Questo secondo [1] (e ultimo) estratto dalla Prefazione di Robin D.G. Kelley a Black Marxism: The Making of the Black Radical Tradition, di Cedric J. Robinson, ci introduce al contesto economico, politico e intellettuale in cui nasce il volume. Un periodo profondamente diverso dall’apice spettacolare del movimento di liberazione dei neri degli anni Sessanta e Settanta. L’avvio di una nuova fase delle relazioni razziali segnata dalla deindustrializzazione e dall’avvio della carcerazione di massa, dall'affermarsi di una classe dirigente nera e dall'incremento della violenza razzista della polizia bianca che muove un nuovo emergente protagonismo antirazzista metropolitano; la fase di incubazione di tutte le questioni che infiammano ancora oggi le città del Nord America e segnano le coordinate dell'esperienza della razza e del razzismo negli Stati Uniti contemporanei.
Nel clima politico e intellettuale a cavallo tra la fine dei Settanta e i primi anni Ottanta Kelley rintraccia anche l'origine e le ragioni della serrata critica di Robinson al marxismo. Getta luce sulla postura radicale della sua militanza per leggere il silenzio assordante che circonda la pubblicazione di Black Marxism, con l’accademia e la sinistra tradizionale incapaci di comprendere il portato materialista e critico sviluppato dal discorso di Robinson. In chiusura, richiama la grande attualità del volume, che rimane intatta nei vent’anni che separano il testo di Kelley dal presente, e segnala l’urgenza di una sua più ampia circolazione. La traduzione e pubblicazione di questo testo ha raccolto, almeno in parte, questa sollecitazione, in attesa che una traduzione sistematica del lavoro di Robinson riscuota l'interesse delle lettrici e dei lettori italiani [A. C.].
Fu la militanza politica di Robinson nel movimento di liberazione a spingerlo in biblioteca alla ricerca della tradizione radicale nera. Il suo pensiero prese forma direttamente dai movimenti sociali di cui faceva parte e dalle lotte sociali e politiche che hanno definito la nostra era. Nella metà degli anni Sessanta, mentre studiava alla University of California a Berkeley, Robinson era attivo nella Afro-American Association, un gruppo nazionalista radicale di studenti con base nella East-Bay, guidato da Donald Warden. Fondata nel 1962, costituì le fondamenta del ramo californiano del Revolutionary Action Movement (RAM); alcuni dei sui membri, tra cui Huey Newton, formarono più avanti il Black Panther Party. Questo gruppo di intellettuali neri della Bay-area, piccolo ma militante, prese buona parte delle sue idee da Malcolm X e da altri nazionalisti neri e fu fortemente influenzato dalle rivoluzioni in Africa, Asia e America latina. Sebbene si interessò di problemi domestici come la povertà urbana, il razzismo, l’istruzione, la violenza della polizia e le lotte degli studenti neri, seppe leggere la condizione afroamericana attraverso un’analisi del capitalismo globale, dell’imperialismo e della liberazione del Terzo Mondo.
Non è difficile vedere i fili di connessione tra Black Marxism e l’esperienza di Robinson nella Afro-American Association. Uno dei documenti chiave che circolava in questo gruppo era uno scritto di Harold Cruse del 1962, Revolutionary Nationalism and the Afro-American, che sosteneva che i neri negli Stati Uniti vivevano sotto un regime coloniale domestico e che le loro lotte dovevano essere viste come parte del movimento globale anticoloniale. «L'incapacità dei marxisti americani», scrive Cruse, «di comprendere il legame tra i negri [the Negro] e i popoli colonizzati nel mondo, ha prodotto l'incapacità di sviluppare teorie che potrebbero essere utili ai negri [Negroes] negli Stati Uniti». Cruse aveva rovesciato quel ragionamento tradizionale secondo cui il successo del socialismo nell’Occidente sviluppato è una condizione necessaria per l’emancipazione dei soggetti coloniali e dello sviluppo del socialismo nel Terzo Mondo. Vedeva piuttosto le ex colonie come le avanguardie della nuova rivoluzione socialista, con Cuba e la Cina in prima linea: «L’iniziativa rivoluzionaria è passata al mondo coloniale, e negli Stati Uniti sta passando al negro [the Negro], mentre i marxisti occidentali teorizzano, temporeggiano e fanno dibattiti». Robinson riprese la sfida lanciata da Cruse a sviluppare nuove teorie rivoluzionarie laddove il marxismo si mostrava incapace, ma andò ben oltre le posizioni di Cruse. Col tempo, Robinson concluse che non bastava rimodellare o riformulare il marxismo per i fini e i bisogni della rivoluzione del Terzo Mondo; arrivò invece a credere che tutte le teorie universaliste di ordine politico o sociale fossero da scartare. Il primo libro di Robinson infatti, intitolato The Terms of Order: Political Science and the Myth of Leadership, critica il presupposto occidentale – radicato nel marxismo quanto nella liberaldemocrazia – secondo cui movimenti di massa sono un riflesso dell'ordine sociale e sono mantenuti e razionalizzati dall'autorità della leadership.
Per sfatare il mito dell’ordine sociale che produce i movimenti di massa fu sufficiente il caos della situazione politica internazionale ai tempi in cui Robinson completava Black Marxism. Era l’ultimo decennio della guerra fredda, l’era di Reagan e Thatcher e delle nuove guerre imperialiste in Medioriente, a Grenada e nelle Isole Malvine. Eppure, la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta erano anche una nuova era rivoluzionaria. Le dittature in Africa, in Asia e in America Latina venivano sfidate da movimenti radicali, da El Salvador allo Zaire, dal Nicaragua al Sudafrica. Nei primi anni Ottanta, sembrava che la violenza politica, la tortura e gli assassini proliferassero; tra le vittime c’era Walter Rodney, grande intellettuale e storico della Guyana che Robinson avrebbe sicuramente collocato all’interno della tradizione radicale nera. Non dimentichiamo che sotto Reagan, nel 1983, gli Stati Uniti invasero Grenada proprio perché, quattro anni prima, c’era stata una rivoluzione socialista. A casa, la deindustrializzazione, la fuga delle corporation americane in terre straniere e lo spostamento di milioni di lavoratori attraverso il paese, crearono un ulteriore fermento nei centri metropolitani del capitale globale. La disoccupazione permanente, la sottoccupazione e l’essere senzatetto erano diventate una forma di vita diffusa. E nonostante la presenza crescente di afroamericani nelle cariche politiche, diminuirono i servizi per i cittadini, si prosciugò la spesa pubblica sui territori e furono messi sotto attacco i programmi di azione affermativa. Il razzismo in ascesa dava luogo alle ribellioni urbane, da Liberty City in Florida alle periferie inglesi (prevalentemente nere) di Bristol e Brixton. Negli Stati Uniti, il Ku Klux Klan triplicò il numero dei suoi iscritti e portò avanti una campagna di terrore e intimidazione contro gli afroamericani. Nel Mississippi, nel 1980 (non nel 1890), furono linciati almeno dodici afroamericani e ci furono almeno quaranta omicidi a sfondo razziale in città e come Buffalo, New York, Atlanta in Georgia e Mobile in Alabama. In quegli anni, inoltre, emersero come problema centrale per i i neri su entrambe le sponde dell’Atlantico gli omicidi e le violenze commesse dalla polizia. Complessivamente, gli anni di Reagan e Thatcher inaugurarono una nuova era di ricchezza padronale e di un cinico disprezzo verso i poveri e le persone di colore.
Ciononostante, lo spostamento a destra non fu incontrastato. Black Marxism apparve durante un periodo cruciale di organizzazione politica, pochi anni dopo la nascita del National Black United Front (NBUF) e del National Black Independent Political Party (NBIPP). Il nazionalismo nero era in crescita dopo un decennio in cui un numero sempre maggiore di radicali neri si era rivolto al marxismo-leninismo e al maoismo come alternative al integrazionismo liberale e al capitalismo nero. Durante gli anni Settanta, i radicali neri iniziarono a lavorare in fabbrica per raggiungere la classe operaia, cercarono di liberare i prigionieri politici e costruire movimenti nelle carceri, gettarono le loro energie nella costruzione di un’Africa socialista e continuarono la lunga tradizione di organizzazione nei quartieri. Intanto, l’afrocentrismo e il nazionalismo culturale catturarono, attraversando le linee di classe, l’immaginazione di vari segmenti della comunità nera. Fiorirono scuole nere indipendenti; i corpi neri venivano adornati di tessuto kente e medaglioni colorati di rosso, verde e nero; e la letteratura afrocentrica trovò finalmente il suo mercato. Dall’altro lato, c’erano ragioni per essere pessimisti. Con gli anni Ottanta il lavoro era scomparso, le nazioni africane più progressive erano più instabili che mai e il numero di neri nelle carceri cresceva a vista d’occhio grazie alle politiche restrittive per il possesso di crack.
Insieme ad altri giovani radicali, mi trovavo nel mezzo d’un crocevia politico e culturale, pronto ad agire ma incerto su quale fosse la direzione presa dal. Avevamo bisogno di un’analisi dei movimenti sociali che avevano veramente fatto una differenza. Avevamo bisogno di sapere come avevamo fatto a costruire le nostre comunità e mantenerci integri durante la schiavitù e Jim Crow. Avevamo bisogno di capire chi fossero i nostri nemici e chi fossero i nostri amici, in passato e nel presente. Avevamo bisogno di una nuova storiografia pronta ad assumere una prospettiva più globale. Avevamo, in sintesi, bisogno di una conoscenza più chiara e più radicale del passato, per poter tracciare una nuova via da seguire. Black Marxism fu uno dei libri scritti da intellettuali radicali neri per affrontare questa sfida. Tra gli altri, pubblicati tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, c’erano The West and the Rest of Us di Chinweizu (1975), Women, Race, and Class di Angela Davis (1981), There is a River di Vincent Harding (1983), Black Self-Determinationdi V. P. Franklin (1984), Blackwater (1981) e How Capitalism Underdeveloped Black America (1982) di Manning Marable e Prophesy Deliverance di Cornel West (1982). Per i neri con tendenze radicali, questi erano i nuovi profeti del tempo, e sembrava che ognuno tenesse sempre con sé la sua copia lacera e piena di annotazioni. Tuttavia, per il resto del mondo, questi libri a malapena esistevano. Perfino i libri pubblicati dalle case editrici commerciali, come la critica arguta e pungente di Chinweizu all’imperialismo occidentale e alla sua alleanza con la borghesia africana, ricevettero pochissime recensioni.
Black Marxism soprattutto non attirò nessun commento importante e ricevette pochissima attenzione dal mondo accademico. Le poche recensioni venivano dalle pubblicazioni di sinistra oppure da qualche rivista molto specializzata. Le uniche che riflettevano in profondità sul libro furono quelle scritte da Cornel West e dal filosofo radicale nero Leonard Harris, pubblicate entrambe diversi anni dopo l’uscita del libro. L’articolo di West, critico seppur rispettoso, pubblicato nel periodico socialista «Monthly Review», fu un tentativo deliberato di generare un nuovo interesse in Black Marxism. Suggeriva che il libro fosse passato sotto silenzio in gran parte per via dello stato della sinistra accademica, che si trovava persa tra «discorsi gergali in cui la razza riceve poca o nessuna attenzione» e la sinistra nera, che era semplicemente troppo debole e disorganizzata per coltivare e sostenere «uno scambio critico di alto livello».
Qualunque sia la spiegazione per il silenzio che ha circondato Black Marxism, l’esito è stato infausto. Gli europeisti di cui Robinson sfida in maniera diretta gli studi storici, non hanno mai, per quanto io ne sappia, risposto alle sue critiche. Perfino una nuova generazione di studiosi che ha esaminato la razza e i movimenti neri non ha fatto caso alle intuizioni proposte da Robinson. Gli anni Novanta hanno visto la proliferazione di studi sul radicalismo nero, la diaspora africana, le origini del razzismo occidentale ed è cresciuta l’attenzione per gli scritti di Du Bois, James e Wright, eppure pochissimi di questi studi citano le opere di Robinson.
[...] Il maggior pregio del ritorno di Black Marxism è la sua capacità di orientare gli studiosi lungo nuove direzioni, incoraggiandoli a continuare dove Robinson si è fermato. Il libro ha aperto molte piste ancora da percorrere che potrebbero aiutarci a comprendere o persino realizzare il vero scopo di Robinson: la liberazione del popolo nero. In che modo, per esempio, il genere e la sessualità hanno plasmato la rivolta nera? Come possiamo interpretare il fatto che le donne nere erano spesso investite di grandi poteri spirituali o che gli uomini neri tendevano ad avere maggiori opportunità di viaggiare? Quali altre figure meritano un posto nel pantheon degli intellettuali radicali neri e chi racconterà la loro storia? In che modo le più familiari narrazioni sul radicalismo nero successive agli anni Sessanta vengono messe in crisi dal modello di Robinson? Cosa ne facciamo degli studiosi radicali che non sono né neri né bianchi, quei militanti come Yuri Kuchiyama di Harlem o Grace Lee Boggs di Detroit, per non parlare dei tanti originari dell’Asia meridionale che, in Inghilterra e altrove, hanno legato il proprio destino alla tradizione radicale nera? Esistono, oltre al marxismo, altre strade che hanno portato gli intellettuali radicali neri faccia a faccia con la tradizione radicale nera?
[...] Certamente, altri anelli mancanti e altre piste non battute, potrebbero ulteriormente illuminare la storia e il significato del radicalismo nero. Robinson ha scritto un libro talmente ambizioso, sfrontato e provocatorio che ha generato una serie infinita di domande e sfide intellettuali e politiche. Per questo Black Marxism è importante e rilevante politicamente oggi quanto lo era quando fu scritto. La crisi dei primi anni Ottanta si è tutt’altro che placata. Siamo entrati nel nuovo millennio con meno posti di lavoro ben pagati, meno diritti per le minoranze oppresse, meno servizi sanitari, più prigioni, più ricchezza nelle mani di pochi, più razzismo e più miseria. Il Ventesimo secolo si è concluso più o meno come quello precedente. Sin dagli anni Novanta, ci sono gruppi di cosiddetti intellettuali legittimi che affermano l’esistenza di un nesso tra l’intelligenza e la razza; alcuni di loro propongono serenamente il ritorno al colonialismo formale come soluzione per i problemi dell’Africa; gli Stati Uniti continuano a fare guerre imperialiste e il problema della linea del colore è ancora qui con noi esattamente per come l’aveva descritto Du Bois all’alba del Ventesimo secolo.
Eppure, tra la crisi e la sconfitta, tra la metà e la fine degli anni Novanta, abbiamo visto più di un milione di donne e uomini neri, giovani e anziani, pronti a marciare su Washington o attraversare Harlem nel nome del riscatto, della libertà, dell’autodeterminazione e perfino della rivoluzione. Nel giugno del 1998, in migliaia ci siamo riuniti a Chicago per inaugurare il Black Radical Congress. Chi viene attratto da questi movimenti cerca una direzione, cerca di orientarsi in un mondo dove la sofferenza esistenziale dei neri si rivela come una crisi interiore, psichica, spirituale ideologica e del mondo materiale. Ci troviamo costantemente a discutere di struttura contro cultura, spiritualità contro materialità. Sono le medesime tensioni che Cedric Robinson esplora in Black Marxism, ed è per questo che il movimento radicale nero ha bisogno di questo libro così come ne ha bisogno l’accademia.
Non ho dubbi che il ritorno di Black Marxism avrà un grosso impatto sulle presenti e future generazioni di intellettuali, così come lo ebbe su di me quando lo lessi per la prima volta. Sono anche sicuro che questa volta arriverà ad un pubblico molto più vasto e sarà ampiamente discusso nelle aule universitarie, nei contesti sociali e nelle pubblicazioni che guardano con serietà al passato e al futuro. Perché? Perché per tutte le intuizioni illuminanti che propone, le affermazioni audaci, le sottili correzioni storiche e le affascinanti deviazioni lungo cammini ancora inesplorati, l’intera impalcatura di Black Marxism si poggia su una singola domanda fondamentale: dove andiamo a partire da qui? È la domanda che ha prodotto questo libro straordinario ed è la stessa domanda che porterà la prossima generazione a leggerlo.
Traduzione di Achille Marotta
[1] Una prima parte è stato pubblicata il 27 novembre 2020 con il titolo Black Marxism. Il giacimento dimenticato della tradizione radicale nera https://www.machina-deriveapprodi.com/post/black-marxism, estratto da R. D.G. Kelly, Foreword, in C. J. Robinson, Black Marxism: The Making of the Black Radical Tradition, Duke University Press, Durham NC 2000.
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