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Attraversando il PNRR. Parte II (II)

Politiche energetiche e filiere produttive


PNRR
Immagine: Bernd & Hilla Becker, Gasbehälter, 1959. Bernd & Hilla Becher Archive, Colonia

Pubblichiamo la seconda parte dello studio sul PNRR condotto da Emiliano Gentili, Stefano Macera e Federico Giusti. Dopo aver analizzato il contesto economico italiano e la strategia perseguita dall’Unione Europea nella programmazione del Piano, nel nuovo articolo, gli autori analizzano l’idea di politica energetica dell’Ue e dell’Italia ed esaminano alcuni investimenti previsti dal PNRR particolarmente significativi per lo sviluppo dell’economia italiana, con particolare riferimento alla filiera dei semiconduttori e dell’idrogeno.


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III. La filiera dell’idrogeno

La Missione 2, Componente 2, Sottocomponente 3 del nostro Pnrr punta a creare e rafforzare un comparto industriale italiano per la produzione, la distribuzione e l’utilizzo dell’idrogeno come risorsa energetica alternativa. Al suo interno, una buona quantità di fondi viene destinata allo sviluppo dell’idrogeno per applicazioni industriali (soprattutto chimica e raffinazione petrolifera). Al di là delle ragioni economiche di un simile orientamento tale scelta riflette il fatto che gli impianti produttivi che già utilizzano idrogeno sono più facilmente integrabili all’interno della filiera dell’idrogeno inteso come vettore energetico: l’utilizzo di questo gas per produrre ammoniaca, ad esempio, consente di trasportarlo all’interno del composto ammoniaco, rendendolo molto più «stabile» e facile da controllare, e abbassando i costi del trasporto logistico.

L’Investimento 5.2, infine, prevede «l'installazione in Italia di circa 5 GW di capacità di elettrolisi [uno dei procedimenti per produrre idrogeno] entro il 2030 (…) [e] lo sviluppo di ulteriori tecnologie necessarie per sostenere l’utilizzo finale dell'idrogeno (es. celle a combustibile per autocarri)»[1].

Cosa sono, però, l’idrogeno e la sua filiera? E che importanza possono avere in relazione allo sviluppo economico e alla riduzione dell’impatto ambientale del capitalismo?

L’idrogeno è un gas pulito, dal momento che l’unico scarto che produce è vapore acqueo. Non è però una merce economica e questo soprattutto per i costi di deposito e trasporto: va mantenuto a determinate condizioni molto difficili da stabilizzare e va isolato perfettamente, anche per evitare che prenda fuoco (l’idrogeno è altamente infiammabile e reagisce con ogni agente ossidante, incluso l’ossigeno). Anche i componenti industriali necessari per produrre idrogeno sono molto costosi e, per di più, una parte di questi va sostituita entro pochi anni, sia perché si usura rapidamente che per i frequenti guasti, anche irreversibili.

Il costo elevato dell’idrogeno è uno dei motivi per cui si preferisce produrlo tramite combustione, vale a dire emettendo CO2: se si analizza il mercato globale dell’idrogeno si osserva come la domanda sia «soddisfatta quasi interamente mediante idrogeno derivante da combustibili fossili» e comporti la produzione di «quasi 900 Mt di emissioni dirette di CO2 all’anno (2,5% del settore energetico e industriale)»[2]. La domanda creata all’interno delle filiere dell’idrogeno pulito, infine, è meno dell’1% del totale.

Già, perché vi sono «idrogeni» più o meno puliti e, per produrli, esistono filiere differenti:

- idrogeno «marrone», prodotto dalla combustione del carbone, che al kg costa 1-1,5 USD ed emette 18-20 kg di CO2;

- idrogeno «grigio», prodotto dalla combustione del gas metano, che al kg costa 1-2 USD ed emette 9-10 kg di CO2;

- idrogeno «blu», ottenuto dalla combustione di carbone e gas metano (ma in associazione a sistemi di cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica), che al kg costa 2-2,5 USD ed emette più di 5 kg di CO2;

- idrogeno «verde», prodotto da energie rinnovabili, che al kg costa 2,5-7 USD e non dà luogo a emissioni di CO2[3];

- idrogeno «bianco», estratto dai giacimenti naturali di idrogeno. Costo ed emissioni (comunque basse) sono variabili, in quanto dipendono dalle condizioni del giacimento: ad esempio, se l’idrogeno non è puro va estratto dai materiali a cui si è legato, ragion per cui costi ed emissioni del processo vanno calcolati caso per caso. Ad oggi si conoscono con certezza due giacimenti naturali: uno in Mali e un altro in Francia. L’esplorazione e la trivellazione internazionali del sottosuolo sono solo all’inizio e la competizione fra imprese estrattive è appena iniziata; in Italia, per ora, si cerca in Liguria e nel Lazio[4].

In generale è possibile immaginare diversi procedimenti all’avanguardia per ridurre le emissioni della filiera dell’idrogeno (si possono utilizzare le infrastrutture produttive dell’idrogeno anche come passaggio intermedio per la conversione dei rifiuti domestici e agricoli, per esempio), ma di norma si tratta ancora di idee molto aleatorie e probabilmente caratterizzate da ingenti costi per l’adeguamento – o riconversione – degli impianti.

            Dal punto di vista dell’impatto climatico, lo sviluppo di questa nuova filiera condurrà a una situazione in cui l’obiettivo di ridurre progressivamente le emissioni e accrescere i profitti allo stesso tempo potrà essere raggiunto soltanto al prezzo di investire molto nella ricerca e nello sviluppo di componenti tecnologicamente più avanzati, in grado di ridurre le emissioni (limitando l’utilizzo delle materie prime e aumentando la produttività industriale), e di una crescita impetuosa del mercato globale (domanda e offerta di idrogeno). A parer nostro, in caso di difficoltà economiche nel settore dell’idrogeno pulito la riconversione energetica verso il gas metano, l’idrogeno marrone o l’elettricità prodotta da fonti non rinnovabili sarebbe l’output più probabile[5]. E in effetti l’integrazione della filiera dell’idrogeno nella rete logistica del trasporto merci, nei gasdotti e nella rete elettrica appaiono convenienti agli investitori (anche perché «L’incertezza su come la sua produzione e consumo evolveranno a livello geografico e a livello tecnologico influenza le previsioni su un’organizzazione infrastrutturale efficiente»[6]).

Al momento, in termini di emissioni di CO2, «La produzione [globale] di idrogeno è responsabile per quasi 900 Mt di emissioni dirette di CO2 all’anno (2,5% del settore energetico e industriale)»[7] e la previsione è di un netto aumento. L’obiettivo italiano è di riuscire a evitare l’emissione di 5,5 Mt entro il 2030[8].

            Prima di entrare nei dettagli di come è fatta la filiera dell’idrogeno, due parole sul giro d’affari complessivo: alcune stime parlano di soli 2,5 miliardi nel 2030[9] (che, per quanto nel merito esistano divergenze significative fra gli studiosi, rispetto al fatturato dei semiconduttori sono praticamente nulla). Si tratta di una filiera giovane, che non è chiaro in che modo si articolerà a livello globale, determinando – in paesi diversi – sia «centri» economici che territori più periferici rispetto all’appropriazione del valore creato. Ad esempio, su 924 progetti di produzione di idrogeno pulito in Europa l’82% è ancora in fase iniziale[10]. Al momento è chiaro soltanto che la corsa all’oro è iniziata e che, anche in Italia[11], molte imprese stanno ottenendo abilitazioni per utilizzare l’idrogeno, assumendo nuovo personale specializzato e allargando il proprio giro d’affari.

La filiera produttiva di questa nuova fonte energetica comprende essenzialmente le fasi di produzione, stoccaggio e trasporto. Sia le forniture di componenti per la produzione industriale che le infrastrutture per lo stoccaggio sono eccessivamente costose, per cui si tenta di aumentare le reti di distribuzione e la domanda industriale di idrogeno in modo da ridurre i tempi di immagazzinamento. Tolto il passaggio dell’odorizzazione (l’idrogeno è inodore, quindi per ridurre rischi dovuti a perdite non segnalate gli si conferisce un odore, come nel caso del gas metano), che viene effettuato in fase di stoccaggio, l’idrogeno gassoso o liquido deve subire complicati e costosi procedimenti di pressurizzazione e adeguamento termico, mentre quello presente in composti chimici ha, sì, una fase di stoccaggio meno dispendiosa, ma anche una minor resa energetica. Dotarsi di impianti di compressione all’avanguardia, dunque, diverrà imprescindibile per ridurre i costi senza abbattere la produttività energetica, nonché un segno tangibile della maturità economica della filiera nazionale.

La logistica di filiera è complicata da descrivere: il tipo di logistica varia in base al tipo di business. Nei collegamenti intercontinentali, per fare un esempio, non si può trasportare l’idrogeno allo stato gassoso, al contrario che nelle medie e brevi percorrenze (che, quindi, possono contemplare l’utilizzo di gasdotti preesistenti). Inoltre, alcune opzioni di trasporto sono al momento impraticabili per i costi troppo elevati: sarebbe relativamente semplice trasportare carburante pulito allo stato liquido, ma il costo di un litro di e-fuel (carburante ottenuto dalla combinazione chimica di idrogeno e anidride carbonica) stimato per il 2025 è di 56,8 euro[12].

            La filiera UE, vista nello specifico, presenta alcuni punti di forza ma è anch’essa in fase di formazione. Lo sviluppo futuro della filiera è stato ufficialmente ipotizzato e descritto nella forma di un percorso a tappe: negli anni 2020-2024 l’obiettivo è di far nascere il mercato dell’idrogeno e di definirne il quadro normativo, per arrivare a 6 GW di idrogeno verde (tramite elettrolisi), 1 milione di tonnellate di idrogeno trasportato e 1.000 impianti di produzione entro il 2025; da lì al 2030 si cercherà di sviluppare ulteriormente le infrastrutture di trasporto e di finanziare le prime applicazioni locali dell’idrogeno come fonte energetica; infine si punterà a una consistente diffusione di questo gas entro il 2050 (in particolare dell’idrogeno verde), arrivando a controllare il 14% del mercato globale (quello relativo agli usi finali dell’idrogeno)[13]. Un forte accento è stato posto dalla Commissione sulla diffusione di impianti di produzione dell’idrogeno tramite elettrolisi (passaggio di corrente elettrica nell’acqua), tecnologia che potrebbe rivelarsi fondamentale per assicurare indipendenza energetica a chi la controlla. Dall’obiettivo di 40MW di capacità installata di elettrolizzatori nel 2030[14] si è passati oggi ai 65MW[15], mentre per il 2050 si cercherà di arrivare a 500MW. La scelta dell’elettrolisi è prettamente europea: negli Stati Uniti, ad esempio, si utilizza più diffusamente lo Steam Methan Reforming[16].

            All’interno della Factory Europe si svilupperà una distribuzione dei ruoli, nonostante la grande incertezza generale. Sembra che la produzione di idrogeno sarà collocata prevalentemente nei paesi meridionali dell’UE (ad esempio Italia e Spagna), mentre le capacità di utilizzazione industriale verranno sviluppate, con tutte le necessarie implementazioni del settore produttivo, in nazioni come la Francia e la Germania (che fra l’altro, sull’idrogeno, portano avanti ulteriori progetti e interlocuzioni separati, per quanto all’interno dei quadri di sviluppo europei[17]). Questo programma prevede lo sviluppo di un’adeguata rete logistica per lo spostamento dell’idrogeno in direzione degli agglomerati industriali interessati e, quindi, dei paesi che li ospitano:

i gasdotti transfrontalieri dell’idrogeno e le infrastrutture di importazione sono considerati un importante focus d’azione. La Francia potrebbe fungere da hub importante per la rete europea di produzione di idrogeno (soprattutto nell’Europa meridionale) con siti industriali nell’Europa settentrionale [ossia, collegamento fra produzione al sud e utilizzo nei siti industriali al nord]. I progetti transfrontalieri franco-tedeschi con componenti infrastrutturali potrebbero quindi gettare le prime basi per una rete europea di fornitura di idrogeno[18].

Nonostante ciò, pur se in maniera limitata si cercherà ovunque di favorire applicazioni dell’idrogeno prodotto in luoghi di prossimità, anche per via dei costi complessivi del trasporto.

In particolare, la Germania (e non solo) cercherà di diventare il principale fornitore europeo di tecnologie per la produzione di idrogeno, rafforzando il proprio ruolo anche nelle fasi iniziali della filiera: «la Germania deve aprire la strada nella produzione, nelle infrastrutture e nella ricerca, nello sviluppo tecnologico e nella rapida espansione delle energie rinnovabili necessarie per la produzione di idrogeno e dei suoi prodotti a valle»[19]. Ai paesi che meno di altri riusciranno a sviluppare questo nuovo settore industriale rimarranno i segmenti centrali della filiera, quelli che probabilmente saranno meno remunerativi e più dipendenti, allo stesso tempo, dalle forniture di macchinari per la produzione e dalla domanda della grande industria mitteleuropea. Del resto, c’è una bella differenza fra l’adeguamento dei sistemi industriali all’utilizzo dell’idrogeno e lo sviluppo di infrastrutture produttive per la produzione del gas verde. Per quest’ultimo, infatti, non esiste una domanda di mercato: utilizzarlo come fonte energetica rimane fondamentalmente un’esigenza della specie umana per la salvaguardia dell’ambiente, esigenza che il capitalismo sta tentando di manipolare e orientare affinché possa costituire un nuovo e proficuo business. Non per caso la domanda verrà inevitabilmente sostenuta da investimenti statali, che ne abbasseranno il prezzo per le imprese, incrementando però al contempo il costo della CO2 e, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, dell’elettricità prodotta tramite questa (in generale, quindi, le bollette potrebbero aumentare). Secondo poi, all’opposto, l’industria pesante potrebbe utilizzare questo gas (anche quello marrone, non pulito) in caso di picchi della produzione e, in generale, per una maggiore indipendenza dalle forniture energetiche, ottenendo un relativo vantaggio a prescindere da tutto, anche del caso in cui falliscano i progetti di costruzione di questa nuova filiera green. Al momento, lo ripetiamo, «non esiste un mercato per l’idrogeno verde né a livello nazionale né a livello europeo»[20], per cui la partita è ancora tutta da giocare.

Come dicevamo, la Spagna cerca di «configurarsi come uno dei principali esportatori di energia verde in Europa. In questo senso, al momento attuale si prevedono progetti diretti alla produzione di idrogeno rinnovabile, all’interno del territorio nazionale, destinato all’esportazione»[21]. A nostro parere l’Italia ricalca, in qualche modo, le stesse orme.

Le piccole e medie aziende nostrane possono adoperarsi principalmente nel settore dei servizi alle imprese (per servizi di consulenza, studi di fattibilità, rilascio di certificazioni, ecc.), mentre la quasi totalità degli investimenti dovrà essere realizzata tramite le realtà imprenditoriali più importanti. Fra i punti di forza del nostro paese troviamo gli estesi gasdotti che permettono collegamenti col Nord Africa e un settore manifatturiero relativamente forte, che per quanto riguarda l’idrogeno potrebbe concedere alcuni vantaggi. Ad esempio, l’Italia possiede «competenze distintive nella produzione di tecnologie specifiche correlate all’uso dell’idrogeno, ma i progetti avviati sono minori rispetto ad altri Paesi UE e su scala ridotta: solo 13, contro i 46 della Germania e i 33 di Spagna e Paesi Bassi»[22].

È presto per giudicare nel dettaglio gli obiettivi italiani e l’andamento del processo di sviluppo, tuttora in fase iniziale[23]. Diremo soltanto che, com’era per i semiconduttori, anche in questo settore il nostro paese sembra collocarsi in un ambito di secondaria importanza, in grado di garantire minori profitti.



Note

[1] PNRR #NextGenerationItalia, p. 142.

[2] F. Del Grosso – E. Somenzi, Le Prospettive di Mercato dell’Idrogeno. Analisi di scenario, Fondazione Eni «Enrico Mattei», 2023, p. 4.

[3] Dati di costi ed emissioni provenienti da: Politecnico di Milano, Hydrogen Innovation Report, 2021. In F. Del Grosso – E. Somenzi, op. cit., p. 6.

[4] Progetto NHEAT, Natural Hydrogen for Energy «trAnsiTion», finanziato dal Pnrr.

[5] Le tecnologie verdi «reversibili», ossia riutilizzabili in senso «marrone», sono molte: si pensi soltanto agli elettrolizzatori, perfettamente funzionanti anche con elettricità prodotta da fonti inquinanti.

[6] F. Del Grosso – E. Somenzi, op. cit., p. 14.

[7] Ivi, p. 4.

[8] AssoRisorse, Quali politiche industriali per sviluppare una Filiera Industriale dell’Idrogeno. Nuovi modelli di business e opportunità per le imprese, 2022, p. 5.

[9] Dati: Hydrogen Council, 2023. In M. Carucci, La filiera dell'idrogeno. Fino a 500mila posti entro il 2050, «l’Avvenire», 19 gennaio 2024.

[10] Redazione InfoBuildEnergia, Idrogeno: da H2IT un bilancio del 2023 e le prospettive 2024, «InfoBuildEnergia», 20 dicembre 2023.

[11] Fonte: H2It e Innovation Center di Intesa Sanpaolo, 2022.

[12] Azienda produttrice: Zero Petroleum.

[13] Commissione Europea, A hydrogen strategy for a climate neutral Europe, 2020. In F. Del Grosso – E. Somenzi, op. cit., p. 8.

[14] Strategia Europea dell’Idrogeno, 2020.

[15] REPowerEU, 2022.

[16] Reazione ad alte temperature di metano e vapore acqueo che produce idrogeno «blu».

[17] Prima di tutto l’Ipcei sull’idrogeno.

[18] Darp (Deutscher aufbau und resilienzplan), p. 64 (traduzione effettuata tramite applicazione informatica).

[19] Ivi, p. 58.

[20] Ivi, p. 60.

[21] PRTR (Plan de Recuperación, Transformación y Resiliencia), Componente 9, p. 20. Traduzione nostra.

[22] M. Crisantemi, L’Italia dell’Idrogeno tra eccellenze e criticità: l’analisi di Ambrosetti, «InnovationPost», 21 giugno 2023.

[23] Secondo un report dell’Osservatorio H2IT e della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, al momento attuale il 60% delle imprese che si occupano di idrogeno è fatto di start-up, il 36% di imprese «giovani», il 4% di imprese «mature» o «storiche». In F. Del Grosso – E. Somenzi, op. cit., p.11.


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Emiliano Gentili è docente alle scuole medie. Ricercatore politico-sociale (e attivista), esperto di musica e disabilità. I suoi studi attuali si concentrano principalmente attorno al tema dell’evoluzione contemporanea dell’organizzazione del lavoro, nel tentativo di individuare problematiche trasversali ai diversi settori lavorativi.


Federico Giusti è operaio e delegato sindacale della cub. Collabora a varie riviste e blog su tematiche sociali, del lavoro e di carattere internazionale. Corrispondente di RadioGrad.


Stefano Macera svolge la professione di guida turistica. Collabora con varie riviste, applicandosi a 2 campi di ricerca. In ambito socio-politico, si occupa delle nuove forme assunte dal conflitto capitale-lavoro. In ambito socio-culturale, si interessa alle produzioni artistiche e cinematografiche estranee alle logiche di mercato.

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