alle forme del lavoro qualificato sono già in corso. Portare grafici, copywriter e autori, ma anche i commessi delle catene di librerie appartenenti a Messaggerie, a Stradella. Ricomporre in ogni filiera lavoro professionalizzato e non, per onorare la memoria di Adil, per riprenderci tutto.


Note [1] L’ex distretto tessile di Prato è un altro luogo simbolico del funzionamento del capitalismo contemporaneo. Eletto a sintesi di profitto e comunità, è diventato una delocalizzazione del capitale cinese dove impiegare migranti pakistani da sottoporre a condizioni semischiavistiche.

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