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Emilio Vesce e Luciano Ferrari Bravo: storia di due fotografie




Giacomo Despali racconta la storia dietro due fotografie, ritrovate in uno dei suoi archivi personali, che ritraggono dei momenti dentro la redazione di Radio Sherwood. La prima ritrae Piero Despali e Luciano Ferrari Bravo, la seconda lo stesso Giacomo ed Emilio Vesce.


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Ho aperto una delle scatole del mio archivio personale, archivio da cui avevo tirato fuori due anni fa il materiale che è servito per costruire, con quello di Donato Tagliapietra e di altri compagni, l’archivio dei Collettivi Politici Veneti per il potere operaio (CPV). Dunque, in questa scatola da più di quarant’ anni sono conservate lettere, cartoline, telegrammi del mio soggiorno in carcere, iniziato a Padova l’11 marzo 1980, come imputato nel cosiddetto processo del «7 aprile troncone veneto». Ma tra una cartolina e una lettera sono saltate fuori due fotografie. Come con la madeleine di Proust e la sua memoria involontaria, di colpo il contenuto di quelle due foto mi ha riportato indietro nel tempo, a 44 anni fa, al 1978. Chissà come e perché, queste due foto erano finite tra il materiale che avevo iniziato a conservare in «cattività» due anni dopo. Comunque sia, il tempo trascorso era sparito e io ricordavo perfettamente quel momento, immortalato da quegli scatti fotografici.

Dunque siamo nel 1978, tra settembre e ottobre, in una delle stanze di Radio Sherwood di Padova, attorno a un tavolo quattro persone: io, mio fratello Piero (che scherza coprendosi il volto), Emilio Vesce e Luciano Ferrari Bravo. Se non ricordo male le foto scattate sono state diverse ma nello scatolone ho ritrovato solo queste due (una terza sarà usata nel ‘79 per un manifesto per la liberazione di Emilio: notate il cappotto spinato e il maglioncino, gli stessi delle foto in mio possesso [1]).

Chi ha fatto quelle foto? Ah, la memoria! Penso che il compagno che saltellava tutto contento attorno al tavolo poteva essere Stefano Ferro, allora giovane compagno da poco entrato nell’organico della radio, oppure Gianni Pizzati, un compagno fondamentale per la nascita del giornale; discreto, efficiente, risolveva i problemi come quando fece fare da un falegname i grandi tavoli neri che gli serviranno per impaginare i vari numeri del giornale (ricordo la nostra discussione sulla grafica della testata Autonomia; mi aveva anche proposto di prendere come modello la scritta della Coca Cola, ma avevo rifiutato scandalizzato, io, il purista!)

Per chi non c’era e per gli smemorati ricordo che dopo l’estate del ’78 noi dei Collettivi Politici Veneti, preso atto che il tentativo che avevamo fatto con i compagni di Rosso di unificare le principali realtà dell’Autonomia operaia organizzata in un progetto politico e organizzativo nazionale, il Partito dell’Autonomia, non aveva avuto successo (i Volsci avevano rifiutato l’ipotesi), decidemmo di darci un nuovo strumento politico, un giornale, in attesa di tempi migliori. Avevamo con i compagni milanesi già unificato il loro giornale (Rosso) e il nostro (Per il potere operaio) in «Rosso per il potere operaio», ma pensavamo di avere bisogno in quella fase anche di uno strumento più adatto per sviluppare il nostro progetto politico nei territori. Ne parliamo con Emilio e Luciano che aderiscono con entusiasmo al progetto. Emilio, fondatore di Radio Sherwood, era rimasto alla direzione dell’emittente anche dopo la nostra entrata nella radio. Firmerà come direttore (era l’unico iscritto all’albo dei giornalisti) il giornale, che si chiamerà Autonomia, con una redazione «palese» affiancata da un «esercito di giornalisti scalzi», i militanti e le militanti dei diversi livelli dei CPV che avrebbero dovuto informare sull’intervento politico e sulle lotte, inventandosi reporter sul campo.

Dunque, quel giorno c’eravamo noi quattro attorno al tavolo per definire il lavoro del giornale (tempi, scadenze, disponibilità individuali, ecc). Piero non seguirà il lavoro di redazione, aveva altre importanti responsabilità politiche e organizzative, lo farò io coordinando tutte le fasi di redazione per far uscire il giornale. Ogni lunedì, nel secondo pomeriggio c’era la riunione della redazione (Luciano finiva il lavoro in facoltà e a piedi con la sua borsa di pelle veniva a radio Sherwood). Lui e Emilio saranno sempre presenti, con Ivo Gallimberti, Marzio Sturaro e Gianni Pizzati. Io presentavo una traccia per il prossimo numero del giornale, ognuno dava il suo contributo di idee e si stabilivano gli articoli da scrivere, io scrivevo gli articoli «di linea» dell’organizzazione.

Conoscevo Emilio e Luciano da tanti anni, dal 1970, da quando ero entrato in Potere Operaio. Erano più anziani di me, li rispettavo. Emilio veniva dal ’68, era stato tra i protagonisti dell’intervento davanti ai cancelli della Fiat, aveva diretto le pubblicazioni di Potere Operaio e dei primi numeri di Controinformazione, dopo il convegno di Rosolina aveva aderito come Luciano all’ipotesi delle Assemblee Autonome; ci eravamo separati ma anni dopo ci saremmo ritrovati, eppoi abitavamo nella stessa città…. Sarà così anche con Luciano che si era «ritirato» in facoltà dove insegnava e faceva ricerca, lo incontravo praticamente ogni giorno (ero iscritto a Scienze Politiche e militavo nel comitato di agitazione, per la tesi di laurea Sergio Bologna sarà il mio relatore, Luciano il controrelatore e Antonio Negri il presidente di commissione). Quante chiacchierate e «ombre» al bar «Il Grottino» di via del santo! Da una delle foto negli anni e decenni successivi verrà estratta la sua immagine per essere usata in siti e archivi vari senza nessun riferimento e conoscenza della sua origine storica.

Dunque, questi due compagni scriveranno per Autonomia dall’ ottobre ’78 al giorno del loro arresto, il 7 aprile ’79. Il giornale ospiterà poi loro contributi dal carcere.

Quel giorno ci siamo riuniti perché condividevamo un progetto, costruire il giornale dei CPV. Emilio e Luciano, pur non essendo militanti dell’organizzazione avevano aderito, nella loro autonomia, alla linea politica della nostra organizzazione. Ci si capiva, ci si rispettava. C’era entusiasmo, la voglia di fare qualcosa di importante, di utile.

In quell’ottobre ’78 non si pensava alla possibilità di un’ondata repressiva come quella del 7 aprile, e men che meno che quattro anni dopo, nell’82, annus horribilis per l’unità dei comunisti, ci saremmo separati dolorosamente sulla dissociazione politica.

Niente di tutto questo, in quella riunione quattro comunisti discutevano, scherzavano e sorridevano, uniti da «un sentire comune sul mondo e sulle cose da fare».

Ecco, queste poche righe vogliono ricordare due compagni, due comunisti, ai quali io e Piero abbiamo voluto bene. Un ricordo non agiografico, una memoria non di comodo, due frammenti di vita.



Note

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