Bloquons tout
- Andrea Di Gesu
- 23 set
- Tempo di lettura: 11 min
Prospettive e limiti del movimento in corso

La Francia è ancora in fermento. Alla mobilitazione contro il genocidio palestinese si è unita la mobilitazione contro l’ennesimo progetto di riforma in senso neoliberale della presidenza Macron. L’articolo che presentiamo analizza – con un realismo degno di nota - la genealogia, la composizione di classe, le istanze, i punti di forza e i limiti del movimento Bloquons tout. La prima parte è stata scritta a ridosso della giornata di lotta del 10 settembre, il paragrafo conclusivo invece dopo il grande sciopero generale del 18 settembre.
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Il movimento Bloquons tout (blocchiamo tutto), protagonista della grande giornata di mobilitazione del 10 settembre scorso, si configura come ennesimo episodio – si vedrà quanto significativo – del ciclo di lotte e movimenti sociali che ha interessato la Francia a partire dal 2016 (movimento contro la Loi Travail, Nuit Débout, Gilets Jaunes, movimento contro la riforma delle pensioni del 2023) e che corrisponde largamente agli anni della presidenza Macron (iniziata nel 2017). I diversi movimenti di tale ciclo sono caratterizzabili in generale come una grande, ostinata e prolungata reazione di una parte importante della società francese all’ambizioso progetto di ristrutturazione neoliberale del paese portato avanti in questi anni dalla Macronie in modo sempre più autoritario: Bloquons tout non fa eccezione.
Il movimento compare in effetti online subito dopo l’annuncio del progetto di legge finanziaria del governo Bayrou, che propone drastiche misure di austerity (tra le misure più significative, il congelamento degli stipendi e delle pensioni dei dipendenti pubblici e la soppressione di due giorni festivi,) per risanare un debito pubblico crescente, aggiungendo un ulteriore tassello del progetto globale macronista di smantellamento dello stato sociale e di neoliberalizzazione dell’economia del paese. Il progetto di legge appare fin da subito particolarmente iniquo e insopportabile, non soltanto per la proposta simbolica e decisamente provocatoria di sopprimere due giorni festivi senza alcuna contropartita economica, ma soprattutto perché la crisi del debito francese degli ultimi anni, che ha peraltro recentemente determinato un declassamento della Francia da parte delle agenzie di rating, è stata causata in larghissima parte dagli enormi sgravi fiscali concessi in questi anni dai governi della presidenza Macron alle imprese e ai redditi più elevati.
L’appello a bloccare tutto per il 10 settembre è inizialmente circolato in gruppi online – in particolare su Telegram – di orientamento generalmente sovranista, in cui tanto i contenuti della mobilitazione (un generico risentimento contro l’iniziativa del governo e contro Macron) che le iniziative proposte (ad esempio, il boicottaggio delle carte di credito), restavano molto vaghe: esso è stato tuttavia pressoché immediatamente ripreso e subito egemonizzato da militanti e simpatizzanti dell’estrema sinistra – La France Insoumise (LFI) in particolare – del mondo dell’associazionismo e della galassia dei collettivi autonomi, che hanno imposto le parole d’ordine e le rivendicazioni e cominciato a elaborare proposte concrete di azione per la giornata. Se le prime non facevano che riprendere i contenuti elaborati dai movimenti sociali degli ultimi anni, ossia una critica radicale del progetto di società del neoliberismo macronista e le dimissioni del presidente, più originale è stata invece l’idea di concretizzare lo slogan bloquons tout nella proposta di una serie di blocchi diffusi in luoghi strategici (nodi dei trasporti, tangenziali delle grandi città, centri della logistica...), messi in atto da gruppi mobili e flessibili, con un accento sulla moltiplicazione delle azioni piuttosto che sul concentramento di tutte le forze in un unico punto. Il movimento si è inoltre dotato rapidamente di una struttura assembleare diffusa, fatta di assemblee generali tenute in tutte le grandi città francesi e prive di un coordinamento centrale. Le assemblee, organizzate a partire da fine agosto, hanno spesso raggiunti numeri importanti (tra le tre e le quattrocento persone nelle varie assemblee parigine), e hanno costituito i luoghi principali di decisione degli slogan e delle azioni della giornata.
Il movimento è stato accolto in maniera entusiasta da LFI, che ha chiamato i suoi militanti ad unirsi alle proteste, e in modo positivo dagli Ecologisti e dal PCF, mentre la reazione del Ps è stata decisamente più tiepida e timorosa. Per quanto riguarda i sindacati, se molte federazioni locali, in particolare della CGT e di Solidaires, si sono uniti alla mobilitazione, le centrali nazionali dei sindacati confederali hanno deciso di convocare una giornata di sciopero per il 18 Settembre.
Venendo alla giornata in sé, il bilancio è ambivalente. Essa è stata scandita da due momenti nettamente distinti, i blocchi della mattina e le manifestazioni del pomeriggio.
I primi sono stati spesso inefficaci o poco significativi, a parte qualche notevole eccezione in città come Rennes e Nantes, bastioni storici della sinistra antagonista. La ragione è da cercarsi principalmente nell’imponente dispositivo di ordine pubblico mobilitato per l’occasione: 80.000 agenti, una sorveglianza capillare dei luoghi strategici anche a mezzo di droni, utilizzo massiccio della famigerata Brav-m (brigate motorizzate di poliziotti impiegate in questi ultimi anni soprattutto nella repressione dei cortei selvaggi e dei piccoli gruppi di manifestanti), metodi decisamente muscolari con utilizzo massiccio di lacrimogeni, granate assordanti, ecc. Ha pesato tuttavia senza dubbio anche il rifiuto dei sindacati ad unirsi alla giornata di mobilitazione con uno sciopero generale, lasciando la scelta alle federazioni locali, nonché un livello di organizzazione ancora incerto, talvolta confuso.
Le manifestazioni del pomeriggio sono state invece decisamente più riuscite: tra le 200.000 e le 250.000 persone (stime, entrambe molto probabilmente per difetto, di ministero degli interni e CGT rispettivamente) hanno preso parte ai circa 600 cortei organizzati un pò dappertutto nel paese, dalle dimensioni a volte imponenti (è il caso ad esempio di Parigi, Nantes, Marsiglia). Soprattutto, si è trattato in larghissima parte di cortei selvaggi e non autorizzati, che sono spesso riusciti con successo a eludere il dispositivo poliziesco e a mettere in crisi il traffico cittadino, immobilizzando zone intere delle città. A Parigi, un enorme corteo selvaggio ha in particolare bloccato completamente il Boulevard Sébastopol, il principale asse nord-sud della città, per poi deviare in direzione ovest, verso i quartieri più ricchi già obiettivo delle manifestazioni dei Gilets Jaunes. Il tentativo è stato respinto con decisione da un enorme contingente di forze dell’ordine, che ha caricato diverse volte il corteo costringendolo a fare dietrofront.
I cortei sono poi confluiti a fine giornata in grandi assemblee generali: 1500 persone circa hanno preso parte, sotto una pioggia battente, a quella di Parigi, ma numeri imponenti si sono registrati anche a Lione e Nantes, tra le altre. Se alcune di queste assemblee hanno deciso giornate di mobilitazione per i giorni seguenti, senza aspettare lo sciopero indetto da sindacati per il 18 Settembre (Nantes in particolare, con un piccolo corteo il 13), l’impressione generale in questo momento è che le assemblee abbiano purtroppo perso un pò dell’entusiasmo e della spinta organizzativa degli inizi di settembre e che il movimento stia ora semplicemente aspettando di prendere parte alla giornata del 18, senza per altro aver ancora deciso in che forma e con che modalità.
L’andamento della giornata del dieci e delle settimane che l’hanno preceduta ci permettono di abbozzare alcuni elementi di analisi del movimento in corso, naturalmente rimanendo coscienti della fluidità e della dinamicità di una situazione che continua a evolvere.
Ad oggi, il movimento Bloquons tout può essere caratterizzato in termini generali come un’ulteriore ricomposizione di tutta quella galassia di militanti, collettivi, associazioni ecc. che ha partecipato attivamente al movimento contro la riforma delle pensioni del 2023 e che, all’interno di quel movimento, ha teso sempre di più a travalicare l’inquadramento deciso dai sindacati (dal calendario delle manifestazioni ai metodi di lotta in piazza e altrove), in particolare attraverso la moltiplicazione di cortei selvaggi in margine a quelli sindacali e, più tardi, completamente autonomi. Quei cortei sono stati senza dubbio tra i momenti più conflittuali del movimento del 2023: nel momento di massima tensione, tra fine marzo e inizio aprile, ce ne sono stati diversi al giorno per più di una settimana in molte città francesi, repressi con un’ondata senza precedenti di migliaia di arresti. Più in generale, si è trattato di un enorme momento di soggettivazione politica per una generazione intera, ancora troppo giovane per prendere parte al movimento dei Gilets Jaunes. Tale galassia ha in seguito partecipato ai cortei e alle mobilitazioni a seguito dell’omicidio del giovane Nahel Merzouk da parte delle forze dell’ordine, nel giugno del 2023 (ma molto meno ai riot urbani che hanno sconvolto per una settimana le banlieues francesi), nonché al movimento pro-Palestina; infine, si è mobilitata nelle manifestazioni e nelle giornate convulse che hanno accompagnato lo scioglimento delle camere deciso da Macron nell’estate del 2024 e le elezioni lampo che ne sono seguite, vinte dal Nouveau Front Populaire.
In questo contesto, l’elemento di novità più significativo del movimento attuale è rappresentato dal tentativo di strutturare tale galassia in un’organizzazione autonoma, attraverso lo strumento delle assemblee generali. Pur se ancora embrionale, la tendenza è senza dubbio interessante e ricca di potenziale: soprattutto perché non sembra convergere verso la creazione di una struttura politica, ma piuttosto verso la costituzione di una piattaforma di espressione, rivendicazione, organizzazione e reclutamento al di fuori di partiti e sindacati ma in relazione dialettica con entrambi. In una parola, la rete delle assemblee generali potrebbe infine dare forma politica e voce a quelle tracce di potere costituente che si sono spesso manifestate – è il caso di dirlo – in Francia nell’attuale ciclo di lotte e movimenti sociali, riprendendo il lavoro cominciato brillantemente qualche anno fa dall’Assemblée des assemblées dei Gilets Jaunes.
Quanto detto finora dovrebbe tuttavia rendere chiaro quanto azzardato sia il paragone con questi ultimi, nonostante una certa retorica utilizzata largamente da stampa e rappresentanti politici. Un secondo elemento di analisi è in effetti relativo alla sociologia del movimento, per l’appunto decisamente diversa da quella dei Gilets Jaunes. I manifestanti del 10 settembre sono in larga parte giovani studenti del liceo e universitari, spesso già politicizzati a sinistra; i pensionati e gli operai, due categorie centrali tra i Gilets Jaunes, sono sottorappresentati. In un’inchiesta sociologica condotta nei gruppi telegram del movimento, solo il 27% dichiara di essere stato Gilet Jaune nel 2019. Se la memoria di quel movimento è certamente viva, tanto nelle pratiche (cortei selvaggi) che negli slogan e nelle rivendicazioni (le dimissioni di Macron prima di tutto) e nel posizionamento relativamente autonomo rispetto a partiti e sindacati, molto di più lo è quella del più recente movimento contro la riforma delle pensioni. Infine, rispetto ai Gilets Jaunes si nota una maggiore presenza di persone razzializzate, spesso giovanissimi: senza dubbio un risultato delle mobilitazioni per la Palestina degli ultimi due anni, che tra le altre cose hanno finalmente creato le condizioni per un incontro tra gruppi sociali troppe volte separati, in Francia come altrove.
Come si vede, si tratta di una composizione per certi versi interessante e nuova, ma che presenta anche dei limiti evidenti: il movimento non è finora riuscito a mobilitare quell’enorme pezzo di paese che aveva partecipato al movimento dei Gilets Jaunes e che si è poi almeno in parte disperso tra astensionismo e tendenze complottiste. Non si ha, per ora, l’impressione che il movimento sia riuscito a risvegliare e coinvolgere porzioni di società diverse da quelle che già si erano politicizzate in questi anni.
Un terzo elemento di analisi concerne il rapporto col sindacato. Tra le vittorie che il movimento del 10 Settembre può già annoverare c’è indubbiamente il fatto di aver cambiato in parte i rapporti di forza tradizionali con i sindacati confederali. Come ricordavamo sopra, è senz’altro vero che l’adesione delle federazioni locali e a maggior ragione delle centrali sindacali nazionali è stata relativamente scarsa, limitando palesemente la portata della giornata; d’altro canto, però, la pressione esercitata dal movimento attraverso l’organizzazione della giornata del 10 Settembre ha costretto i sindacati a posizionarsi e a convocare in tutta fretta un’altra giornata di mobilitazione, fornendo un’occasione per prolungare ed espandere il movimento sociale. Si tratta di una dinamica inversa rispetto al movimento contro la riforma delle pensioni, in cui i sindacati confederali definivano il ritmo e la natura delle mobilitazioni e il resto del movimento seguiva passivamente cercando di volta in volta di portare pratiche nuove nelle piazze. I limiti di una tale configurazione apparvero, all’epoca, del tutto evidenti: dalla scelta di distanziare tra di loro le giornate di sciopero alla gestione delle manifestazioni, dall’eccessiva attenzione per la politica parlamentare all’attesa per un momento di mediazione politica con le forze di governo che non arrivò mai. Bloquons tout è riuscito finora nell’intento di modificare i termini del rapporto, imponendo una relazione dialettica sbilanciata in suo favore: le prossime settimane ci diranno se sarà in grado di mantenersi in questa posizione di forza o se si lascerà reinquadrare all’interno dell’ennesimo movimento sociale alla francese, capitanato dai sindacati.
Un ultimo elemento interessante da sottolineare è il modo con cui la galassia della sinistra autonoma, i sindacati conflittuali e alcuni partiti della sinistra hanno reagito alla comparsa di un movimento online spurio e potenzialmente ambiguo, ma con parole d’ordine e rivendicazioni interessanti. Il contrasto con quello che successe con i Gilets Jaunes non potrebbe essere più evidente: laddove allora molti militanti autonomi e ancor di più partiti e sindacati esitarono a lungo sulla posizione da prendere rispetto al movimento in corso, in quest’occasione la ricettività è stata impressionante, tanto che, come ricordavamo all’inizio, il movimento è stato egemonizzato completamente nel giro di pochi giorni. La lezione dei Gilets Jaunes è stata indubbiamente imparata, vista la rapidità con cui si è intravisto, nella nebulosa contestataria che cominciava a manifestarsi, un’occasione da non perdere per porre le basi di un nuovo movimento sociale; d’altro canto, il processo è stato forse eccessivamente rapido, nella misura in cui la politicizzazione del movimento ha probabilmente allontanato persone che avrebbero potuto parteciparvi – e politicizzarsi al suo interno. Se sarebbe un errore grossolano attribuire a questa dinamica la sociologia a tratti limitata del movimento attuale, si tratta ciò nonostante di una questione – quasi un paradosso politico – su cui sarebbe altrettanto sbagliato non riflettere.
Concludiamo. Il movimento del dieci settembre sopraggiunge in un momento di accelerazione della torsione autoritaria del macronismo e di grande ascesa del neofascismo lepenista, in cui gli spazi di dissenso sembrano restringersi in modo inesorabile. In questo contesto, esso potrebbe avere inaugurato un nuovo episodio del ciclo di lotte che ha interessato la Francia negli ultimi anni, portando al contempo, pur se con tutti i suoi limiti, elementi di novità ad alto potenziale politico. Solo il loro sviluppo sistematico potrà fornire un contributo alla necessità ormai esistenziale di reintrodurre del possibile in un’attualità politica sempre più soffocante.
Aggiornamento: Lo sciopero del 18 settembre
L’andamento della giornata di sciopero del 18 settembre ci permette di aggiungere alcuni tasselli ulteriori all’analisi del movimento in corso.
La mobilitazione è stata globalmente un successo: non solo in termini di partecipazione, con ottime percentuali di adesione allo sciopero nell’educazione pubblica, nei trasporti, nel settore energetico e almeno un milione di manifestanti nelle centinaia di cortei in tutto il paese - il che rende la giornata comparabile a quelle del movimento contro la riforma delle pensioni, anche se non alle più partecipate; ma anche per quanto concerne gli effetti politici immediati. La dimostrazione di forza dei sindacati sembra in effetti averli riportati, almeno temporaneamente, al centro del dibattito pubblico e politico dopo la disfatta del 2023, tanto che il neo primo ministro Lecornu si è trovato costretto a dichiarare che le rivendicazioni dei sindacati saranno al centro delle discussioni sulla prossima legge finanziaria.
E tuttavia, ciò che più si attendeva dalla giornata era naturalmente l’incontro tra il movimento Bloquons tout e la mobilitazione sindacale, ovvero i modi in cui le due anime del movimento sociale in corso avrebbero interagito. Alla fine dei cortei, il bilancio da tirare è purtroppo negativo: se sicuramente i manifestanti del dieci settembre hanno ingrossato le fila dei cortei sindacali e in particolare dei cortèges de tête – porzione dei cortei francesi ormai tradizionalmente occupata dalla galassia autonoma – il movimento non ha espresso una modalità di partecipazione unitaria, organizzata e visibile, né tantomeno pratiche specifiche e riconoscibili. Bloquons tout sembra essersi in sostanza diluito all’interno dei cortei sindacali, accettandone passivamente l’inquadramento. L’unico segno, piuttosto limitato, della partecipazione del movimento alla giornata è rappresentato da alcuni tentativi di blocchi durante la mattinata: tentativi che, come quelli della settimana precedente, sono stati purtroppo in larga parte inefficaci.
Sembra insomma che quella dialettica virtuosa che il movimento era riuscito ad abbozzare con i sindacati sia già entrata in crisi, e che la mobilitazione in corso si stia strutturando nella forma del classico movimento sociale alla francese, sulla falsariga di quello contro la riforma delle pensioni. Tant’è che il calendario è stato immediatamente ripreso in mano dai sindacati, nella forma di un ultimatum indirizzato direttamente a Lecornu: i sindacati aspetteranno fino al 24 settembre un’eventuale risposta del governo alle rivendicazioni della giornata, prima di convocare un nuovo sciopero.
In questo contesto, appare ancora più urgente per il movimento tornare a sviluppare il potenziale visto in piazza nella giornata del 10, con l’obiettivo minimo di organizzare la propria presenza in piazza e più in generale le modalità di partecipazione alle prossime date.
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Andrea Di Gesu è dottore in filosofia politica. Specialista del pensiero di Wittgenstein e di Foucault, lavora sul concetto di democrazia radicale, sul pensiero politico italiano e sulla teoria critica contemporanea. È attualmente professore a contratto presso l’università SciencesPo di Parigi. Per DeriveApprodi ha co-curato il volume di Foucault Che cos’è la critica? (2024) e scritto Wittgenstein e il pensiero politico. Linguaggio, critica, prassi (2025).








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