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I compagni del passato: l’Illuminismo sovietico tra negazione e affermazione

Parte I

Jean Kehayan e Julien Blaine


Preludio: un palazzo comunista dell’Illuminismo sovietico

Un opuscolo del 1922 dell’ucraino Fedor Dunaevskij, I compiti dell’Illuminismo, si trova nella Biblioteca storica pubblica della Russia, a Mosca, solo in microcopia. È un curioso documento del primo immaginario sovietico sul futuro comunista che ci permette di comprendere perché la parola «Illuminismo» abbia un significato specifico nel contesto sovietico. L’opuscolo si apre con la descrizione di un enorme palazzo, in cui i bambini imparano e studiano giocando spontaneamente gli uni con gli altri. Girano e prestano attenzione a ciò che li interessa di più: l’evoluzione delle specie, gli strumenti di lavoro, l’arte e la storia antica, persino la filosofia di Socrate può catturare la loro curiosità. Un bambino incontra gli operai del palazzo a ogni passo della conoscenza, lo aiutano a comprendere informazioni in un ordine che si addice al bambino. Attraverso la pratica, gli esperimenti di laboratorio e le letture di gruppo, i ragazzi ottengono non una laurea ma la possibilità di passare ai piani superiori, dove la conoscenza si approfondisce e le domande intellettuali crescono. Spetta tuttavia all’individuo concreto decidere a quale piano e per quanto tempo rimanere nel palazzo, addirittura per sempre[1]. Per alcuni, il piano migliore in cui stare è quello dei dibattiti pubblici; qui si può creare un gruppo e proporre qualsiasi tipo di progetto sociale. Altri possono entrare a far parte dell’«esercito dei lumi», ossia il Dipartimento dell’Illuminismo, e aiutare i villaggi e le regioni remote con tutto ciò che praticamente serve, dalla costruzione di strade alla creazione di biblioteche e scuole. È da notare che la propaganda non ha alcun ruolo in queste attività. Infine, alcuni potrebbero preferire la fuga nel «personale dello stoicismo», nel museo d’arte o nella biblioteca, che conduce al cubicolo con un alto soffitto aperto progettato per guardare le stelle. Sembra che il palazzo abbracci non solo l’intera vita dell’umanità comunista, ma che concluda in qualche modo lo sviluppo storico della vita sulla terra.

A differenza di molte altre utopie dei primi anni Venti, l’umanità comunista di Dunaevskij non sta colonizzando lo spazio, educando e comunistizzando il mondo esterno. Non si sforza nemmeno di inventare il miglior modello economico di riproduzione sociale. Il palazzo è il modello, ma Dunaevskij non spiega le basi economiche della sua esistenza. La sua umanità, o forse possiamo dire post-umanità, si recinta nella struttura chiusa di un museo, dove la padronanza della ragione non serve al progresso, ma a un godimento della conoscenza accumulata nel corso della storia privo di utilità. È una vacanza dal capitalismo: la gente legge solo libri, si gode l’arte e produce cose per sostenere questo stato di felicità post-storica. Il modello di educazione politecnico, in senso marxiano, conosce solo una comprensione a spirale della totalità olistica o dello spirito del mondo. È allo stesso tempo hegeliano e spinozista. Così, la preoccupazione principale dei filosofi del palazzo è il terreno comune delle «costruzioni epistemologiche delle Upaniṣad, del Fedro di Platone e dell’Etica spinoziana»[2]. Qui, l’umanità comunista funziona sia come oggetto museale sia come soggetto, un istituto di ricerca che raggiunge un’autocomprensione post-storica.

L’immagine dell’Illuminismo fornita da Dunaevskij può apparire in contraddizione con il pathos progressista, razionalista e teleologico dell’«edificio culturale» socialista; il termine, che un autore sovietico usa per identificare le differenze tra gli illuministi borghesi e comunisti[3], negando il passato in maniera futurista, butta giù dal battello a vapore della modernità Gogol, Pushkin e Tolstoj, propone la morte delle vecchie forme sociali, abolisce le classi, celebra le nuove tecnologie e il determinismo della forza produttiva, per arrivare il prima possibile al futuro proletario purificato. E tutto questo fa parte del programma dell’Illuminismo sovietico, con i suoi agitprop, la liquidazione dell’analfabetismo, l’organizzazione scientifica del lavoro e l’industrializzazione che mirava a liberare il proletariato dai pregiudizi del passato capitalistico e, conseguentemente, a rimodellare i rapporti sociali. Mi concentrerò su questa contraddizione, cercando di rispondere alla domanda sul perché l’Illuminismo sovietico rifiuta il passato e tende al progresso dall’oggi, ma allo stesso tempo guarda indietro e pone quell’indietro davanti.

Due modelli di Illuminismo: l’operaio cosciente e la cultura proletaria

L’espressione tipica dell’edificio culturale basato sul rifiuto delle vecchie forme sociali consiste nella teoria politica leninista dell’operaio cosciente e nel concetto di cultura proletaria di Aleksandr Bogdanov. Entrambe le teorie vogliono combattere l’analfabetismo e l’«arretratezza» dei contadini e degli operai, ovvero – filosoficamente parlando – la spontaneità (stikhiinost’), attraverso la razionalizzazione e l’organizzazione dell’intera classe nella forma-partito nel primo caso, nel movimento proletario autonomo (Proletkul’t[4]) nel secondo.

La parola russa stikhiinost’ significa non solo spontaneità, ma anche elementi della natura – stikhiia, il caos. Nel famoso pamphlet pre-rivoluzionario Che fare?, Lenin affronta la questione della consapevolezza politica di un operaio nello spirito delle idee illuministe. Sostiene che la lotta spontanea (stikhiinaia) degli operai per migliori condizioni di lavoro potrebbe trasformarsi in una lotta consapevole per il socialismo solo se un operaio è in grado di riconoscere la missione storica della sua classe. Tuttavia, questa missione era stata formulata non dagli operai ma dagli intellettuali, tra cui Marx ed Engels, che non erano rappresentativi della classe operaia. Ne consegue che solo l’unione dell’intellighenzia rivoluzionaria e degli operai può costituire un progetto politico in grado di superare i limiti della lotta economica. Perciò i socialdemocratici avrebbero dovuto pensare a forme appropriate di agitazione e di educazione politica. Se Lenin impiega stikhiinost’ per la concettualizzazione delle masse disorganizzate in contrapposizione alla disciplina del partito proletario, Bogdanov, filosofo del movimento Proletkul’t, la usa per analizzare il livello più basso di organizzazione nella vita fisica e sociale. Rispondendo alla domanda di Plechanov «cosa esisteva prima dell’esperienza umana?», Bogdanov scrive:

Se ci astraiamo completamente dall’umanità e dai suoi metodi di lavoro e di cognizione, non c’è nessuna esperienza fisica, nessun mondo di fenomeni regolari. Rimarrebbe solo la spontaneità elementare [stikhiinost’] dell’universo, che non conosce alcuna legge perché non può misurare, calcolare o comunicare. Per capirla e per padroneggiarla, siamo obbligati ancora una volta a introdurre l’umanità, che esercita i suoi sforzi per lottare con quella spontaneità [stikhiinost’], per conoscerla, cambiarla e organizzarla. Così, ancora una volta, otterremmo l’esperienza fisica, con il suo obiettivo di una regolarità socialmente elaborata e utile[5].

L’organizzazione è la capacità di portare elementi della vita «più bassa» nella natura e della vita «inconscia» nella società alla forma non contraddittoria e razionale dell’unità psicofisica. Dunque, la forma-partito diventa un’ontologia dell’autorganizzazione della materia e del lavoro. Bogdanov individua un compito della società post-rivoluzionaria nella costruzione di una nuova totalità comunista attraverso l’universalizzazione dell’esperienza umana e non umana. Come si vede, nonostante la polemica tra Bogdanov e Lenin[6], entrambi rimangono bolscevichi, ma con una peculiare differenza: il bolscevismo dissidente di Bogdanov ha l’ambizione di cambiare l’universo, mentre il pragmatismo di Lenin si basa sulla capacità del partito di organizzare il socialismo nel contesto del caos sociale pre- e post-rivoluzionario.

Tuttavia, a un livello più profondo della sua filosofia e della sua politica, la dissidenza di Bogdanov presenta significative sfumature in cui si discosta dal bolscevismo classico. Nella sua teoria, la transizione dal capitalismo al comunismo presuppone la trasformazione dei rapporti sociali da un «autoritarismo» gerarchico e dualista a uno stato di «cooperazione fraterna» monista, in cui sono abolite la divisione del lavoro e la subordinazione. Il concetto di «cultura proletaria» indica esattamente la cultura del nuovo proletariato industriale e del lavoro collettivo post-rivoluzionario, non la cultura dei rivoluzionari di professione e del loro partito. Questa cultura deve innanzitutto superare i rapporti sociali autoritari borghesi, il dualismo, ovvero la divisione tra la funzione organizzativa e la funzione esecutiva nella produzione. La nuova forma dei rapporti di lavoro, una «cooperazione di compagni», è già esplicita nella produzione industriale in seguito al trasferimento della specializzazione alla macchina e alla collettivizzazione operaia attraverso la sindacalizzazione. Il modello del Proletkul’t è una sorta di laboratorio per lo sviluppo di un tipo fraterno e collettivista di rapporti emancipati che il proletariato dovrà portare in tutti gli aspetti della vita sociale, dalle relazioni di genere e familiari alla produzione di arte e conoscenza[7].


Bogdanov sottolinea che ogni classe produce la propria cultura e il proprio punto di vista. Se gli intellettuali per definizione riproducono rapporti autoritari nelle loro strutture di partito e nei loro comportamenti quotidiani, la produzione industriale universalizza il lavoro e tende a eliminare la concorrenza e la leadership individualistica. La transizione verso la macchina-lavoro presuppone una graduale intellettualizzazione del rapporto tra l’operaio e la macchina. Dal semplice controllo della macchina, il lavoro passa a un ruolo attivo e organizzativo, operando al livello della struttura del macchinario, risolvendo i problemi tecnici e prendendo decisioni organizzative. L’operaio diventa l’operatore del macchinario e l’esecutore delle operazioni macchiniche. La definitiva abolizione dell’autoritarismo avviene in condizioni di totale automazione del sistema sociale collettivista, laddove l’operaio diventa «organizzatore scientificamente formato». L’ingegnere è l’unico prototipo di un simile «organizzatore-esecutore». Il monismo proletario è uno stadio superiore dello sviluppo sociale, in cui il collettivismo sostituisce le differenze sociali e l’individualismo nel processo di costruzione attiva di un piano univoco di vita sociale[8]. Per Bogdanov, quindi, l’eliminazione della spontaneità, degli affetti e delle contraddizioni è il comunismo.

Bogdanov pensa che una cultura proletaria così omogenea o un’organizzazione universale richiedano un linguaggio comprensibile che possa risolvere tutte le complessità della conoscenza in schemi e strutture semplici. Bogdanov, così come Lenin e Lunačarskij, hanno sostenuto la romanizzazione della lingua russa; ha anche anche affermato che la cultura proletaria post-rivoluzionaria deve sviluppare una nuova e unica lingua proletaria internazionale, comprensibile in tutto il mondo (pensava che l’inglese fosse un candidato perfetto per questo ruolo)[9].

Come è stato sottolineato in precedenza, il Proletkul’t di Bogdanov ontologizza l’operaio cosciente di Lenin, un concetto politico strettamente legato all’idea di avanguardia del partito. Il Proletkul’t può essere ritenuto un’istituzione che ha coltivato l’aristocrazia operaia. Ad esempio, il teorico dell’arte produttivista Boris Arvatov lavorava come segretario del Proletkul’t di Mosca, mentre l’artista Alexander Rodchenko, il poeta e scrittore Sergej Tretyakov e il regista Sergej Ejzenštejn, tra gli altri, collaboravano con il Proletkul’t e davano lezioni agli operai proletkultisti[10]. Ciò è stato riconosciuto solo nelle pubblicazioni sovietiche, in cui l’avanguardismo artistico è associato esclusivamente alle idee e alle opinioni politiche di Bogdanov[11]. Non sorprende quindi che Lunačarskij, il primo commissario del Narkompros[12], paragoni l’avanguardia del partito con l’assolutismo illuminato:

Un popolo che affoga nell’ignoranza non può ricevere un pieno autogoverno, il presupposto del governo popolare è reso possibile solo dall’illuminazione di quelle stesse masse a cui si deve dare il potere. Finché ciò non sarà raggiunto, la via di uscita deve essere l’«assolutismo illuminato». Non c’è alcun potere dell’intellighenzia. Ci deve essere il potere dell’avanguardia del popolo, di quella sua parte che rappresenta gli interessi, correttamente compresi, della maggioranza; di quella parte del popolo in cui risiede la sua forza creativa. Quella forza creativa o potere è il proletariato, e l’attuale forma di governo non può che essere una dittatura del proletariato[13].

L’«assolutismo illuminato» di Lunačarskij presuppone un esercito di vari mediatori, come artisti, intellettuali, educatori e rappresentanti di partito, che possano articolare in forma adeguata gli «interessi correttamente compresi» del proletariato. In questo senso, l’«assolutismo illuminato» di Lunačarskij può essere inteso come un compromesso tra lo statalismo di Lenin e l’autonomismo di Bogdanov. Tuttavia, nel complesso, il progetto dell’Illuminismo sovietico sarebbe dovuto culminare nel regno del pensiero razionale.

Per Lukács, Adorno e Horkheimer, proprio questi aspetti dell’Illuminismo, cioè la cura della ragione e della consapevolezza, l’eliminazione dell’irrazionale e dell’istintivo, la promozione dell’utilitarismo e del razionalismo, incarnano la mistificazione della natura, che si ribalta in un caos senza senso che sta al di fuori della ragione scientifica alienata. La natura irrazionale diventa oggettività da classificare, da conquistare e da padroneggiare[14]. L’utilitarismo, la calcolabilità e la pianificabilità sono derivati dalla lotta con la spontaneità. Allo stesso modo, la storia appare come ciò che era prima della rivoluzione – il sistema capitalistico irrazionale, la forma immatura della società, lo sfruttamento e la violenza senza senso, la guerra di tutti contro tutti – la natura; ed è ciò che diverrà – l’abolizione della natura in una pura e suprema coscienza di un operaio o in uno spirito nazionale tedesco, se seguiamo l’analisi di Adorno – la cultura. Mikhail Lifshitz, amico moscovita di György Lukács, la definisce la coincidenza degli opposti dialettici[15]; inoltre, attribuisce alla negazione nichilista sovietica del passato l’etichetta adorniana di personalità autoritaria. Negli anni Venti la personalità autoritaria aveva un orientamento di sinistra, solo negli anni Trenta si è spostata a destra[16].


Note [1] F.R. Dunaevskij, Zadachi prosveshcheniia [I compiti dell’Illuminismo], Experimental’naia Shkola-club, Kharkov 1922, pp. 8-25. [2] Ivi, p. 64. [3] V.M. Povzner, Krasnaia armiia prosveshcheniia [L’armata rossa dell’Illuminismo], Gosudarstvennoe izdatel’stvo, Mosca 1919, p. 93. [4] Bogdanov è nato nel 1873 nella provincia di Grodno (oggi Polonia). Fu espulso dall’Università di Mosca dopo essere stato arrestato per l’attività politica e fu esiliato prima a Tula (Russia centrale) nel 1894 e poi a Vologda (Russia nord-occidentale) nel 1989. A Tula, Bogdanov tenne un gruppo di lettura marxista per gli operai della fabbrica locale. Si unì ai bolscevichi nel 1903 e fu espulso nel 1910 dal comitato centrale del partito per le sue posizioni di ultra-sinistra. Bogdanov è stato leader della frazione Vpered del Partito bolscevico dal 1909 al 1911. Vpered ha organizzato a Capri e a Bologna, tra il 1909 e il 1910, un’università proletaria per i militanti operai russi. Nel 1917 ha fondato il Proletkul’t (Organizzazioni proletarie culturali-illuministiche), durato dal 1917 al 1932; con il suo mezzo milione di membri nel 1919, ha sviluppato studi artistici, letterari, teatrali e scientifici in molte città e regioni. Nel 1920 Bogdanov fu espulso dal Comitato centrale di Proletkul’t. Laciò l’organizzazione nel 1921, perché ormai subordinata alla politica culturale del partito. La fine dell’autonomia di Proletkul’t segna la continuazione della lotta politica di Lenin contro Bogdanov. Dalla fine degli anni Venti, il nuovo Proletkul’t è diventato un sostenitore dell’arte tradizionale e della politica di Stalin. Bogdanov morì dopo un fallito esperimento di trasfusione di sangue nel 1928. Si veda la biografia di Bogdanov in G. Haupt – J.J. Marie, Makers of the Russian Revolution: Biographies of Bolshevik Leaders, Allen & Unwin LTd., Londra 1974, pp. 286-92. A proposito del primo Proletkul’t si veda S. Fitzpatrick, The Commissariat of Enlightenment: Soviet Education and the Arts Under Lunacharsky. October 1917–1921, Cambridge University Press, Cambridge 1970, pp. 89-100. [5] A. Bogdanov, The Philosophy of Living Experience. Popular Outlines, Brill, Leida-Boston 2016, p. 219. [6] Sul conflitto politico tra Lenin e Bogdanov si veda Z. Sochor, Revolution and Culture: The Bogdanov-Lenin Controversy, Cornell University Press, Ithaca-Londra 1988. [7] A. Bogdanov, Elementy proletarskoi kul’tury v razvitii rabochego classa. Lektsii prochitannye v Moskovskom proletkul’te vesnoi 1919 goda [Gli elementi della cultura proletaria nello sviluppo della classe operaia. Lezioni tenute al Proletkul’t di Mosca nella primavera 1919], Gosudarstvennoe izdatel’stvo, Vserossiiskii Sovet Proletkul’ta, Mosca 1920. [8] Si veda A. Bogdanov, Proletarskaia kul’tura i mezhdunarodnyi iazyk (Tezisy doklada) [La cultura proletaria e il linguaggio internazionale (Atti di un documento)], «O proletarskoi kul’ture» (1904–1924), Kniga, Mosca 1925, pp. 328-332. [9] Ibidem. [10] Per un quadro informativo della teoria artistica di Bogdanov e del Proletkul’t in rapporto all’arte produttivista si veda M. Zalambani, L’Arte Nella Produzione. Avanguardia e rivoluzione nella Russia sovietica degli anni ’20, Longo Editore, Ravenna 1998. Per il coinvolgimento di Ejzenštejn e Tretyakov nel teatro del Proletkul’t si veda G. Raunig, Art and Revolution. Transversal Activism in the Long Twentieth Century, Semiotext(e), Los Angeles 2007, pp. 149-162. [11] Si veda, ad esempio, una critica leninista militante del produttivismo di Bogdanov in A.I. Mazaev, Konzepziia proizvodstvennogo iskusstva 20-kh godov [La concezione dell’arte produttivista degli anni Venti], Nauka, Mosca1975. [12] Narkompros è il Commissariato del popolo per l’illuminismo. A proposito dell’attività di Lunačarskij nel Narkompros si veda Fitzpatrick, The Commissariat of Enlightenment, cit. Narkompros è spesso tradotto come «Commissariato popolare dell’istruzione», ma prosveshchenie in russo significa letteralmente «illuminazione». La confusione deriva dall’uso sinonimico delle parole «istruzione» e «illuminazione» prima e dopo la rivoluzione. [13] Lunačarskij [1918], «Speech at the First All-Russia Congress On Education», in On Education. Selected Articles and Speeches, Progress Publishers, Mosca 1981, p. 16. [14] W.T. Adorno – M. Horkhaimer, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1997; G. Lukács, Storia e coscienza di classe, SugarCo, Milano 1991. [15] M. Lifshitz, Chto takoe klassika? [Cos’è classico?], Iskusstvo – XXI vek., Mosca 2004, p. 45. [16] M. Lifshitz – L. Sziklai, Nadoelo. V zashchitu obyknovennogo marksizma [Basta così. In difesa del marxismo oridinario], Iskusstvo – XXI vek., Mosca 2012, p. 28.

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