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Francia «compiuta» contro Francia «incompiuta»


Immagine: Houria Bouteldja Francia
Immagine: Place de la République, Parigi, 7 luglio 2024

Il testo di Houria Bouteldja che pubblichiamo oggi, che analizza con lucidità la situazione socio-politica francese dopo le elezioni e pone delle importanti questioni per il prossimo futuro, è l'intervento dell'autrice al meeting «Que faire?» organizzato da varie organizzazioni politiche e tenutosi a Parigi lo scorso 10 luglio.

Il titolo dell'articolo ha come riferimento un discorso di Mélenchon che ha contrapposto alla Francia «compiuta» – ovvero l'idea secondo cui il corpo della Nazione appartiene ad una realtà fissa, ad un popolo già costituito, dai contorni già definiti, dai confini stabiliti dei Macron e delle Le Pen, alla Francia «incompiuta» che si costruisce integrando sempre più alterità e di cui bisogna continuamente allargare l'orizzonte del suo completamento.

Si può ascoltare l'intera conferenza a questo link.

Traduzione di Antonio Alia.


***


Questa sera vorrei prendere in prestito il registro religioso per parlare con un tono un po' solenne e dire che Dio ci ha concesso una tregua. E se dovessi continuare a usare la metafora biblica, direi che se come Mosè, Dio ha aperto il mare, non lo farà due volte. Non tratterrà due volte le onde gigantesche dell'estrema destra che finiranno per sommergerci un giorno se non saremo capaci di accordarci su una linea politica che sia di rottura e di massa. Una linea di massa che si costituisca contro il blocco borghese e contro il blocco fascista che, come sapete, si alimentano l'un l'altro. Soprattutto, non bisogna lasciare che l'estrema destra giochi da sola il ruolo del partito antisistema. Al contrario, bisogna occupare risolutamente il posto del blocco di rottura anticapitalista, antirazzista e antimperialista.

  Ma prima di andare oltre, è opportuno dire qualche parola sull'utopia razzista. Vorrei prendermi il tempo di capirla per ciò che è veramente e per evitare di cadere in un paternalismo condiscendente che consiste nel pensare che l'elettore del RN si sbagli in merito alla sua rabbia. Ciò che voglio evitare qui è deresponsabilizzarlo e considerarlo una semplice vittima. Certo, è stato tradito molte volte, certo è disprezzato, certo è abbandonato dall'arroganza della sinistra caviar (al caviale, ndt) e istituzionale, ma il suprematismo bianco non è l'unica opzione che ha a disposizione. Inoltre, come essere umano libero, nel senso sartriano del termine, è responsabile delle sue scelte. Proprio come Martin Luther King, l'elettore del RN ha un sogno. Il suo sogno è quello di una Francia bianca, liberata dai suoi indigeni. Ha il diritto di fare questo sogno, ma non di sottrarsi alle sue responsabilità, perché questo sogno nelle sue conseguenze ultime, e dico bene ultime, è nel peggiore dei casi un sogno di deportazione o addirittura di genocidio, nel migliore dei casi un sogno di piantagioni, fatto di padroni e schiavi. Il primo di questi sogni è al momento impossibile da realizzare per due motivi: il primo è una questione di mezzi, non si deportano milioni di persone schioccando le dita; il secondo, e i dirigenti di estrema destra lo sanno, è che il padronato francese ha bisogno di una manodopera abbondante e mal pagata. Sappiamo tutti che la fascista italiana Meloni ha regolarizzato diverse decine di migliaia di sans-papiers nonostante la sua promessa di un'Italia bianca e civilizzata. Ma il sogno della piantagione, inoltre, non è realizzabile nell'immediato. In Europa occidentale non si può più avere manodopera completamente gratuita. Ma tra questi due sogni irrealizzabili, la deportazione o la piantagione, il compromesso realistico sarà una società di segregazione razziale, in altre parole una società di apartheid. Cioè, un mondo in cui la parte del proletariato più sfruttata non solo sarà ammassata in riserve, ma subirà ancora più intensamente l'arbitrio del potere e dove il sistema carcerario e la distruzione fisica dei sovrannumerari diventeranno una minaccia quotidiana. Quando l'innocente elettore del RN vota, è questo progetto che sostiene. È un atto di guerra contro un diverso dal punto di vista razziale ma un simile dal punto di vista di classe.

  Mai un'elezione ha dimostrato così tanto il carattere inscindibile della razza e della classe. I petits blancs (letteralmente «piccoli bianchi», espressione che indica il proletariato bianco, ndt) che hanno votato per l'estrema destra, così come gli indigeni che hanno votato per la France Insoumise (FI), hanno espresso allo stesso tempo un voto di razza e di classe. Dicevo nel mio libro Beaufs et barbares, le pari du nous (trad. it. Maranza di tutto il mondo unitevi! Per un'alleanza dei barbari nelle periferie, di prossima pubblicazione per DeriveApprodi) che la classe è una modalità della razza e che la razza è una modalità della classe. Queste elezioni ne sono state la dimostrazione. Una parte non trascurabile dei petits blancs  (10 milioni), declassati e impoveriti, ha espresso il proprio risentimento con una scelta suprematista, razzista, con la quale sperano di preservare uno status superiore nella gerarchia razziale insieme ai privilegi che si presumono connessi con esso. Quanto agli indigeni (l’espressione indica la popolazione nera, araba e di origine migratoria e coloniale, ndt), tendenzialmente più poveri dei petits blancs, hanno anch'essi espresso un voto dominato da affetti di razza. Strappati per una parte non trascurabile di loro all'astensione endemica, hanno risposto a una promessa di giustizia e uguaglianza razziale. Abbiamo quindi due segmenti del proletariato francese che, partendo da una posizione di classe, fanno scelte diametralmente opposte a causa della loro condizione di razza. In modo tale che si può dire che, da entrambe le parti della linea razziale, esiste una lotta tra razze che, dal lato degli indigeni rafforza la lotta di classe e quindi rafforza il polo della sinistra di rottura, mentre dal lato dei petits blancs  non solo indebolisce la lotta di classe, ma la sabota a favore della collaborazione di classe tra il blocco borghese e una parte del proletariato bianco. Bisogna dirlo una volta per tutte: trascurare il ruolo della razza nel contratto sociale significa privarsi dei mezzi per combattere lo Stato razziale che impedisce l'unità della classe operaia e la possibilità della rivoluzione di cui essa è la condizione di realizzazione.

 

Che fare?

 Né il voto per il RN né l'astensione sono una fatalità. Sappiamo come il PS e oggi il macronismo hanno favorito questi risultati dell'estrema destra. I 10 milioni di elettori che oggi formano la base del RN non lo erano qualche anno fa. La socialdemocrazia, cioè i «fascistizzatori», li ha prodotti. Ora, se abbiamo una visione dinamica dei rapporti sociali e dei rapporti di potere, sappiamo che ciò che è stato fatto dalla storia può essere disfatto dalla storia stessa. Per farlo, bisogna prendere il toro per le corna, risalire la storia e riprendere il filo degli eventi fino ai momenti chiave in cui le classi popolari bianche e non bianche, des tours et des bourgs (all’incirca delle periferie e dei sobborghi, l’espressione riprende, con un segno politico differente, un commento sull’esito delle elezioni del leader socialista Olivier Faure, ndt) «antagonizzate» dalla storia, sono state tradite. Inutile per il momento, e sottolineo per il momento, risalire alla storia antica della schiavitù, della colonizzazione o della Comune. L'anno 2005 sarà sufficiente. Il 2005 è l'anno sia di un tradimento che di un abbandono. Il tradimento è quello delle élites europeiste che hanno calpestato il no delle classi popolari bianche di sinistra e di estrema destra al referendum sul trattato costituzionale europeo. Questo ha permesso ai teorici di estrema destra di sfruttare le lezioni gramsciane sull'egemonia culturale. Ma il 2005 è anche l'anno delle rivolte nelle banlieues in seguito alla morte di Zied e Bouna. A differenza delle rivolte del 2023, seguite alla morte del piccolo Nahel, i quartieri d'immigrazione sono stati abbandonati e disprezzati dalla sinistra, mentre queste «emozioni sociali» stavano per radicalizzare lo Stato autoritario che in seguito si sarebbe abbattuto, e con quale violenza, sui gilet gialli. In entrambi i casi, la sinistra della trasformazione non è stata all'altezza. Il no alla costituzione è stato interpretato soprattutto e prima di tutto come un ripiegamento sciovinista e fascista e non come una forma di coscienza di classe, le rivolte come apolitiche, comunitariste, persino islamiste. È proprio questo momento che bisogna riparare. Riconoscere la legittimità del no all'Europa e dargli un'espressione politica oggi, nel momento in cui l'estrema destra finge di difendere l'interesse nazionale pur sguazzando nel progetto europeo, riconoscere la legittimità delle rivolte e il loro carattere politico ma anche il loro carattere francese, e insisto sul francese.

  Riparare il 2005 nel 2024 passa per rompere con la collaborazione di classe e la collaborazione di razza. Si dà il caso che nella nostra sfortuna, abbiamo una sinistra che sta prendendo questa strada e che dimostra che la rottura funziona!

La FI è infatti riuscita, a partire dalle elezioni presidenziali, a strappare i quartieri d'immigrazione, cioè il corpo sociale più escluso e più astensionista, al suo fatalismo e alla sua rassegnazione, iscrivendo tre lotte centrali nel suo programma: quella contro l'islamofobia, contro le violenze poliziesche e per la Palestina. Non solo le sostiene, ma non si piega davanti agli attacchi che arrivano da tutte le parti. Persiste e firma. La sua determinazione ha pagato perché le urne delle zone rosse, abbandonate dal PC, hanno parlato di nuovo.

  Rimangono i petits blancs. Non tutti votano RN. Alcuni rimangono ancorati alla sinistra. Altri si astengono. Se la sinistra di rottura deve perseguire il disfacimento del contratto razziale, deve anche conquistare i futuri petits blancs che andranno a ingrossare le fila del RN. La cosa non sarà semplice, ma bisogna partire dal tradimento del 2005, rompere con l'Europa del capitale, condizione sine qua non per riprendere contatto con le classi popolari bianche. Uscire dall'Europa e ricostruire una sovranità popolare e sociale capace di competere con un'estrema destra che nella sua storia non ha mai perso un'occasione per tradire la nazione, qualunque cosa si pensi di questa nazione.

  Non posso concludere questo intervento senza evocare Gaza e più precisamente gli effetti di Gaza su di noi e sulla nostra coscienza. Il 7 ottobre e le sue conseguenze drammatiche, circa 100.000 morti, hanno permesso la ricostituzione di un polo anticolonialista in Francia. La forza e la tenacia delle mobilitazioni pro-palestinesi hanno permesso alla FI di mantenere una linea ferma sulla lettura anticoloniale che bisognava fare del 7 ottobre, contro una lettura che privilegiava lo scontro di civiltà. Il coraggio dei deputati FI ha in cambio consolidato l'adesione dei quartieri al progetto della FI. La Palestina ha quindi giocato un ruolo considerevole nella vittoria della FI perché ha permesso di ricostruire una fiducia perduta. Per dirlo ancora più esplicitamente, il Sud ha giocato un ruolo considerevole nella ricomposizione politica del paese. E per dirlo ancora più esplicitamente, il Sud ha contribuito a far arretrare il fascismo. Vi lascio meditare su questa conclusione perché ormai conosciamo il prezzo affinché il fascismo arretri: 100.000 morti palestinesi.


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Houria Bouteldja è una nota teorica e militante antirazzista franco-algerina. Ha cofondato il Partito degli indigeni della repubblica. È autrice de I bianchi, gli ebrei e noi e insieme a Sadri Khiari, di Nous sommes les indigènes de la république. È membro del comitato editoriale di «QG décolonial» e del blog «Paroles d’honneur». Per DeriveApprodi è in corso di pubblicazione Maranza di tutto il mondo unitevi! Per un'alleanza dei barbari nella periferia (2024).

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