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Il digitale e la fine dei luoghi



Le parole attraverso le quali il digitale si rappresenta e invita i suoi fruitori a una trasformazione degli immaginari legati al concetto di spazio, è abbastanza inequivocabile. Già il solo fatto che per le piattaforme di relazione virtuale si sia scelto il nome «social network» sembra un primo gigantesco paradosso. Definire sociale una rete di relazioni virtuali che nasce con l’intento di negarle (sia pure negli intenti iniziali, come evidenzia il termine network, limitatamente al lavoro) risulta oltremodo grottesco.

La digitalizzazione richiede una progressiva simbolizzazione della realtà che però non semplifica la relazione, come potrebbe sembrare a uno sguardo superficiale, piuttosto la complica e la snatura, celando i momenti che rendono possibile la simbolizzazione. Non rende più agevole la comunicazione o il contatto, ma li rende controllabili, ne facilita l’omologazione, la standardizzazione. La semplificazione avviene solo dal punto di vista del controllo.

L’atto di acquistare un libro in rete, ad esempio, non riduce minimamente l’impatto o le azioni necessarie per portare a termine il proposito. Lo semplifica all’acquirente, ma lascia inalterate le dimensioni del reale entro le quali l’azione si compie, modificandone però completamente i contorni. L’aspirante lettore non esce più di casa, non gira per le librerie a cercare il libro, non incontra più il libraio e non tocca più il manufatto. Tutte queste azioni le fa qualcun altro al suo posto, in una nuova, strutturata, catena di montaggio. L’idea che la sostituzione avvenga a costo zero è solo un’illusione. Come in ogni rappresentazione teatrale che si rispetti, a fronte della scena virtuale che si presenta al pubblico, della rappresentazione, esiste un dietro le quinte, una contro-scena per dirla con Foucault [1], totalmente reale. Il dietro le quinte non si vede, ma comporta una serie di fatti e dimensioni reali che devono rimanere celati al pubblico, pena il fallimento della rappresentazione. La contro-scena mobilita masse di lavoratori, torna a produrre spazi secondo dinamiche ignote a chi li determina, riproduce una realtà subordinata alla finzione, un nuovo regime di schiavitù nascosto da un impenetrabile sipario. È il caso degli immensi magazzini di stoccaggio dei prodotti di Amazon sparsi per il mondo e delle enormi masse di lavoratori che operano al loro interno, o si occupano della distribuzione. Mondi paralleli che devono rimanere invisibili e in quanto tali non possono reclamare diritti, o rivendicare la condizione di realtà. È il mondo reale del digitale che riconfigura i luoghi della realtà in funzione dei consumi [2].

Quanto descritto per l’acquisto di un libro, avviene per ogni prodotto e la definizione «non luoghi» di Augé pensata per i centri commerciali, dove perlomeno erano ancora protagonisti i corpi, sia pure schiavizzati dalle merci, e persino la possibilità di stabilire una relazione fisica tra le persone [3], appare molto più pertinente per indicare, a titolo d’esempio, i mastodontici magazzini di Amazon di Passo Corese, pensati per annullare completamente la possibilità che il momento del consumo possa anche solo incidentalmente tradursi in occasione d’incontro e dunque di relazione. Con la scomparsa dello spazio reale, ciò che si perde, è la possibilità di essere nella realtà; subito dopo, per dirla con Simmel, «la possibilità dell’essere insieme» [4].

Sul piano urbanistico, la rivoluzione digitale pone in essere quella che Choay ha definito epoca posturbana, per indicare la fine della dimensione urbana e insieme la fine dei luoghi per come li avevamo finora conosciuti. Una specie di vortice, di mulinello, capace di risucchiare progressivamente la realtà all’interno di un mondo che sempre di più somiglia alla sua rappresentazione [5], ridisegnando i luoghi del reale in modo trasparente e inconsapevole, attraverso l’atto del consumo. Di un consumo de-responsabilizzato che spinge a standardizzare, omologare e ridurre a merce, ogni aspirazione dell’individuo, ogni suo bisogno, compreso il bisogno della relazione sociale, o di cambiamento politico [6].

È difficile per chi è solito acquistare la merce dalle piattaforme on-line, tra le quali Amazon è certamente la principale oltre che la più conosciuta, avere contezza di come quel suo «clik» con il mouse nelle icone mostrate dalle piattaforme, comporti una trasformazione totale della realtà circostante, incidendo nella produzione dello spazio [7] e dei rapporti sociali. Dando corpo a dimensioni spaziali a lui sconosciute o trasparenti, che nel migliore dei casi ignora e nel peggiore rimuove, barattandole con l’impressione di una maggiore semplicità, di una momentanea e virtuale convenienza che ha come effetto immediato la fine del concetto stesso di luogo, intendendo per «luoghi» gli spazi fisici in cui intervengono determinate relazioni sociali capaci di definirli, oppure, prendendo in prestito le parole da Scandurra: «[...] contesti fisici, ambiti, dimensione psichica e anche politica in cui si svolge la vita quotidiana delle singole persone. Luoghi dove si intrecciano storie, si organizza la vita affettiva e di relazione, si producono reti di convivenza, universi simbolici, dove nascono legami, connessioni affettive, dove si produce il senso comune che si tramanda alle generazioni che verranno» [8].

I «luoghi digitali» invece, ormai una nuova realtà, sono incapaci di definirsi in modo proprio, a partire dal linguaggio. Sono semplicemente una simulazione dei luoghi reali, venduti come dimensioni altre al solo scopo di sostituire gli originali. Parole come Meet (incontro), Gruppo, Chat (chiacchierata), sono pane quotidiano per chiunque intenda relazionarsi all’interno del mondo digitale, ma al contempo anche parole non neutre, non nuove, che richiamano, non si sa ancora per quanto tempo, almeno fino a quando il ponte con l’immaginario consueto e consolidato si renderà necessario [9], i luoghi reali di sempre, in cui l’incontro, i gruppi e le chiacchierate, avvengono nella loro dimensione concreta, con tanto di corpi al seguito e all’interno di spazi fisici determinati. Potremmo dire che le dimensioni della realtà, per come eravamo soliti intenderle a cominciare dalle parole, sono divenute scomode, ma continuano a rendersi necessarie. A dimostrazione che il delitto perfetto non può dirsi compiuto e mai potrà esserlo senza il consenso di chi viene ucciso.



Note [1] M. Foucault, Spazi altri, Mimesis, Udine 2011, pp. 23-24. [2] Cfr. C. Albanese, Per una critica della realtà-viruale e dell’intelligenza artificiale, Efesto, Roma [3] 2021. Cfr. T. Marci, L’altra persona. Problemi della soggettività nella società contemporanea, Franco Angeli, Milano 2008. [4] G. Simmel, Sociologia, Edizioni di Comunità, Torino 1998, p. 525. [5] F. Choay, L’orizzonte del posturbano, Officina edizioni, Roma 1992, pp. 98-99. [6] D. Harvey D., Il capitalismo contro il diritto alla città, Ombre corte, Verona 2012, pp. 25-26. [7] H. Lefebvre, La produzione dello spazio, Moizzi, Milano 1978. [8] E. Scandurra, Un paese ci vuole, Città aperta, Enna 2007, p. 12. [9] J. Baudrillard, Il delitto perfetto, Raffaello Cortina, Milano 1994, p. 14.


Immagine: Foto di S.B., 2021

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