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Fra Comunità e Consigli

Note su  Il capitale nell’Antropocene



Jack-in-Pulpit Abstraction - No. 5  1930  Georgia O'Keeffe
Jack-in-Pulpit Abstraction - No. 5  1930  Georgia O'Keeffe

Una riflessione di Ruggero d'Alessandro sul volume di Saito Kohei (Einaudi, 2024).


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Il 2024 è un anno in cui l’editoria mondiale si arricchisce di saggi che attualizzano il pensiero di Karl Marx. Come del resto accade sin dalla bolla finanziaria che scuote l’economia mondiale dal 2007 alla prima metà degli anni ‘10.

Non è un caso che si proceda alla rilettura dell’autore di Das Kapital: è un modo per ricordare che quella crisi non è mai stata radicalmente risolta. Diverse voci, fra l’altro, chiariscono che il tardo capitalismo del XXI secolo si caratterizza per questi aspetti:

  • La crisi è ormai concetto e realtà strutturale;

  • meglio sarebbe, in realtà, parlare di «policrisi»: la complessità dell’era global causa l’intreccio inestricabile fra economia finanziaria, produzione industriale, economia virtuale (Silicon Valley), istituzioni politiche, malfunzionamento di democrazia, società, cultura, formazione;

  • il Politico è istituzionalmente dipendente dall’Economico, non esprimendo più gli input della cittadinanza;

  • elezioni, partiti, sindacati, politica attiva sono destinati a finire nella soffitta della Storia;

  • a comandare nei parlamenti, come all’EU, all’ONU sono le lobby, cinghie di trasmissione fra Capitale e partiti;

  • se un milione di cittadini «normali» firma una proposta di quesito referendario poniamo, per fissare limiti severi alle emissioni di gas industriali, qualche lobbista ben introdotto nei corridoi della politica viene profumatamente pagato da finanzieri e industriali per bloccare tutto.

 

Sempre lo scorso anno esce un libro tradotto in molte lingue e venduto in molti Paesi. Lo firma uno studioso trentottenne, Saito Kohei, già molto considerato per studi e corsi alla Tokyo University in qualità di professore associato.

La tesi di PhD scritta in tedesco (Natur gegen Kapital, Natura contro Capitale) viene discussa nel ‘15 alla berlinese Humboldt Universität. Il lavoro è incentrato sul tema che più appassiona Kohei: il pensiero del tardo Marx sull’ambiente. Da notare l’eterogeneità formativa del giovane studioso: atenei nipponici, statunitensi e germanici (Tokyo e Wesleyan per gli studi di 1°ciclo, Freie per il 2°, Humboldt per il 3°).

Una rielaborazione della PhD thesis appare nel ’17 per l’editore legato alla rivista di studi marxisti Monthly Review (fondata nel 1949 da Paul Sweezy e diretta da lui stesso, Leo Huberman, Harry Magdoff).

Il volume al centro della mia riflessione esce nel ‘20 con il titolo Capital in Antropocene in versione inglese (Hitoshinsei no Shihonron in giapponese).

Seguono nel ‘23 un testo che approfondisce l’approccio marxiano sul medesimo tema: Marx in Anthropocene; nel ‘24 il manifesto della decrescita, Slow Down: The Degrowth Manifesto.

Capital in Antropocene si dimostra inatteso bestseller: in due anni vende mezzo milione di copie ed é tradotto in inglese, tedesco e coreano.

Lo studioso mette in evidenza una profonda maturazione dell’autore de Il Capitale, segnando così un’evoluzione fra due fasi. Una si sviluppa fra metà anni ’40 e primi ‘70; l’altra fase concerne grossomodo gli ultimi dieci/dodici anni di vita (Marx muore nel 1883).

La visione progressista al centro della concezione materialistica della storia prevede tanto il primato della produzione, quanto una mentalità eurocentrica. Ma per Kohei non si tratta di due principi rigidi, né ostativi di una futura società socialista che protegga l’ambiente.

 

La vita dell’essere umano su questo pianeta prevede un continuo intervento sulla natura per produrre innumerevoli cose, consumarle e poi disfarsene. Marx chiama tale interazione circolare «ricambio organico tra uomo e natura». [1] 

 

L’uomo, grazie all’attività lavorativa, ha un legame profondo con l’ambiente in cui vive. Il capitalismo interviene sempre più pesantemente a modificare il metabolismo uomo-natura. Tanto che si arriva, già nell’Inghilterra di metà XIX secolo, a rompere la citata interazione.

A giudizio del fondatore del socialismo scientifico i meccanismi di funzionamento della macchina capitalista rendono ardua un’economia sostenibile. La corsa ossessiva al profitto segna il modo di produzione nato nell’isola britannica a metà XVIII secolo: è il progredire nello sfruttamento sistematico tanto dell’uomo che della terra.

Tale torsione di pensiero nell’ultimo Marx viene scoperta solo in anni recenti; e a giudizio di Kohei la prova, fra altre, è data dal crescente interessarsi marxiano a scienza ed ecologia. Gli interessi negli ultimi anni del filosofo economista, infatti, spaziano, fra chimica, biologia, geologia, mineralogia e altre scienze «dure».

Nella più tarda fase del suo pensiero Marx abbandona l’idea che l’incremento continuo della produzione sia compatibile con l’equilibrato rapporto Uomo-Natura. Al contrario, lo sfruttamento del suolo si sarebbe intensificato sempre più. È questa la premessa, sottolinea Kohei, per il passaggio a una forma possibile di «ecosocialismo». Ciò significa anche abbandonare la visione progressista della Storia: le leopardiane «magnifiche sorti e progressive» [2]; assieme al citato eurocentrismo.

Uno studioso acuto come lo statunitense-palestinese Edward Said mette criticamente in evidenza l’orientalismo giovanile marxiano: ovvero, la considerazione di quelli che dagli anni Sessanta del ‘900 vengono indicati come Paesi del Terzo Mondo [3]. I territori che in pieno Ottocento fanno parte degli imperi coloniali (in primis il britannico, che occupa un quarto della superficie terrestre) sono considerati dall’opinione pubblica aristocratica e da quella borghese in modo inconsapevolmente ideologico. È la tipica altezzosità, commistione di razzismo e ignoranza, paura e scarso interesse per lingue, culture, “razze” così diverse. La diversità si pone rispetto alla razza superiore per definizione: la bianca. Negli Stati Uniti, dall’800 si parla di supremazia dei WASP (White, anglo, saxon, protestant): pelle bianca, origine britannica, confessione protestante.

Di seguito un passo marxiano e il commento di Kohei:

 

È chiaro che l’Inghilterra, nel provocare una rivoluzione nell’Indostan, è stata mossa solo dai più vili interessi, e li ha imposti in maniera stupida. Ma non è questo il punto. La domanda è: può l’umanità compiere il suo destino senza una rivoluzione essenziale nello Stato sociale dell’Asia? Se la risposta è no, qualunque siano stati i crimini dell’Inghilterra, significa che essa è stata lo strumento inconsapevole della storia per realizzare tale rivoluzione.

 

Marx riconosce ovviamente la crudeltà del dominio inglese sulle colonie indiane. Eppure, dal punto di vista del progresso storico dell’umanità, il dominio coloniale appare in ultima analisi legittimato. [4]   

 

Non si può biasimare Kohei: rimprovera Marx perchè esprime concetti degni del liberismo ottocentesco.

È una lettera alla rivoluzionaria russa Vera Zasulic che marca il profondo cambio di mentalità nel filosofo tedesco.

I concetti che catturano l’attenzione di Marx sono due, entrambi russi. Mir è la comune rurale che si sviluppa estesamente nelle campagne del grande impero orientale.

Il movimento prerivoluzionario che a essi si ispira per un cambiamento radicale è quello dei narodniki (in russo narod significa popolo; Narodnaja Volja [Volontà del popolo] è il nome del giornale che ne diffonde le idee).

Se Marx nel Capitale considera che ogni nazione sviluppata industrialmente indica il cammino a quella meno sviluppata, allora, Zasulic gli chiede due cose:

  • Marx pensa che la Russia faccia parte del primo o del secondo gruppo?

  • l’Impero russo deve puntare a una modernizzazione economica di tipo capitalista perché si formi una matura coscienza di classe operaia e contadina?

 

La risposta da Londra non si fa attendere: la Russia non rientra fra il novero dei Paesi ai quali si riferisce la considerazione riportata in Das Kapital. Con ciò Marx ritiene di aver risposto a entrambe le questioni poste da Vera Zasulic.

Kohei osserva che le comuni possono costituire diga efficace al dilagare capitalista nel mondo intero. La globalizzazione dall’alto può essere arrestata dal movimento comunista; che può anche partire dai mir già negli ultimi decenni del XIX secolo.

Punto altrettanto significativo, evidenziato dall’autore di Marx nell’Antropocene, evidenzia il cambio di prospettiva dell’ultima fase del pensiero marxiano. La famosa enunciazione

 

Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni. [5]

 

viene letta, sin dalla I Internazionale, come richiamo a una produzione illimitata per risolvere il problema dell’ineguale distribuzione di prodotti. Ma, dice Kohei, se si legge la frase alla luce della citata analisi del metabolismo uomo-natura, si comprende che il capitale è in lotta con la scienza ecologica. Questa, dal canto suo, richiama a un rapporto nuovo con l’equilibrio naturale, sempre più sconvolto dall’industrialismo sfrenato.

La svolta teorica ultima del cofondatore del socialismo scientifico (assieme a Engels) mira a costruire in futuro una società tanto sostenibile quanto equa in tutta l’Europa occidentale. Com’è noto il vastissimo Impero russo rappresenta un mondo con caratteri ben diversi da quelli europei.

Proprio il fatto che le comunità non sono fondate sui principi produttivi del capitalismo ottocentesco dimostra, una volta di più, che l’economista di Treviri, ispirandosi al modello del mir, si lascia sedurre dal principio non dello sviluppo, bensì della ciclicità, alla base delle comunità russe. La loro stabilità, in cui non c’è l’ossessione occidentale della crescita economica senza requie, è garanzia di metabolismo equo e sostenibile fra società umane e sistema di natura.

È proprio dal profilo della considerazione sistemica che Marx si trova davanti a una sorta di anticipazione del comunismo, che da utopia si fa realtà effettuale (per citare Machiavelli).

Chiosa in proposito Kohei:

 

proprio la staticità delle società comunitarie poteva costituire una forza di resistenza al dominio colonialista e addirittura di rottura del potere del capitale in vista dell’instaurazione del comunismo. Qui siamo chiaramente di fronte a una grande svolta. Quella delle comunità è una resistenza attiva. [6]

In conclusione, dopo una quindicina d’anni (1868/83, anno della scomparsa) Marx comprende che due fattori strategici come sostenibilità e uguaglianza, fondamenti di un’economia stazionaria, rappresentano sia l’opposizione al capitale che la base per la società del futuro.

Louis Althusser parlerebbe in proposito di «rottura epistemologica». Marx ingloba nella sua teoria della rivoluzione i principi di sostenibilità ambientale e stazionarietà economica. Si tratta, sottolinea, di principi comunitari, non astratte enunciazioni di teoria economica o sociologica.

Eppure, i marxisti proseguono nei decenni successivi a considerare la decrescita un nemico contro cui lottare; proprio come la Sinistra storica è lungi dal considerare l’ambiente punto di rottura del capitale. Che il comunismo debba basarsi sulla decrescita è un principio base dell’eredità marxiana. Però, tanto i teorici a lui ispirati, quanto i dirigenti dei partiti non lo sanno o lo nascondono.

Nel capitolo dedicato alla teoria dell’accelerazionismo Kohei si focalizza sul Politico. Mette in questione la democrazia, la sua forma parlamentare - dunque rappresentativa, il rapporto con i movimenti sociali.

La prima constatazione è la dipendenza del Politico dall’Economico. È un dato che raramente viene evidenziato in ambito accademico e divulgativo. In questi ultimi 30 anni di globalizzazione è un tema che risulta attuale in maniera, direi, sconcertante. [7]

Il piano riformista si balocca con progetti, programmazione, strategie di consenso, tattiche compromissorie; in tal modo, osserva lo studioso nipponico, la lotta di classe finisce in soffitta.

Sin dalla conclusione del ciclo di lotte di metà anni ‘60/fine ’70 si fa strada una visione edulcorata dell’azione politica: non si praticano più strumenti di lotta come corteo, sit-in, be-in. Si teme di danneggiare l’immagine dell’uomo politico X o del partito Y.

Gli agoni elettorale, parlamentare, governativo si adeguano alla public image come alla società dell’apparire che distrugge quella dell’essere. Si punta all’efficienza riformista che vanifica gli spazi d’intervento collettivo assieme alla dialettica democratica diretta. [8]

In realtà, osserva Kohei, viene da citare Slavoj Zizek, filosofo e psicoanalista junghiano:


Non è possibile ampliare lo spettro d’azione della democrazia e riformare l’intera società attraverso la sola politica parlamentare. La politica elettorale incontra sempre un limite nel momento in cui si confronta con il potere del capitale. La politica non è autonoma dall’economia, ma subordinata a essa. [9]

Se lo Stato da solo non può dominare il Capitale è ovvio che abbia bisogno di un appoggio basato sul consenso collettivo, politico, espresso non da strutture partitiche ma da movimenti sociali. Iniziative di questo tipo, in forte contrapposizione a imprese quotate e società finanziarie, soprattutto multinazionali, non mancano di certo.

Invece, osserva il filosofo, gli apparati statuali si concentrano sulla sottomissione istituzionale all’economia di mercato, nonché sulle pratiche repressive su vari fronti: ordine pubblico, gioventù, scuola, università, cultura.

Kohei evoca, fra le numerose esperienze collettive del Duemila, Extinction Rebellion in Regno Unito ed Europa continentale, Gilets Jaunes in Francia.

Possiamo ricordare anche gli intensi anni 1999/2013, fra movimento di Seattle, Alter Global, Plaza del Sol (Madrid), Tute Bianche in Italia (Genova e Firenze Social Forum). 

Mi sembra che due pensatrici diverse, eppure vicine, siano collegate dal fil rouge evocato da Kohei: è lui stesso ad avvicinare la struttura consiliare (politica) alla comunitaria (economica e sociale). Rosa Luxemburg e Hannah Arendt, nel delineare tratti di una nuova società, accostano elementi teorici e istituzioni esistenti, tra Politico, Economico, Sociale, Culturale.

È interessante ricordare un passo da un testo in un volume collettivo. La citazione è del sociologo Alessandro Dal Lago e collega momenti e figure diverse e significative per un cambiamento radicale, dal basso, collettivo:

Mentre l’asse della teoria politica – da Hobbes a Schmitt – mette l’accento sulla necessità o legittimazione del politico come macchina, in Marx, negli anarchici, in Rosa Luxemburg, e in qualche misura nel Gramsci dei consigli l’interesse per l’auto-determinazione politica di soggetti convenuti in assemblea dimostra la permanenza, se non altro concettuale, di quel lontano esperimento: in fondo, Hannah Arendt si colloca nello stesso solco, quando individua nei primi soviet non bolscevizzati, nei consigli degli operai e dei contadini tedeschi del 1918, nella rivoluzione ungherese del 1956, e perfino nel 1968 delle università americane ed europee, singolari epifanie di quel modello di democrazia immediata. [10]

Se la democrazia rappresentativa non funziona causa la permeabilità delle istituzioni agli interessi capitalistici.

Se partiti e sindacati non mediano più da troppi anni, se l’Utopia – come spiega Marcuse – non è ciò che non si può realizzare ma ciò che lo status quo impedisce che venga realizzato, è allora tempo di una lettura nuova di pensatori e movimenti storici. Imparare dal passato per cercare di evitarne gli errori, mantenendo passione e cura dell’essere umano. L’odierno impasto economico-politico è cura solo per pochi privilegiati.

Il libro di Saito Kohei rappresenta un prezioso terreno di coltura che potrà dare frutti altrettanto preziosi per contribuire a cambiare il corso della Storia.

Come dice Marx «l’Uomo fa l’Uomo».

           


Note

[1] Saito Kohei, Il capitale nell’Antropocene, Einaudi, Torino, 2024, p. 127

[2] Si veda la nota poesia La Ginestra (1836) apparsa nei Canti leopardiani, usciti postumi in prima edizione nel 1845, a Napoli.

[3] Said ne parla diffusamente in Orientalismo, Feltrinelli, Milano, 2001, pp. 155-56

[4] Kohei, cit., p. 137

Il passo citato si trova in: Karl Marx, La dominazione britannica in India, in Karl Marx e Friederich Engels, Opere complete. Vol. XII, Editori Riuniti, Roma, 1978, pp. 134-35

 [5] Karl Marx, Critica al programma di Gotha, in Karl Marx e Friederich Engels, Opere complete. Vol. XXIV, op. cit., p. 171

 [6] Kohei, cit., p. 156

[7] Uno dei primi analisti a mettere in evidenza questo dato fondamentale è il sociologo e politologo tedesco (di ascendenza tardo francofortese) Claus Offe nella raccolta di significativi saggi, apparsi fra anni fine ’60 e primi ’70: Lo Stato nel capitalismo maturo, Etas Kompass, Milano, 1977

[8] Particolarmente lucida l’analisi di Mauro Calise, La democrazia del leader, Editori Laterza, Roma-Bari, 2016

[9] Kohei, cit., p. 172

L’opera cui Kohei fa riferimento è: Slavoj Zizek, Il coraggio della disperazione. Cronache di un anno agito pericolosamente, Ponte alle Grazie, Milano, 2017

 [10] Alessandro Dal Lago, Il lato oscuro della Polis. Hannah Arendt e il problema della guerra, in Margarete Durst e Aldo Meccariello (a cura di), Hannah Arendt. Percorsi di ricerca tra passato e futuro 1975-2005, Edizioni Giuntina, Firenze, 2006, p. 192



Riferimenti bibliografici

Essenziali da considerare sono almeno questi volumi:

 

  • Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, Edizioni di Comunità, Milano, 1999

  • Rosa Luxemburg, Scritti scelti, a cura di Luciano Amodio, Einaudi, Torino, 1976

  • Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-1975. Per amore del mondo, Bollati Boringhieri, Torino, 1994

 

Mi permetto una segnalazione finale: Ruggero D’Alessandro, La comunità possibile. La democrazia consiliare in Rosa Luxemburg e Hannah Arendt, Mimesis, Milano, 2011



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Ruggero D'Alessandro si occupa di sociologia e storia della cultura, politologia e storia contemporanea. Tiene lezioni in università di diversi paesi europei, tra cui l'Italia. Per DeriveApprodi ha pubblicato: Gioventù ribelle a Londra (2016), Gioventù ribelle a San Francisco (2018), L'Utopia possibile (2019). Il suo ultimo volume pubblicato è I sonnambuli e i ribelli (Meltemi, 2025).

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